Barone fubini vinay - Riassunto Storia della musica PDF

Title Barone fubini vinay - Riassunto Storia della musica
Course Storia della musica
Institution Politecnico di Milano
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Storia della musica Baroni Fubini Petazzi Santi Vinay 1. LA MUSICA NEL MONDO ANTICO: 1. MUSICA GRECA E OCCIDENTALE difficile ancora oggi capire quando esattamente abbia avuto origine la era praticata fin dai tempi antichi, anche se oggi ci sono pervenuti pochi frammenti. La parola musica deriva dal ...


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Storia della musica

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1. LA MUSICA NEL MONDO ANTICO: 1. MUSICA GRECA E CIVILTA’ OCCIDENTALE E’ difficile ancora oggi capire quando esattamente abbia avuto origine la musica; era praticata fin dai tempi antichi, anche se oggi ci sono pervenuti pochi frammenti. La parola musica deriva dal greco moysa, (musa) ogni scienza ed arte che dia l’idea di cosa perfetta, gradevole.La storia della musica è più problematica da ricostruire rispetto alle altre arti, dato che non si riteneva fosse un’arte da tramandare ai posteri, veniva perlopiù trasmessa oralmente. Vi sono comunque testimonianze che la musica si pratichi sin dall’età classica ed alcuni documenti risalenti a partire dal 3° sec. a.C. La vita sociale dei greci era sempre accompagnata da musica. Le composizioni più usate erano: Imeneo canto di nozze Threno canto funebre Ditirambo canto dionisiaco Inno canto in onore degli dei Epinicio canto per il vincitore dei giochi olimpici. 2. I MITI MUSICALI E LE TESTIMONIANZE PIU’ ANTICHE Nel mondo greco la musica aveva carattere ricreativo ma anche educativo. Serviva inoltre per rendere grazie alle divinità. Nel periodo omerico (8°-7° sec. a.C.) comparve la figura del musicista professionista. La musica accompagnava la danza, il canto e le cerimonie, seguendo un preciso repertorio di canti ed accompagnandosi al suono della lira (secondo la tradizione inventata da Apollo e suonata divinamente da Orfeo) e dell’aulos (strumento a fiato legato al culto di Dioniso). Fondamentale nella musica fu il concetto di armonia, ampiamente sostenuto dai pitagorici (setta religiosa, politica, nonché scuola filosofica) e concepita come unificazione dei contrari. Tale concetto, unito a quello del numero, costituiva la legge del mondo per i pitagorici (nulla sarebbe comprensibile se non ci fosse il numero); che accostarono la musica alla matematica. Pitagora infatti capì che anch’essa era governata da precise leggi matematiche e scoprì che se una corda produceva un suono di una certa altezza, per ottenere un suono all'ottava superiore bisognava far vibrare metà della corda; per ottenere la quinta bastava far vibrare i due terzi della corda, e via di seguito. Inoltre la musica, che riproduce e imita la natura, era in grado di suscitare emozioni nell’animo umano. 3. L’ARMONIA E L’ETHOS DELLA MUSICA Da Pitagora, a cui è stato attribuita l’affermazione della relazione tra musica e animo umano, si è sviluppata tutta la filosofia greca in merito alla musica e al suo ethos (modo) di incidere sull’anima. Grande contributo alle teorie musicali è stato dato da Platone, che accentuò la spaccatura tra musica udita e pensata, dividendosi tra una condanna alla musica e una considerazione di essa come suprema forma di bellezza e verità. Platone condannava la musica da fiera, o come sola fonte di piacere mentre esaltava quella pensata, quella della ragione che può avvicinarsi alla filosofia. In sostanza Platone sosteneva l’arte austera e puramente educativa ed intellettuale della musica, ma ne condannava eccessi e sregolatezze. Secondo il filosofo le musiche accettabili erano quelle consacrate dalla tradizione, quelle legate al valore di legge (nomos).

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4. I NOMOI E LA RIVOLUZIONE MUSICALE DEL V SECOLO Quando si unisce il concetto di musica a quello di legge, ci si riferisce al fatto che nella Grecia antica vi fossero degli schemi melodici, detti nomoi, stabiliti in modo preciso a seconda delle occasioni a cui le varie musiche erano destinate, a seconda degli effetti che dovevano produrre sul pubblico. Rappresentano dunque la tradizione più austera della musica, quella soprattutto pensata, sostenuta da Platone. Da quest’ultimo, molti filosofi del tempo espressero un giudizio sulla musica, considerandola necessaria o superflua a seconda del proprio pensiero. Aristotele ad esempio, aveva un giudizio più flessibile dei suoi predecessori: considerava la musica un qualcosa che si oppone al lavoro, dunque ha come fine il piacere. Il filosofo sosteneva l’ascolto della musica e la posizione critica nei confronti della stessa, ma affermava che la musica doveva essere attività manuale solo in momenti preparatori per poi smettere una volta acquisite le adeguate conoscenze, dedicandosi all’ascolto, attività degna di un uomo libero, e non al comune lavoro manuale. 5. MUSICA E MUSICISTI NELLA GRECIA ANTICA La musica in antichità era inscindibile dalla poesia (lirica deriva da lyra, strumento musicale greco per eccellenza). Uno dei centri più influenti della musica e della poesia in epoca greca era Lesbo, patria di due famosi poeti-musicisti: • Terpandro, a cui è stato attribuito erroneamente il merito di aver portato le corde della lira da 4 a 7; • Arione, a cui viene attribuita l’invenzione del canto corale accompagnato dall’aulos. Tra il 7° e il 6° sec. risale la tradizione dei nomoi. Nel 6° secolo vi fu una fase di trasformazione, che ebbe come protagonista Timoteo di Mileto, che pare abbia elevato il numero di corde della lira a 11, offrendo al musicista la possibilità di usare più armonia nello stesso canto e rompere così il legame con la poesia. In questo periodo il genere più popolare era la tragedia, con il suo grande rappresentante Euripide. Anche della musica dei romani è rimasto poco o nulla; essa subì dapprima influenze etrusche, poi egiziane ed orientali. Assorbì pienamente la cultura greca ma a differenza della musica greca, raffinata ed eseguita con pochi strumenti, quella romana era più vivace e prevedeva la presenza di più strumenti. Importante era la sua funzione socializzante, perciò oltre alle manifestazioni teatrali, anche cerimonie e banchetti erano accompagnati da musica. 6. NOTAZIONE E TEORIA MUSICALE NELL’ANTICA GRECIA Oltre a testimonianze figurative, alcuni documenti con simboli musicali risalgono all’età posteriore a quella classica, dove prevaleva la tradizione orale. I principali argomenti trattati dai teorici che permettono di ricostruire certi aspetti della musica greca, riguardano ritmo, intonazione, intervalli e scale. Il ritmo coincideva il più delle volte con la metrica testuale (vista la connessione tra musica e poesia). L’aspetto acustico risale a Pitagora e alla sua costruzione della scala musicale, la cui base era il tetracordo, terminologia legata alla lira (4 corde). Le note cardini del tetracordo erano le due terminali che rimanevano fisse, mentre le centrali potevano variare l’ampiezza tra loro per consentire l’esecuzione di tipi di musica differenti. I tetracordi si distinguevano in: diatonico, cromatico ed enarmonico, differenziati a seconda degli intervalli tra le corde.

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L'unione di due tetracordi formava un modo che poteva essere: dorico, frigio, lidio (differenze di accordi) Da un sistema di disgiunzione e congiunzione dei tetracordi, il teorico musicale Aristosseno classificò note, intervalli e scale. L’insieme ordinato di intervalli musicali derivato da una corrispondente scala musicale variando semplicemente la nota iniziale è detto modo (utilizzo di scale differenti per variare la sonorità). I modi divennero otto: dorico, ipodorico, frigio, ipofrigio, lidio, ipolidio, misolidio, ipomisolidio (gravi, acuti, e con differenti intervalli).

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2. LA MONODIA ECCLESIASTICA NEL PRIMO MILLENNIO DELL’EPOCA CRISTIANA: 1. LA NASCITA DELLA NUOVA TRADIZIONE CRISTIANA Con l’avvento del cristianesimo, gli appartenenti alla religione vollero impedire una rottura con la tradizione greca, sebbene questa fosse stata ideata da atei; intendevano rappresentare una continuazione con la cultura classica ed ellenistica. Ma così non fu, in quanto i cristiani non avevano modelli liturgici a cui far riferimento, eccetto i riti sinagogali di lettura biblica degli ebrei, adattati e modificati a seconda delle esigenze cristiane. Oggi vi è scarsa documentazione sui primi canti liturgici, in quanto questi venivano forse trasmessi oralmente. I primi documenti scritti risalgono solo al 9° secolo d.C., e da questi è possibile capire che il modello ebraico ha senza dubbio influenzato i primi canti cristiani: canto a cappella, recitazione con intonazioni acute o gravi, con lievi variazioni. I canti religiosi, prima in aramaico e in ebraico, successivamente in greco e latino, cominciarono ad ampliarsi fino ad avere un ampio repertorio, molto differenziato a partire dalla spaccatura politica dell’Impero d’oriente ed occidente (morte di Teodosio 395) soprattutto per un fatto di lingua (greco in oriente, latino in occidente). Inoltre si può supporre che la condizione di clandestinità in cui la religione cristiana era praticata favorisse il sorgere di molte varianti del rito e quindi dell’accompagnamento musicale di riferimento. Dal 70, le persecuzioni dei cristiani (diaspora) volute dagli imperatori romani fino a Diocleziano, ritardarono l’espansione del cristianesimo in Occidente; solo nel 313 con l’Editto di Costantino, che riconobbe ufficialmente il cristianesimo, e dopo che l'imperatore Teodosio ebbe vietato i culti pagani ed imposto la religione Cristiana come unica religione dell'impero, il cristianesimo poté espandersi a Roma, e il latino fu riconosciuto quale lingua della liturgia in Occidente. A partire dal 5° secolo, il cristianesimo iniziò a darsi una struttura che imponeva l’unificazione della liturgia e, quindi, anche della musica che ne faceva parte integrante. Pare che la forma iniziale della musica liturgica fosse monodica affidata ad un solista avente una sola linea melodica, o più voci che eseguono una sola linea melodica. 2. IL CANTO GREGORIANO Il canto monodico gregoriano è quello che si impose sulle altre tradizioni locali. Agli inizi del 6° secolo, esistevano in Occidente diverse aree liturgiche europee, ognuna con un proprio rito consolidato (tra i principali, ricordiamo il rito vetero-romano, il rito ambrosiano a Milano, il rito celtico nelle isole britanniche, il rito gallicano in Francia; differenziazione di canti dovuta principalmente alla diaspora, che causò la dispersione dei cristiani). La tradizione vuole che alla fine di questo secolo, sotto il papato di Gregorio Magno (590-604) si sia avuta la spinta decisiva all'unificazione dei riti e della musica ad essi soggiacente. In realtà pare che l’unificazione avvenisse quasi due secoli più tardi, ad opera di Carlo Magno e sotto l’impulso dell’unificazione politica che portò alla nascita del Sacro Romano Impero. L’attribuzione a Gregorio Magno sarebbe stata introdotta per superare le resistenze al cambiamento dei diversi ambienti ecclesiastici, costretti a rinunciare alle proprie tradizioni. Inoltre, il biografo di Gregorio, Giovanni Diacono, attribuì al

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pontefice (forse erroneamente) la creazione dell’Antifonario, che raccoglieva i canti per le messe, e l’istituzione della schola cantorum cantori che eseguivano e tramandavano il repertorio. Il prodotto dell’unificazione di due dei riti principali, quello vetero-romano e quello gallicano, fu codificato nell’Antifonario gregoriano, che conteneva tutti i canti ammessi nella liturgia unificata. Il canto gregoriano è un canto liturgico monodico, generalmente in latino, interpretato da un solista chiamato cantore, ma anche da un coro, purché ogni voce che lo esegua canti all’unisono.Deve essere cantato a cappella, poiché ogni armonizzazione, anche se discreta, altera la struttura di questa musica. La nota sulla quale viene cantato il salmo del gregoriano è il tenor. I primi canti gregoriani erano tramandati oralmente. Al periodo di Carlo Magno (fine 8° sec. – inizio 9° sec.) iniziò a diffondersi la scrittura musicale; inizialmente per motivi archivistici, perché non si perdesse la memoria di certi canti, e per aiutare i cantori ad eseguire le musiche sempre nello stesso modo. Quest’esigenza fece nascere segni particolari (i neumi, nati dai gesti del direttore del coro) che, annotati tra le righe dei canti, rappresentavano l’andamento della melodia ma lasciando liberi intonazione e ritmo.La scrittura neumatica divenne così la prima notazione, da cui deriva la parola nota. Contemporaneamente ai canti gregoriani comparvero libri liturgici detti tonari classificano il brano del repertorio sacro secondo la loro appartenenza ad uno degli otto toni ecclesiastici, ispirati ai modi della tradizione greca, per facilizzare l’apprendimento melodico ai cantori. Famoso per il suo metodo di “conservazione” della melodia fu Guido d’Arezzo, che ideò il suo metodo pedagogico utilizzando l’Inno a San Giovanni, dove le sillabe iniziali rappresentano non solo il nome delle note odierne, ma la loro intonazione relativa (Ut Re Mi Fa Sol La Si). Il cantore poteva quindi intonare a prima vista un canto mai udito prima, sostituendo il testo con queste sillabe. Il canto gregoriano è il risultato di una continua trasformazione di forme e stili di canto sviluppatisi all’interno dei due ambiti celebrativi della liturgia romana: 1. L’Officio quotidiano la celebrazione si svolge a determinate ore del giorno, dette canoniche: Mattutino (prima dell'alba), Laudi (alba), Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro (tramonto), Compieta (dopo il tramonto). Caratteristico genere di canto era la salmodia, che può essere: - antifonale canto di un salmo a cori alterni (da antifona ritornello di un salmo) - responsoriale canto del coro in ripetizione a quello solista - allelujatica dopo ogni versetto eseguito dal solista l'assemblea cantava alleluia. Altro genere della celebrazione dell’Officio sono gli inni composizioni che hanno il testo in versi; sono composti da più strofe e sono intonate su facili melodie. La melodia della prima strofa viene poi ripetuta per tutte le altre strofe. 2. La Messa inizialmente era divisa in due parti: catecumene funzione dottrinale e preparatoria alla comunione, lettura della Bibbia sacrificale momento di offerte, di voti e di comunione. Durante la messa si celebravano delle liturgie insieme dei riti e delle cerimonie del culto cristiano nelle forme ufficiali stabilite dalla Chiesa, legate allo svolgimento delle festività disposte dal calendario dell'anno liturgico i cui momenti centrali sono la nascita di Cristo (Natale) e la sua morte e resurrezione (Pasqua). L’anno liturgico inizia con l’avvento (quattro domeniche prima di Natale) e prosegue con il Natale e l’Epifania, la Quaresiama, la Pasqua, la Pentecoste e la Trinità.

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I canti si raggruppavano in: - Proprium Missae testi variabili a seconda del calendario liturgico. Ricordiamo: litania, Gloria, Inno, Credo, Agnus Dei. - Ordinarium Missae avevano un testo fisso e venivano cantati sempre. Ricordiamo: Introito, Graduale, Alleluja, Offertorio, Communio. 3. EVOLUZIONE E RINNOVAMENTO DEL CANTO LITURGICO TRA LA FINE DEL PRIMO E L’INIZIO DEL SECONDO MILLENNIO La riforma gregoriana non impedì che, nel corso degli anni, le melodie monodiche di base fossero arricchite aggiungendo variazionimelodiche ed altre voci al canto solista. Il principio base delle innovazioni fu il tropo aggiunta di testo, musica e melismi (consistono nel cantare una vocale di una sillaba con intonazioni diverse ma senza mai interrompere l’emissione vocale) ad un brano di repertorio liturgico, in particolare l’Introito e l’Alleluja; e diede origine alla sequenza a Notker Balbulus, monaco di San Gallo, è stata attribuita questa invenzione; egli si rese conto che per ricordare le lunghe melodie senza testo proprie degli alleluia gregoriani, sarebbe stato più semplice aggiungere un testo in prosa alla melodia, trasformandola in canto sillabico. Il tropo era legato all’organum raddoppio della voce monodica (vox principalis) con una seconda voce (vox organalis) ad andamento parallelo e a distanza fissa di intervalli. Questo legame è spiegato nel “Tropario” raccolta di tropi di Winchester, da cui emergono anche i primi esempi di dramma liturgico, ricordiamo in particolare: “Visita al sepolcro” conversazione tra le pie donne e gli angeli, che chiedono loro come mai fossero andate al sepolcro di Cristo ormai risorto. Fu scelto questo argomento probabilmente perché il fulcro della Messa era incentrato proprio sulla resurrezione del Signore. In seguito, oltre alla vita di Gesù, i drammi liturgici si basarono anche sulla vita dei santi o su episodi del Nuovo Testamento. Il discostarsi dalla regola dell’andamento parallelo delle voci era destinato a produrre tecniche polifoniche più complesse: • Discanto alle voci è consentito un movimento più libero, che alterna tra il moto parallelo e il moto contrario; rottura degli schemi. • organum melismatico vox principalis esegue la melodia principale, vox organalis esegue melismi. Documenti in merito sono conservati nella chiesa di San Marziale a Limoges. E’ a questo periodo e a queste consuetudini del canto corale religioso che risale l’origine della pratica polifonica, che si sviluppa poi con l’Ars Antiqua. 4. L’EDUCAZIONE MUSICALE E LA RINASCITA CAROLINGIA Il mondo cristiano riprese il concetto greco di educazione musicale. Tuttavia per i cristiani la musica non era un vero e proprio valore e pertanto doveva essere praticata solo per essere utile ad avvicinarsi agli altri valori di fede. Agli inizi del cristianesimo ci furono pareri discordanti sulla musica, considerata come qualcosa di corrotto e lascivo, ma anche di grande importanza ed incombenza nel mondo ecclesiastico. Si cercò pertanto di estrarre dalla vecchia musica pagana il suo lato “demoniaco”, e di elevarla ad una fonte di salvezza e purezza. Un problema che la Chiesa si pose, dato che la musica veniva ancora tramandata oralmente, era quello che essa non perdesse i suoi valori per cadere nel paganesimo.

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Per garantire una corretta esecuzione dei canti liturgici (soprattutto durante la rinascita carolingia ripresa delle attività culturali con l’impero di Carlo Magno) venivano chiamati esperti cantori affinché istituissero nella religione un’adeguata istruzione musicale. I testi degli ecclesiastici, degli scrittori, dei filosofi in quell’età, in merito alla musica, si basavano perlopiù sulla didattica, sul valore educativo della stessa. Con il perfezionarsi della musica e l’inserimento di nuove forme, nuove strutture e canti più complessi, il bisogno di annotare il tutto per assicurare una corretta esecuzione e conservazione si fece sempre più forte; tanto da richiedere cantori professionali e specializzati.

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3. MONODIA E POLIFONIA SACRA E PROFANA NELL’ETA’ FEUDALE E NELL’ETA’ COMUNALE: 1. DIFFUSIONE DELLA TRADIZIONE PROFANA E SVILUPPI DI QUELLA SACRA Tra il 900 e l’anno Mille (medioevo), con l’instaurazione del feudalesimo, vi furono importanti innovazioni in campo culturale, artistico e dunque anche musicale: gli ideali di cavalleria, le trasposizioni simboliche degli ideali della vita sociale, i castelli sedi delle nuove attività, gettarono le basi della cultura laica. Dal compromesso tra cultura religiosa (gregoriano, latino) e laica (amor cortese, lingue romanze), nacquero le prime tradizioni poetico-musicali profane: • tradizione monodica dei trovatori detta anche trovadorica, origine a Provenza, lingua d’oc; • tradizione dei trovieri nord della Francia, lingua d’oil; • tradizione dei Minnesanger Germania Tutti frequentatori delle corti, cantavano l’amor cortese (origini Provenza). I modelli politici e culturali laici presero il sopravvento su quelli monastici, e le pratiche liturgiche si spostarono dai monasteri alle cattedrali. Non a caso a Parigi, nella seconda metà del 1100, quando fu edificata Notre Dame, nacque la prima scuola polifonica sacra dell’Ars Antiqua (fino al 1320). La musica iniziò nuovamente ad accostarsi al profano, si parlava del senso estetico, della nuova concezione della musica come forma scritta e razionalizzata. Dal nuovo modo di concepire le forme artistiche, la musica e la cultura, nacque l’Ars Nova, così chiamata in contrapposiz...


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