\"Blaming culture for bad behaviour\" Leti Volpp riassunto PDF

Title \"Blaming culture for bad behaviour\" Leti Volpp riassunto
Course COMUNICAZIONE INTERCULTURALE
Institution Università degli Studi di Torino
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Summary

Riassunto in Italiano del saggio di Volpp "Blaming culture for bad behaviour"...


Description

Narrazioni che emergono nei casi di Matrimoni forzati e volontari di adolescenti, suggeriscono che comportamenti che riteniamo problematici sono attribuiti alla cultura di quel gruppo, mentre i comportamenti degli occidentali ci sembrano dovuti a ragioni non culturali. Il risultato è la percezione esagerata di differenze etniche. PRIMA PARTE: Il saggio analizza due gruppi in cui i matrimoni di ragazze adolescenti con uomini più anziani vengono fatti: ragazza bianca e un’immigrata messicana. Quando la ragazza è messicana, il comportamento riflette la “cultura messicana”, quando la stessa cosa succede a una persona bianca, lo vediamo come atto isolato e aberrante, non come qualcosa che riflette la ns cultura => racialized culture= razzializzazione: il processo attraverso cui un gruppo dominante attribuisce caratteristiche razziali, disumanizzanti e inferiorizzanti, a un gruppo dominato, attraverso forme di violenza diretta e/o istituzionale che producono una condizione di sfruttamento ed esclusione materiale e simbolica. Secondo questo schema i bianchi sono attori individuali, le

persone di colore sono membri di gruppi. Perché paragoniamo race alla cultura e incolpiamo la cultura per comportamenti che consideriamo negativi? SECONDA PARTE: paragona due casi di matrimonio forzato e mostra come l’equazione di razza e cultura implichi nazionalismo, genere e sessualità. Importante: il terreno su cui ci muoviamo per capire le differenze razzializzate è spesso quello del trattamento fra i generi. I due casi analizzati mostrano che la coercizione dei parenti sulla scelta matrimoniale della figlia si scontra con i valori Americani quando si tratta di immigrati iracheni ma non quando l’autore è bianco. TERZA PARTE: Conseguenze di incolpare selettivamente la cultura. Porta al malinteso per cui alcune culture di immigrati sono fondamentalmente diverse dalla nostra. Differenze etniche sono spesso viste come differenze morali, per esempio pratiche di subordinazione sessuale di alcuni immigrati sono dipinte come inconciliabili con i valori del femminismo e del multiculturalismo. La presunta esistenza di questo conflitto porta a proposte politiche e teoriche che esasperano le differenze fra “noi” e “loro”.

1. VOLOUNTARY MARRIAGE A. TINA AKERS E WAYNE COMPTON Tina nel 98 ha 13 anni e sposa in Maryland il 29enne Wayne Compton dopo essersi frequentati per qualche mese ed essere incinta (partorisce qualche settimana dopo il matrimonio). Lo stato all’epoca non dava un’età minima legale per sposarsi se c’era il consenso dei genitori. Wayne viene investigato per violenza sessuale e i genitori per abuso su minori e vengono messi dei limiti per vietare unioni del genere. Viene fatta una legge per vietare il matrimonio sotto i 16 anni, ma pensando che potesse aumentare le nascite extramatrimoniali la riducono a 15 se incinta e con il consenso dei genitori. Mai nel caso Askers/Compton si fa riferimento al fatto come un fenomeno culturale: pur essendo entrambi bianchi non veniva considerato come qualcosa che definisse la cultura americana. B. ADELA QUINTANA E PEDRO SOTELO Adela 14 anni, Pedro 22 hanno un figlio in Texas e il caso viene descritto come rivelatorio di differenze culturali. La ragazza nel 96 richiede il welfare con un certificato di nascita falso, viene messa in un ricovero di emergenza per abuso sui minori e Sotelo indagato per violenza sessuale su minore, fuggono e quando vengono presi dalla polizia lei viene data in affido e lui messo in una struttura di massima sicurezza. Le accuse vengono fatte decadere perché la Corte decretò che la coppia avesse un valido “common-law marriage”, un matrimonio valido anche senza cerimonia quando la coppia convive e si descrive formalmente come sposati, all’epoca non c’erano limiti di età per questo tipo di matrimonio in Texas. Qui un bambino di 14 anni non può dare il suo consenso per un rapporto sessuale, ma per la legge un bambino è chi è minore di 17 anni e non è sposato con l’accusato. Essendo sposati per common-law le accuse decadono. L’avvocato difensore dice che il caso è una collisione culturale, visto che in Messico non appena una ragazza entra in

pubertà può avere rapporti, quindi il suo cliente non era uno stupratore ma seguiva le abitudini del suo villaggio rurale in Messico. I media descrivono il caso come un grande fraintendimento culturale. Nina Perales evidenzia che il caso viene risolto per la legge texana e non per la cultura messicana, anche se nel dibattito definì questa cultura. Il Messico ha leggi più severe sull’età minima per sposarsi rispetto al Texas, dove in media 470 ragazze di 14 anni o minori si sposano annualmente. C. NARRATIVE CONTRASTANTI Esaminare come la cultura è concettualizzata e collegata alla razza spiega questa differenza di narrazioni. A volte assumiamo che la cultura sia statica e fissa anziché qualcosa di continuamente modificata dalle relazioni tra attori sociali. Specialmente per le comunità di persone di colore, la cultura è trasformata in ciò che Paul Gilroy definisce come una “pseudo proprietà biologica della vita comune”, quindi una entità monolitica e fissa che direziona le scelte e le azioni dei membri della comunità. Diventa qualcosa immutabile trasmesso da una generazione alla successiva. La cultura egemonica, della norma, è sperimentata come invisibile e caratterizzata da fluidità e complessità. Ciò influenza la nostra visione di atti individuali: un’azione personale nelle comunità di colore è vista come prodotto di un’identità di gruppo ed è usata per definirlo. Non succede per i bianchi finché non si appartiene a una classe sociale bassa, tipo la classe operaia. Tina e suo marito non erano descritti neanche in questo senso ma erano parte del “noi” e infatti la loro scelta veniva vista come qualcosa di individuale, dovuta al loro essere disfunzionali, perverse o irresponsabili, non all’identità del gruppo di appartenenza. Comportamenti considerati negativi vengono relegati alla cultura solo se questa è diversa da quella egemonica. Il fatto che le persone di colore agiscano non per propria scelta ma per dettami culturali, non solo li deumanizza, ma depoliticizza anche: porta a trascurare il potere delle forze non culturali nel modellare la realtà. Si attribuisce la responsabilità di situazioni problematiche alla cultura anziché alle politiche governative e alle disuguaglianze che ne derivano. L’idea che i non bianchi siano più facilmente determinati culturalmente arriva dai discorsi colonialisti e imperialisti che giustificavano la sottomissione di popoli in quanto le loro tradizioni si scontravano con la nostra modernità. Si associava tradizione-colonizzati-rituali antichi-barbarie e dall’altra parte invece modernità-democrazia-progresso occidentale. La cultura non regolava le vite degli illuminati pensatori occidentali, ma lo faceva nei colonizzati. Per questo si dimentica che la nostra vita è impregnata dalla cultura e da scelte arbitrarie, ma si associa immediatamente a comportamenti non accettabili quando a farli sono persone che arrivano da contesti differenti. Ci si scorda anche della sua fluidità: siamo agenti sociali che definiscono la propria cultura ed identità, non marionette che agiscono secondo la cultura. Considerare alcuni gruppi come esterni al nostro organismo sociale è una forma di violenza epistemica (=agisce implicitamente, attraverso le vie della comunicazione e della conoscenza. Si parla dell’altro come di qualcosa di esotico, primitivo e da analizzare antropologicamente), che è spesso accompagnata da violenza istituzionale. Il caso Quintana/Sotelo vede entrabe le forme: il loro stato di immigrati irregolari li differenzia da chi appartiene alla nostra cultura + nonostante loro figlio fosse nato cieco un giudice di immigrazione ha stabilito che dovesse lasciare gli USA perché non aveva avuto residenza continua per 7 anni.

2. MATRIMONIO FORZATO A. IL CASO KINGSTON 1998 16enne in Utah è costretta dal padre a sposare suo zio di 32enne come quindicesima moglie. Lo zio viene accusato per incesto e aggressione sessuale su minore e riceve 10 anni di carcere, il padre si dichiara colpevole di abuso su minore perché l’ha fatta svenire colpendola quando ha cercato di scappare. All’epoca per la legge in Utah un minorenne poteva sposarsi se con il consenso dei genitori, era vietato solo ai minori di 14, nel 99 si alza l’età a 16. Fino al 99 si riportano 800 ragazze 14/18 che si sposavano ogni anno. La

poligamia non era condannata perché avrebbe potuto ledere la libertà di religione. Mentre alcune donne che erano uscite da relazioni poligame denunciavano la pratica come abusiva nei confronti delle donne e bambini, altre sostenevano che canalizzasse la sessualità degli uomini appropriatamente. Dalla chiamata alla polizia della ragazza, iniziano a venire fuori problematiche inerenti: mogli in matrimoni poligamici che frodavano lo stato dichiarandosi madri single, incesti e abusi sui minori, matrimoni obbligatori di adolescenti. I media dipingono i poligami come una comunità di persone senza certificati di nascita, patenti, che non pagano le tasse né votano ecc. Inizia un discorso di condanna dei gruppi scissionisti Mormoni. Storicamente i mormoni hanno avuto campagne contro la poligamia per moralità nazionale, ma non sono mai stati accusati di non essersi assimilati nella cultura americana o nessuno ha mai incolpato una collisione multiculturale per questi comportamenti. B. IL CASO AL-SAIDY Padre immigrato dall’Iraq costringe le due figlie di 13 e 14 anni a sposarsi con un 28enne e un 34enne in Nebraska, il caso viene definito come l’illustrazione dei limiti del multiculturalismo. Pensando che le figlie fossero sessualmente attive il padre organizza i matrimoni con altri rifugiati iracheni, la figlia maggiore scappa a casa di un amico quindi il padre e il marito la vanno a cercare a scuola e la polizia interviene. Le figlie vengono date in affido, i genitori arrestati per abuso su minori, i mariti arrestati per abuso sessuale su minori. Gli avvocati difensori dicono che è persecuzione religiosa perché si erano sposati regolarmente per la loro religione, considerando il caso come scontro tra i loro costumi culturali e la legge statunitense. Un portavoce di Lincoln Islamic Foundation spiega che anche se la legge islamica non dà un minimo come età per sposarsi, tipicamente si assume 17/18 come minimo e che matrimoni di adolescenti non sono comuni, anche se un tempo lo erano in aree rurali. Nonostante tutto, il caso è stato usato per definire la cultura irachena ed è nato un dibattito perché se non si fossero condannati questi valori primitivi e arretrati sarebbe stata la fine dei valori americani. Con questa prospettiva i “nuovi arrivati” portano valori arretrati e spaventosi per la cultura occidentale che è portatrice di opportunità e libertà. C. NAZIONE, GENERE E SESSUALITÀ Perché i matrimoni precoci tra immigranti non bianchi sono visti come spaventosi per la cultura occidentale e non lo sono quelli dei bianchi? Nei casi visti, i Mormoni non sono stati condannati di barbarie. Mentre entrambi i casi mettevano in mezzo la libertà di religione, solo la cultura irachena è stata vista con comportamenti indesiderabili di una cultura razzializzata (=political process of ascribing racial identities to a relationship, social practice or group). Il contrasto tra queste pratiche primitive degli immigranti e la cultura occidentale “moderna” è ironico visto che nella tradizione occidentale il matrimonio di bambini e la sessualità precoce esiste: in UK l’età minima per il consenso è di 10 anni, come lo era nella maggioranza degli stati nel 1885; prima era di 7 anni. Nonostante ciò molti commentatori/interpreti credono che casi come questi, o come quelli dei suicidi genitori-figli di immigranti asiatici, MGF, uxoricidio ecc siano l’effetto del multiculturalismo finito male che sopraffanno le conquiste del femminismo: questo e il multiculturalismo non possono coesistere e il femminismo deve vincere fra i due, secondo loro. Questo è aumentato anche dagli avvocati che per difendere i loro assistiti utilizzano la “scusante” della cultura Perché c’è la supposizione che le comunità di immigrati portino alla società occidentale una cultura deviante e fondamentalmente diversa dalla nostra? Le strategie degli avvocati rinforzano solo delle idee preesistenti per cui azioni misogine sono tipiche e uniche di certe culture. Alla base di queste idee c’è la relazione fra nazionalismo, genere, sessualità e race. Le identità nazionali spesso ruotano attorno ai corpi femminili. Il fatto di associare l’etnia alle pratiche subordinanti riguardo al sesso, porta a comportamenti problematici che vengono proiettati oltre alle frontiere di una nazione e associati ai corpi di migranti. L’interazione di questi fattori deve essere analizzata: il controllo delle donne e della loro sessualità è necessario per mantenere e riprodurre l’identità delle comunità e delle nazioni. L’immagine delle nazioni è costruita con termini e metafore riguardanti la famiglia e l’ambiente domestico. Così le donne sono le madri della nazione

e guardiane della sua purezza e onore, che restano tali se le donne hanno solo relazioni sessuali eteronormative e nei confini di ciò che lo Stato reputa lecito. La nazione dipende anche sulla famiglia vista come unità in cui la stabilità dei ruoli di genere sono preservati. La sessualità adolescente prematrimoniale crea ansia, quindi lo Stato la incanala verso vie più appropriate, come il matrimonio precoce. Per questo troviamo leggi per cui il matrimonio può essere fatto dai 13 anni se c’è approvazione dei genitori e prova della gravidanza e c’è riluttanza verso l’alzare l’età minima per il consenso. Qual è il ruolo della razza in questo processo? Le ideologie nazionaliste spesso si interessano della purezza della razza e soggiogano le donne al controllo riproduttivo e ad altre forme di controllo. Nei casi di matrimonio adolescente forzato o volontario qui analizzate, il controllo sulla sessualità delle ragazze da parte della comunità rompe un tessuto nazionale che dovrebbe essere bianco e progressista. I corpi delle donne fungono da marcatori limite della nazione nel contesto di tracciare il progresso sociale, ovvero le loro azioni sono i marcatori principali dell’identità comune e delle tradizioni. Come risultato, la percezione dei trattamenti verso le donne come soggioganti veniva usata come scusa per giustificare le missioni di civilizzazioni dei colonizzatori, riducendo l’agency delle donne colonizzate a nulla e sminuendo il sessismo dei paesi colonizzatori dell’epoca.

3. FEMMINISMO E MULTICULTURALISMO Avvocati e studiosi hanno cercato di problematizzare la convergenza fra comunità immigranti razializzate e pratiche di subordinazione dei sessi (es MGF). Hanno riconosciuto che la cultura non è né statica né omogenea, ogni cultura è caratterizzata sia dal patriarcato che dalla resistenza ad esso e le donne non sono passive ma hanno anche loro agency. Ma questi tentativi di creare una comprensione composita delle culture sono passati in sordina. Susan Moller Okin scrive un saggio “Il multiculturalismo è dannoso per le donne?” La sua risposta affermativa si basa sulla sua idea per cui ci sono delle contraddizioni insite nel confronto fra il rispetto delle minoranze culturali e le lotte per la parità dei generi. Esempi: the AlSaidy case, French schoolchildren wearing headscarves, African immigrant polygamous marriages, female clitoridectomy in immigrant communities, Hmong marriage by capture, parent-child suicide by Japanese and Chinese immigrants, and "wife murder by immigrants from Asian and Middle Eastern countries whose wives have either committed adultery or treated their husbands in a servile way. Secondo lei questi esempi mostrano differenze etniche che rappresentano differenze morali. Secondo lei dovremmo preferire valori universalistici che rispettino le donne piuttosto che soccombere all’inclinazione relativista e multiculturalista per giudicare le differenze. Quest’idea dà anche una visione problematica del femminismo, oltre a caricaturizzare le culture altrui, perché riprende i discorsi coloniali per cui le donne native sarebbero state passive in una subordinazione maschile insita nella loro cultura. Il femminismo coloniale emerse per giustificare il colonialismo come mezzo per risollevare le donne sofferenti dell’Est portando la civilizzazione = legge, educazione e cristianesimo. Quindi le donne immigrate dovevano essere liberate grazie si costumi morali progressisti dell’occidente. Critici hanno osservato il modo in cui le femministe descrivono le “altre” donne come vittime che aspettano passivamente di essere salvate dalle norme culturali. Questi discorsi danno un’immagine distorta del femminismo e riduce il multiculturalismo a una semplice relativizzazione culturale che ci renderebbe impossibilitati a criticare qualsiasi comportamento e ci porterebbe ad accettare ogni uso culturale bizzarro in opposizione ai valori occidentali. Questa visione del multiculturalismo si basa su assunti sbagliati: 1. Inventa una tradizione occidentale omogenea di valori trascendentali (narrazione sbagliata che si basa su distorsione e marginalizzazione di elementi storici). 2. Confonde il multiculturalismo con la difesa del relativismo culturale, ma valorizzare le differenze non significa perdere la capacita di giudizio. Accostare le diverse narrazioni di fatti uguali mostra come vengano usate diverse lenti interpretative a seconda dell’identità delle persone di cui si parla: la nostra società presume che gli immigranti siano vittime

passive delle loro tradizioni diversamente dagli attori sociali razionali del liberalismo occidentale. Colpevolizzare selettivamente la cultura porta a ignorare le dinamiche di potere presenti nelle società. Es. pratiche rituali per bambini di 7 anni devono ingoiare il seme di uomini per diventare adulti. Questa pratica viene vista come sintomo di una cultura disgustosa da alcuni, come manifestazione omoerotica da altri. In ogni caso, il fatto di ridurre all’aspetto sessuale questa pratica non pone l’accento su altre pratiche del rituale (farsi sanguinare il naso e ingoiare canne per vomitare) che fanno ragionare su questioni di potere: la donna è vista come impura e bisogna depurarsi dai liquidi che la madre dà in eredità con la nascita. Etichettare queste pratiche come sessuali o culturali non pone il problema dell’indottrinamento della misoginia. Quando parliamo in questi termini delle altre culture è facile dimenticare che anche nella nostra ci sono dei comportamenti problematici di sottomissione di un sesso all’altro, es caso del matrimonio di adolescenti. Se anche pensiamo che il sessismo non faccia parte della nostra cultura, non dobbiamo dimenticarci dell’alto tasso di violenza contro le donne, violenza domestica ecc + bisogna pensare che anche quelli che noi descriviamo come appartenenti a una cultura retrograda non pensano di esserlo. Conclusione: non sta condannando un discorso problematico sulle rappresentazioni delle culture, ma vuole arrivare ad un approccio per cui si combatta la subordinazione dei generi nelle varie comunità che non attacchi le culture altrui né osanni quella occidentale....


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