Breve storia della Russia. Dalle origini a Putin - Riassunto da capitolo XII a XVII PDF

Title Breve storia della Russia. Dalle origini a Putin - Riassunto da capitolo XII a XVII
Author Atena Conte
Course Storia Della Russia
Institution Università Ca' Foscari Venezia
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Riassunto capitolo da XII a XVII...


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STORIA DELLA RUSSIA Breve storia della Russia - Bushkovich Prof. Petrungaro

Capitolo XII - Dal servaggio al primo capitalismo 1. Gli ultimi decenni del XIX secolo Gli anni ’90 del XIX secolo conobbero un boom economico che trasformò profondamente l’industria Russia, se non l’intero paese. Il Donbass divenne a pieno titolo una delle regioni cardine per il carbone e l’acciaio, mentre a Pietroburgo sorsero impianti sempre più adatti alle esigenze di una economia moderna. Il boom degli anni 90 fu il prodotto del ciclo economico, non della politica del governo, anche se il ministero delle finanze diretto dal conte Witte offrì senza dubbio un prezioso contributo. Witte era una delle figure del governo di maggiore prestigio, più lungimirante rispetto ai suoi colleghi e dotato fino all’eccesso di energie inesauribili. Avendo ereditato dal suo predecessore la nuova tariffa protezionistica, l’applicò rigorosamente per la soddisfazione degli uomini d’affari russi. Durante la sua permanenza in carica, il governo rilevò la maggior parte delle ferrovie private e in effetti, il più grande successo del ministro fu la costruzione da parte dello stato della Transiberiana già iniziata nel 1891. Nel 1900 la Russia conobbe dopo il boom industriale il suo primo grande periodo di recessione causata principalmente dal crollo del mercato azionario e da una grave crisi finanziaria. Naturalmente, la Rivoluzione del 1905 ebbe conseguenze devastanti nel mondo della produzione come in quello della politica, ma quando il governo ristabilì la propria autonomia, nel 1907, la prosperità economica ritornò rapidamente poiché la recessione era finita. Gli anni immediatamente precedenti lo scoppio della prima guerra mondiale furono caratterizzati da un rinnovato benessere e da un’ulteriore modernizzazione della vita urbana. A rendere la Russia un paese arretrato rispetto agli standard europei, se non addirittura all’Asia erano i villaggi pressoché immutabili e comunque scarsamente toccati dalla modernizzazione. Dopo il 1907 il primo ministro Stolypin propose con determinazione il suo famoso progetto di formare delle imprese agricole indipendenti sul modello di quelle europee senza vincoli con le comunità di villaggio. Un cambiamento più promettente nella vita rurale ci fu con la migrazione di contadini in siberia e nelle steppe del Kazachstan, in Asia Centrale, dove sorsero aziende agricole indipendenti e senza conflitti con preesistenti comunità di villaggio. Anche la regione degli urali stava vivendo una rapida crescita cominciando ad affrancarsi dall’eredità dell’industria metallurgica. Nessuno di questi cambiamenti regionali, tuttavia, ebbe una portata sufficiente per cambiare il modello generale della società russa: un mare di terre agricole arretrate costellato qua e là da isole più o meno grandi in cui si andavano sviluppando un’industria e una società al passo con i tempi. Dai cambiamenti economici su larga scala avvenuti nei decenni tra il 1861 e il 1914 derivano effetti inattesi o per lo meno non pianificati di ogni genere. Il governo non aveva rinunciato al vecchio sistema di classificazione sociale, anche se i mutamenti avvenuti nella società rendevano tali distinzioni sempre meno rilevanti. L’intelligencija aveva rappresentanti di quasi ogni gruppo sociale benché fossero prevalenti i cittadini e i nobili. Lo sviluppo economico rimescolò altresì la composizione nazionale dell’Impero: ai molti gruppi etnici di San Pietroburgo, si

aggiunse una folta comunità ebraica di 35000 persone (secondo un dato ufficiale del 1910), la più grande comunità al di fuori della “zona di residenza stanziale ebraica”. In ultima analisi, il risultato sociale più rilevante della crescente industrializzazione della Russia fu la comparsa della classe operaia. Al momento della liberazione dei servi vi erano poco meno di un milione di minatori e operai ma nel 1913 il loro numero aveva sperato di poco i tre milioni. In un paese la cui popolazione si aggirava sui 180 milioni di abitanti, questi proletari erano una piccola minoranza, ma occupavano una posizione strategica: essi lavoravano infatti in industrie che impiegavano attrezzature sempre più moderne, e l’élite della classe operaia rivestiva mansioni di notevole complessità tecnica. La vita urbana era di per se un mondo tutto nuovo per i giovani immigrati arrivati dalle campagne in gran parte uomini e costretti a vivere per anni senza la famiglia e a dormire in baracche messe a disposizione dai proprietari delle fabbriche. I lavoratori sposati e alcuni uomini singoli che volevano trovare una sistemazione fuori dell’agglomerato di baracche affittavano degli angoli di scantinati separati da semplici teloni. I servizi igienico-sanitari ridotti al minimo e l’affollamento nei quartieri più poveri di Pietroburgo, rese la città la capitale europea della tubercolosi. Se il lavoro in città aveva staccato i contadini inurbati dalla secolare routine del villaggio, creò ben presto un altro tipo di esistenza meccanica: una giornata lavorativa di 10 o 12 ore rappresentava la norma, con solo la domenica come giorno di riposo e i salari erano bassi. Le condizioni di lavoro non erano probabilmente molto peggiori rispetto a quelle occidentali ma non bisogna dimenticare che i sindacati e gli scioperi erano vietati, il che impediva di potere anche i miglioramenti più elementari. Durante il suo esilio in Occidente, Plechanov aveva avuto modo di osservare la crescente forza del socialismo marxista in Germania e ne era rimasto profondamente colpito. Armato di questa nuova visione del mondo, respinse l’intera eredità di Černyševskij e dell’ideologia populista, secondo cui il capitalismo industriale in Russia non era che uno sviluppo artificioso, mero risultato della politica economica dell’autocrazia. Secondo i populisti una volta abbattuto il potere autocratico i capitalismo sarebbe scomparso e i contadini avrebbero edificato il socialismo sulla base delle comunità di villaggio. Come marxista Plechanov era invece convinto che la crescita del capitalismo in Russia fosse inevitabile. Per il momento tuttavia Plechanov e la sua piccola banda di esuli rimanevano in Svizzera a tradurre Marx in russo e a contrabbandare il materiale oltre il confine con la Russia. Fu il boom industriale degli anni 90 a fornire ai marxisti la loro occasione: da allora la loro influenza e la loro forza presero a crescere di anno in anno. Piccoli gruppi marxisti apparvero nelle grandi città guidato da giovani uomini e donne proveniente dall’intelligencija, come Lenin. Nel 1898 riuscirono a fondare a Minsk una vera organizzazione politica: il partito dei lavoratori social-democratici russi. Accanto ai marxisti ripresa vita la tendenza populista del movimento rivoluzionario russo, da cui nacque una serie di piccoli gruppi sempre dediti teoricamente a una rivoluzione contadina ma impegnati, in pratica, a fare propaganda tra operai. Buona parte della loro attività deviò verso il terrorismo (che i marxisti rifiutarono) ma alla fine anche i populisti furono in grado di fondare nel 1901-2 una loro formazione politica: il Partito dei socialisti rivoluzionari. Capriolo XIII - L’età aurea della cultura russa 1. La scienza nell’epoca delle riforme Dopo la guerra di Crimea, il governo si era reso conto che il livello scientifico del paese doveva essere innalzato, per cui il ministero della pubblica istruzione stabilì

l’ampliamento dei dipartimenti di scienze delle università come parte di una riqualificazione generale dell’istruzione superiore. Una moderna scuola di ingegneria era fondamentale per i piani di industrializzazione, ma il nuovo piano di studi ebbe un risultato inatteso e di portata mondale. Il giovane Dmitrij Mendeleev scoprì mentre preparava le lezioni che i libri di testo esistenti erano oltremodo insoddisfacenti. Si accinse quindi a scriverne uno lui stesso e, riflettendo sul modo migliore per spiegare le relazioni tra i vari elementi chimici esistenti in natura, si rese conto che essi rispondevano ad un determinato modello. L’idea di una periodicità non era del tutto nuova, ma mentre Mendeleev seppe andare oltre, individuando alcuni vuoti all’interno del modello e predicendo nel 1869 che in futuro si sarebbero scoperti nuovi elementi che avrebbero colmato quei vuoti. La sua fama fu poi immortalata per sempre dalla tavola periodica degli elementi. In quegli anni la scienza russa dimostrò finalmente le sue grandi capacità, grazie anche al fatto che decine di luminari meno famosi conquistarono una solida posizione, seppure più modesta, in numerosi campi di specializzazione, vecchi e nuovi dalla chimica alla fisica alla biologia. L’altro motivo che determinò il progresso scientifico era legato alla straordinaria popolarità della scienza tra l’intelligencija dell’era delle riforme. Alle persone istruite infatti, le scienze naturali apparivano come un modello di razionalità nonché espressione del pensiero progressista. Darwin godeva in Russia di notevole popolarità, anche se il cosiddetto “darwinismo sociale” non vi prese mai piede. Parte della popolarità di Darwin fu favorita dalla mancanza di interesse da parte della Chiesa a discutere i dettagli della biologia o del racconto biblico della creazione. La Chiesa Ortodossa evitava tuttavia di entrare direttamente in polemica con gli scienziati. In Russia, le opere di Darwin furono subito approvate dal ministero della Pubblica istruzione, prima ancora che fosse disponibile la traduzione in russo. L’atmosfera dell’epoca di fatto venne a combinarsi con la politica del governo per aumentare rapidamente il livello dell’attività scientifica del paese. Capitolo XIV - La Russia come impero Con le guerre combattute nel corso dei secoli l’Impero russo aveva posto le basi per un’espansione che comprendeva l’intera Eurasia settentrionale. La maggior parte dell’Impero si estendeva in Siberia. Le regioni acquisite da poco nell’Asia centrale erano scarsamente abitate e tutt’altro che ricchi. Dopo il 1828, lo sforzo principale era stato quello di sottomettere le popolazione montane del Caucaso, di fatto già all’interno della Russia, anziché conquistare nuovi territori. Quanto all’Asia centrale, l’esercito si era limitato sostanzialmente a rafforzare la frontiera e il controllo sulle steppe del Kazachstan. La nuova situazione venutasi a creare dopo la guerra di Crimea aprì altre possibilità. Il trattato di Parigi aveva posto fine non solo alla guerra ma anche alle speranze russe di esercitare qualche influenza sugli ottomani. Negli anni sessanta, le apprensioni europee per la Germania e l’Italia e la politica di non belligeranza assicurarono un periodo di pace, durante il quale la Russia poté attuare gradualmente le proprie riforme e comincia a riorganizzare e rimodernare l’esercito. Ben presto, però, la crisi nei Balcani creò un nuovo e difficile problema. I rivoluzionari serbi e bulgari avevano ripetutamente tentato di insorgere nei territori ottomani, esortando i popoli slavi e ortodossi a sollevarsi contro i dominatori turchi. Nel 1875 i serbi di Bosnia insorsero nuovamente e riuscirono a difendere la loro libertà per diversi mesi prima che i turchi soffocassero la rivolta. La Russia, scorgendo l’occasione di riaffermare la propria potenza e garantirsi un’area di influenza nei Balcani, nel 1877 propose ai turchi la creazione di una regione autonoma nei territori ribelli. I turchi rifiutarono e

il conflitto che ne seguì fu cruento ma relativamente breve. L’esercito russo era ancora in fase di riorganizzazione per di più ostacolato da generali vecchio stile con scarsa fantasia tattica. Si aggiunge allora a un trattato: i turchi acconsentivano a riconoscere la Bulgaria come il principale stato slavo dei Balcani, destinato con ogni probabilità a diventare un protetto dell’Impero russo. L’accordo allarmò Regno Unito e Austria, e il risultato fu il trattato di Berlino, che dava origine a una Bulgaria molto più piccola, governata da un sovrano tedesco. Il trattato, opera di Bismarck, rappresentava di fatto una sorta di sconfitta per la Russia, dopo tutti i sacrifici e l’eroismo dimostrato dai suoi soldati nella guerra contro i turchi. L’impero russo costituiva ora un conglomerato di due entità imperiali molto diverse tra loro, ciascuna delle quali poneva a Pietroburgo i propri problemi. In concomitanza con l’insuccesso nei Balcani, un nuovo impero era sorto in Asia centrale, dove i generali russi avevano sconfitto i khanati locali di Kokand, Buchara e Khiva. Verso gli anni ’80, tutta l’Asia centrale si trovava direttamente o indirettamente sotto il dominio russo. Lungo il confine occidentale, i problemi erano legati principalmente alla nazionalità, non al colonialismo. Per tutto il XIX secolo i polacchi posero al primo posto la questione nazionale e, a partire dalla metà dell’Ottocento, la posero anche gli ebrei: né i polacchi né gli ebrei trovavano una collocazione adatta nella struttura imperiale. I polacchi erano viti dal governo come un elemento ostile mentre per molti funzionari governativi gli ebrei non erano in grado di integrarsi e per di più sfruttavano i contadini locali. La Finlandia, fino agli anni’90 dell’800 fu una regione tranquilla e in gran parte fedele allo zar. Tanto la Polonia quando la Finlandia erano territori importanti soprattutto per ragioni militari. Le economie di entrambi questi territori europei contribuivano alla prosperità globale dell’impero, benché i russi non vi avessero fatto grandi investimenti, né in agricoltura né nell’industria. Fin dal XVIII secolo, la piena integrazione nell’Impero russo dei territori lungo i confini occidentali era dipesa dall’inclusione delle élite locai nella struttura del potere imperiale. 1. I polacchi nell’Impero russo Il Congresso di Vienna aveva avuto come esito che le terre polacche storicamente incorporate nell’Impero russo erano state divise in due zone di carattere e status molto diverse: la Polonia centrale e gli ex territori polacchi a oriente. In entrambe le zone la classe nobile si era rifiutata quasi unanimemente di cooperare con l’amministrazione russa. Con una popolazione prevalentemente polacca, fin all’insurrezione del 1830 il Regno di Polonia aveva mantenuto un proprio governo, un’assemblea legislativa e un esercito sotto l’egida dello zar e del suo viceré a Varsavia. I territori orientali della vecchia Poloni, corrispondenti oggi a Lituania, Bielorussia e Ucraina occidentale, seguirono destini molto diversi. Popolati principalmente da Polacchi appartenenti alla nobiltà e da proprietari di servi di diverse nazionalità, avevano atteggiamenti nei confronti della causa polacca che variavano dalla cauta approvazione della Lituania all’aperta ostilità dell’Ucraina. A peggiorare le cose, queste regioni non avevano mai goduto di effettiva autonomia all’interno dell’Impero. Varsavia divenne il centro di protesta anti-russa. Per reazione alla nuova rivolta del 1863-64, le autorità russe ridussero ulteriormente la già limitata autonomia della Polonia, inaugurando una politica a cui venne dato il nome di “russificazione”. Perfino la denominazione ufficiale del paese mutò da Regno di Polonia a Terra della Vistola, e il russo divenne la lingua ufficiale nell’insegnamento scolastico. Il governo zarista attuò alcune riforme riguardanti la proprietà terriera più favorevoli ai contadini, visti come un potenziale contrappeso ai nobili ostili.

2. Le province baltiche Per certi aspetti, le province baltiche risentirono più di altre regioni europee di etnia non russa dell’evoluzione statale e sociale dell’Impero. Nel 1816/19 Alessandro I aveva abolito la servitù della gleba dei territori del Baltico ma i contadini estoni e lettoni erano rimasti mezzadri o fittavoli della nobiltà tedesca e spesso ancora obbligati alle corvée. Grazie all’importanza delle province baltiche come porti di accesso all’Impero russo, verso la fine del XIX secolo Riga era divenuta un grande centro commerciale e poi industriale. La persistenza di istituzioni nobiliari autonome e la libertà concessa ai contadini fecero si che nelle province baltiche gli affetti delle riforme degli anni ’60 furono diversi dal resto dell’Impero. Per i contadini, la grande questione non era il loro status giuridico bensì la proprietà della terra concessa solo negli anni ’60. Come risultato del sistema giuridico locale, inoltre, si ebbe una vera fioritura di organi di stampa che godevano di minori limitazioni rispetto al mondo editoriale delle altre regioni dell’impero. Al tempo stesso la diffusione dell’istruzione pubblica, come nel resto dell’Impero, favorì tra i popoli baltici la formazione di una classe colta e la nascita di associazioni culturali di volontariato che diffondevano gli ideali nazionali tra lettoni ed esponi. Per queste nazionalità emergenti, i nemici da battere erano ancora i tedeschi, non lo zar o il popolo russo. La maggior parte dei nobili tedeschi continuava a prestare servizio nell’esercito e nell’amministrazione imperiale, anzi, proprio l’élite aristocratica dimostrava particolare fedeltà all’Impero. 3. La Finlandia La Finlandia conservò istituzioni autonome fino alla caduta dell’Impero, ma sia tali istituzioni sia la società finlandese nel suo complesso erano molto diverse rispetto al modello baltico. La Finlandia, nelle parole di Alessandro I era stata “innalzata al rango di nazione” grazie all’annessione russa nel 1809. Alessandro I aveva inoltre concesso alla Finlandia di mantenere le leggi e la religione luterana dell’epoca svedese, il governo separato con sede a Helsinki e l’assemblea legislativa sul modello della vecchia Dieta svedese. In Finlandia, pertanto, gli zar poterono contare in un primo momento sulla fedeltà dei nobili di lingua svedese, che ignoravano sia l’antagonismo al governo russo tipico dei nobili polacchi sia l’egoismo di casta dei tedeschi del Baltico. I rapporti generalmente buoni non furono sempre del tutto sereni, per esempio quando Nicola I si astenne per tutta la durata del suo regno dal convocare la Dieta finlandese. Il governo locale di Helsinki rimase al potere, realizzando numerosi progetti educativi ed economici con il sostegno dei governatori russi e della Segreteria di stato per gli Affari finlandesi a Pietroburgo. Il finlandese divenne rapidamente la lingua letteraria affiancata allo svedese, anche se questo rimase fino alla caduta dell’Impero russo la prima lingua dell’apparato amministrativo. La guerra di Crimea causò distruzione anche in Finlandia dato che la flotta britannica bombardò varie città costiere, anche se nessuno colpo di artiglieria riuscì a far crollare la grande fortezza di Sveaborg, nel porto di Helsinki. La Finlandia dimostrò ripetutamente la sua lealtà alla Russia e di questo fu premiata nella successiva epoca delle riforme. L’annessione all’Impero russo creò in Finlandia una nuova situazione economica, grazie al fatto che la stessa Pietroburgo era un’enorme sbocco per la forza lavoro e un mercato per la produzione finlandese. Lo sviluppo più rapido delle regioni interne della Russia dopo l’emancipazione dei servi e la costruzione delle

ferrovie non fece che accelerare il processo di integrazione della Finlandia nella realtà economica dell’impero, poiché gli stabilimenti tessili e gli impianti di lavorazione dei metalli rifornivano di prodotti un mercato russo apparentemente illimitato. Uomini d’affari e nobili avevano per tanto un preciso interesse a preservare una stabile autonomia all’interno dell’impero. A questi ottimi risultati venne posta fine con il tentativo di “russificazione” intrapreso tra il 1896 e il 1902 che rimase però per lo più sulla carta. Il risultato fu piuttosto la nascita di gruppi nazionalisti radicali e di un acceso dissenso tra le classi nobili e nel mondo degli affari. La Finlandia mantenne quasi tutti i suoi diritti di autonomia fino al 1917. 4. Gli ebrei Gli ebrei costituivano una sostanziale porzione demografica dell’impero russo, pari a circa 5 milioni di abitanti ovvero il 4% della popolazione totale. La Russia non ebbe ebrei tra la sua popolazione dalla fine dell’epoca Kieviana fino alla prima spartizione della Polonia nel 1772. Nel XVIII secolo alcuni mercanti artigiani ebrei si stabilirono in Ucraina e a Riga. Allorché la Russia acquisì la sua prima comunità ebraica di una certa consistenza, la reazione del governo fu di preservare lo statu quo. La forma di autogoverno delle comunità ebraiche (kaha...


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