Storia della musica - dalle origini al seicento (Daolmi) / Riassunto PDF

Title Storia della musica - dalle origini al seicento (Daolmi) / Riassunto
Course Storia della musica medievale e rinascimentale
Institution Università degli Studi di Milano
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Intero riassunto del manuale "Storia della musica - dalle origini al seicento" di Davide Daolmi. Il tutto integrato con le dispende di grammatica della musica relative ai primi moduli....


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Grammatica della musica. Il suono, che può essere prodotto solo da un moto, o vibrazione, originato da un corpo vibrante, ha tre caratteristiche ovvero altezza, intensità e timbro: un suono è più o meno alto secondo la frequenza (numero di vibrazioni al secondo) del corpo che vibra, quindi maggiore è la frequenza, più è alto il suono, minore è la frequenza, più basso è il suono (l'altezza convenzionale accettata dalla maggioranza delle nazioni occidentali è 440 vibrazioni al secondo); l'intensità dipende dall'ampiezza della vibrazione quindi una più o meno ampia vibrazione! produce suoni più o meno forti; il timbro definisce la differenza di colore musicale tra una nota suonata su strumenti differenti o cantata da voci diverse , inoltre il timbro è determinato dagli armonici ovvero quelle note che sono presenti simultaneamente sulla nota base, chiamata fondamentale, e per questo hanno minore intensità risultando non distintamente udibili. Se due note suonano con una differenza di altezza di 5 vibrazioni al secondo, quando le rispettive onde di scontreranno produrranno! un effetto pulsante il cui numero di battiti al secondo è dato dalla differenza fra le due frequenza. Quando su due sorgenti di vibrazioni se ne mette in vibrazione!solo una, quella non sollecitata direttamente ne riceverà la vibrazione.!! Le origini della nostra notazione musicale europea si trovano nei simboli! abbreviati usati per la recitazione orale greca ed orientale, simboli che, dal V al VII secolo d.C., portarono allo sviluppo di un sistema che, seppur vagamente indicava il profilo del movimento melodico con dei simboli!chiamati "neumi", altro non dava che un'idea approssimativa della melodia con lo scopo di aiutare il cantore a ricordare. Il rigo composto da una sola linea orizzontale apparve all'incirca nel IX secolo d.C., ma sarà Guido D'Arezzo, nel suo "Regulae de ignotu cantu" a consigliare l'uso del rigo a tre o quattro linee, chiamato tetragramma, che sarà poi adottato per la notazione del canto gregoriano; il nostro rigo attuale apparve già nell'undicesimo secolo ma sarà adottato con accordo generale intorno al XVII secolo d.C. L'altezza dei suoni è indicata dalla serie di sette sillabe!di otto note, chiamato ottava (di cinque è una quinta, di quattro è una quarta), dove la frequenza prescelta del Do è 256 e quindi quello immediatamente superiore sarà 512 e quello inferiore 128: si producono gli stessi suoni ma ad altezze differenti: con lo stesso principio si possono ottenere ottave partendo da ogni nota. Per farlo è però necessario avere un punto di riferimento per orientarsi ovvero le chiavi di Sol, che indica la posizione del sol sul terzo rigo, di Fa. che indica la posizione del fa sul!quarto rigo, e di Do delle quali se ne hanno due che si chiamano di contralto, che indica la posizione del do sul terzo rigo, e di tenore, che indica la posizione del do sul quarto rigo. Le note indicano la loro altezza e la loro durata: la nota più lunga è la semibreve che si può suddividere in 2 minime, 4 semiminime, 8 crome, 16 semicrome, 32 biscrome e 64 semibiscrome, il tutto distinguibile grazie all'uso di lettere, simboli, aste e tagli volti a indicare non solo la durata ma anche la pausa, prolungamenti e/o decorazioni varie, il tempo e i cambiamenti dinamici (grave, adagio, presto, fortissimo, mezzo forte, pianissimo, ecc...) il ritmo, con le relative battute e misure del tempo a due, tre, quattro, regolari e irregolari, e infine i diesis e i bemolle che indicano rispettivamente! l'innalzamento o l'abbassamento di un semitono, ovvero l'intervallo più piccolo in uso nel sistema convenzionale della musica occidentale (i tasti neri del pianoforte).! Una scala è una serie di note ordinate progressivamente sia verso l'alto sia verso il basso, con inizio da una nota qualsiasi fino a raggiungere la relativa ottava. Le scale musicali usate sono più di una ma la scala basilare del sistema musicale europeo è la scala diatonica, formata da toni e semitoni all'interno di un intervallo di ottava e che ha origine nei Greci i quali diedero alle scale nomi diversi secondo le diverse popolazioni (dorica, frigia, lidia e misolidia) e attribuirono ad ogni scala una sua "compagna" subordinata, il cui nome era uguale ma con l'aggiunta del prefisso ipo e che vedeva l'inizio posto una quinta sotto la prima nota della scala "principale". I primi musicisti della cristianità, influenzati dai greci, adottarono le loro scale (i modi) disponendole però, al contrario dei greci, in ordine ascendente e facendo iniziare le scale "ipo" una quarta sotto. Ciascun grado, o nota, di una scala è indicato da un numero romano: la prima nota è chiamata tonica (ed è la più importante), la seconda nota sopratonica, la terza nota mediante, la quarta nota sottodominante, la quinta nota dominante (ruolo importante! nell'aspetto armonico e melodico), la sesta nota sopradominante, la settima nota sensibile (funzione importante perché!"guida" alla tonica"). Osservando la scala si può dedurre la legge che sostiene che dalla dominante di ogni scala può essere costruita una nuova scala, alla quale occorre solo una nota alterata in più nei confronti della precedente: questa nota è sempre la sensibile della nuova scala; si può quindi giungere alla conclusione che da ogni sottodominante di una scala può essere ricavata una nuova scala bemollizzando!la sensibile della scala precedente.! Armonia e stile. Le strofe sono un insieme di versi, mentre i versi sono a loro volto un insieme si parole, a loro volta suddivisibili in sillabe coi rispettivi accenti, distribuite in modo da consentire all’orecchio un suono armonico anche grazie all’uso delle rima le quale può essere accoppiata, quando avviene tra due versi consecutivi,

alternata, quando i versi dispari rimano con i dispari e i pari con i pari, incatenata, quando si alterna seguendo lo schema ABA, BCD, CDC, DED, ecc…, incrociata, quando in un quartina il primo verso rima con il quarto e il secondo con il terzo. I versi si differenziano in base. In base alla sillaba sulla quale cade l’accento (sillaba tonica) la parola può dirsi tronca, quando esso cade sull’ultima, piana, quando esso cade sulla penultima, sdrucciola, quando esso cade sulla terzultima sillaba, bisdrucciola, quando esso cade sulla quartultima sillaba. Per quanto riguardo il nome del verso, esso dipende dalla posizione dell’ultima sillaba accentata a cui si aggiunge uno: verso quaternario, accento sulla terza sillaba, quinario, sulla quarta sillaba, senario, sulla quinta sillaba, ecc… La lirica italiana si presentò, all'alba della nostra letteratura, in forme popolari tra le quali si sono affermate lo strambotto e la ballata. La lirica d'arte, fiorita invece su imitazione della poesia provenzale, diede vita ai tre componimenti lirici della nostra letteratura ovvero canzone, sonetto e ode. Lo strambotto (o rispetto), nato dal canto popolare medioevale e fiorito soprattutto in Sicilia e si diffuse poi in Toscana, veniva cantato con l'accompagnamento della viola o del liuto e consta di una sola strofa di otto versi endecasillabi (ottava). Il nome di ballata deriva dal fatto che si cantava accompagnandosi! con danze e si distingue per la facile cadenza che s'intona al ritmo musicale e per la fresca agilità che si adatta ai giri di danza; la ballata ha sempre inizio con la ripresa, che è una strofetta d'apertura il cui ultimo! verso rima con l'ultimo di!tutte le altre strofe,! a cui cui seguono le stanze le quali si suddividono in piedi (che possono essere più di uno), ciascuno di due versi, e una volta, il cui primo verso rima con l'ultimo del secondo piede mentre l'ultimo rima con l'ultimo della ripresa. La canzone raggiunse il suo splendore con il Petrarca, che ne fissò la forma tipica (canzone petrarchesca) in un modello che consta di un numero variabile di strofe e di un breve commiato nel quale il poeta si rivolge alla canzone stessa a scopo di saluto o di incitamento; ogni strofa, formata da endecasillabi e settenari, si divide in fronte, distribuita in due piedi, e sirma, distinta in due volte: i due membri fronte e sirma sono collegati da un verso intermedio, detto chiave, che rima col verso precedente. Se questo schema rigido subì una prima modifica nel '600 con il "Chiabrera" e la canzone pindarica, suddivisa in strofa, antistrofa e epodo, sarà solo nell'ottocento, per opera di Leopardi (canzone leopardiana), che la canzone ritrovò vera vita, libera da impacci formalistici se non per il restare di alternarsi di settenari ed endecasillabi. Il sonetto ha uno schema metrico breve e chiuso che vede 14 endecasillabi divisi in due quartine, legati da rime incrociate o alternate o accoppiate, seguite da due terzine con rime egualmente legate. L'ode deriva dal greco e significa "canto" ed è formato da strofe uguali che scorrono brevi e agili sul rapido ritmo del verso che vede rime sdrucciole o tronche e alternate. Storia della musica: dalle origini al seicento. Capitolo 1: Le origini Se c’è vita, c’è movimento e se c’è movimento, c’è suono il quale però ha bisogno di un ascoltatore per esistere e comincia ad essere considerato musica solo quando lo consideriamo tale. Se già le piante e gli animali rispondevano alle vibrazioni sonore, non solo in funzione orientativa o difensiva ma anche riproduttiva, lo stesso discorso possiamo farlo per il primo periodo di vita dell’uomo: possiamo immaginare rituali di corteggiamento per il maschio attraverso l’utilizzo di attività vocali e movimenti del corpo e l’uso di strumenti per cacciare e difendersi; l’uso della voce è poco significativo in quanto l’abilità vocale si relazione alla posizione eretta. La desertificazione del Sahara portò le prime migrazioni dal nord Africa al medioriente e in Europa dove le specie cominciano ad essere stanziali iniziando a seppellire i morti con dei rituali che arricchirono le pratiche e gli strumenti musicali: rombi, raganelle ricavate da corni e fischietti da falangi. Questi primi insediamenti furono ripercorsi dall’ultima trasformazione della specie umana, quella dell’Homo Sapiens, che comincia ad utilizzare la musica non solo a scopo di seduzione ma anche per la gestione dello scorrere del tempo nei momenti di disagio o paura: questo surplus energetico viene emesso fisicamente attraverso suoni e movimenti del corpo che vengono organizzati, predeterminati e talvolta ripetuti, creando così un rito il quale, di conseguenza, scandisce e organizza il tempo esorcizzando così anche la paura dello scorrere infinito di quest’ultimo. Il sacro quindi è non all’origine del rito ma è una sua conseguenza: il timore verso il dominante (astrazioni, idee, tempo, dei, Dio) sarà gestito da rituali sempre più elaborati che andranno a costituire la cultura del sacro la quale musica ad esso legata sarà nobile ed elaborata, e si differenzierà dalla musica per i riti di seduzione che invece tenderanno al virtuosismo performativo. Oltre a quanto detto, in mancanza di testimonianze, siamo obbligati solo ad immaginare la musica preistorica. È comune l’idea che gli insediamenti alle foci alle foci del Tigri e dell’Eufrate (3500 a.C.), culla della civiltà Mesopotamia, siano il primo esempio di società avanzata, al punto da definire Uruk una città stato e da essere cantata del primo poema epico sopravvissuto fino a noi ovvero l’”Epopea di Gilgamesh”. In questo contesto le

pratiche musicali ebbero un ruolo più che fondamentale tanto che conserviamo primi significativi reperti come quello di un sigillo cilindrico che raffigura un banchetto in cui sono riconoscibili alcuni suonatori con arpa arcuata e percussioni, quello delle lire-toro, che sono a tutti gli effetti delle arpe, e quello delle prime notazioni musicali in cuneiforme. Scarsissime sono le testimonianze dell’attività culturale cassita ma quando gli assiri prendono il sopravvento viene ripristinata la rappresentazione del potere e le testimonianze di una pratica musicale ricominciano: sul palazzo di Assurbanipal, ultimo sovrano assiro, troviamo bassorilievi evocanti una processione festante in cui svettano sette grandi arpe verticali, un flauto doppio ad ancia e un’arpa angolare. Malgrado le informazioni riguardo la musica nell’Antico Egitto siano frammentarie, è molto probabile derivazioni sumere e babilonesi sia negli strumenti, come i flauti ad ancia, che nella scala musicale utilizzata ovvero quella eptafonica. L’unico strumento egizio non importato sembrerebbe essere il sistro, lo strumento di Hathor, dea della musica e dell’erotismo, ovvero un sonaglio in metallo che nella sua forma più arcaica era il simbolo dell’universo (non è certo che gli egiziani mettessero in relazione musica ed astronomia). Del Medio Regno sappiamo non solo che i musicisti appaiono affiancati da uomini, forse cantori, con le braccia in movimento per simboleggiare il contenuto del canto, ma anche che la musica accompagnava lavoro ed esercito. Del Nuovo Regno è peculiare la presenza di canti d’amore a forte componente sentimentale ed erotica la quale si comincia a distaccare dalla componente sacrale. Se per i sumeri, i babilonesi e gli egiziani, la scrittura, oltre a essere preclusa all’elitè, era fatta di segni che rappresentavano idee o oggetti, per il popolo ebraico, non potendo rappresentare il creato per immagini, usarono la loro scrittura alfabetica, ovvero l’ebraico, per scrivere la loro storia che poi sarà organizzata nell’antico testamento. Quando il regno ebraico si costituisce, re Davide è celebrato come musico abilissimo e il successero Salomone è detto autore del “Cantico dei cantici”, inoltre gli strumenti musicali che compaiono in Egitto e Babilonia vengono citati di continuo nella bibbia: questa passione per la musica strumentale viene meno con la loro deportazione babilonese e la successiva perdita di riferimenti identitari, tra cui anche un territorio, che portarono a trovare nel canti liturgici un legame con il testo e la fede ebraica. Un confronto con le tre grandi tradizioni ebraiche, se da un lato mostra differenze di stile, dall’altro mostra invece un’unità di fondo volta a valorizzare la parola in un’intervallo unico, quindi con scarse oscillazioni interne alla frase: questo recitativo si distingue ancor oggi in cancellazione, quando intona un testo in prosa, e salmodia, quando in versi che vendono scanditi in modo uguali i loro inizi e le loro fini. Questo aspetto avrà forti influenze sul canto cristiano delle origini. L’età del ferro e l’uso del materiale per i più svariati usi, da quello militare a quello agricolo e di scrittura, rafforzò l’orgoglio identitario e la volontà di scrivere le proprie tradizione e le proprie epopee (ampia narrazione poetica di gesta eroiche): ne sono un esempio la diffusione dei primi poemi omerici greci e re Davide il quale, liberando il popolo d’Israele dai filistei, sarà il primo ad utilizzare il ferro in questo senso. Davide però, oltre a essere un guerriero e uno stratega, fu anche un suonatore di uno strumento a corde, non sappiamo se arpa o lira o cetra, la cui complessità armonica testimoniava la sua spiritualità divina e nobile che accresce con l’attribuirgli testo e musica di un gran numero di salmi nonostante sia certo la loro scrittura in tempi successivi. Attribuito a Pietro Abelardo, ma che racconta del dolore di Davide per la perdita del padre Saul e del suo amato Gionatan, è il primo canto musicato chiamata “Planctus David”. L’orgoglio delle identità locali, con l’aumento demografico e il consolidarsi delle città stato in Grecia, indusse alla creazione di nuove cosmologie e teogonie per nobilitare le singole epopee, tra le quali troviamo quella di Orfeo (orfismo): sebbene delle origini dell’orfismo si sappia poco e i primi accenni non siano sempre coerenti, gli elementi caratteristici sono l’opposizione della sua figura a quella di Dioniso, la liberazione della carne (vegetarianismo) per ascendere alla purezza del pensiero, una casta tutta al maschile e il suo legame con la musica che si presenta sulla nave degli Argonauti, dove la sua musica riesce a sconfigge i nemici e ammansire i draghi e vincere il canto delle sirene, e negli Inferi dove scende per salvare la sua sposa Euridice tentando di convincere i guardiani attraverso la sua musica. Se l’orfismo continuò a persistere, anche in Italia, fino alla fine dell’impero romano, il medioevo cristiano lo dimenticherò per poi riacquisire fortuna nel rinascimento proprio nella sua accezione musicale. La lira, che con la tecnica della tostatura poteva generare suoni diversi sulla stessa corda, e l’aulos, a due canne, ciascuna di essa ad ancia, era in grado di realizzare difonie, non sono solo due strumenti emblematici della pratica musicale greca ma, ricondotti rispettivamente ad Apollo e Dioniso, esprimono la contrapposizione fra intellettualità ed emozione che emerge anche nella contesa musicale tra Apollo (lira) e Marsia (aulos) dove quest’ultimo, orgoglioso dei suoni del suo strumento, sfida Apollo il quale vincerà unendo la sua voce al suono del suo strumento e ucciderà Marsia strappandogli la pelle: il mito, nonostante ripropone un rito per cui l’uomo si spoglia della sua animalità per rivelare la bellezza interiore, sarà recepito in epoca imperiale come atto di nobilitazione della lira perchè capace di associarsi alla parola. Ripreso però nel rinascimento fu l’episodio della

gara musicale tra Apollo e il satiro Pan che vede differenze col primo mito nel fatto che Pan suoni una siringa (flauto di Pan) e nel fatto che Apollo non si vendica sull’avversario ma sull’unico che lo aveva preferito, ovvero re Mida, facendogli crescere orecchie d’asino: il mito premia l’eleganza creativa di Apollo contro la grossolanità di Pan. Prima che santa Cecilia impersonasse l’arte musicale a partire dal Rinascimento, la musica era spesso rappresentata come una donna accompagnata da un fabbro che percuote i martelli sull’incudine: questa figura è l’unione di due storie. La prima è quella che Lamech padre delle conoscenze acquisite dall’uomo tra le quali troviamo Iubal, esperto di musica, e Tubalcain, esperto della lavorazione del ferro, che sono gli ultimi discendenti della genealogia di Caino (figlio maggiore di Adamo ed Eva) prima di essere spazzati via dal Diluvio: per preservare le loro conoscenze Eva chiede a Set (terzo figlio di Adamo ed Eva) di far conoscere ai posteri la storia di Adamo incidendola su pietra o su argilla, particolare dal quale Flavio Giuseppe (I sec. d.C.) immaginò che il sapere dell’uomo fossa stato scolpito appunto su due colonne delle quali solo quella in pietra fu ritrovata dopo il Diluvio da Salomone. La seconda storia è quella dell’aneddoto che si fa ricondurre al neoplatonismo e che racconta di come Pitagora, intorno al 100 d.C., passando presso una fucina, si accorse che alcuni martelli dei fabbri producevano dei suoni fra loro consonanti in rapporto 2:1, 3:2, 4:3: legare il sapere scientifico alla forgiatura del ferro dimostra quando tale elemento fu importante nell’età del ferro. Se sarà Isidoro di Siviglia a notare un parallelismo tra la storia cristiana e quella pagana, la sintesi avverrà a fine 12° secolo con Pietro Comestore che precisa che la bibbia si riferisce a Iubal come creatore e scopritore dell’arte musicale stessa grazie all’ascolto delle consonanze scaturire dalla fucina del fratello Tubalcain. Verso la metà del ‘300 però, in alcune raffigurazioni, l’arte musicale cominciò ad apparire nella forma femminile di Dama musica con al suo fianco Tubalcain che martella sull’incudine: si creò così un modello iconografico in cui Iubal s’identificava con Dama Musica accompagnato/a da suo fratello Tubalcain. Inoltre Dama Musica fu spesso rappresentata con un’organo in mano, così come accadeva per santa Cecilia, creando così un rapporto tra le due figure femminili che, con la successiva esclusione di Tubalcain da metà ‘400, divenne di intercambiabilità. Il Rinascimento recuperò invece l’aneddoto di Pitagora facendo assorbire Dama Musica da santa Cecilia, ormai definitiva patrona della musica. L’armonia delle sfere è la teoria che attribuisce una musica all’orbita dei pianeti (in quanto corpi in movimento) e che vede l’universo governato da leggi musicali: la teoria si fa condizionalmente risalire a Pitagora (V sec. a.C.) ma la forma del cosmo all’epoca collocava tutti i pianeti, meno Terra e Luna, oltre il sole, mentre questa teoria ordina i pianeti in base alla durata dell’orbita osservata dalla terra ponendo il sole al centro, disp...


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