Canti Orlando furioso PDF

Title Canti Orlando furioso
Author Martina Murgia
Course Letteratura italiana 
Institution Università degli Studi di Udine
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Il proemio, I 1-4 L’esordio del poema preannuncia i due principali filoni narrativi che saranno al centro dell'opera, ovvero la guerra contro i mori di re Agramante che hanno invaso la Francia (ripreso dall'«Innamorato» del Boiardo) e le vicende amorose e romanzesche dei paladini e delle loro donne, sottolineando la novità di Orlando che a causa dell'amore diventa "furioso" e perde il senno. L'autore anticipa anche il tema encomiastico che sarà sviluppato nel "Furioso" attraverso il personaggio di Ruggiero, dedicando al tempo stesso il poema al cardinale Ippolito d'Este suo protettore (dedica nella quale alcuni hanno visto una sottile ironia).

1 Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i Mori d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l’ire e i giovenil furori d’Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troiano sopra re Carlo imperator romano.

Io canto le donne, i cavalieri, le imprese militari, gli amori, le imprese cortesi e audaci che ci furono nel tempo in cui i mori d'Africa passarono il mare e fecero tanti danni in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili del loro re Agramante, che si vantò di vendicare la morte del padre Troiano contro l'imperatore romano Carlo Magno.

2 Dirò d’Orlando in un medesmo tratto cosa non detta in prosa mai, né in rima: che per amor venne in furore e matto, d’uom che sì saggio era stimato prima; se da colei che tal quasi m’ha fatto, che ‘l poco ingegno ad or ad or mi lima, me ne sarà però tanto concesso, che mi basti a finir quanto ho promesso.

Al tempo stesso racconterò di Orlando una cosa che non è mai stata detta né in prosa né in versi: cioè che per amore divenne furioso e matto, lui che prima era giudicato un uomo saggio; a patto che colei [Alessandra Benucci] che mi ha reso quasi come lui e che consuma il mio ingegno a poco a poco me ne conceda abbastanza per terminare l'opera promessa.

3 Piacciavi, generosa Erculea prole, ornamento e splendor del secol nostro, Ippolito, aggradir questo che vuole e darvi sol può l’umil servo vostro. Quel ch’io vi debbo, posso di parole pagare in parte e d’opera d’inchiostro; né che poco io vi dia da imputar sono, che quanto io posso dar, tutto vi dono.

O nobile figlio di Ercole, ornamento e splendore del nostro secolo, Ippolito, vogliate gradire questo dono che è l'unico che vi possa dare il vostro umile servo. Quello che vi devo posso ripagarlo in parte con delle parole e un'opera letteraria; e non devo essere accusato di darvi poco, poiché vi do tutto quello che posso.

4 Voi sentirete fra i più degni eroi, che nominar con laude m’apparecchio, ricordar quel Ruggier, che fu di voi e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio. L’alto valore e’ chiari gesti suoi vi farò udir, se voi mi date orecchio, e vostri alti pensieri cedino un poco, sì che tra lor miei versi abbiano loco.

Voi sentirete ricordare tra i più nobili eroi che mi accingo a nominare con lodi anche quel Ruggiero che fu il capostipite di voi e dei vostri illustri avi [della casa d'Este]. Io vi farò ascoltare il suo grande valore e le sue nobili imprese, se mi porgete orecchio e se i vostri alti pensieri si ritrarranno un poco, così che i miei versi abbiano spazio tra essi.

Interpretazione complessiva •

L'ottava iniziale del poema riassume in poche parole l'oggetto del poema, ovvero la guerra dei mori di re Agramante contro i paladini di Carlo Magno e le vicende romanzesche di natura amorosa che si svilupperanno variamente nell'opera, tutto condensato nei primi due versi e nel celebre chiasmo "Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori" (in cui ovviamente le donne e gli amori alludono alle vicende amorose, i cavalieri e le armi alla narrazione guerresca, temi a loro volta collegati alle "cortesie" e alle "audaci imprese" del v. 2). La prima coppia di endecasillabi elenca i nuclei tematici fondamentali del poema e il periodo si chiude col verbo "io canto", che ovviamente si rifà all'esordio dell'Eneide (Arma virumque cano, "Canto le imprese militari e l'eroe", a sua volta poi più strettamente imitato da Tasso nel proemio della Liberata). La guerra che fa da sfondo al Furioso è la stessa di cui si parla già nel II libro dell'Innamorato, ovvero la volontà di vendicare la morte del padre Troiano ucciso in Provenza dal giovane Orlando (fatto narrato nella Chanson d'Aspremont del XII sec.), mentre lo stesso Agramante era stato tra gli uccisori di Ruggiero di Risa, il padre dell'omonimo personaggio del poema di Boiardo e Ariosto.



Ariosto enuncia l'ulteriore novità del poema rispetto a quella già notevole dell'Innamorato di Boiardo, ovvero il fatto che Orlando, il campione dei paladini cristiani, a causa del suo amore per Angelica perde completamente il senno e diventa appunto "furioso", termine che l'autore trae probabilmente dal titolo della tragedia di Seneca Hercules furens: la seconda ottava concentra l'attenzione del lettore sul tema dell'amore dopo che la prima ha enunciato quello della guerra, inoltre Ariosto fa dell'elegante auto-ironia affermando che lui stesso è ridotto quasi come Orlando a causa dell'amore per Alessandra Benucci, la donna cui era legato e che qui non viene ovviamente nominata, la quale dovrà concedergli il poco ingegno rimastogli per consentirgli di completare l'opera. Anche nel narrare la follia di Orlando il poeta tornerà sull'argomento, dicendo in modo altrettanto ironico che si rende conto della propria pazzia ora che è in un "lucido intervallo", poiché il "male è penetrato infin all'osso" (XXIV 3 La follia di Orlando).



Le ottave 3-4 affrontano il terzo motivo dell'esordio dopo la protasi, ovvero la dedica dell'opera al cardinale Ippolito d'Este e il preannuncio del motivo encomiastico del poema, poiché tra i protagonisti vi sarà anche Ruggiero che è il leggendario capostipite della casa estense: il tema è tratto dall'Innamorato di Boiardo in cui lo scrittore quattrocentesco intendeva dedicare ampio spazio al guerriero saraceno destinato a convertirsi e a sposare Bradamante, il cui amore era narrato nel libro III del poema, anche se l'interruzione dell'opera lasciò il disegno incompiuto (L’amore di Ruggero e Bradamante). Nel Furioso la vicenda dei due progenitori estensi viene invece sviluppata e il poema si conclude proprio con le nozze della coppia, prima del duello finale di Ruggiero e Rodomonte. Nella dedica al cardinale Ippolito, protettore del poeta al tempo della prima edizione del 1516, alcuni videro un intento velatamente ironico da parte dell'autore alla luce della rottura dei rapporti tra i due dopo il rifiuto di Ariosto di seguire il prelato in Ungheria nel 1517 (La vita del cortigiano), specie quando il poeta accenna agli "alti pensieri" di Ippolito fra i quali i suoi versi dovranno farsi largo con fatica (il cardinale era un uomo alquanto rozzo e poco sensibile alla poesia, elemento presente anche nelle Satire di Ariosto).

La fuga di Angelica (1), I 5-24 Approfittando di una sconfitta sul campo dei cristiani, Angelica (che Carlo Magno ha affidato alla custodia del vecchio duca Namo di Baviera) si dà alla fuga e viene variamente inseguita in un bosco da alcuni paladini, tra cui Rinaldo, che ora lei odia avendo bevuto alla fonte del disamore, e Ferraù, già uccisore del fratello Argalìa e da lei a suo tempo rifiutato. I due guerrieri saranno anche protagonisti di un duello accanito, prima di sospenderlo per riprendere l'inseguimento della fanciulla. La selva con cui si apre il poema ricorda vagamente la "selva oscura" posta all'inizio della "Commedia" dantesca, anche se qui rappresenta la vita umana in cui tutti siamo all'affannosa ricerca di qualcosa che non troveremo.

5 Orlando, che gran tempo innamorato fu de la bella Angelica, e per lei in India, in Media, in Tartaria lasciato avea infiniti ed immortal trofei, in Ponente con essa era tornato, dove sotto i gran monti Pirenei con la gente di Francia e de Lamagna re Carlo era attendato alla campagna,

Orlando, che era stato innamorato di Angelica per tanto tempo e aveva compiuto per lei innumerevoli e nobili imprese in India, in Oriente, in Tartaria, era tornato con lei in Occidente, dove re Carlo Magno era accampato vicino ai monti Pirenei, con i guerrieri di Francia e di Germania,

6 per far al re Marsilio e al re Agramante battersi ancor del folle ardir la guancia, d’aver condotto, l’un, d’Africa quante genti erano atte a portar spada e lancia; l’altro, d’aver spinta la Spagna inante a destruzion del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò quivi a punto: ma tosto si pentì d’esservi giunto;

per indurre re Marsilio e re Agramante a rimproverarsi del loro folle proposito, poiché uno [Agramante] ha portato dall'Africa tutti i soldati in grado di portare spada e lancia, l'altro [Marsilio] ha spinto avanti la Spagna per distruggere il regno di Francia. E così Orlando arrivò qui al momento giusto, ma si pentì subito di essere tornato:

7 che vi fu tolta la sua donna poi: ecco il giudicio uman come spesso erra! Quella che dagli esperi ai liti eoi avea difesa con sì lunga guerra, or tolta gli è fra tanti amici suoi, senza spada adoprar, ne la sua terra. Il savio imperator, ch’estinguer volse un grave incendio, fu che gli la tolse.

infatti poi gli fu sottratta la sua donna: ecco come spesso sbaglia il giudizio degli uomini! Colei che aveva difeso con tante battaglie dall'Occidente all'Oriente, ora gli è tolta tra tanti suoi amici, senza che sia usata la spada, nella sua terra. Colui che gliela tolse fu il saggio imperatore, che volle spegnere un grave incendio.

8 Nata pochi dì inanzi era una gara tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo, che entrambi avean per la bellezza rara d’amoroso disio l’animo caldo. Carlo, che non avea tal lite cara, che gli rendea l’aiuto lor men saldo, questa donzella, che la causa n’era, tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

Pochi giorni prima era iniziata una gara tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, che erano entrambi innamorati con gran desiderio della rara bellezza di Angelica. Carlo, che non amava questa lite che gli rendeva meno saldo il loro aiuto militare, prese la fanciulla che ne era la causa e la affidò in custodia a Namo di Baviera;

9 in premio promettendola a quel d’essi, ch’in quel conflitto, in quella gran giornata, degl’infideli più copia uccidessi, e di sua man prestasse opra più grata. Contrari ai voti poi furo i successi; ch’in fuga andò la gente battezzata, e con molti altri fu ‘l duca prigione, e restò abbandonato il padiglione.

promettendola in premio a chi di loro in quella guerra, in quella grande battaglia, avrebbe ucciso il maggior numero di infedeli e avrebbe prestato la più efficace opera militare. Lo scontro poi finì male, poiché i cristiani andarono in fuga e il duca Namo fu fatto prigioniero insieme a molti altri, così la sua tenda rimase abbandonata.

10 Dove, poi che rimase la donzella ch’esser dovea del vincitor mercede, inanzi al caso era salita in sella, e quando bisognò le spalle diede, presaga che quel giorno esser rubella dovea Fortuna alla cristiana fede: entrò in un bosco, e ne la stretta via rincontrò un cavallier ch’a piè venìa.

E qui la fanciulla [Angelica], che doveva essere il premio del vincitore, prima della rotta era salita in sella a un cavallo e al momento opportuno era fuggita, avendo previsto che quel giorno la fortuna avrebbe voltato le spalle alla fede cristiana: entrò in un bosco e nel sentiero stretto incontrò un cavaliere che veniva a piedi.

11 Indosso la corazza, l’elmo in testa, la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo; e più leggier correa per la foresta, ch’al pallio rosso il villan mezzo ignudo. Timida pastorella mai sì presta non volse piede inanzi a serpe crudo, come Angelica tosto il freno torse, che del guerrier, ch’a piè venìa, s’accorse.

Egli aveva la corazza addosso, l'elmo in testa, la spada al fianco e al braccio lo scudo; e correva per la foresta più agile di un contadino mezzo nudo dietro al drappo rosso [in una gara campestre]. Una timida pastorella non ritrasse mai il piede davanti a un serpente più velocemente di quanto Angelica fermò il cavallo, non appena si accorse del guerriero che giungeva. Costui era quel valoroso paladino figlio d'Amone e signore di Montalbano [Rinaldo], al quale poco prima il suo cavallo Baiardo era scappato di mano per una strana circostanza. Non appena guardò la donna riconobbe, anche se da lontano, l'aspetto angelico e quel bel viso che lo teneva stretto nelle reti d'amore.

12 Era costui quel paladin gagliardo, figliuol d’Amon, signor di Montalbano, a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo per strano caso uscito era di mano. Come alla donna egli drizzò lo sguardo, riconobbe, quantunque di lontano, l’angelico sembiante e quel bel volto ch’all’amorose reti il tenea involto.

13 La donna il palafreno a dietro volta, e per la selva a tutta briglia il caccia; né per la rara più che per la folta, la più sicura e miglior via procaccia: ma pallida, tremando, e di sé tolta, lascia cura al destrier che la via faccia. Di sù di giù, ne l’alta selva fiera tanto girò, che venne a una riviera.

La donna volta indietro il cavallo e lo sprona a briglia sciolta nel bosco; e non cerca la via più sicura e migliore tra i sentieri più radi e meno selvosi, anzi, pallida e tremante e quasi fuor di sé lascia che il cavallo vada dove voglia. Girò in lungo e in largo in quella selva intricata, finché giunse a un fiume.

14 Su la riviera Ferraù trovosse di sudor pieno e tutto polveroso. Da la battaglia dianzi lo rimosse un gran disio di bere e di riposo; e poi, mal grado suo, quivi fermosse, perché, de l’acqua ingordo e frettoloso, l’elmo nel fiume si lasciò cadere, né l’avea potuto anco riavere.

Su di esso si trovava Ferraù, pieno di sudore e tutto impolverato. Poco prima un gran desiderio di bere e di riposare lo aveva distolto dalla battaglia e poi, suo malgrado, si era fermato qui, perché, goloso d'acqua e frettoloso, aveva fatto cadere l'elmo nel fiume e non era ancora riuscito a riprenderlo.

15 Quanto potea più forte, ne veniva gridando la donzella ispaventata. A quella voce salta in su la riva il Saracino, e nel viso la guata; e la conosce subito ch’arriva, ben che di timor pallida e turbata, e sien più dì che non n’udì novella, che senza dubbio ell’è Angelica bella.

La fanciulla spaventata giungeva gridando più forte possibile. A quella voce il saraceno salta sulla riva e la guarda in viso; al suo arrivo capisce subito che è la bella Angelica, anche se pallida e sconvolta dalla paura e benché non ne abbia avuto notizie per più giorni.

16 E perché era cortese, e n’avea forse non men de’ dui cugini il petto caldo, l’aiuto che potea tutto le porse, pur come avesse l’elmo, ardito e baldo: trasse la spada, e minacciando corse dove poco di lui temea Rinaldo. Più volte s’eran già non pur veduti, m’al paragon de l’arme conosciuti.

E perché era nobile e forse non ne era meno innamorato dei due cugini, le diede tutto l'aiuto che poteva, come se avesse ancora l'elmo, baldo e coraggioso: sguainò la spada e corse minacciando verso Rinaldo che non ne aveva paura. I due si erano già non solo incontrati, ma anche sfidati più volte.

17 Cominciar quivi una crudel battaglia, come a piè si trovar, coi brandi ignudi: non che le piastre e la minuta maglia, ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi. Or, mentre l’un con l’altro si travaglia, bisogna al palafren che ‘l passo studi; che quanto può menar de le calcagna, colei lo caccia al bosco e alla campagna.

Qui iniziarono una crudele battaglia, entrambi a piedi e con le nude spade: ai loro colpi non reggerebbero le incudini, figurarsi le piastre e la maglia dell'armatura. Ora, mentre i due se le danno di santa ragione, il cavallo di Angelica deve studiare il passo; infatti lei lo fa correre nel bosco e nella campagna, spronandolo quanto più può con le calcagna.

18 Poi che s’affaticar gran pezzo invano i dui guerrier per por l’un l’altro sotto, quando non meno era con l’arme in mano questo di quel, né quel di questo dotto; fu primiero il signor di Montalbano, ch’al cavallier di Spagna fece motto, sì come quel ch’ha nel cuor tanto fuoco, che tutto n’arde e non ritrova loco.

Dopo che i due guerrieri si affaticarono molto tempo invano per sopraffarsi a vicenda, poiché entrambi erano esperti nell'uso delle armi e nessuno era superiore all'altro, il primo che parlò al cavaliere spagnolo fu il signore di Montalbano [Rinaldo], come uno che ha il cuore in fiamme, che brucia e non può spegnersi.

19 Disse al pagan: «Me sol creduto avrai, e pur avrai te meco ancora offeso: se questo avvien perché i fulgenti rai del nuovo sol t’abbino il petto acceso, di farmi qui tardar che guadagno hai? che quando ancor tu m’abbi morto o preso, non però tua la bella donna fia; che, mentre noi tardiam, se ne va via.

Disse al pagano: «Tu pensi di danneggiare solo me, invece danneggerai anche te stesso: se ci scontriamo perché gli occhi splendenti del nuovo sole [di Angelica] ti hanno acceso il petto, cosa ci guadagni a trattenermi qui? infatti, anche se mi ucciderai o catturerai, la bella donna non sarà tua: mentre noi perdiamo tempo qui, lei scappa via.

20 Quanto fia meglio, amandola tu ancora, che tu le venga a traversar la strada, a ritenerla e farle far dimora, prima che più lontana se ne vada! Come l’avremo in potestate, allora di chi esser de’ si provi con la spada: non so altrimenti, dopo un lungo affanno, che possa riuscirci altro che danno.»

Sarà molto meglio, se anche tu la ami, che tu pensi a sbarrarle la strada e trattenerla, prima che vada più lontana! Quando l'avremo in nostro potere, allora proveremo con la spada di chi debba essere: in altro modo non so proprio cosa potrà accaderci dopo una lunga battaglia, se non un danno».

21 Al pagan la proposta non dispiacque: così fu differita la tenzone; e tal tregua tra lor subito nacque, sì l’odio e l’ira va in oblivione, che ‘l pagano al partir da le fresche acque non lasciò a piedi il buon figliuol d’Amone: con preghi invita, ed al fin toglie in groppa, e per l’orme d’Angelica galoppa.

Al pagano la proposta piacque: così il duello fu differito e tra loro nacque subito una tregua, tale che dimenticarono l'odio e l'ira e il pagano allontanandosi dal fiume non lasciò a piedi il buon figlio d'Amone: lo invita con preghiere e alla fine lo fa salire sul suo cavallo, poi galoppa sulle tracce di Angelica.

22 Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui! Eran rivali, eran di fé diversi, e si sentian degli aspri colpi iniqui per tutta la persona anco dolersi; e pur per selve oscure e calli obliqui insieme van senza sospetto aversi. Da quattro sproni il destrier punto arriva ove una strada in due si dipartiva.

O grande bontà degli antichi cavalieri! Erano rivali, avevano una fede religiosa diversa, e sentivano tutto il corpo dolente per gli aspri colpi ricevuti; eppure vanno insieme senza sospetto, per selve oscure e sentieri fuori mano. Il cavallo, spronato da quattro piedi, arriva al punto in cui la strada si biforca.

23 E come quei che non sapean se l’una o l’altra via facesse la donzella (però che senza differenza alcuna apparia in amendue l’orma novella), si messero ad arbitrio di fortuna, Rinaldo a questa, il Saracino a quella. Pel bosco Ferraù molto s’avvolse, e ritrovossi al fine onde si tolse.

E poiché i due non sapevano quale delle due vie avesse imboccato la fanciulla (poiché le orme fresche sembravano uguali in entrambe), si rimisero alla sorte e Rinaldo percorse una strada, il saraceno l'altra. Ferraù si addentrò molto nel bosco e alla fine si ritrovò nel punto da dove era partito.

24 Pur si ritrova ancor su la rivera, là dove l’elmo gli cascò ne l’onde. Poi che la donna ritrovar non spera, per aver l’elmo che ‘l fiume gli asconde, in quella parte onde caduto gli era discende ne l’estreme umide sponde: ma quello e...


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