Ludovico Ariosto - Orlando furioso PDF

Title Ludovico Ariosto - Orlando furioso
Author Martina Murgia
Course Letteratura italiana 
Institution Università degli Studi di Udine
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Ludovico Ariosto - Orlando furioso Biografia La giovinezza e il servizio a Ippolito d’Este Ludovico Ariosto nacque l'8 settembre 1474 a Reggio Emilia, da Niccolò (capitano della rocca della città) e Daria Malaguzzi Valeri. La famiglia era nobile ma di condizioni economiche non agiate (Ludovico era primo di dieci fratelli), così il padre lo spinse a seguire gli studi di legge a Ferrara, cui il giovane si adattò con poco entusiasmo e scarso profitto; più tardi ottenne di dedicarsi alla formazione umanistica, anche se imparò bene il latino e male il greco contrariamente all'impostazione classicista del secolo. Nella sua gioventù condusse una vita brillante ed ebbe varie relazioni amorose, sino al 1500 quando la morte del padre lo costrinse a occuparsi della famiglia (il cui patrimonio era in dissesto) e a entrare al servizio degli Este, i signori di Ferrara: nel 1502 divenne capitano della rocca di Canossa e nel 1502 fu nominato segretario del cardinale Ippolito, fratello del duca Alfonso I. Iniziò un periodo travagliato per l'Ariosto, continuamente impegnato in viaggi e missioni diplomatiche per conto del suo signore (era diventato "di poeta, cavallaro", come lui stesso scrisse nelle Satire, VI.238) e talvolta con rischio per la propria persona, come nel 1512 quando lui e il duca furono a Roma presso Giulio II e incorsero nell'ira del papa, salvandosi per miracolo. Ariosto, che nel frattempo aveva iniziato la composizione del Furioso, avrebbe voluto dedicare più tempo alla letteratura e questo inasprì i rapporti col cardinale, che per di più era un uomo alquanto rozzo e sordo alle lettere, anche se a lui è dedicata la prima edizione del poema apparsa nel 1516 (alcuni videro tuttavia nelle parole di elogio una punta di ironia). Nel 1513 conobbe a Firenze Alessandra Benucci, moglie di Tito Strozzi, e tra i due iniziò una relazione sentimentale che sarebbe durata tutta la vita, anche se all'inizio il rapporto fu tenuto segreto per il fatto che lei era sposata e perché lui non voleva rinunciare a privilegi ecclesiastici ottenuti in precedenza. Ebbe vari figli illegittimi da diverse donne, incluso Virginio che fu sempre il prediletto (la madre era Orsola Sassomarino) e che alla fine riconobbe, educandolo all'amore per la letteratura. La rottura con Ippolito e il rapporto con Alfonso I rapporti col cardinale Ippolito si incrinarono definitivamente nel 1517, quando il prelato fu nominato vescovo di Buda e pretendeva che Ariosto lo seguisse quale suo segretario in Ungheria: il poeta si rifiutò, motivando la scelta con motivi di salute (soffriva in effetti di stomaco, anche se questa appare più come una scusa per non lasciare la Benucci e il figlio Virginio) e fu quindi licenziato dal suo protettore, ritrovandosi senza lavoro. È probabile che il "gran rifiuto" fosse motivato anche da ragioni di orgoglio personale, poiché la pubblicazione nel 1516 della prima edizione del poema aveva dato grande fama all'Ariosto e lui mal si adattava al ruolo subalterno cui il servizio al cardinale lo costringeva (lui stesso giustificò ironicamente la sua scelta nella Satira I). Dovette comunque trovare un nuovo impiego e nel 1518 fu assunto dal duca di Ferrara Alfonso I, in una posizione di minor disagio personale e maggiore dignità; la sua fama a corte era grande, tuttavia le sue condizioni economiche erano sempre modeste e ciò lo indusse ad accettare, sia pure a malincuore, l'incarico di governatore della Garfagnana dal 1522 al 1525, periodo di grande difficoltà per lui. La Garfagnana era da poco tornata sotto il controllo degli Este ed era una regione remota e selvaggia, per di più infestata da bande di briganti e focolai occasionali di peste, per cui si può comprendere il poco entusiasmo con cui Ariosto assolse l'incarico, riuscendo comunque a compiere in modo dignitoso il suo compito (tornò poche volte a Ferrara per vedere la Benucci e il

figlio Virginio). Nel 1528 sposerà in segreto la donna, sempre per conservare i propri benefici ecclesiastici, dopo che Alessandra era rimasta vedova del marito. Il ritorno a Ferrara e gli ultimi anni Nel 1525 poté tornare a Ferrara e col denaro messo assieme grazie al servizio svolto, oltre che attingendo all'esigua eredità paterna, si comprò una casetta in contrada Mirasole con attiguo orticello, fatto banale ma cui il poeta diede grande importanza e che ai suoi occhi era il simbolo di una raggiunta indipendenza economica: sulla facciata della casa fece scrivere il distico latino Parva, sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non / Sordida, parta meo sed tamen aere domus ("Piccola, ma adatta a me, ma non soggetta a nessuno, ma non miserabile, ma tuttavia acquistata col mio denaro"). Qui si ritirò a vivere negli ultimi anni insieme alla Benucci, sposata nel 1528, e al figlio Virginio, inoltre si dedicò alla riscrittura del Furioso che aveva avuto una seconda edizione nel 1521 e che ora il poeta voleva ancora rivedere, accrescendone la materia e soprattutto modificando la lingua secondo i dettami di Pietro Bembo, che aveva conosciuto e di cui era diventato amico. Negli ultimi tempi il poema veniva sottoposto ai giudizi e alle critiche degli amici letterati che frequentavano la sua casa e l'ultima definitiva edizione vide la luce nel 1532, pochi mesi prima della morte dell'autore avvenuta il 6 luglio del 1533. La notizia della sua scomparsa non fece rumore e raggiunse la corte estense solo pochi giorni più tardi, e i funerali si svolsero in forma modesta, secondo il suo stesso volere, nella chiesa di S. Benedetto; i suoi resti vennero tumulati nel 1801 nella sala maggiore della Biblioteca comunale ferrarese, dove riposano tuttora. Ariosto uomo del suo tempo Ludovico Ariosto era di famiglia aristocratica, benché questa avesse un patrimonio alquanto dissestato, e durante tutta la sua vita fece parte di quel mondo nobile che esauriva il suo orizzonte nei limiti angusti della corte, un ambiente chiuso e disinteressato al destino delle classi subalterne: ciò non vuol dire che il poeta ignorasse la complessità e le implicazioni della società cinquecentesca, tuttavia è chiaro che tutta la sua visione letteraria risente di questa prospettiva e rientra pienamente in quel "classicismo aristocratico" che è largamente dominante nella civiltà rinascimentale, trovando espressione soprattutto nella sua opera principale, l'Orlando furioso. Nel poema, infatti, la cavalleria e il suo sistema di valori vengono altamente celebrati, tuttavia con maggior coscienza critica di quanto non avvenisse nell'Innamorato di Boiardo e con la consapevolezza che quel sistema sociale stava andando in crisi, a causa anche del declino della figura militare del cavaliere e dell'evoluzione delle guerre. La visione di Ariosto è perciò realistica e in linea coi tempi, fatto che risente della particolare condizione del poeta che era cortigiano e sperimentava su se stesso i limiti che questo ruolo imponeva nella società del primo XVI secolo, essendo l'uomo di corte sempre più uno stipendiato del signore al suo completo servizio e sottoposto talvolta alla sua tirannia, in modo diverso da quanto avveniva ad esempio alla corte di Lorenzo de' Medici nella Firenze del Quattrocento. Questo vale per l'esperienza di Ariosto soprattutto al servizio del cardinale Ippolito, almeno fino alla decisione di non seguirlo in Ungheria che gli costerà il posto, e trova espressione in alcune delle Satire scritte a partire dal 1517, come la prima in cui giustifica in modo ironico la scelta di rompere col suo protettore e lamenta la triste situazione del segretario, oppure quella in cui, rivolgendosi all'amico Pietro Bembo cui chiede un precettore per il figlio Virginio, si sfoga ricordando di essere stato "oppresso" dal cardinale che non lo "lasciò fermar molto in un luogo" e lo trasformò "di poeta, cavallar", per cui era così impegnato da non avere il tempo di imparare il greco e altre lingue antiche. La critica della corte torna anche nel poema, specie nell'episodio di Astolfo sulla Luna dove

"il servir de le misere corti" viene sferzato con ironia e dove si punta il dito soprattutto sull'adulazione che è la miglior qualità per il cortigiano, per cui emerge con chiarezza la denuncia della progressiva riduzione della libertà intellettuale di chi è al servizio dei potenti, situazione che si sarebbe ulteriormente aggravata nell'età della Controriforma. Nonostante questa visione critica, tuttavia, va detto che Ariosto all'ambiente di corte seppe ben adattarsi e la sua critica non andò mai al di là di una blanda ironia nei confronti dei suoi potenti protettori, se è vero che passò dal servizio di Ippolito a quello del duca Alfonso e fu in stretti rapporti con i migliori esponenti della società aristocratica del suo tempo, inoltre (come detto) la sua visione del mondo ignora o quasi il destino degli umili che erano esclusi dalla dimensione dorata della corte rinascimentale, nei confronti dei quali Ariosto, come gran parte dei suoi colleghi scrittori del Cinquecento, ostentò sempre indifferenza se non disprezzo (sul punto si veda specialmente il poema e la rappresentazione in esso del mondo contadino).

Orlando furioso Introduzione L'Orlando furioso è un poema epico-cavalleresco scritto in ottave da Ludovico Ariosto nella prima metà del XVI secolo, la cui prima edizione è del 1516 (in 40 canti e in volgare emiliano), mentre la terza e definitiva è del 1532 (in 46 canti e con la lingua corretta secondo le indicazioni di Pietro Bembo). L'opera prosegue idealmente la trama dell'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e racconta le avventure dei paladini cristiani di Carlo Magno impegnati nella guerra contro i Saraceni di Spagna nell'VIII secolo, anche se lo sfondo storico è scarsamente rispettato dall'autore e fornisce il pretesto per la narrazione di vicende in gran parte fantastiche. I protagonisti principali del poema di Ariosto sono gli stessi personaggi dell'Innamorato, ovvero Orlando (il campione dei guerrieri cristiani, che è innamorato di Angelica e a causa sua perde il senno, da cui il titolo dell'opera), Rinaldo, Angelica (la principessa del Catai già al centro della trama del primo poema), Ruggiero (il guerriero saraceno destinato a convertirsi e a sposare Bradamante, matrimonio da cui avrà origine la casata estense), oltre ai guerrieri pagani Rodomonte, Mandricardo, Ferraù e altri. La trama del poema è ricchissima di altri personaggi e di intermezzi narrativi che deviano dalla trama principale, alternati secondo la tecnica dell'intreccio di cui Ariosto si dimostra conoscitore esperto, anche al fine di mantenere sempre desta l'attenzione del lettore. Nella parte finale del poema l'attenzione si sposta dalle vicende amorose di Orlando e Angelica per concentrarsi sulla guerra tra pagani e cristiani, in cui avrà un ruolo decisivo Ruggiero e che si concluderà con la vittoria definitiva dei Franchi. Grande spazio ha l'elemento magico e sovrannaturale, come del resto già nell'Innamorato, e su tutto domina l'ironia dell'autore, che spesso trae spunto dalle vicende dei personaggi per trarre le sue personali considerazioni sulla vita e sugli errori degli uomini, sempre alla ricerca di qualcosa che non trovano (celebre in tal senso l'episodio del palazzo di Atlante, ma anche quello famosissimo di Astolfo sulla Luna). L'opera ha avuto uno straordinario successo già nel Rinascimento ed è considerata uno dei capolavori assoluti della letteratura italiana, avendo contribuito anche a imporre la soluzione linguistica proposta da Bembo, ovvero il toscano della tradizione letteraria (soluzione adottata da Ariosto che di Bembo era amico). Il poema ha subìto vari adattamenti teatrali e televisivi, nonché dei rifacimenti letterari in chiave moderna di cui il più famoso è senz'altro quello in prosa di Italo Calvino del 1970.

Titolo, struttura, storia editoriale Ariosto iniziò la composizione dell'opera molto precocemente, probabilmente già dal 1502-1503 (una lettera di Isabella d'Este ne fa menzione nel 1507) ispirandosi alla tradizione del poema cavalleresco che era tornato di gran moda nella letteratura del Quattrocento, specie alla corte estense di Ferrara dove Boiardo aveva ottenuto grande successo con l'Orlando innamorato: egli si propose anzi di continuare in un certo modo la trama del poema boiardesco rimasto interrotto al canto IX del III libro, anche se l'opera di Ariosto si configurò subito come originale e in parte lontana dal modello precedente. Il titolo si rifà certo all'Hercules furens di Seneca e mette in evidenza l'ulteriore novità nella trama rispetto al poema di Boiardo, in quanto il protagonista Orlando non solo è innamorato di Angelica ma a causa del suo tradimento perde completamente il senno e fa mancare il suo apporto alla guerra dei Franchi contro i mori (la stessa opera di Boiardo, il cui titolo originale era Inamoramento de

Orlando, verrà ribattezzata Orlando innamorato nel XVI secolo proprio sull'esempio del capolavoro ariostesco). Ariosto pubblicò una prima edizione del poema in 40 canti di ottave nel 1516, con dedica al cardinale Ippolito d'Este mantenuta anche nelle stampe successive, forse con una velata ironia; successivamente lavorò a un rifacimento dell'opera e ci fu una seconda edizione nel 1521, con poche varianti della trama e del linguaggio. Le correzioni decisive furono apportate alla terza e definitiva edizione, che vide la luce nel 1532 e che presentò due differenze fondamentali rispetto alle precedenti: anzitutto la trama venne arricchita di numerosi episodi relativi alla guerra contro i mori e la materia accresciuta a 46 canti, inoltre la lingua venne modificata seguendo le indicazioni di Pietro Bembo nelle Prose della volgar lingua, quindi Ariosto adottò il fiorentino letterario al posto del volgare emiliano presente nelle prime due edizioni. Il successo di questa versione fu tale da imporre la soluzione "bembiana" alla questione della lingua come quella largamente adottata nella letteratura del Rinascimento, che infatti (almeno al livello più alto) scelse il fiorentino trecentesco come proprio volgare e tracciò una strada seguita poi dai principali scrittori italiani almeno fino all'Ottocento, quando il problema verrà riaperto e diversamente risolto da Alessandro Manzoni con la seconda edizione dei Promessi sposi. Il lavoro di Ariosto intorno all'edizione del 1532 fu incessante e sappiamo che negli ultimi anni sottoponeva il poema al giudizio degli amici intellettuali che frequentavano la sua casa, accogliendo critiche e suggerimenti e apportando ulteriori correzioni dove riteneva necessario. Rimasero estranei alla versione definitiva del poema i cosiddetti Cinque canti, ovvero una aggiunta alla trama principale dell'opera riguardante i maneggi di Gano di Maganza e che Ariosto compose in un periodo tuttora imprecisato, ma forse successivo alla prima ediz. del 1516; in questa parte doveva forse essere descritta l'uccisione di Ruggiero già anticipata da Boiardo nell'Innamorato, ma l'aggiunta di Ariosto viene lasciata interrotta senza una vera e propria conclusione e resterà fuori dalle successive edizioni del Furioso, che infatti termina col matrimonio di Ruggiero e Bradamante (i Cinque canti verranno stampati postumi nel 1545).

Trama Il poema ha una trama estremamente complicata e ricchissima di personaggi e filoni narrativi secondari, per cui riassumerla in modo esauriente eccederebbe i limiti di questa trattazione: in generale si può affermare che l'opera si sviluppa seguendo due grandi linee di racconto spesso intrecciate fra loro, quella riguardante la guerra tra cristiani e pagani già oggetto dell'epica carolingia e quella degli amori e delle vicende romanzesche che hanno come protagonisti i paladini di entrambi i campi, un dualismo già evidente nell'ottava proemiale ("Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, / le cortesie, l'audaci imprese io canto..."). A ciò si aggiungono innumerevoli intermezzi non direttamente legati alla trama principale che arricchiscono ulteriormente il già complicato intreccio, a volte sotto forma di racconti e favole inserite come pausa narrativa dall'autore. Questi, in estrema sintesi, i principali episodi di cui si compone l'opera. 1. La fuga di Angelica L'inizio della narrazione riprende in parte l'Innamorato di Boiardo rimasto interrotto, quando Carlo Magno sottraeva Angelica ai due contendenti Orlando e Rinaldo promettendola in sposa a chi si fosse battuto più valorosamente nell'imminente battaglia contro i mori di re Agramante che dall'Africa hanno passato i Pirenei e invaso la Francia, nel tentativo di vendicare la morte del padre Troiano ucciso proprio da Orlando (Innamorato). Lo scontro si risolve in una sconfitta per i cristiani di cui Angelica approfitta per fuggire, dando inizio a una girandola di inseguimenti (da parte di Rinaldo, Ferraù, Orlando...) da cui partono la maggior parte delle vicende romanzesche del poema.

Angelica viene catturata dagli abitanti dell'isola di Ebuda e legata a uno scoglio per essere divorata da un'orca mostruosa, venendo poi liberata da Ruggiero. La donna si rende invisibile grazie al suo anello magico e continua a fuggire, spezzando in seguito l'incantesimo del secondo castello del mago Atlante. Capitata sul campo dove infuria la guerra tra pagani e cristiani, si imbatte nel giovane fante saraceno Medoro gravemente ferito: lo cura, si innamora di lui e lo sposa, partendo poi con lui per l'Oriente. Sul lido di Tarragona, in Spagna, i due stanno per imbarcarsi, quando incontrano un pazzo dal quale scappano a stento: è Orlando, che ha appreso del loro matrimonio e ha perso il senno. Angelica e Medoro partono e questa è la loro ultima apparizione del poema. 2. La follia di Orlando Orlando, il campione dei paladini cristiani, fa un sogno in cui vede Angelica in pericolo, quindi lascia Parigi nel bel mezzo della guerra contro Agramante e inizia a cercare la donna. Giunto in Olanda, aiuta Olimpia contro Cimosco, malvagio re negromante che possiede un archibugio. Orlando sconfigge Cimosco e distrugge l'arma, poi libera Olimpia dall'orca dell'isola di Ebuda (la donna, abbandonata dall'amato Bireno, era stata a sua volta catturata). In seguito il paladino finisce nel secondo castello di Atlante, in compagnia di Ruggiero e altri guerrieri, e viene liberato grazie all'intervento di Angelica che gli sfugge. Libera Isabella dai predoni che l'avevano rapita e la riconsegna al fidanzato Zerbino, dopo aver liberato anche lui dai Maganzesi. Si scontra col pagano Mandricardo, ma durante una pausa del duello capita nel luogo che aveva visto l'amore di Angelica e Medoro, finendo per impazzire di gelosia : avendo perso del tutto il senno, Orlando si trasforma in un bruto che va in giro per il mondo a fare follie, finché Astolfo non va sulla Luna a recuperare il suo senno sotto forma di liquido dentro un'ampolla. Il paladino riacquista il senno grazie all'intervento di Astolfo e altri guerrieri, quindi torna a dare il suo apporto alla guerra contro i mori e partecipa allo scontro dei tre contro tre sull'isola di Lipadusa, che si conclude con la vittoria dei cristiani. A questo punto Orlando torna a Parigi, essendo la guerra vinta su tutti i fronti. 3. L’amore di Ruggiero e Bradamante Bradamante, la sorella di Rinaldo innamorata del pagano Ruggiero, cerca il suo amato e incontra Pinabello, che le racconta di come il fidanzato sia prigioniero del mago Atlante, suo padre adottivo che vuole impedire che diventi cristiano. La donna libera Ruggiero dal primo castello del mago anche grazie all'aiuto di Melissa, un'incantatrice che le predice le future gesta degli Este la cui stirpe nascerà dalle nozze tra lei e il guerriero (è il tema encomiastico del poema, per cui si veda oltre). Ruggiero viene però sottratto dall'ippogrifo, un cavallo alato inviato da Atlante, e giunge all'isola della maga Alcina dove libera Astolfo trasformato in mirto. In seguito, sempre in groppa all'ippogrifo, Ruggiero libera Angelica dall'orca dell'isola di Ebuda e ne è affascinato, ma la donna fugge grazie all'anello magico. Il guerriero viene poi nuovamente rapito da Atlante nel suo secondo castello, che Astolfo riuscirà a distruggere liberando lui e Bradamante, prima di impossessarsi dell'ippogrifo. Ruggiero decide di tornare al campo pagano per unirsi a re Agramante, ma viene coinvolto in una serie di scontri con gli altri saraceni e, ferito, deve separarsi da Bradamante. Ritrovata la sua donna...


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