Casi pratici diritto privato I Pasquino PDF

Title Casi pratici diritto privato I Pasquino
Course Istituzioni di diritto privato I
Institution Università degli Studi di Trento
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Riassunti dei casi da studiare nell'ambito del corso di Istituzioni di diritto privato I, con la Professoressa Teresa Pasquino (A-J)...


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La soggettività giuridica del concepito (caso 1) Fatto: Tizia, non potendo concepire, si rivolge ad un centro dove le viene prescritto un farmaco per stimolare l’ovulazione. Dopo alcuni mesi, la donna rimane incinta. Viene prescritto alla donna un secondo farmaco. Il bambino nasce con gravi malformazioni riconducibili alla somministrazione del farmaco. Premessa: la situazione giuridica del concepito non è espressa nella Costituzione. Per C.C. la capacità giuridica si acquisisce alla nascita (art. 1, comma 1). In alcune norme del codice civile è anche considerata la situazione giuridica del nascituro, non ancora concepito. La Costituzione concepisce al centro delle situazioni giuridiche l’uomo. Per la dottrina il concepito è meritevole di tutela costituzionale in quanto portatore della dignità e delle qualità che accumunano tutti gli appartenenti alla specie umana come uomo. Il concepito sarebbe essere umano perché tutelato nella salute come individuo, diritto statuito dall’art. 32 della Costituzione. La Corte Costituzionale afferma: “l’art. 2 della Costituzione tutela e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, tra i quali rientra la situazione giuridica del concepito”. Risarcimento del danno: tale diritto può essere riconosciuto tramite due diverse strade:  

Una prima consiste nel dividere la condotta lesiva, anteriore alla nascita, dall’evento del danno, verificatosi alla nascita con la quale il (ormai nato) concepito assume la capacità giuridica. Una seconda concepisce il concepito come soggetto di diritto anche nel momento prenatale e quindi il suo diritto alla salute subordinando l’azione al risarcimento del danno una volta che questo nasce.

Decisione della Corte: Il concepito è un soggetto di diritto. Pertanto, la persona nata con malformazioni dovute alla colposa somministrazione di farmaci dannosi alla madre è legittimata a domandare il risarcimento del danno alla salute contro il medico che quei farmici prescrisse. La Corte riconosce al concepito il diritto a nascere sano in virtù degli artt. 2-32 della Costituzione. Interdizione giudiziale e diritto di voto (caso 2) Fatto: Nel 1980 si sono svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Pettineo. La differenza di voti tra le due liste era di appena un voto, così che il risultato fosse impugnato. Il Tribunale amministrativo regionale confermava la validità dell’esito. Nel processo d’appello emerse una particolarità: alle votazioni avevano fatto parte anche 4 interdetti per totale infermità di mente. Si pose così il problema che quei 4 voti avessero avuto un peso determinante alle elezioni. Premessa: L’art. 48 della Costituzione prevede che il diritto di voto può essere limitato solo per incapacità civile o per effetto di condanna penale irrevocabile e nei casi di indegnità morale. In passato un art. vietava la possibilità del voto ad interdetti ed inabilitati per infermità di mente. Questa previsione è stata abrogata dalla legge Basagli anche se il legislatore non ha provveduto a dettare una nuova disciplina. Secondo la dottrina il diritto di voto è da considerarsi rispristinato in capo a tutti i soggetti. La dottrina presuppone l’esistenza di una separazione tra la capacità di agire e la capacità elettorale, una di diritto privato, una di diritto pubblico. Pertanto, si potrà avere un soggetto incapace dal punto di vista civilistico che però è ritenuto capace di esprimere una volontà elettorale. Tuttavia, l’art. 48 della Costituzione afferma che il voto è personale e presuppone la capacità di autodeterminazione del soggetto. Capacità che manca nell’incapace. Decisione della Corte: il Consiglio di giustizia della regione Sicilia riteneva fondata la questione di legittimità della norma che attribuiva la possibilità di voto agli interdetti per totale infermità di mente. La questione passò dunque alla Consulta, con la quale si sarebbe potuto trovare una soluzione a livello più alto con una dichiarazione di incostituzionalità della legge Basaglia. Tuttavia, la Corte Costituzionale dichiarò inammissibile la questione proposta. Nel frattempo, con vari ricorsi, 5 voti furono assegnati alla lista precedentemente vincitrice cosicché la differenza passava da 1 a 5 voti rendendo influenti i 4 voti degli interdetti. Ad oggi il dato normativo è rimasto immutato.

L’immobile in comodato adibito a casa famigliare e provvedimento in sede di separazione (caso 3) Fatto: Caio concede al figlio Sempronio, in occasione del matrimonio con Mevia, un immobile di sua proprietà con un contratto che non conteneva alcun termine di durata. Dal matrimonio nasce un figlio. I coniugi si separano, il figlio è affidato alla madre alla quale viene riconosciuto il diritto di abitazione sulla casa famigliare. Caio agisce in giudizio contro gli ex coniugi per la restituzione dell’immobile. In giudizio Mevia oppone che, in quanto affidataria del figlio, possiede titolo idoneo per il godimento del bene. La domanda di Caio è respinta dal Tribunale. Stessa cosa avviene presso la Corte di Appello. La corte di Appello si adegua a quanto previsto dalla Cassazione in tema di comodato della casa famigliare. Caio fa ricorso per Cassazione. Nozione: il comodato è il contratto mediante il quale il comodante consegna al comodatario una cosa mobile o immobile affinché se ne serva per un tempo determinato con l’obbligo di restituirla. Si presume gratuito. Premessa: in primo luogo la Cassazione deve stabilire se in caso di separazione dei coniugi si assiste ad una successione ex lege del coniuge al quale è affidata la casa nell’originale contratto di comodato oppure se il titolo di godimento del bene è garantito al coniuge dal provvedimento del giudice. Nel primo caso si applica la disciplina del comodato. Nel caso in cui si accerti una successione ex lege, la Cassazione è inoltre chiamata a stabilire se si tratta di comodato precario o ordinario. Precario è quel tipo di comodato nel quale il comodatario può richiedere in qualsiasi momento la restituzione del bene, ordinario è quel tipo di comodato in cui il comodatario può richiedere la restituzione del bene solo in caso di urgente bisogno. Pretese delle parti: Caio sostiene che il contratto di comodato era stato stipulato senza la previsione di un tempo di durata potendosi così inquadrare nella categoria del comodato precario. Inoltre, sostiene che non vi sia alcun vincolo di destinazione dell’immobile dal momento che era stato dato in godimento ai coniugi come sistemazione provvisoria. Decisione: La difesa della parte resistente trova la principale fonte nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione la quale aveva stabilito che in caso di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile affinché sia adibito a casa famigliare in caso di assegnazione di questo al coniuge affidatario di figli minorenni, tale provvedimento non modifica la natura del contratto ma concentra nel coniuge affidatario il diritto di godimento. Inoltre, la Corte ha stabilito che si tratta di un comodato a tempo indeterminato. Tale termine corrisponde al momento in cui i figli conviventi con il coniuge che gode del godimento del bene avranno raggiunto l’indipendenza economica. Infedeltà del coniuge e addebito della separazione (caso 4) Fatto: Caia chiede la separazione con addebito al marito ai sensi dell’art. 151 c.c. A sostegno di ciò caia affermava che il marito aveva trascurato la famiglia per dedicarsi ai suoi interessi. Tizio a sua volta chiedeva la separazione con addebito alla moglie giustificata dall’infedeltà di quest’ultima e poiché la moglie aveva cambiato, in sua assenza, la serratura della porta con l’intento di far allontanare il marito dalla casa coniugale. Il tribunale di Cosenza addebitava la separazione a Caia a causa della sua infedeltà. La Corte d’Appello addebitava la separazione al marito sulla base di una missiva inviava da Tizio a Caia in cui ammetteva di aver trascurato gli interessi della famiglia. Per la Corte la infedeltà della moglie era stata frutto della non curanza del marito degli affetti e dei bisogni della famiglia. Tizio ricorreva alla Cassazione per due motivi: 1) in primo luogo la Corte d’Appello aveva sottovalutato la colpa dell’infedeltà; 2) in secondo luogo Tizio riconosceva un vizio nella motivazione della sentenza, avendo la Corte attribuito rilevanza decisionale ad una missiva che aveva lo scopo di riconciliare i coniugi. Questione di diritto: la prima questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte fa riferimento ai criteri da seguire al fine di pronunciarsi per l’addebito della separazione. La seconda questione fa riferimento al valore che deve essere attribuito ad una missiva in cui vi sono ammissioni circa violazione dei doveri coniugali da parte di un coniuge, ovvero se esse abbiano valore di confessione oppure se esse devono essere valutate dal giudice insieme ad altri elementi.

Premessa: la domanda di addebito è una domanda autonoma dalla domanda di separazione, ed ha effetti solo patrimoniali. Il coniuge al quale viene addebitata la separazione perde il diritto al mantenimento, l’uso dei mobili presenti nell’abitazione e il diritto di abitazione ella casa coniugale mentre conserva, in talune circostanze, il diritto agli alimenti. Pretese delle parti: Tizio porta avanti la lite su due distinti motivi. In primo luogo, la Corte avrebbe sottovalutato la gravità dell’infedeltà della moglie e quindi la Corte non avrebbe fatto una valutazione globale del comportamento di entrambi i coniugi. In secondo luogo, la Corte avrebbe dato troppo rilevanza ad una missiva in cui Tizio ammetteva le proprie mancanze con l’unico scopo di una riconciliazione come testimonia il fatto che in seguito i coniugi abbiano adottato una bambina. La difesa di Caia si basa sulla convinzione che la sua infedeltà non è stata causa della separazione ma conseguenza del comportamento di Tizio, venuto meno ai suoi doveri coniugali, comportamento cui fa prova la missiva. Pertanto, Caia afferma che l’infedeltà si è verificata in un momento in cui il matrimonio era di per sé concluso. Decisione: la Corte ha stabilito che nel giudicare a chi dei coniugi vada addebitata la separazione non vada dato il carattere di confessione alle missive fatte tra un coniuge e l’altro. Tali possono essere utilizzate come elementi aggiuntivi insieme ad altri elementi probatori, sempre che tali ammissioni esprimano fatti storici obiettivi. Pertanto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di Tizio rinviando la causa alla Corte d’Appello per una nuova valutazione della domanda di addebito. Lo stato di abbandono del minore (caso 5) Fatto: la sentenza trae le mosse da una della Corte di Appello di Torino in cui era stato decretato lo stato di abbandono di due sorelle. Nel giudizio di secondo grado la Corte esprimeva un giudizio negativo nei confronti dei genitori. Al padre, seppur gli si dava merito per astenersi dall’abuso di alcol da oltre un anno, gli si riconosceva la scarsa comprensione del suo ruolo di padre; la madre veniva presentata con una personalità inadeguata a provvedere ai bisogni delle figlie accompagnata dalla scarsa collaborazione con i servizi sociali ai quali erano affidati gli altri due figli della coppia. La nonna materna, nonostante le difficoltà economiche in cui versava, si era mostrata disponibile ad accudire una delle due sorelle. La corte di Appello aveva rifiutato la domanda della nonna materna non volendo dividere le due sorelle. Premessa: la questione posta all’attenzione della Cassazione riguarda l’accertamento della situazione di abbandono dei minori Pretese delle parti: i genitori affermavano che la Corte di Appello aveva decretato lo stato di abbandono dei minori senza considerare l’impegno dei genitori nel superare le proprie difficoltà personali dato che il padre aveva cessato lo stato di alcolista e locato un ampio immobile mentre la madre, tramite un percorso rieducativo, aveva ritrovato una propria serenità. Inoltre, si lamentava la mancata osservazione della richiesta della nonna materna. La nonna materna ricorreva alla Cassazione per due motivi: 1) in primis non veniva accertato lo stato di abbandono della sorella maggiore ma si era affermato il principio di non dividere le sorelle; 2) in secondo luogo veniva omesso il giudizio riguardo al mantenimento dei rapporti della nonna paterna con le nipoti. Decisione: secondo la Cassazione l’equilibrio famigliare non appariva dei migliori ma non era immodificabile, per cui le motivazioni della Corte Territoriale apparivano eccessive. Inoltre, la Corte mira a garantire il diritto del minore ad essere educato nella propria famiglia naturale. I problemi attribuiti ai genitori sono momentanei pertanto cadono i presupposti per la dichiarazione di adottabilità. La Corte richiamava la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale ha ritenuto violato l’art.8 della CEDU poiché un giudice aveva disposto l’adozione di un minore senza aver tenuto conto dell’interesse di quest’ultimo e senza idonea verifica della situazione in cui viveva. Risolta la questione relativa ai genitori restava da valutare la situazione della nonna. Per la Corte la presenza di un vizio nella decisione era evidente poiché lo stato di abbandono della sorella maggiore non era stato sancito a seguito di serie indagini ma era stato deciso in base al principio secondo cui le due sorelle non andavano divise. Pertanto, la Cassazione cassa la sentenza impugnata e la rimanda alla Corte di Appello di Torino la quale deve riconsiderare lo stato di abbandono delle minori, il mantenimento di un rapporto con la nonna, la possibilità di un affido temporaneo alla nonna materna.

La scienza della procreazione medicalmente assistita e il diritto alla filiazione (caso 6) Fatto: tre coppie di coniugi versavano in una condizione di assoluta sterilità e chiedevano al Tribunale di loro competenza che fosse ordinato al medico o alla struttura presso la quale si volevano rivolgere che fosse svolta una pratica di fecondazione assistita di tipo eterologo. Tale pratica era vietata nel nostro ordinamento ai sensi di una legge del 2004. I Tribunali di Milano, Firenze e Catania suscitavano la questione di costituzionalità della norma alla Consulta nel 2010, la quale però con decisione del 2012 restituiva gli atti ai giudici alla luce della sentenza nel caso S.H. e altri c. Austria, il cui esito incideva sulla questione di legittimità della legge 2004. A seguita della pronuncia in tale causa tutti e tre i Tribunali rimettevano alla Consulta la questione di costituzionalità in merito al divieto fi fecondazione eterologa. Nel giudizio dinanzi la C. Costituzionale interveniva anche il Presidente del Consiglio dei Ministri difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. Questione di diritto: ci si domandava se il divieto di fecondazione eterologa fosse da ritenersi illegittimo alla luce degli art. della Costituzione e alla luce degli art. 8-14 della CEDU. Premessa: due coppie austriache si erano rivolte al giudice di Strasburgo per contestare la legittimità della norma che in Austria ponevano limiti alla fecondazione eterologa. Tale norma vietava: ovodonazione, utilizzo di gameti maschili esterni alla coppia. La coppia rammentava la violazione dell’art. 8 CEDU (tutela della vita privata da interferenze di autorità pubbliche) e art. 14 (discriminazioni irragionevoli). La Corte di Strasburgo (2010) riconosceva dette violazioni e condannava lo Stato austriaco al risarcimento dei danni. Tuttavia, la Consulta riteneva che il divieto posto dalla legge 2004 non fosse incompatibile con l’art. 8 CEDU. Pretese delle parti: le parti proponevano l’incostituzionalità della legge 2004. I giudici dei tre Tribunali sostenevano che detta legge potesse essere in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, che propone il diritto all’uguaglianza, mentre di fatto, la legge 2004, permetteva solo ai soggetti affetti da patologie meno gravi il ricorso alla PMA. Secondo le coppie inoltre il divieto di fecondazione eterologa non sarebbe solo causa di discriminazione in basa alla patologia ma anche in base al censo. Infatti, negli anni si era instaurato un c.d. turismo procreativo che portava molte coppie sterili nei paesi in cui la fecondazione eterologa era accettata, il che richiedeva ingenti somme di denaro. Tuttavia, l’ordinamento non prevedeva una sanzione nei confronti di coloro che ricorrevano a tale pratica al di fuori dei confini nazionali. I Tribunali di Milano e Catania sostenevano che la legge 2004 fosse in contrasto con gli art. 2, 29, 31 Cost. in quanto limitavano il diritto alla piena realizzazione familiare (il divieto di F.E. non tutela il diritto all’integrità fisica e psichica della coppia). In tutti e tre i giudizi interveniva il Presidente del Consiglio dei Ministri affermando che le questioni erano inammissibili. A parare dell’Avvocatura dello Stato le pretese delle coppie avrebbero potuto creare un vuoto normativo che può essere colmato solo dal legislatore ordinario. Secondo l’Avvocatura la ratio della legge 2004 è quella di garantire l’identità biologica del nascituro. Decisione della Corte: è illegittimo l’art. 4 comma 4 della legge 2004 in quanto in contrasto con gli art. 2, 3, 29, 32 Cost. nella parte in cui vieta il ricorso alla fecondazione eterologa alle coppie alle quali è stata diagnosticata una patologia di sterilità o infertilità irreversibile. La pronuncia della Corte Costituzionale elimina dal 2014 il divieto di fecondazione eterologa. Secondo la Corte il divieto di fecondazione eterologa non vigeva da diversi anni, dal momento che prima del 2004 era ammessa. Inoltre, il divieto di F.A. non derivava nemmeno dall’osservanza di obblighi internazionali, pertanto, tale divieto era da considerarsi primo di fondamento costituzionale. In ultimo la Consulta affronta il problema del vuoto normativo opposto dall’Avvocatura di Stato. La corte ribadisce, come già fatto nel 1958, che il potere della Consulta di dichiarare l’incostituzionalità di una legge non può trovare ostacoli nella carenza legislativa che da tale giudizio può derivare. Spetta al legislatore ordinario colmarla nel più breve tempo possibile. Separazione personale e sospensione della prescrizione nei rapporti tra coniugi (caso 27) Fatto: nel 2003 Tizia intimava al coniuge Caio, da cui era separata dal 1980, il pagamento di una somma a titolo di mantenimento proprio e del figlio. Caio proponeva opposizione al Tribunale di Torino poiché, in primo luogo, affermava di aver adempiuto alle proprie obbligazioni, e in secondo luogo, affermava l’avvenuta prescrizione decennale dei diritti vantati da Tizia. Il Tribunale rigettava l’opposizione di Caio secondo l’art.

2941 comma 1. Contro tale sentenza Tizio si rivolgeva alla Corte di Torino, ribadendo la prescrizione del diritto vantato da Tizia. Con sentenza non definitiva la Corte di Torino accettava l’eccezione proposta da Caio richiamandosi alla giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale la prescrizione del diritto di mantenimento decorre dalle singole scadenze delle mensilità e non dalla data della sentenza. Con sentenza definitiva la Corte di Torino modificava l’iniziale ammontare dell’assegno ancora dovuto. Questioni di diritto: la principale questione riguarda l’applicazione del comma 1 dell’art. 2941 in caso di coniugi separati. Secondo Tizia tale comma è da applicarsi ai coniugi in quanto tali, senza eccezione per i coniugi legalmente separati. Per quanto riguarda la prescrizione degli assegni di mantenimento, la posizione creditoria vanta un interesse che non si soddisfa in un unico momento ma in distinti atti di adempimento, ovvero le cadenze mensili. Da questo concetto la giurisprudenza fa discendere il principio secondo cui la prescrizione degli assegni di mantenimento decorre dalle singole scadenze di ognuno di essi. Tali prestazioni sono assoggettate ad una prescrizione di 5 anni. Il comma 1 dell’art. 2941 stabilisce la sospensione della prescrizione tra coniugi, che rimane valida fino al perdurare del coniugio. Inizialmente tale comma era stato posto dal legislatore allo scopo di impedire l’acquisto per usucapione di beni dell’altro coniuge, evitando così di contravvenire all’art. del c.c. che vietava donazioni tra coniugi, art. che è stato poi abrogato dalla Corte Costituzionale. Sulla non uguaglianza di coniugi separati e divorziati si era già espressa la Corte Costituzionale affermando che il rapp...


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