Cellentani- completo manuale di servizio sociale PDF

Title Cellentani- completo manuale di servizio sociale
Course Sociologia
Institution Scuola Normale Superiore di Pisa
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manuale di servizio sociale, manuale di metodologia ...


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MANUALE DI METODOLOGIA PER IL SERVIZIO SOCIALE (Cellentani) PARTE 1 1. La prospettiva storica: nascita e sviluppo del serv. Sociale. Quando si parla di SS, per definirlo, bisogna capire quale spazio occupa, di quali elementi e dimensioni, variabili e costanti, è caratterizzato. Servizio sociale non è un’espressione cui sembra possibile associare,ovunque e in ogni tempo,un medesimo referente,preciso ed universalmente valido. Come emerge da quanto è stato scritto e teorizzato sembra ,piuttosto, di cogliere una molteplicità di significati,di valenze,di potenzialità differenti,di volta in volta attribuiti alla prassi ed alla teoria del servizio sociale. Dunque, è necessario fare chiarezza per questo motivo. Infatti,la necessità di recuperare una definizione dello specifico livello teorico ed operativo del servizio sociale è stata da sempre sentita dagli studiosi di scienze sociali ed in particolare dagli operatori sociali. Il complesso del materiale teorico e pratico sul servizio sociale appare eterogeneo e disarticolato,là dove la molteplicità delle ipotesi proposte,dei modelli e delle teorie espresse,caratterizzano un’analisi che appare spesso vaga,inafferrabile nei suoi contenuti essenziali,tanto da rendere complessa l’analisi stessa. Accade che spesso si tenti di individuare “una” o “la” metodologia del SS, ossia quel percorso più adeguato per operare nella pratica. In realtà però, l’obiettivo principale,prima ancora del come e del per chi dell’intervento, dovrebbe essere quello di tentare di specificare il servizio sociale in se stesso,le sue ragioni,le sue implicazioni,le sue prospettive,per poter addentrarci nel problema dei metodi e delle tecniche dell’intervento. A tal proposito, dunque, è necessario individuare in quale SPAZIO ed in quale momento il servizio sociale si struttura e prende corpo come sistema complesso e articolato di leggi e servizi. Tutto ciò ci rimanda ad una funzione specifica,che fin dal suo nascere viene attribuita al servizio sociale:la funzione di “punto d’incontro”tra bisogni individuali e risorse sociali. Il vivere in società,in gruppo,può essere interpretato come la prima e fondamentale risposta individuata per assicurare una qualche strategia di risoluzione allo stato di bisogno. E il primo nucleo che si forma per far fronte ai bisogni espressi è la famiglia,il clan. Naturalmente se si parla di famiglia non bisogna dimenticare che la sua configurazione strutturale e funzionale subisce nel tempo variazioni. Essa,muta al mutare delle condizioni esterne. E’ possibile ipotizzare che il bisogno è sentito nella società tradizionale soprattutto in termini di PARENTELA: l’individuo si trova privo di risorse e in stato di bisogno se non può integrarsi nella rete dei numerosi consanguinei ed affini. Parenti “spirituali” e parenti effettivi svolgono lo stesso ruolo: possono rispondere all’esigenza del singolo di individuare una rete di rapporti che lo sostenga e gli fornisca aiuto e risorse,non solo a livello materiale (sia nel lavoro quotidiano sia in momenti come quello della festa,dove si organizzano bisogni economici e nel contempo rituali). Così il vicinato e la piccola comunità a carattere localistico o religioso,o comunque dove i membri si sentono accomunati da valori e tradizioni comuni,diventano “luoghi”cui il singolo fa riferimento per la soluzione dei suoi bisogni. Da un lato la società tradizionale individua il nucleo familiare,e non il singolo soggetto,quale unità fondamentale nei rapporti di produzioni così come nelle relazioni interpersonali;dall’altro la comunicazione sociale intercorre all’interno di un gruppo familiare all’altro. Ciò che viene delineandosi è la rappresentazione di un universo “chiuso”,dove per costruire una propria identità,rapporti significativi,condizioni di vita accettabili, bisogna essere nella famiglia, il vicinato o altre forme di comunità,questa dimensione tende a proporsi e mantenersi come riferimento centrale per i bisogni del singolo. Universo chiuso ma non privo di interazioni: la famiglia,la rete di vicinato,la parrocchia,sono in continua interazione,ma “chiuso” perché propone un’orizzonte di vita e di valori omogeneo,cui il singolo riconduce ogni sua esigenza. Ogni individuo viene preso in considerazione in funzione di uno status e di un ruolo ben determinati che gli assegna un posto nello spazio. Uno spazio dove i bisogni trovano risoluzione. Con riferimento al TEMPO, è’ il processo di MODERNIZZAZIONE che coinvolge le società occidentali a partire dal XVIII secolo a provocare una serie di modificazioni all’interno della dimensione bisogni/risorse:

sistemi articolati ed organizzati di servizi succedono alle istituzioni delle società tradizionali ,si assiste ad un mutamento delle modalità di espressione,così come di risoluzione dei bisogni, ed è in questo mutamento,che verranno delineandosi le caratteristiche,le peculiarità e tratti distintivi del servizio sociale. Inoltre, la disgregazione dei gruppi tradizionali della famiglia, vicinato, parrocchia, avutasi con il processo di modernizzazione, destabilizza l’uomo. L’urbanizzazione e l’industrializzazione sono alcune delle “rivoluzioni”all’origine dei profondi mutamenti nell’assetto sociale così come nella percezione che l’uomo ha di sé e del mondo,registrati dalle società moderne. Cause e motivi di ordine diverso contribuiscono ad una disgregazione dell’universo chiuso,dell’orizzonte ristretto e rassicurante limitato alla rete dei rapporti dati dalla famiglia-famiglie vicine-piccolo gruppo-comunità,dove il singolo trovava riferimento necessario e sufficiente di informazioni,di valori,di modelli. Accanto a cause economiche,storiche e politiche non bisogna dimenticare l’influenza delle utopie ottocentesche e del pensiero illuminista. Esse rappresentano,le premesse ideologiche di tutte quelle attività e di tutti quegli interventi che daranno in seguito corpo allo STATO ASSISTENZIALE. Infatti,una prassi di intervento statale nel campo sanitario ed assistenziale si avrà via via con la modernizzazione realizzata dai sovrani negli Stati nazionali moderni. A livello ideologico, già Hobbes e Rousseau avevano affermato il diritto del cittadino a ricevere, se povero e malato, assistenze e cure dall’organizzazione politica. Sarà poi con la RIVOLUZIONE FRANCESE che queste ideologie verranno tradotte in provvedimenti legislativi, che sanciranno per esempio, l’assistenza a domicilio e la nazionalizzazione dei servizi sanitari e assistenziali. Lo STATO ASSISTENZIALE,nasce come risposta ai problemi che accompagnano la genesi e lo sviluppo delle economie precapitalistiche. Ovviamente, cambia il tipo di approccio e soluzione ai problemi,inoltre,i servizi verranno configurandosi in un corpus organizzato, rispetto a come apparivano nelle strutture tradizionali. Per questo motivo,lo spazio di “aiuto alla persona”cambia le sue caratterizzazioni,non è più il medesimo,nel momento in cui viene occupato da una struttura e standardizzato e pianificato,di contro a quanto di spontaneo ed informale poteva essere espresso da rapporti di solidarietà. In un tale contesto,in cui la gestione dei bisogni è realizzata da servizi e strutture “standard”, accadono due cose: a) si è verificato un “slittamento”dell’orizzonte di riferimento dell’individuo,per cui il rapporto singolo-gruppo di riferimento è ormai frantumato e l’uomo si colloca in una prospettiva universalistica. b) uomo e struttura ,sono distanti: non possono attivarsi tra le due dimensioni processi di identificazione paragonabili a quelli presenti a livello di comunità o di vicinato. In questo modo si verificano problemi di comunicazione e interpretazione reciproci.

Dunque, il servizio sociale nasce come espressione della nuova società moderna che si viene affermando in seguito alla modernizzazione,e la sua funzione,ovvero il suo RUOLO,appare quello di mitigare gli effetti della disgregazione della piccola comunità e dei suoi valori,di facilitare i cambiamenti sociali e l’adattamento che questi richiedono agli individui, oltre che contribuire alla realizzazione dei principi di uguaglianza e diritto di tutti i soggetti. La disgregazione dei modelli relazionali di tipo tradizionale lascia spazio all’emergere di modelli nuovi di azione e di pensiero. In questa nuova realtà sociale l’individuo diventa l’unità minima dotata di significato ,mentre i percorsi di costruzione della propria identità,non saranno più dati dall’essere membro di una data famiglia o dall’appartenere ad una determinata aggregazione sociale,ma dal sempre complesso rapporto individuo-società. Sarà quindi al sistema sociale nella sua globalità che l’individuo dovrà far riferimento per individuare un sistema di valori,di modelli di riferimento che gli permetta di trovare uno spazio,un senso,nell’universo urbano. Il disagio che si accompagna a questi processi di adattamento viene registrato nelle analisi sociologiche, che testimoniano la consapevolezza di cambiamenti travolgenti e la volontà di trovare compromessi tra vecchie risorse e nuovi bisogni. E proprio in questo contesto il servizio sociale nasce e trova un senso:come espressione e prodotto di una società complessa che tenta di produrre e articolare risposte ai problemi che essa stessa induce. L’urbanizzazione disgrega le famiglie, e rende il vicino un estraneo, pertanto sono richieste nuove forme di intervento sociale, poiché nella città non si può contare sui propri vicini, ne sui parenti che spesso vivono lontano. La città, infatti, è il “luogo”psicologico ed economico di realizzazione della moderna

società. La prima fase dell’urbanesimo,individuata come “urbanizzazione primaria”,si situa in una cornice caratterizzata dalla comparsa di un’economia di tipo feudale:un’economia che vede l’affermarsi di nuove e più complesse forme di mercato che accompagnano il sorgere del borgo medioevale. In questa fase la cultura urbana si nutre del portato della realtà rurale e rappresenta un’articolazione “colta”delle tradizioni”, dunque non vi è ancora alcun conflitto tra cultura rurale e cultura urbana . Una seconda fase detta “urbanizzazione secondaria”,vede l’esplosione spesso violenta e travolgente,di una società urbano-industriale di cui la METROPOLI sarà l’elemento caratterizzante per eccellenza. In questa realtà viene emergendo un nuovo modello comportamentale e relazionale che caratterizzerà una nuova tipologia di UOMO URBANO, che non farà più riferimento ai tradizionali nuclei di integrazione e solidarietà ma sempre più farà riferimento alle sue tecnologie ed alle sue politiche,le sole in grado di affrontare i complessi problemi che singoli e gruppi incontrano nel loro quotidiano con la complessa realtà urbana. Il servizio sociale fa suo il COMPITO di raggiungere concretamente degli obiettivi, rivolgendosi ai bisogni di singoli e gruppi,tentando di affrontarli e risolverli nel contesto della realtà dei servizi e delle strutture realizzate dal sistema sociale, ponendosi, dunque,in un ruolo di mediazione del rapporto individuosocietà analogo a quello svolto dalla piccola comunità o dal clan del passato. L’emarginazione e la ghettizzazione in quartieri o slams di frange sempre più consistenti di popolazione,sono emblematiche delle reali difficoltà incontrate da singoli e gruppi nel diventare parte integrante ed attiva del nuovo tessuto sociale urbano mentre,che finiscono col determinare occasioni di potenziale devianza e marginalità mal tollerabili dalla società stessa. Sarà proprio a questi problemi che si rivolgerà l’attenzione dei primi sociologi urbani,alla conoscenza ed all’interpretazione di questi problemi indirizzeranno i loro studi e le loro ricerche;ma a questi problemi si rivolgeranno anche le azioni dei primi CENTRI SOCIALI. Così, l’esigenza di assistere concretamente queste particolari fasce sociali (poveri, disoccupati, alcolisti, devianti ecc..) e l’esigenza sociale di “controllare” queste“patologie” , porterà ad una pianificazione degli interventi sociali, rivolte a precise fasce di utenti. Il servizio sociale, prodotto e risposta del passaggio da società tradizionali a società moderne,si viene via via definendo secondo una precisa ide ologia, che elabora un modello di uomo urbano,integrato ai valori dominanti della società industriale. La prima fase di nascita e sviluppo del servizio sociale sarà segnata dall’esigenza di socializzare singoli e gruppi ai valori e modelli di riferimento comportamentali, tipici del contesto urbano. E ciò perché,i problemi che le società trasformate dalla modernizzazione si trovano davanti sono generalmente riconducibili alla necessità di integrare organicamente gruppi differenziati e legati,ancora,a modelli di riferimento tradizionali. Soggetti principali da assistere ed integrare verranno,individuati nelle fasce di emigrati,di contadini bruscamente urbanizzati,di abitanti delle grandi periferie urbane; fasce in cui si concentrano lacerazioni,disagi e conflitti legati a mutamenti profondi e radicali. Importante è l’apporto dato dalla Sociologia e Psicologia, in questo senso, le quali furono considerate “scienze nuove”e “rivoluzionarie”, espressioni di una società che nel corso del 1800 era profondamente mutata. Fino al 1660 le scienze UMANE erano state contrapposte a quelle NATURALI, le quali si basavano sulla verifica empirica dei fatti. Però, a partire dal 1800-900 le scienze umane, per la prima volta, studiarono l’uomo, basandosi sulla verifica e osservazione dei fatti. Importante ruolo, per esempio, avranno le teorie di Freud sulle “pulsioni e relazioni”, ma non solo: anche il diritto, l’economia adotteranno l’uomo come oggetto di analisi. Anche in sociologia, si avvertirà la necessità di elaborare teorie per la comprensione di fenomeni come la “stratificazione sociale”,” mobilità sociale”, “istituzioni” e l’individuazione di normative e codici di regolamentazione dei rapporti privati e pubblici.

2. La prospettiva metodologica

Dunque, storicamente, lo spazio e il tempo all’interno del quale collocare il SS è dato dall’affermarsi delle moderne SOCIETA’ INDUSTRIALI, all’interno delle quali, si impongono nuovi sistemi di vita e valori, venendo meno le tradizionali istituzioni di famiglia, vicinato e solidarietà, sostituite da altre realtà, legate all’emarginazione e alla povertà. Detto questo, ciò che caratterizza l’intervento sociale è proprio il fatto che fin dal suo nascere e,lungo tutto il suo percorso evolutivo il servizio sociale viene a trovarsi “costretto” in una situazione di URGENZA SOCIALE da affrontare, legato più al problema del “che fare”piuttosto che del “come”fare, e questo perché concreti e urgenti appaiono i problemi che deve affrontare. La nuova società moderna si sta evolvendo in maniera rapida e complessa e dunque,occorre intervenire rapidamente affinché la fascia degli emarginati e devianti sociali possa essere circoscritta e recuperata. Questi aspetti accompagneranno il SS lungo tutto il suo percorso evolutivo e, allo stesso tempo, determineranno e alimenteranno la “debolezza”metodologica di questa professione. Infatti, a questa situazione di “urgenza”non sembrano esservi molte soluzioni se non quella di un riferimento alle teorie e i metodi delle scienze sociali,in particolare della psicologia e della sociologia: è proprio all’interno di queste discipline che verranno individuati gli strumenti teorici e pratici per l’intervento sociale. Così i metodi dell’intervento sociale verranno definendosi come “psicologici”,oppure “sociologici”a seconda del modello teorico sentito più soddisfacente. SVILUPPO DELLA PROFESSIONE E METODI DI INTERVENTO: “Il servizio sociale nel 1950,i suoi limiti, le sue azioni”,fu il tema della V conferenza Internazionale sui servizi sociali svoltasi a Parigi nello stesso anno,all’interno della quale emerse questo aspetto centrale della “pratica”rispetto alla teoria ,sia nella formazione che nell’operatività quotidiana,e la sostanziale disparità nei programmi formativi delle scuole di servizio sociale. Infatti, nelle sedi formative americane si cercava di studiare alcune metodologie specifiche di servizio sociale, in Europa “si privilegiava un insegnamento basato su elementi di storia e analisi del cambia mento sociale”. Inoltre,in Italia erano sorte numerose scuole di servizio sociale di estrazione cattolica,aventi programmi molto diversi tra loro ma con l’obiettivo di formare un’operatore sociale capace di intervenire e gestire la complessa situazione postbellica,ricca di contraddizioni,problemi. Per queste ragioni, era necessario effettuare un confronto con la realtà americana, dove sembrava essersi già affermata un’elaborazione metodologica del SS. Nel 1951 Hamilton sosteneva che il SS aveva da tempo perfezionato tre distinte branche di lavoro: 1. CASE WORK 2. COMMUNITY ORGANISATION 3. GROUP WORK (L’esistenza di 3 elementi è data dal fatto che esistono esigenze e soluzioni di massa, esigenze e soluzioni di gruppo, esigenze e soluzioni individuali). Al contrario, In Europa la pratica degli operatori sociali,in assenza di specifiche metodologie,fondava sull’intuizione e sul buon senso personale. Fu così,che i paesi europei,negli anni ’50-60 articolarono un programma di assistenza tecnica e collaborazione a carattere internazionale,realizzato in Italia dall’Associazione aiuti internazionali (Aai),sotto il patrocinio dell’Onu aventi per scopo: - il coordinamento dei programmi delle scuole di servizio sociale esistenti. - la diffusione di metodologie sperimentate negli Stati Uniti. (mediante traduzione di articoli, inviti di esperti stranieri in italia, viaggi studio all’estero…). Queste iniziative fecero maturare la consapevolezza della necessità di una competenza scientifica al di là delle qualità umane. IL CASE WORK (o SS individuale) fu definito come “troppo”psicologico. In effetti, si agganciava troppo alle teorie psicologiche,in particolare quelle freudiane che si imponevano in quegli anni anche in America, qui introdotte dallo stesso Freud quando nel 1909 fu invitato a tenere una serie di conferenze sulla psicoanalisi per il ventesimo anniversario di fondazione della Clark University di Worcester,di Massachusetts. In particolare alcune nozioni e indicazioni metodologiche della sua teoria colpirono gli studiosi delle scienze sociali, come:

a) l’importanza data alla relazione paziente terapeuta, b) la consapevolezza del paziente e rielaborazione dei propri conflitti, c) l’ascolto e l’attenzione a tutto quanto viene comunicato dal paziente senza preconcetti e stereotipi, per cogliere non solo il problema o la sofferenza del soggetto,ma anche,e soprattutto,le modalità e le strategie con cui la persona ha affrontato o si è difesa concretamente dal problema, d) l’esame di realtà come possibilità per il soggetto di rendersi consapevole dei propri problemi e delle “resistenze”ad affrontarli. Dunque, la relazione, la comunicazione nella relazione stessa, l’ascolto, il sostegno, furono i temi principali che gli operatori sociali estrapolarono dalla teroia psicoanalitica, perché ritenuti idonei alla realizzazione degli obiettivi alla base del Case Work. Il case-work fu così introdotto nei programmi delle scuole di servizio sociale e fu considerato come la “soluzione per ridare identità professionale all’assistente sociale,per fronteggiare il rischio rifiuto da parte degli utenti”. Esso, dava la possibilità di conoscere “scientificamente” l’individuo. Tuttavia, ritenuto astratto e a-storico il case-work verrà via via considerato un metodo troppo legato alla prospettiva individuale dei problemi,mentre inizia a farsi sempre più pressante l’esigenza di un metodo che aiuti a cogliere la complessità sociale e dei gruppi in cui l’individuo è inserito. Esso era criticato dunque, perché non teneva conto delle componenti sociali che possono essere alla base dei problemi.

Il GROUP WORK (o SS di gruppo) nasce e si sviluppa sempre in America intorno agli anni ’20 in seguito alle teorizzazioni ed alle ricerche sperimentali della psicologia sociale. Secondo questa prospettiva, il gruppo, si connota come uno dei possibili percorsi per l’analisi del rapporto individuo-società. In un rimando alla tradizione sociologica è d’obbligo il riferimento alla famosa distinzione di Cooley che ancora oggi mantiene intatta la sua influenza in qualsiasi lavoro sui gruppi. L’autore distingue tra gruppi cosiddetti “primari” in quanto carichi di affettività e in quanto offrono all’...


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