Civilta’ Della Vergogna E Civilta’ Della Colpa 3 PDF

Title Civilta’ Della Vergogna E Civilta’ Della Colpa 3
Author Assunta Mazzo
Course Lingue e civiltà orientali
Institution Sapienza - Università di Roma
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Appunti civiltà di vergogna, università ...


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CIVILTA’ DELLA VERGOGNA E CIVILTA’ DELLA COLPA Il termine civiltà della vergogna o cultura della vergogna è un termine utilizzato dal filologo, antropologo e grecista irlandese Eric R. Dodds ne “I Greci e l’irrazionale” per descrivere la società omerica e i modelli sociali su cui essa si basava. Ogni società elabora modelli di comportamenti diversi, canoni ideali. Nel mondo greco arcaico questi erano suggeriti dalla poesia epica, di cui fanno parte Iliade ed Odissea. Era uno strumento di trasmissione del patrimonio culturale e modello di formazione educativo per le nuove generazioni, perché appunto trasmetteva i valori e i canoni desiderabili. Gli antropologi parlano di civiltà della vergogna e civiltà della colpa. Con “civiltà di vergogna” si indica una società regolata da determinati modelli positivi di comportamento la cui trasgressione e mancata adesione aveva come conseguenza il sentimento di vergogna dell’individuo ovvero di disagio psicologico intimo, con la conseguente perdita di autostima e sofferenza oltre al biasimo concreto e reale dell’intera comunità fino, nei casi più gravi, all’emarginazione. Quindi le ripercussioni della mancata adesione a questi canoni erano duplici nella loro forma di sanzione interna ed esterna. Il tessuto sociale tendeva a essere più coeso e maggiormente orientato verso un sistema condiviso di valori; pertanto, spesso la vergogna segnalava uno stato per il quale un soggetto veniva meno agli obblighi formali legati a una certa carica e ruolo. Le regole di comportamento, nella società greca, erano acquisite e osservate attraverso l’interiorizzazione di quella “voce del popolo”, che, a seconda dei casi, riconosce le virtù o sanziona i comportamenti che ne derogano. La poesia, con il canto delle gesta degli eroi e il commento della voce del popolo, costituisce dunque uno strumento di formazione del cittadino greco e di identificazione con gli altri membri del gruppo. Una delle ragioni per cui nella poesia greca gli errori degli eroi vengono spesso imputati a forze esterne, ad esempio alla volontà degli dei, consiste proprio nel bisogno di conservare integro il mito e la funzione pedagogica dell’eroe. I poemi omerici rispecchiano dunque i valori della società greca agli inizi dell’età arcaica. Gli avvenimenti narrati si collocano però in un passato più antico, ormai lontano, nell’età degli eroi (verso la fine del 2° millennio a.C.) ed è proprio la figura dell’eroe che riveste molta importanza per la morale omerica. L’eroe della società omerica è una figura legata a uno status particolare, quello di una aristocrazia regale e militare. È il capo di una casata che detiene una sovranità su una comunità e sul suo territorio. L’eroe è per eccellenza agathos, che significa buono, nobile, ma anche “buono a”, “capace di”, come noi diciamo di un “buon guerriero” o di un “buon strumento”. Era quindi stimato non solo per via del suo ruolo ma anche per via delle sue azioni e comportamenti che, per meritarsi tale stima, dovevano essere in linea con quelle che erano le aspettative e i modelli della società. La pena era il disonore, l’orgoglio ferito, che sono legati al concetto di vergogna, come anche pudore e imbarazzo. Dall’altra parte stava l’onore, da cui deriva la gloria, che non è un concetto astratto, ma il risultato di atti e comportamenti concreti, in linea con le responsabilità dell’esecutore. È chiaro che se l’eroe difendeva la patria, ovvero la comunità di cui faceva parte, in battaglia, la stessa comunità ricompensava l’eroe ricoprendolo di elogi e gloria. L’insieme delle prestazioni eccellenti di cui l’eroe era capace, costituiscono la sua areté, la sua virtus alla latina, appunto la sua eccellenza, il suo valore, che non si riferisce tanto alla vita morale quanto piuttosto indica nobiltà, capacità, successo, imponenza. Si tratta in Omero di una virtuosità che si esprime nella capacità di far prevalere la propria forza su nemici e rivali. L’ideale per l’uomo è l’eccellere, la areté. Fin dalla sua fanciullezza il giovane veniva esortato a preoccuparsi del suo buon nome: doveva cercare di farsi rispettare per mezzo delle sue buone azioni e dimostrazioni di forza e capacità. L’onore è perciò ancora più importante della vita. Per la gloria e per l’onore il giovane nobile mette in gioco la vita stessa. Il più grande bene in Omero è sentir parlare bene di sé per via dei successi che quella società considera come più importanti, il più grande male è sentirsi criticare per delle sconfitte. La gloria è per i greci antichi una forma di immortalità che è concessa anche ai mortali, è la fama che dura oltre la morte. Achille preferisce all’immortalità avere una vita breve ma gloriosa, per essere ricordato. Achille sceglie la gloria, non la vita breve: è un eroe non un nichilista stanco della vita. Per Omero non è la morte ad essere bella, ma è bella la scelta di una vita eroica,

anche se condurrà alla morte. Achille, quindi, ci mostra come in quella mentalità il senso dell’onore e del dovere debbano essere valutati più della vita stessa. Aiace Telamonio, altro eroe omerico, dopo aver perduto l’onore e la reputazione, si trafigge con la spada. Ettore è spinto dal pudore, aidòs, ad affrontare la morte nel duello con Achille, “ora che per la mia follia ho mandato in rovina l’esercito – dice tra sé e sé – io mi vergogno (aidéomai) davanti ai Troiani e alle Troiane dal lungo peplo, pensando che un giorno qualcuno meno forte di me possa dire: Ettore, troppo presumendo della sua forza, ha rovinato l’esercito. Ah sì, così diranno, e allora è molto meglio per me affrontare Achille e tornare dopo averlo ucciso, o essere ucciso da lui, ma con gloria, davanti alla mia città”. L’onore è legato alla buona reputazione e alla fama dovuta al compimento di azioni insigni, è un sentimento di autopercezione positiva dell’individuo da parte degli altri. Al contrario la vergogna è il sentimento che si prova di fronte a giudizi negativi. In molti paesi il termine onore può essere riferito ad un premio o ad altro riconoscimento conferito dallo stato o comunque da un ente di natura istituzionale. I membri del parlamento italiano vengono comunemente chiamati onorevoli. L’onore delle armi è un particolare tipo di riconoscimento militare, un onore cavalleresco che si conferisce in ambito militare per rendere ossequio al valore dell’avversario sconfitto. I cavalieri medioevali sono noti per il loro codice d’onore cavalleresco così come anche in Giappone i samurai per il bushido, il loro codice di condotta che contiene i principi e le norme morali. La società giapponese è stata considerata da antropologi americani una cultura della vergogna contrapposta a quella americana, una cultura della colpa. Malgrado si tratti di un’emozione indubbiamente dolorosa e annichilente, la vergogna può tuttavia concorrere ad alimentare buone pratiche sociali. È il caso della vergogna “preventiva” che trattiene dal compiere azioni potenzialmente biasimevoli. Non si può non pensare qui all’aidos greco che, come afferma Aristotele nell’Etica Nicomachea, dissuade dall’agire in maniera da attirare su di sé il discredito e provare così l’umiliazione più bruciante (aischyne). Inoltre la vergogna che si accompagna all’indignazione tende ad avviare il moto passionale indispensabile per reagire e intraprendere concreti tentativi di cambiamento. Nell’idioma spagnolo, è utilizzato il termine di sinverguenza (senza vergogna), come aggettivo, in un’accezione negativa, con il significato di sfacciato, sfrontato, insolente, canaglia, faccia di bronzo, per indicare chi si comporta immoralmente e senza rispetto. Un corrispettivo nella lingua italiana è il termine ‘svergognato’, che descrive grossomodo chi mette in atto gli stessi comportamenti: chi non prova vergogna per ciò che è riprovevole e immorale o per le proprie mancanze; chi è privo di senso del pudore. Il termine aidòs indica il «senso di vergogna, modestia, pudore», un sentimento particolarmente denso di implicazioni già nell’ambito della mentalità greca arcaica. Esso costituisce un tratto saliente della società omerica: «la più potente forza morale nota all’uomo omerico è il rispetto dell’opinione pubblica, aidós» (E. Dodds). Si tratta di un concetto fondamentale, che consiste essenzialmente, come osserva O. Taplin, in un «senso di compunzione che inibisce gli uomini dal comportarsi male». Nelle società moderne il termine ‘onore’ designa principalmente una qualità della persona legata alla sua reputazione e alla sua pretesa di rispetto e considerazione. . Le connotazioni più antiche del concetto rimandano a una stretta connessione tra ‘onore’ e ‘vergogna’. In ogni società e in ogni cultura esistono azioni e circostanze che conferiscono e tolgono l’onore, che onorano e disonorano, che arrecano onta e vergogna. Nella misura in cui la vergogna costituisce la controparte negativa dell’onore, essa è strettamente legata al modo in cui le diverse culture interpretano e valutano l’onore, e quindi può essere specificata e analizzata solo in riferimento a quest’ultimo. Con “civiltà di colpa”, ci si riferisce ad una società regolata dalla imposizione di divieti collegati all’intervento divino. Gli dei ritengono offensivi e non tollerano i comportamenti che, violando le regole religiose e sociali riconducibili al loro ordine, ne mettono in discussione la superiorità. I grandi eroi, quali per esempio Achille o Agamennone, non si sentivano realizzati sapendo nella propria coscienza di essere gloriosi, e pieni di onori, ma dovevano sentirsi considerati tali dagli altri del gruppo. La cultura fondata sul senso di vergogna si fonda su sanzioni esterne come il discredito, il biasimo, volte a far mantenere ai suoi membri un certo comportamento. La vergogna presuppone

un altro giudicante reale o immaginario che sia, l’individuo può essere deriso o respinto o immaginare di esserlo. Nel senso di colpa c’è una condanna interiore del peccato, ovvero una persona può sentirsi in colpa anche se nessuno è al corrente del comportamento che gli provoca il senso di colpa. Il rimorso è un’emozione sperimentata da chi ritiene di aver tenuto azioni o comportamenti contrari al proprio codice morale. Il rimorso produce il senso di colpa. Il rimpianto è un senso di colpa per qualcosa che si sarebbe potuto fare, e non si è fatto, per occasioni perdute, non colte. Il senso di colpa a differenza della vergogna non è un giudizio globale che colpisce il sé nella sua interezza ma determinate azioni e comportamenti. La vergogna è l’emozione che accompagna l’auto-valutazione di un fallimento globale nel rispetto delle regole, scopi o modelli di condotta condivisi con gli altri; da una parte è una emozione negativa che coinvolge l’intero individuo rispetto alla propria inadeguatezza, dall’altra è il rendersi conto di aver fatto qualcosa per cui possiamo essere considerati dagli altri in maniera totalmente opposta da quello che avremmo desiderato. A differenza dell’imbarazzo, che si sperimenta esclusivamente in presenza degli altri, ci si può vergognare da soli e per lungo tempo; inoltre, mentre l’imbarazzo sorge per l’infrazione di regole sociali che possono anche non essere condivise, la vergogna è il segnale della rottura di regole di condotta alle quali personalmente si aderisce....


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