CORO III Adelchi E 5 Maggio PDF

Title CORO III Adelchi E 5 Maggio
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Milano
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Summary

Breve analisi inerente a questi due componimenti della letteratura manzoniana....


Description

ALESSANDRO MANZONI Adelchi è stato composto da Alessandro Manzoni tra il 1820-1822 TRAMA: le vicende rappresentate nell’Adelchi si svolgono nel contesto della guerra del 772-774 tra i franchi e longobardi. Carlo, re dei franchi, ha ripudiato Emengarda , figlia di Desiderio, re dei longobardi, e sorella di Adelchi. Quando la regina ripudiata torna dal padre, alla corte di Pavia, Desiderio giura di vendicarsi. Fallito l’accordo col Papa, cui longobardi avevano sottratto alcuni territori, si giunge alla guerra con i franchi. L’ esercito di Carlo, varcate le Alpi attraverso un valico indifeso indicatogli dal diacono Martino, sorprende gli avversari e li sconfigge, nonostante la strenua difesa di Adelchi. Nel convento di Brescia, dove si era ritirata, Emengarda trova nella morte la pace desiderata. L’avanzata dei franchi è inarrestabile. A Verona, Adelchi, con i pochi uomini rimasti fedeli, tenta una disperata resistenza E viene ferito a morte. Adelchi, morente, viene portato nella tenda di Carlo, dove si trova come prigioniero anche Desiderio. Anch’esso ispirato a vicende storiche, Adelchi mette in scena la fine del dominio longobardo in Lombardia; Ermengarda, figlia del re longobardo Desiderio, è stata ripudiata da Carlo, re dei franchi; ai propositi di vendetta del padre e del fratello Adelchi replica chiedendo di potersi ritirare in convento. Respinto un ultimatum di Carlo, tra franchi e longobardi scoppia la guerra (Atto I). Carlo è bloccato in val di Susa e medita di rinunciare all’invasione dell’Italia, ma il diacono Martino gli mostra un sentiero segreto per aggirare il nemico (Atto II). Adelchi confida il proprio disagio: l’obbedienza al padre e i suoi obblighi di principe lo costringono alla guerra contro il papa, impresa che ritiene sbagliata e senza onore. All’improvviso compare l’esercito dei franchi e i longobardi, colti di sorpresa, fuggono, mentre Desiderio e Adelchi proseguono la lotta, il primo a Pavia, il secondo a Verona. Il coro osserva quanto sia ingenuo, per un popolo, sperare di recuperare la libertà grazie agli stranieri (Atto III). Ermengarda giace malata in un monastero di Brescia; ancora innamorata di Carlo, quando apprende che il re si è risposato cade in delirio e muore. Il coro riassume la sua vicenda come un esempio di «provvida sventura». Intanto Pavia cade per opera di traditori e Adelchi, che ha rinunciato al suicidio, è condotto ferito alla presenza di Carlo, ormai vincitore, gli offre il proprio perdono e, dopo avergli raccomandato il vecchio padre, muore (Atto IV). Il tragico cristiano La tragedia Adelchi è l'opera in cui meglio si esprime il pessimismo e la sfiducia di Manzoni nei riguardi del destino terreno dell'umanità, che appare divisa, senza sfumature intermedie, tra oppressori e vinti. Secondo la visione dell'autore, inoltre, non si può confidare nemmeno nella giustizia terrena, poiché al male provocato dall'uomo non c'è rimedio. Dunque, la Storia non è che tragedia, come ricorda amaramente Adelchi in punto di morte:”Non resta che far torto o patirlo”. La terra stessa è nutrita con il sangue delle vittime della lotta per il potere, dai protagonisti fino agli umili; l'unica speranza di salvezza, di pace e di giustizia è rivolta alla dimensione ultraterrena, dove il disegno misterioso di Dio potrà finalmente essere svelato e compreso pienamente. La sofferenza, rappresentata dalla figura di Ermengarda, resa “santa” dai suoi patimenti, passa attraverso la morte, confine oltre il quale vi è la fine di ogni dolore e ingiustizia. Del resto, secondo l'autore, Dio stesso si incarna negli oppressi e nei vinti: solo a costoro è concesso di comprendere il vero significato del dolore che è presente nel mondo. CORO DELL’ATTO TERZO Il coro affronta un motivo storico che a Manzoni sta molto a cuore, la sorte del popolo latino sotto il dominio longobardo, le condizioni di vita di quelle masse di uomini comuni che non

hanno una funzione attiva nel determinare il corso storico. Le convenzioni del genere tragico impongono allo scrittore di trattare solo le vicende dei grandi della storia, re, principi ma nel coro gli si riserva un canto anche per trattare delle masse anonime e dimenticate. Manzoni quindi concentra il suo interesse sulla sorte degli umili; rifiutava quella concezione eroica, propria della società aristocratica e della visione classicista, che giudicava degno di interesse solo le gesta dei grandi personaggi. Il coro è un perfetto esempio di poesia storica: il poeta completa la storia tramandata dei documenti, ricostruendo, dai fatti compiuti dagli uomini, ciò che essi hanno pensato nel compierli: ma è anche un esempio di poesia politica e il messaggio politico inviato da Manzoni agli italiani contemporanei è di non contare su forze straniere per la liberazione nazionale. Come nel conte di Carmagnola un coro commentava la battaglia di mediocre, così nell’Adelchi un coro, collocato alla fine dell’atto terzo, è dedicato alla guerra tra franchi e longobardi. Di nuovo l’autore si rivolge ai latini per esortarli a non farsi illusioni e a prendere in mano il proprio destino senza contare sull’aiuto straniero. Nell’atto terzo, si vede lo sgomento e l’esultanza degli italici alla sconfitta dei longobardi da parte dei franchi ma questo sentimento viene commentato dall’autore con la previsione dell’imminente servitù sotto i nuovi padroni, perché non si può sperare libertà se non da se stessi. Il coro si divide in due parti: la descrizione del conflitto tra franchi e longobardi e del comportamento imbelle di una popolazione,quella latina ; e l’esortazione ai latini a non aspettarsi la liberazione dai franchi. ATTO III SCENA I TRAMA: Siamo nel campo dei longobardi, nella piazza dinanzi alla tenda di Adelchi, al quale lo scudiero Anfrido riferisce che i franchi sembrano in ritirata (in realtà alcuni di loro, su indicazione del diacono Martino, cercano di prendere i longobardi alle spalle). Adelchi lamenta di non poter affrontare in battaglia Carlo perché non avrebbe l’appoggio dei duchi, infidi e traditori: la partenza di Carlo salverebbe i longobardi, ma gli toglierebbe la possibilità di vendicare l’offesa arrecata alla sorella. Anfrido allora lo consola e gli ricorda che a lui spetta la gloria di aver fermato i franchi alle Chiuse (Atto III, scena I, vv. 43-102). Il dissidio interiore Il nucleo tematico è quello del dissidio romantico tra individuo e storia, tra l’aspirazione di Adelchi alla gloria e il destino di morire senza averla raggiunta, tra il suo voler compiere nobili imprese e il dover cedere alla volontà del padre, tra i suoi sentimenti cristiani e il dover invadere le terre indifese della Chiesa. CONFLITTO ROMANTICO TRA INDIVIDUO E STORIA L’antitesi tra la sua anima eletta e la violenza della realtà politica fa di Adelchi l’eroe romantico per eccellenza: potente figura destinata alla sofferenza a causa della sua nobiltà d’animo, e che nel dissidio tra grandezza e infelicità (Alto infelice, lo chiama Anfrido) riflettono il travaglio storico dei tempi. IL VITTIMISMO DELL’EROE Adelchi non è un eroe “titanico”, (si ricordi che titanismo e vittimismo sono le due facce possibili dell’eroe romantico), i suoi sentimenti nei confronti del proprio destino sono di impotente e sconsolata disperazione. Egli non si impegna nella lotta, non si ribella alla ragion di Stato imposta dal padre, nella convinzione che su questa terra non sia possibile il bene e che la storia sia solo oppressione e violenza. Per questo eroe l’unica prospettiva è la morte: figlio di un popolo violento, Adelchi, come Ermengarda, è una vittima, che supera il proprio conflitto interiore nella dimensione dell’eternità.

Lo stile La similitudine del seme caduto in un terreno arido che non può fecondare e trascinato via dal vento riassume l’atteggiamento spirituale di Adelchi: egli non ha possibilità di scelta e il suo cuore progressivamente si inaridisce. Al conflitto tematico corrisponde l’antitesi delle scelte stilistiche, che si compendia nei versi 84-86: Il mio cor m’ange, Anfrido: ei mi comanda / alte e nobili cose; e la fortuna / mi condanna ad inique. In essi si trova espresso il contrasto tra l’idealità, la volontà dell’eroe romantico e l’amara necessità che lo vincola. 5 MAGGIO ll cinque maggio” è un’ode in cui Manzoni vuole evidenziare la vicenda umana di Napoleone, non gli interessa il significato del suo ruolo storico. Manzoni non nomina mai Napoleone, ma usa sempre pronomi per indicarlo. Napoleone ha avuto tutto nella vita, come la gloria grazie a Dio che lo ha aiutato; quando è morto era da solo (è morto esiliato a Sant’Elena, un’isola sperduta nell’Oceano Atlantico). L’unica “persona” che non lo ha abbandonato sul letto di morte è stato Dio. Con questo Manzoni vuole intendere che davanti alla morte siamo tutti uguali. Manzoni riflette sulla vita di Napoleone, immagina i suoi ultimi giorni e ne trae un messaggio religioso valido per tutta l’umanità. Nella seconda parte (che inizia con “e sparve”, evidentemente parallelo all’”ei fu” iniziale), è rievocato l’esilio a Sant’Elena, durante il quale l’eroe ripensa alla sua vita ed arriva alla disperazione più nera: ciò che poteva sembrare una grande impresa, nel ricordo resta solo un fallimento. Ma nella parte finale, i contrasti vengono superati grazie all’ingresso di una nuova dimensione, fuori dallo spazio e dal tempo: l’eternità, dinnanzi alla quale la gloria terrena si annulla nel silenzio e l’immobilità, inizialmente simbolo della negatività della morte, diventa conquista della pace per l’eternità. Il tema di fondo è la meditazione sull’eroismo dei grandi uomini e sul loro ruolo nella storia, guardato da Manzoni con grande pessimismo, in quanto cercare la gloria su questa terra può provocare solo dolore, sofferenza, morte. Secondo Manzoni, nella storia, o si è oppressi o si è oppressori: se si decide di agire e compiere il male si è oppressori, se ci si rifiuta di farlo, si è oppressi, come è più volte ribadito nell’Adelchi (che, morente, afferma: “non resta / che far torto o patirlo”) Anche Napoleone, nonostante la grandezza delle sue imprese, alla fine, è un oppresso: oppresso dai suoi ricordi, da se stesso, dal suo fallimento. Nella prospettiva dell’eterno, invece, si svela il vero significato della vita, che si può comprendere solo nel momento estremo della morte. Elementi che influenzarono la produzione di Manzoni: -Illuminismo -Romanticismo italiano -Religione GIANSENISMO: dottrina religiosa con concezione pessimistica dell’uomo: l’umanità è malvagia, prevaricatrice; la salvezza spirituale dell’uomo, permanentemente corrotta del peccato originale, dipende solamente dall’intervento della Grazia divina, la quale agisce in modo imperscrutabile nella vita dell’uomo e nella storia, e non dalle opere buone che i peccatori compiono per espiare i loro peccati. Manzoni di questa dottrina accolse il provvidenzialismo e il pessimismo antropologico ma vi oppose la sua teoria morale, incentrata sulla responsabilità e sulla libera volontà del cristiano. Per Manzoni bisognava comunque fare del bene in vista di qualcosa che ti farà guadagnare il paradiso in seguito e non per venir premiati in vita....


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