Da Adamo ad Abramo o l\'errare dell\'uomo PDF

Title Da Adamo ad Abramo o l\'errare dell\'uomo
Author Cat
Course Teologia
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Summary

Riassunto del libro CORRETTO (30/L all'esame) per Teologia 2 Invernizzi...


Description

DA ADAMO AD ABRAMO O L'ERRARE DELL'UOMO Capitolo 1 – Un mondo secondo Dio La genesi si apre con la creazione del mondo, un disegno graduale in cui man a mano che Dio parla le cose e gli esseri vengono all'esistenza. L'universo prende forma in modo ordinato e sereno, in positivo, così che anche il lettore possa condividere la meraviglia provata dal Creatore che, invisibile, rimane esterno alla scena che prepara e la domina contemporaneamente in un progetto consapevole e progressivo. La narrazione non ha alcuna pretesa scientifica, riporta la rappresentazione che circolava nel contesto culturale babilonese in cui il testo era stato scritto. STRUTTURA: simmetrie e ripetizioni, che scandiscono il tempo che scorre e gli avvenimenti - Le simmetrie evidenziano rapporti di corrispondenza tra i 7 giorni: giorno

opera

I

1

II

2

III

3 4



separazione – immobili (quadro) luci e tenebre, giorno e notte acque e volta del cielo terraferma secca e mari piante della terra

ornamentazione – mobili (popolamento) luminari (sole e luna), astri scandiscono il tempo animali cielo e acqua (pesci e uccelli) animali terrestri

opera

giorno

5

IV

6

V

7

VI

umanità

8

Simmetria tra colonne: procedimento per separazioni (luce e tenebre, spazio verticale con alto e basso e orizzontale con acque e terra) a partire dagli elementi costitutivi del caos (tenebra, abissi), che predispone un quadro di elementi immobili, un setting che scandisce lo spazio e il tempo con giorno e notte. A questi elementi immobili si iniziano a predisporre simmetricamente gli elementi mobili: o IV giorno  astri e luminari in corrispondenza a luce e tenebre del I giorno, che scandiscono il tempo o V giorno  in corrispondenza al II, Dio popola acque e cieli o VI giorno  corrispondenza al III, popolazione animali e umanità, predisponendo le piante come alimentazione



-

Le ripetizioni scompongono la disposizione in due parti (4 giorni e 2 giorni in base al conteggio delle parole) o anche: 

1

Rottura netta al VII giorno con cessazione del lavoro: predisposizione di un ritmo settimanale che il Creatore dà a sé stesso, sottolineato dal gioco di parole con shabat (smettere, riporarsi) e shèba (sette)

10 introduzioni narrative scandite da «E Elohim disse». La formula dà l’idea della potenza e efficacia della parola divina, e verso la fine si differenzia: alla nona ripetizione si aggiunge il pronome (“E Elohim disse loro”) in direzione dell’umanità  seconda benedizione dopo quella che Elohim fa ai pesci e gli animali quando li crea.

La decima ripetizione, invece, si differenzia dalle altre per l’introduzione di una formula di dono e non di ordine (“Ecco, ho dato per voi”) 

Ripetizione per 6 volte di «e fu così», usata quando Elohim fa. [N.B.: ma non quando crea (bara’), che viene invece accostato alla parola di benedizione barak]

7 ripetizioni della constatazione meravigliata di Dio «E Elohim vide: che è bene», che l’ultima volta è più completa con “vide tutto quello che aveva fatto” Il testo è così scandito in due parti di struttura e lunghezza analoga, la prima che si cura delle separazioni e la seconda degli esseri viventi. 

INTERPRETAZIONE: 1. Elohim  “Quando Elohim iniziò a creare il cielo e la terra” – il primo versetto può essere interpretato con tre chiavi di lettura diverse: 1. Titolo: si situa la creazione come un atto unico collocato in un inizio assoluto 2. Racconto della prima azione di Dio: obiezione – il v.2 descrive la terra prima della creazione come un caos, per cui non risulta compatibile all’espressione “cielo e terra” 3. Preposizione circostanziale: inizio solenne al testo, relativa al momento in cui Dio prende l’iniziativa di creare l’universo. 1 e 2 si incontrano sulla visione dello sfondo dell’agire, un trasformare la materia prima e vincere sul caos: la terra era un “nohu bohu”, un qualcosa di inabitabile e inospitale, il contrario di un mondo creato. È occupato dalle tenebre che immergono le acque abissali dell’oceano primordiale (“tehom”), percosse dal vento di Elohim  può essere inteso concretamente come superlativo (è consuetudine usare l’espressione “di Dio” per sottolineare la forza di qualcosa), quindi un vento molto forte, oppure come una metafora evolutiva: una potenza apparentemente violenta che proviene da Elohim ma che in realtà è fremente, come se Dio calmasse la propria potenza mettendo a bada il caos. È proprio il contenimento di questa forza che comporta la creazione, contenersi per investire questa violenza in una parola  introduce il tema della parola creatrice. Parola inaugurale: il termine primo usato da Elohim nel momento della creazione è “Sia!” (yehi), verbo essere, strettamente legato a YHWH (Adonai), il nome che Dio rivelerà a Mosè come proprio. La parola creatrice sgorga dallo stesso nome divino, è messa in atto dell’essenza divina. Il verbo essere hyh viene ripetuto 26 volte, ossia la somma dei valori numerici delle lettere del nome di YHWH (10+5+6+4=26)  il capitolo non menziona YHWH ma potrebbe nascondersi dietro questo “Sia”. Una delle azioni principali attribuite ad Elohim è quella di separare: i vegetali in 3 categorie, astri in 3 gruppi, animali 3 generi  sono la condizione in cui ogni cosa distinta è collocata al proprio posto nel giusto rapporto con l’insieme, in una rete di relazioni in cui ogni cosa ha il suo posto e la sua utilità. Queste separazioni sono effettuate tramite la parola, un’istanza onnipotente nel senso che realizza e impone ciò che vuole. Così facendo imposta e sistema il mondo che il lettore può osservare nella realtà; non si trova di fronte al testo ma anche dentro di esso, può riconoscere il proprio mondo in esso. Nessun uomo ha assistito a questa creazione, ma c’è un narratore che la racconta, scegliendo di riportare le parole di questo personaggio che si chiama Elohim come se si trattasse di una fiction anche se, rappresentando il mondo riconoscibile, questo rimane tra finzione e realtà. L’onnipotenza sopracitata di Elohim si declina concretamente in due forme principali: 2

A. I primi quattro giorni ordina tempo e spazio, limitando il caos preesistente e i suoi elementi e inserendoli in un quadro armonico  dominio che si esercita senza distruzione, nemmeno delle componenti negative; B. Dono di vita con la creazione di vegetali e viventi  rende feconde e benedice le specie, come creatore generoso, e non esita delegare il potere a certe creature: dominio dei tempi affidato agli astri, spazio terrestre all’umanità. Delegato questo potere, Elohim può finalmente riposarsi (settimo giorno). Così facendo prende le distanze e può così contemplare, ammirare ciò che ha creato  è proprio il ritirarsi che compie la creazione (in ebraico viene fatto un parallelismo che rende sinonimi il verbo compiere e ritirarsi). Smettendo di operare Dio si ferma e quindi si dimostra anche padrone della propria forza, in quanto è capace di arrestarla. Non vuole riempire tutto, lascia una certa autonomia al mondo  l’onnipotenza non è che la mitezza di colui che rimane padrone anche della propria potenza. 2. Ha’adam  l’episodio della creazione dell’essere umano si svolge in modo ripetitivo: la parola divina annuncia un duplice progetto (v. 26), la cui realizzazione parziale (v. 27) è seguita da una benedizione in cui Dio invita l’umano a realizzare la seconda parte del suo progetto. Elementi del testo emblematici: i) ripete per 3 volte che egli “creò” (bara’) che significa non creare dal nulla ma “fare qualcosa di nuovo e mai visto”  ad un certo punto cambia verbo e persona, dicendo “facciamo”** che presuppone sia un interlocutore che un significato molto più ampio. ii) evoca il rapporto con l’umano con due termini: immagine (sèlèm) che indica un’immagine plastica, come un ritratto, e somiglianza (demut) che invece richiama un paragone per aspetto di due oggetti. Ripete due volte il primo così attirando l’attenzione sulla scomparsa della somiglianza. Nel creare l’umanità, infatti, Dio realizza un essere che si trovi a metà tra sé e l’animale: l’uomo differisce da Elohim e si avvicina all’animale per la sua separazione tra maschio e femmina  “in immagine di Elohim lo creò, maschio e femmina li creò”. iii) inoltre, la creazione dell’umano non è seguita come le altre dal ritornello con la formula abituale “E Dio vide: che è bene!”  idea di opera ancora incompiuta: Dio crea l’umanità e fa la parte che gli spetta, ma allo stesso tempo lascia agli umani il compito di auto-completarsi per portare a compimento l’agire del creatore. L’adam appare come una realtà in divenire, spinto dallo stesso creatore a realizzarsi. Elohim prende quindi un rischio lasciando la propria opera incompiuta ed è proprio agli uomini che si riferisce quindi il **”facciamo” plurale prima citato. Abbiamo detto che Elohim delega all’umano la missione del dominio su terra e animali, ordina così di agire come lui, a sua immagine. I verbi impiegati per esprimere questo dominio sono radah (calpestare, schiacciare) e kabash (assoggettare, asservire, in questo caso la terra). Quindi il dominio non è sicuramente esente da forza e potenza, ma allo stesso tempo deve essere abitato da mitezza: assegnando all’uomo il cibo degli alberi e cereali e all’animale il resto della verdura, Elohim crea un rapporto non conflittuale tra i due esseri, dando un invito discreto al rispetto della vita e del osto dell’animale. Se il mondo animale è guidato da un pastore bonario si creerà un equilibrio e armonia universali. L’animalità non è solo esterna all’uomo ma anche parte del suo essere: esso dovrà quindi mitigarla e dominarla anche su sé stesso, servendosi di ciò che più lo differenzia dall’animale: la parola. È proprio questa il principio della mitezza di Elohim, quindi l’umano diventerà un pastore a immagine del suo creatore a condizione di non mettere la parola al servizio della violenza.

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La Genesi 1 presenta tutte le caratteristiche di un’esposizione: presenta i personaggi, propone al lettore alcune regole di base, il narratore onnisciente dice solo il necessario perché il lettore possa capire e lo sfida a partecipare attivamente all’elaborazione del significato.

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Capitolo 2 – L’umano e il suo mondo In che modo l’umano occuperà lo spazio che gli viene aperto? Qual è il legame con il racconto di apertura?  date le visioni inconciliabili degli inizi del mondo, la cronologia differente nell’apparizione dei viventi, alle immagini di Dio divergenti, la critica classica attribuisce i due racconti di creazione a due autori diversi. Ma se questa rottura è evidente, si cela in realtà una continuità nascosta. 1. Frattura  Transizione avviene senza rottura ed il versetto 4 del capitolo 2 sembra fungere contemporaneamente da conclusione del poema della creazione e introduzione del racconto che segue. Si sente una forte eco del cap. 1 che potrebbe indicare l’inizio di una nuova sezione evocando l’inizio della precedente. 2. Continuità  si vede il cap. 2 come uno studio più profondo dell’uomo in quanto creatura; se prima si era creato un inquadramento del contesto cosmico, adesso l’occhio della telecamera si focalizza sull’essere umano. Si richiamano già subito i temi del compito dell’essere umano e il cibo: Adonai Elohim (Divinità creatrice) sistema l’umano nel giardino, un quadro spaziale più ristretto, e gli dà un ordine riguardo al suo cibo: tutto gli viene dato in nutrimento meno una cosa, un limite: l’albero del conoscere bene e male. La vicenda si svolge in 3 momenti: 1. Preludio: triplice mancanza  non c’è vegetazione nei campi perché non ci sono né acqua né umani che possano lavorare l’humus. 2. Primo tempo di creazione: si colmano le mancanze  flutto d’acqua annaffia l’humus, creazione uomo e nascita vegetazione. 3. Secondo tempo di creazione: interrelazioni  il flutto diventa fiumi (Tigri, Eufrate, Pishon e Gihon), l’uomo viene collocato nel giardino come giardiniere e custode, la vegetazione sarà cibo dell’umano (tranne l’albero del conoscere bene e male, che invece costituisce un pericolo di morte). Profondo legame tra ha’adam e ha’damah, uomo e humus: colui di cui l’humus ha bisogno per essere la vorato è egli stesso plasmato a partire dall’humus dal quale è preso. A differenza dei vegetali, che germogliano, l’umano viene plasmato dal Creatore come modellato da un artigiano  si distingue l’essere umano dagli altri viventi, fin dall’inizio si dice che l’uomo è polvere, di frequente associata alla morte (polvere sei e polvere ritornerai): se ne parla solo a proposito dell’umano perché questo è l’unico ad avere coscienza che deve morire? Dopo averlo modellato, Adonai Elohim soffia nelle sue narici un alito di vita: la parola, che permette all’umano di articolare i nomi degli animali e quindi di esercitare il suo mite dominio. Ancora una volta l’ha’adam è in mezzo tra gli animali (plasmato dall’humus come loro) e Dio (alit di vita). Relazione tra umano e la natura raffigurata con giardino (gan, derivante dal verbo ganan = proteggere)  relazione di scambio: l’umano mette le proprie forze al servizio del giardino per lavorarlo e questo lo nutre, lo rallegra e lo tutela dall’ambiente inabitabile esterno. Albero della conoscenza del bene e del male (vv. 16-17)  Dio non dice nulla su sé stesso, parla dell’umano, del suo cibo e di una possibile morte. Duplice ordine in positivo: l’umano può mangiare tutto TRANNE quell’unico albero, ponendo un limite. Le parole di Adonai Elohim possono essere interpretate come: A) essendo l’unico ad avere la conoscenza di bene e male, Dio 5

non vuole concedere questa facoltà all’uomo e rafforza il veto con una minaccia a morte (sarà questa l’interpretazione che il serpente darà ad Eva per tentarla); B) un avvertimento, una messa in guardia di fronte a una scelta pericolosa. Porre un limite al godimento del tutto non è però un atteggiamento malevolo, anzi: Adonai vuole mettere in guardia l’umano contro la bramosia, in segno del suo amore verso di esso desidera condurlo all’accettare una mancanza così da appellarsi alla sua fiducia. Se l’umano è un essere di desiderio, allo stesso tempo dovrà allentare la sua voglia di sapere e fidarsi di colui che parla, che sta cercando di istruirlo non impedendogli di conoscere il bene e il male, quanto piuttosto avvertendolo su una scelta che potrebbe portarlo alla morte. Ma allo stesso tempo l’umano si ritrova così in una posizione di non sapere, non sapere se Dio così facendo vuole il suo bene o male, il che sarà proprio ciò sul quale il serpente farà leva per tentarlo. Quest’ignoranza radicale può essere colmata solo dalla fiducia verso Elohim ed è proprio qui che prende forma il test: se l’umano acconsente a non mangiare significa che rispetta colui che gli dona tutti gli altri alberi. Dopo aver posto quest’ordine Adonai Elohim constata: “Non bene che l’umano sia alla sua solitudine”  questo non bene si contrappone alla formula che è bene ripetuta più volte in precedenza. Questo passo (vv. 18-25) si sviluppa così: A. Introduzione: Adonai Elohim constata una mancanza (non bene), la solitudine, e decide di fare “un soccorso (ezer = intervento indispensabile) come di fronte a lui”  avendo posto il limite al desiderio e al sapere dell’umano, Adonai lo prepara alla relazione con l’altro, un confronto o affronto. 2 azioni: creazione e presentazione, crea gli animali poi li presenta davanti all’uomo e costui li nomina, atto che funge da reazione solenne. B. Intermezzo: gli animali non bastano al soccorso: creazione uomo/donna. Dio fa una nestesia all’umano indifferenziato, che si addormenta, poi lo separa [NB: la concezione comune della donna che nasce dalla costola è scorretta, in quanto il Testo parla soltanto di sela’ = lato]  separandolo da un lato e dall’altro, plasma uomo e donna. A questo punto duplice mancanza: nessuno dei due partner ha accesso alla propria origine né a quella dell’altro e ognuno dei due ha una perdita, un pezzo mancante laddove è stata effettuata la separazione. La relazione tra i due generi dovrà quindi formarsi sulla base dell’accettazione di questa perdita. Anche qui, dopo la creazione si passa alla presentazione: Elohim presenta la donna lasciando intendere questo incontro come un dono divino, che quindi dà la possibilità di non conoscere un isolamento mortale. L’uomo, meravigliato, riconosce subito nella donna una compagna, prende coscienza di lei in quanto a lui simile ma nel farlo cade in errore: la ritiene presa da sé stesso. La donna è presa dall’umano indifferenziato ma l’uomo agisce come se fosse a conoscenza di tutto e come se fosse lui l’ha’adam, l’umano di partenza. La nomina come ‘ishshah (da ish = uomo) e facendo così la situa rispetto a sé stesso, rivelandosi incapace di acconsentire all’alterità radicale di lei, al fatto che sia un altro essere umano che abita la propria singolare differenza. Nello stesso slancio, congeda Adonai Elohim, non menzionandolo nemmeno: è stato lui a dargli questa partner, eppure sembra non avere più spazio vicino all’umano e la sua donna  non solo ha dimenticato che la donna era un dono, non ha neppure rilevato l’azione divina. La donna, dalla sua, risponde col silenzio, non si pone di fronte all’uomo come Adonai aveva immaginato e facendo così si presta al desiderio del partner, accettando di colmare le sue mancanze.

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C. Conclusione: Il narratore avverte perciò il lettore: questo tipo di fusione, questo amore cieco che non coglie quel che distingue i partner e genera riflessi di possesso, non è il giusto cammino dell’umano.

Capitolo 3 – Il serpente, il frutto e una sventura La rottura tra cap. 2 e 3 è così profonda che la critica distingue spesso un “racconto di creazione” e un “racconto di caduta”; tuttavia, anche qui è presente una continuità. Struttura: breve scena muta inquadrata da due dialoghi. Nuovo personaggio giunto sulla scena rilancia la questione dell’albero proibito: serpente astuto più di ogni vivente (‘arum mi-) che rimanda alla nudità dei due umani (‘arummim)  gioco di parole, in quanto il serpente è il più nudo tra gli animali creati; l’astuzia del serpente potrebbe proprio consistere nell’esibire la sua nudità. Inoltre, la sua scelta di rivolgersi alla donna non è casuale: se l’umano può credersi senza mancanza dato che possiede la “sua donna”, ciò non è il caso di quest’ultima. Qui, è la donna a colmare una mancanza, una mancanza di conoscenza cercando di abolire il limite posto da Dio. L’uomo si lascerà fare da lei mangiando il frutto dalla sua mano. Nel suo colloquio con la donna il narratore ci avverte sin da subito della scaltrezza del serpente, contrariamente alla donna che non ne è al corrente. Le parole del serpente si caratterizzano per tre elementi determinanti: - Ingrandisce il limite e fa scparire dietro la mancanza tutto quello che viene donato  crea un’ambiguità riportando solo la parte negativa dell’ordine di Adonai, quella che pone il limite (“non mangerete”), e rimuove così la parte che evidenzia il dono  senza di questa la parola divina è solo legge che proibisce di mangiare o godere, una mancanza. - Gioca con l’ambiguità del linguaggio e getta il sospetto  si impadronisce dell’ordine di Adonai Elohim ripetendo le sue parole ma introducendo la frase con un dubbio: quel che afferma è corretto, ma formula la frase in maniera da farla sentire in un altro modo. - Semina la diffidenza per opporre l’umano a colui che gli dona la vita  trasforma il tu in un voi [non mangerete], così occultando la differenza tra i due umani e facendo di loro un unico apparato. Così facendo, dà un’idea di opposizione di Dio agli umani. Nulla viene esplicitato ma tutto viene sottinteso, tanto che il serpente si riferisce a Dio chiamandolo solo Elohim (divinità), senza aggiungere l’Adonai (creatore). Con questi astuti accorgimenti il serpente strumentalizza la parola divina, semina la confusione mantenendo però sempre una leggerezza, come a far finta di nulla. Mentre risponde alla creatura, la donna è già caduta in trappola: chiama anche lei Dio “Elohim”, e anc...


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