Dallapiccola E VOLO DI Notte PDF

Title Dallapiccola E VOLO DI Notte
Author Emanuele Franceschetti
Course History Of Music
Institution Sapienza - Università di Roma
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Summary

Saggio esaustivo su 'Volo di Notte' di Luigi Dallapiccola...


Description

Carlo Serra Fra stelle e caduta. La metamorfosi come forma narrativa nel Volo di Notte di Luigi Dallapiccola

La prima serie di Volo di notte

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§ 1 La serie come forma metamorfica della narrazione Vi è uno strano intreccio di temi musicali in Volo di Notte di Luigi Dallapiccola, l’opera che il compositore italiano trasse nel 1937 – 38, dallo splendido Vol De Nuit di Antoine de Saint – Exupéry: esso promette una calibratura drammatica, meglio ancora il peso specifico, delle funzioni narrative, e dunque dei contenuti, che sostengono la riscrittura del romanzo da parte del musicista istriano. A dirlo, l’intreccio è semplice: il tema iniziale, la prima serie che si disegna nel registro delle viole, quasi parlando, è tratta dalla prima delle componenti il trittico della composizione gemella di quell’anno, Tre Laudi, Altissima luce: essa serve, come ha colto bene Dietrich Kämper1 nel suo studio su Dallapiccola, “da cornice formale a tutta la composizione, tendendo un arco che partendo dal preludio orchestrale, giunge all’episodio conclusivo dell’opera”. Lo stesso tema accompagna la caduta dell’aereo di Fabien e la sua morte, instaurando, scrive ancora lo studioso tedesco, una correlazione simbolica tra la Stella Marina della Preghiera alla Vergine e l’esclamazione di Fabien, “scorgo le stelle”. Nell’opera, del resto, caratteri simili hanno le occorrenze dei precipitati semantici delle altre Laudi, creando un gioco metamorfico fra significati e strutturazione sonora, designando un piano di musica allusa, in grado di sostenere i nuclei profondi, nascosti, dell’opera. Dallapiccola deve aver molto amato la prima, esplicita, correlazione fra musica e stelle, che cade nell’opera in uno dei continui monologhi interiori del direttore della navigazione aerea, Rivière. Essa si sviluppa come gradiente drammatico, che diventa via via più intenso, senza riuscire a risolversi: «Alzò gli occhi verso le stelle, che splendevan sulla via angusta, quasi annullate dalla pubblicità luminosa, e pensò: “ Questa sera, con i miei corrieri in volo, io sono responsabile d’un cielo intero. Quella stella è un segnale che mi cerca tra questa folla, e mi trova: per questo io mi sento un po’ estraneo, un po’ solitario. Una frase musicale gli tornò alla memoria: qualche nota di una sonata che il giorno prima aveva ascoltato in compagnia di amici. I suoi amici non lo avevano capito: “ Quest’arte ci annoia, e annoia anche lei; tutta la differenza è nel fatto che lei non lo dice” “Forse…” aveva risposto. E come questa sera, egli s’era sentito solitario, ma subito aveva scoperto la ricchezza d’una simile similitudine. Il messaggio di quella musica veniva a lui, e solo a lui trai mediocri, con la dolcezza di un segreto. Così, quel segno di stelle. Qualcuno gli parlava, al di sopra di tante spalle, un linguaggio che egli solo intendeva.2» Sulla metafora musicale si scarica un reticolo di significati piuttosto complesso. La dimensione dell’ascolto individualizza, accentra un movimento della soggettività verso un significato meramente affettivo, che gli altri non colgono. L’affettivo è, tuttavia, la maschera dell’etico: il cielo notturno va continuamente sfidato, la stella invita ad andare verso di lei, ad usarla come un punto di riferimento, per un’espansione nell’ignoto, ma le stelle da sempre parlano solo a chi le sa intendere. La consapevolezza della propria solitudine, e della propria missione, accosta suono e luce, e lo splendore delle stelle porta un messaggio, nascosto come quello della musica: esso attrae, come accade per gli accordi del pianoforte, che, dopo l’enunciazione della serie brillano allontanandosi (dal pp delle viole al ppp del pianoforte), un’intermittenza luminosa che subito si spegne, un 1 2

Dietrich Kämper, Luigi Dallapiccola. La vita e l’opera, Sansoni , Firenze, 1984, pp. 56 – 57. Antoine Saint-Exupéry, Volo di notte, trad. it. di Cesare Giardini, Mondadori, Milano, 1991, pp. 39 – 40. 2

piccolo enigma, che entra in rapporto con l’attacco straordinario di oboi, trombe e clarinetti, rinforzato dall’accendersi degli armonici di violoncelli e contrabbassi. Si è soli di fronte al cielo stellato, consapevoli del dovere del volo e della propria mediocrità, mentre la capacità di cogliere un messaggio, stellato o musicale, ci separa da tutti gli altri, ci impone un ascolto. L’ascoltatore ed il personaggio sono posti sullo stesso piano, hanno lo stesso compito. La prima occorrenza della serie entra in una polifonia profonda con questa pagina, e da qui si irradia su tutta una partitura, dove la solitudine dei personaggi si specifica nelle forme dialogiche che li oppongono: il pilota nella tempesta, la sua vedova, gli impiegati, i controllori dei piloti, tutti ruotano attorno ad una dialogica continua che lascia il personaggio Rivière sempre più solo, e che li isola tutti l’uno dall’altro. La connessione sono gli intercalari dialogici di direttore di navigazione, la sua apparente oggettività rispetto alla sfida del cielo, il ferreo lavoro di organizzazione che si fa forma di autoeducazione al dovere, e all’isolamento: Rivière unisce e separa, è il centro da cui diramano i raggi delle vicende umane, che lo mettono in gioco in modo sempre più profondo. Il tema della stella, che si identifica con il tema del personaggio, sono così il simbolo di un’accettazione sempre più profonda della propria funzione, ma la stella e la caduta sono anche la via d’accesso allo squarcio interiore che è il vero evento dell’opera legato alla solitudine essenziale, per usare un’espressione del Varèse di Deserts, che caratterizza la dimensione interiore di tutti i personaggi, e perché il gioco dei riferimenti possa aver luogo, dobbiamo ascoltare le continue piccole metamorfosi della serie che, raffinatissime, si inseguono per tutta l’opera. Una serie si modifica, lasciandosi riconoscere, si deforma, struggendosi nella nostalgia di un originale: sul piano teorico questo significa che tutte le trasformazioni hanno natura dialettica. Incontriamo subito un principio fondamentale per ogni forma di serialità, che aspiri ad una trasparenza di tipo narrativo, che si pensi ancora, più o meno consapevolmente, in termini di blocco tematico, ma abitata da un paradosso sottile, perché l’originale andrà rintracciato nell’unità della trasformazioni, come un puzzle che prende forma nel differimento continuo da una forma originaria. Queste somiglianze di famiglia vengono utilizzate da Dallapiccola per raccontare tutta la tensione all’inesprimibile che caratterizza il destino di un pilota che continua a salire, verso le stelle, consapevole che tutto, sotto di lui, è, per sempre perduto, in un volo che è, di fatto caduta e fuga dall’opacità. «Fabien, quella notte, erra sullo splendore di un mare di nuvole, ma più in giù c’è l’eternità. Egli è perso tra le costellazioni ov’è solo. […] Stringe nel suo volante il peso della ricchezza umana, e porta, disperato, da una stella all’altra, l’inutile tesoro che sarà costretto a restituire. Rivière pensa che un posto radiotelegrafico lo ascolta ancora. Non c’è che un’onda musicale che leghi ancora Fabien al mondo, una modulazione in minore. Non un lamento. Non un grido. Ma il suono più puro che la disperazione abbia mai modulato.3» Nello scrittore francese, la stella è una ricchezza inutile, perché porta la morte, ma è anche l’unico senso di una vita che va spegnendosi, alla ricerca del proprio senso. Il Radiotelegrafo di Rivière cerca l’ultimo contatto con il fuggitivo, ma il suono che ascolta è il silenzio, o il rumore, la musica è tra parentesi, non una nota dal cielo stellato. La musica se ne è andata, ma è rimasto un significato: ecco che la comunicazione dei personaggi ha preso ormai forma nell’attesa di un suono. Quest’idea affascina Dallapiccola che, operando all’interno di una grammatica musicale che genera figurazioni deformate, può permettersi di rovesciare il criterio costruttivo che stringe le figure nel romanzo: solo il suono estenuato della 3

Antoine Saint-Exupéry, Op. cit., p. 94. 3

serie dodecafonica può evocare il silenzio di quella lontananza, perché, nella vita e nella morte, Rivière ed il suo pilota che sta sparendo sopra le stelle sono l’immagine della stessa solitudine, dello stesso amore per il mondo, del senso della sua perdita. Il lavoro sulla serie ci dice che uno è lo specchio dell’altro, e non è un caso che questo gemellaggio veda le forme metaforiche della donna, che si insegue in caratterizzazioni dal registro prima astratto, come voce orchestrale e voce del desiderio, fino alla condensazione concreta nella compagna di Fabien, come mediazione tra loro di una vita possibile, di una dimensione degli affetti che allontani dal volo, e come reciproca perdita. Ogni figura si tende verso l’altra, ma soprattutto ogni figura è immagine di un teatro non psicologico, di una funzione, che attraverso la metamorfosi della serie, le mette tutte in relazione rispetto al valore oggettivo di una scelta etica, volare per aprire una nuova frontiera commerciale. Vorremmo osservare che, in una simile prospettiva, la Stella del Mare e lo scorgere le stelle sono certamente metafore del viaggio, ma prima ancora l’immagine dell’occupazione di un luogo simbolico, che è il movimento verso la tacita assunzione di un modo di essere che è, per sua natura, ineludibilmente solitario, prigioniero di se stesso. Possiamo così trarre immediatamente una conclusione, e vedere la continuità tra le figurazioni musicali, come la metamorfosi dello stesso concetto, che per Dallapiccola è l’immagine stessa del musicale. Ma se le cose stessero davvero così, il teatro si chiuderebbe su se stesso, acquistando un che di didascalico, capace di soffocare la narratività di Dallapiccola nelle spire di dimensione simbolica angusta, proiettata verso una metaforicità che tende caratteristicamente verso un teatro di figura e di carattere. Accentuando il carattere d’azione dell’opera musicale, come se ci trovassimo di fronte ad una trascrizione del letterario, ci consegneremmo ad una prospettiva melodrammatica, che sacrificherebbe troppo le ambiguità su cui si appoggia il gioco di intrecci, che porta dalla stelle e dalla caduta alle stelle, saldando la via verso il basso con la via verso l’alto, ma rifiutando che si tratta dell’unica via. Dallapiccola tende a muoversi in direzione opposta, questa duplicità sembra aver orrore dell’idea dell’individuazione di un carattere netto del personaggio, muovendosi verso uno sciogliersi del personaggio nell’atmosfera che lo evoca. Dallapiccola costruisce così un teatro psicologico assai eversivo, che ci impone di non aderire al piano della caratterizzazione, perché così perderemmo uno snodo essenziale, che si esplicita solo nel concetto di metamorfosi, nella tensione che si muove dietro a due figure, al muoversi in modo incompleto, fatalmente fissati nell’incompletezza della transizione: il significato della metamorfosi esplode nella sua apertura, nel tenere il personaggio sospeso tra una figurazione e l’altra, nell’alitare della vita, prima che si blocchi nel sigillo formale che racchiude la figura. Si arriva così ad un paradosso, che ha natura estetica: un puro gioco metaforico è troppo trasparente, il valore musicale della metamorfosi deve collocarsi su un piano più profondo di quello della semplice trasposizione, come accde per i caratteri di un tema in una struttura musicale di tipo tradizionale, mentre la coesistenza delle figure sonore permette di costruire deformazioni molto più controllabili, nei loro passaggi intermedi. Dobbiamo così aggirare la questione e forse potremmo iniziare partendo, prendendo sotto presa la nozione di metamorfosi, racchiudendola ad una sorta di principio esplicativo; del resto, l’avventura creativa di Luigi Dallapiccola è intrecciata da un rapporto particolarmente stretto con la nozione di metamorfosi, lungo la trama di un retaggio che trova la propria radice nel profondo amore per gli studi classici, ereditato dal padre, e nel formidabile polilinguismo, che caratterizza un compositore che amava ricordare che

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«Non ci si dovrebbe dimenticare che la piccola penisola istriana in cui sono nato giaceva all’incrocio di tre confini. Quando il treno si fermava nella stazione del mio paese il conduttore annunciava Mittersburg, Pisino, Pazin4». La frase di Dallapiccola porta alla luce un aspetto ovvio, che copre un complesso modo di essere, e di sentire: lo stesso luogo ha tre nomi, e questa variazione indica diversi modi di intendere l’appartenenza del luogo ad una comunità culturale: il luogo si dà solo nell’intreccio delle identità, che brilla nelle differenze. La contestualizzazione modale viene rivendicata comep forma originaria di un’appartenenza. Potremmo costruire un ponte con la nozione di metamorfosi partendo da qui? Solo a condizione di rispondere ad una domanda: cosa muove la struttura drammaturgica dell’idea di metamorfosi in musica, rispetto ad un retaggio rivendicato con tanto orgoglio? Potrebbe sembrare scoraggiante anche solo tentare di avviare una prima linea di riflessione attorno ad un tema tanto ampio, ma, per i nostri scopi, potremmo puntare immediatamente a due aspetti fondamentali, che l’intersecarsi della nozione di forma con quella di trasformazione, mettono immediatamente in gioco: il conservarsi di una serie di caratteristiche, che debbono essere visibili, indicabili a colpo sicuro, come un carattere, delle note, in grado di tradurre una serie di proprietà che rimangono riconoscibili nella trasformazione, che va intesa come un movimento polare tra configurazioni aperte. Il concetto di metamorfosi tipico del mondo antico, che prende terreno nelle speculazioni eraclitee, dove vi è un ordine di conversione, che sostiene l’articolazione interna dei passaggi, che in epoca moderna aprorà al problema delle note leibniziane5, di come cioè un oggetto rimanga riconoscibile, dotato di un’essenza identificata, nel gioco dei mondi possibili, fino alla rappresentazione ovidiana del repertorio di trasformazioni incomplete, che fissano in un carattere espressivo, la conservazione del nucleo di significato dell’identità del personaggio (il continuum in Marsia, da ancia a liquido, la traccia vocale in Siringa, da urlo a lamento, il lamento in Io, da lamento a muggito per una voce che non riconosce se stessa) in una forma di strazio, che ricorda quanto vi era prima, e che non riesce ancora ad entrare a ciò che accade adesso (basti, per questo, il gesto ritmico di Apollo, che cerca di trattenere sulla superficie del proprio palmo, il battito del cuore di Dafne avvolto nella mineralità della corteccia). § 2 Polarità ed assonanza Sono proprio questi due lati, che trovano una straordinaria caratterizzazione nell’idea di trasformazione continua che l’ultimo Beethoven rintraccia nel cultore della morfologia vegetali, così innamorato di Palermo (alludo naturalmente a Goethe) che Dallapiccola, assieme ad un nutritito gruppo di compositori che ne condividono il senso della ricerca formale (Mahler, Bartók (l’orchestrazione di Volo di notte, nella sua articolazione per gruppi strumentali contrapposti attorno ai soli degli strumenti ha impressionanti analogie con la scrittura drammaturgica bartokiana) Berg, il Webern più schopenhauerianamente innamorato dell’idea di una natura che moltiplica le proprie forme attraverso una modificazione articolatoria delle relazioni intervallari, che Dallapiccola interpreta come formanti temporali di quella particolare forma di deformazione metamorfica che è il concetto di assonanza, in una pagina incomparabilmente nitida, legata alla lettura in parallelo del peso degli effetti fonici in una traduzione di Joyce, usando come lingua di 4

Dallapiccola, Selected writings, Toccata Press, 1987, Gloucester, p. 38 Quest’aspetto interno, legato alla raffinatezza della trasformazione ritmica, e timbrica, nella strutturazione della forma musicale viene colto magistralmente nel capitolo che chiude il bellissimo testo di Pierre Michel, Luigi Dallapiccola, Éditions Contrechampes, Genève, 1996. pp. 114 – 115, dal suggestivo titolo «Mondes Infinis». La dimensione del carettere della fugirazione musicalmente viene suggestivamente dilatata da Michel fino ad un tentativo analogico con la poetica dell’individuazione timbrica di Varèse, tenendo naturalmente una netta distinzione rispetto alla ricerca materica del suono del compositore franco – americano.

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rispecchiamento il francese e l'inglese6 nel suo bellissimo saggio sul senso della scelta della propria avventura dodecafonica. Articolare la serie, significa modificarla dall’interno, lasciandone emergere alcuni caratteri secondo specifiche relazioni intervallari: da qui, l’altro passaggio, la modificazione ritmica, la caduta architettonica del suono su un punto forte o su un punto debole, la contrazione dello scorrimento, o la sua dilatazione, rispetto ad una relazione intervallare che venga immediatamente riconosciuta dall’ascoltatore, con due conseguenze, che pesano non poco sul silenzio che è caduto attorno a questo straordinario compositore. In primo luogo, dovremo parlare di una rivalutazione dell’aspetto intervallare, rispetto all’idea di serie, all’idea, per usare un’espressione che lo stesso Dallapiccola usa nel suo saggio, di una polarità della struttura melodica dentro alla configurazione complessiva della serie (un passaggio che sembra collocarsi in dialogo profondo con l’articolazione per graffe tipica della serie schoenberghiana, genialmente tesa a porre delle relazioni interne in tutta la serie senza mettere in evidenza un intervallo rispetto ad un altro, ma delle vere e proprie penisole in cui entrare in forma combinatoria), in secondo luogo di una trasparenza modalizzante, in cui la nozione di memoria, di origine profondamente melodrammatica, si costringe in una serie di gesti sonori che, come accade ancora in Berg e Bartók, fungono da indicatori per un percorso di trasformazione che aspira alla sua incompletezza, alla ricerca di una proliferazione per nessi interni di gesti sonori, di una vera e propria disseminazione quasi citazionale di tracce, che si inseguono nell’esplicitazione di figure che si determinino come costante espressiva, che si insegue soprattutto nell’ambientazione sonora del canto, in una configurazione in cui le componenti timbriche non possono più serializzarsi, perché completamente giocate dalla funzione di riconoscimento della figura stessa. «E l’interesse di questa polarità sta principalmente nel fatto che essa cambia o può cambiare da un’opera ad un’altra. Una serie potrà presentarci la polarità fra il primo ed il dodicesimo suono; un’altra fra il secondo e il nono…e così via. E non parlo delle possibilità insite nei singoli tronconi della serie. E’ qui che il fattore tempo, cui ho fatto cenno or ora, si presenterà in tutta la sua imponente importanza. E’ così che nella serie potrà essere stabilito quell’intervallo così caratteristico, da potersi imprimere nella memoria più profondamente che gli altri; è così che avremo una possibilità maggiore far comprendere il nostro discorso.7». La seconda conseguenza porta alla luce la tensione semantico – narrativa, che sta dietro alla marcatura sulle note caratteristiche: in effetti, dobbiamo riconoscere che in Dallapiccola una fortissima tensione narratologica porta al paradosso raffinatissimo di un autore che si forma sulle opere di Schoenberg, ma che si reinventa uno stile, una forma che lontana dall’idea di serie come gancio, come forma rigida, discretizzata, che caratterizza la geniale speculazione del padre della dodecafonia in Comporre con dodici suoni. La serie si dilata e si contrae, con la plasticità di una evocazione del suono come collante per la memoria, di una forma che sa vivere solo nel suo tradimento locale. Possiamo muovere alcune osservazione: la prima tocca il concetto di forma, che non sta nella serie in quanto tale, ma nella serie come rappresentazione metamorfica di una struttura melodica. La serie è tutta caratterizzata da un colore, da un gesto melodico, e la funzione del gesto è imprimersi nella memoria, per poter fungere quasi da filo conduttore nella forme di permutazione. Se le cose stanno così, vi è una serie originale, che tende a deformarsi per piccoli passi, per piccoli intervalli, mantenendo la presa su una concezione dello spazio...


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