Dante - Parafrasi dettagliata dei canti I, III, VI, XI, XV, XVII e XXXIII del Paradiso PDF

Title Dante - Parafrasi dettagliata dei canti I, III, VI, XI, XV, XVII e XXXIII del Paradiso
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Course Filologia e critica dantesca
Institution Università degli Studi di Torino
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Parafrasi dettagliata dei canti I, III, VI, XI, XV, XVII e XXXIII del Paradiso...


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Canto I La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove. Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire. Veramente quant’io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto.

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Infino a qui l’un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.

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vedra’mi al piè del tuo diletto legno venire, e coronarmi de le foglie che la materia e tu mi farai degno.

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che parturir letizia in su la lieta delfica deità dovria la fronda peneia, quando alcun di sé asseta. Poca favilla gran fiamma seconda: forse di retro a me con miglior voci si pregherà perché Cirra risponda. Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella che quattro cerchi giugne con tre croci, con miglior corso e con migliore stella esce congiunta, e la mondana cera più a suo modo tempera e suggella. Fatto avea di là mane e di qua sera tal foce, e quasi tutto era là bianco quello emisperio, e l’altra parte nera,

infatti, avvicinandosi all'oggetto del suo desiderio (Dio), il nostro intelletto si addentra tanto in profondità che la memoria non lo può seguire. Tuttavia, l'argomento del mio canto sarà ciò che io riuscii a fissare nella mia mente del regno santo (Paradiso).

Finora mi è stata sufficiente una sola cima del monte Parnaso (l'ispirazione delle Muse); ma ora devo accingermi al lavoro rimasto con l'aiuto di entrambe (anche di Apollo). Entra nel mio petto e ispirami, proprio come quando tirasti fuori Marsia dall'involucro delle sue membra (lo scorticasti vivo). O virtù divina, se ti concedi a me quel tanto che basti a che io esprima una traccia del regno dei beati impressa nella mia mente,

O divina virtù, se mi ti presti tanto che l’ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti,

Sì rade volte, padre, se ne coglie per triunfare o cesare o poeta, colpa e vergogna de l’umane voglie,

Io fui nel Cielo (Empireo) che è più illuminato dalla sua luce, e vidi cose che chi scende di lassù non sa né può riferire;

O buono Apollo, concedimi la tua ispirazione per l'ultima Cantica, tanto quanto tu richiedi per concedere l'agognato alloro poetico.

O buono Appollo, a l’ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso, come dimandi a dar l’amato alloro.

Entra nel petto mio, e spira tue sì come quando Marsia traesti de la vagina de le membra sue.

La potenza di Colui (Dio) che muove ogni cosa si diffonde in tutto l'Universo e splende più in alcune parti, meno in altre.

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mi vedrai venire ai piedi del tuo amato albero, e incoronarmi con le sue foglie di cui tu e l'alto argomento del poema mi renderanno degno. Capita così di rado, padre, che si colga l'alloro per il trionfo di un condottiero o di un poeta (per colpa e vergogna della poca ambizione umana), che la fronda di Peneo (l'alloro) dovrebbe far nascere gioia nella gioiosa divinità di Delfi (Apollo), quando è desiderata da qualcuno.

33 Una grande fiamma segue una debole scintilla: forse dopo di me altri, con voci migliori, pregheranno perché Cirra (Apollo) risponda. 36

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La lanterna del mondo (il sole) sorge ai mortali da diversi punti dell'orizzonte: ma da quel punto in cui quattro cerchi si intersecano formando tre croci,

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esso nasce in congiunzione con una stagione più mite e con una stella propizia (l'Ariete, all'equinozio primaverile) ed esercita un più benefico influsso sul mondo.

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Quel punto aveva fatto pieno giorno in Purgatorio e notte sulla Terra, e un emisfero era tutto bianco e l'altro nero,

quando Beatrice in sul sinistro fianco vidi rivolta e riguardar nel sole: aguglia sì non li s’affisse unquanco. E sì come secondo raggio suole uscir del primo e risalire in suso, pur come pelegrin che tornar vuole, così de l’atto suo, per li occhi infuso ne l’imagine mia, il mio si fece, e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso. Molto è licito là, che qui non lece a le nostre virtù, mercé del loco fatto per proprio de l’umana spece. Io nol soffersi molto, né sì poco, ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, com’ferro che bogliente esce del foco; e di sùbito parve giorno a giorno essere aggiunto, come quei che puote avesse il ciel d’un altro sole addorno. Beatrice tutta ne l’etterne rote fissa con li occhi stava; e io in lei le luci fissi, di là sù rimote. Nel suo aspetto tal dentro mi fei, qual si fé Glauco nel gustar de l’erba che ‘l fé consorto in mar de li altri dèi. Trasumanar significar per verba non si poria; però l’essemplo basti a cui esperienza grazia serba. S’i’ era sol di me quel che creasti novellamente, amor che ‘l ciel governi, tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti. Quando la rota che tu sempiterni desiderato, a sé mi fece atteso con l’armonia che temperi e discerni, parvemi tanto allor del cielo acceso de la fiamma del sol, che pioggia o fiume lago non fece alcun tanto disteso. La novità del suono e ‘l grande lume di lor cagion m’accesero un disio mai non sentito di cotanto acume. Ond’ella, che vedea me sì com’io, a quietarmi l’animo commosso, pria ch’io a dimandar, la bocca aprio, e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, sì che non vedi ciò che vedresti se l’avessi scosso. Tu non se’ in terra, sì come tu credi; ma folgore, fuggendo il proprio sito,

quando vidi Beatrice voltata a sinistra e intenta a fissare il sole: un'aquila non lo fissò mai in tal modo. 48

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E come il raggio riflesso è solito allontanarsi da quello di incidenza e salire in alto con lo stesso angolo, come un pellegrino che vuole tornare in patria,

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così dal suo atteggiamento infuso nella mia facoltà immaginativa nacque il mio, e fissai il sole al di là delle normali capacità umane.

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Là nell'Eden sono permesse molte cose che non lo sono sulla Terra, grazie a quel luogo creato come proprio della specie umana.

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Io non potei fissare il sole a lungo, ma neppure così poco da non vederlo sfavillare tutt'intorno, come un ferro incandescente appena uscito dal fuoco;

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e subito sembrò che al giorno ne fosse stato aggiunto un altro, come se Dio avesse adornato il cielo di un secondo sole. Beatrice teneva lo sguardo fisso sulle ruote celesti; e io fissai a mia volta lo sguardo su di lei, distogliendolo dal cielo. Nel guardarla divenni dentro tale quale diventò Glauco quando mangiò l'erba, che lo trasformò in una divinità marina.

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Elevarsi al di là dei limiti umani non si potrebbe spiegare a parole: perciò basti l'esempio mitologico a coloro ai quali la grazia divina riserva l'esperienza diretta. Se io ero solo ciò che tu, amore che governi il Cielo, creasti per ultima (l'anima razionale), lo sai tu che mi sollevasti con la tua luce. Quando il movimento rotatorio dei Cieli, che tu rendi eterno col desiderio delle ruote celesti di avvicinarsi a te, attirò la mia attenzione con l'armonia che tu regoli e stabilisci, il cielo mi sembrò a tal punto acceso dalla luce del sole che la pioggia o un fiume non crearono mai un lago tanto ampio. La novità del suono e la luce intensa accesero in me il desiderio di conoscerne la causa, così acuto come non lo sentii mai. Allora Beatrice, che leggeva nella mia mente come me stesso, prima che le chiedessi qualcosa aprì la bocca per placare il mio animo turbato

87 e disse: «Tu stesso ti rendi incapace di comprendere con una falsa immaginazione, così che non vedi ciò che vedresti se te fossi liberato. 90 Tu non sei in Terra, come credi: ma un fulmine, lasciando la sua sede naturale (la sfera del fuoco),

non corse come tu ch’ad esso riedi». S’io fui del primo dubbio disvestito per le sorrise parolette brevi, dentro ad un nuovo più fu’ inretito, e dissi: «Già contento requievi di grande ammirazion; ma ora ammiro com’io trascenda questi corpi levi». Ond’ella, appresso d’un pio sospiro, li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante che madre fa sovra figlio deliro, e cominciò: «Le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante. Qui veggion l’alte creature l’orma de l’etterno valore, il qual è fine al quale è fatta la toccata norma. Ne l’ordine ch’io dico sono accline tutte nature, per diverse sorti, più al principio loro e men vicine; onde si muovono a diversi porti per lo gran mar de l’essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti. Questi ne porta il foco inver’ la luna; questi ne’ cor mortali è permotore; questi la terra in sé stringe e aduna; né pur le creature che son fore d’intelligenza quest’arco saetta ma quelle c’hanno intelletto e amore. La provedenza, che cotanto assetta, del suo lume fa ‘l ciel sempre quieto nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; e ora lì, come a sito decreto, cen porta la virtù di quella corda che ciò che scocca drizza in segno lieto. Vero è che, come forma non s’accorda molte fiate a l’intenzion de l’arte, perch’a risponder la materia è sorda, così da questo corso si diparte talor la creatura, c’ha podere di piegar, così pinta, in altra parte; e sì come veder si può cadere foco di nube, sì l’impeto primo l’atterra torto da falso piacere. Non dei più ammirar, se bene stimo, lo tuo salir, se non come d’un rivo se d’alto monte scende giuso ad imo.

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non corse così velocemente come tu che torni al luogo che ti è proprio (l'Empireo)». Se io fui liberato dal primo dubbio grazie a quelle brevi e sorridenti parole, fui colto da un altro dubbio,

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e dissi: «Ora la mia grande meraviglia si è placata; ma adesso mi stupisco di come io possa salire oltre questi corpi leggeri (aria e fuoco)».

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Allora lei, dopo un sospiro devoto, mi guardò con l'aspetto di una madre che si rivolge al figlio che dice sciocchezze,

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e iniziò: «Tutte le cose create sono ordinate fra loro, e questa è la forma che rende l'Universo simile a Dio. In questo ordine le creature razionali (uomini e angeli) vedono l'impronta della virtù divina, che è il fine ultimo di tutto l'ordine medesimo.

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In quest'ordine che dico tutte le nature ricevono la loro inclinazione, in modi diversi, più o meno vicine al loro principio creatore (Dio);

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per cui tendono a diversi obiettivi nell'ampiezza dell'Universo, e ciascuna è spinta da un istinto dato ad essa.

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Questo istinto porta il fuoco verso l'alto; esso muove i cuori degli esseri irrazionali ed esso stringe e rende coesa la terra; quest'istinto fa muovere non solo le creature prive di intelligenza, ma anche quelle dotate di anima razionale.

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La Provvidenza, che stabilisce tutto questo, fa sempre quieto con la sua luce il Cielo (Empireo) nel quale ruota quello più veloce (Primo Mobile; Dio risiede nell'Empireo);

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e ci porta lì, come a un sito stabilito, la forza di quell'istinto naturale che indirizza a buon fine ogni essere che muove.

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È pur vero che, come la forma molte volte non corrisponde all'intenzione dell'artista, perché la materia non risponde come dovrebbe, così talvolta la creatura razionale si allontana da questo corso, avendo il potere (libero arbitrio) di piegare in altra direzione, pur così ben indirizzata; e come si può vedere un fulmine che cade da una nuvola, così l'istinto naturale può far tendere l'uomo verso il basso, attirato dal falso piacere dei beni terreni. Non devi più stupirti, se giudico correttamente, per il fatto che tu sali, se non come di un fiume che scorre dalla montagna a valle.

Maraviglia sarebbe in te se, privo d’impedimento, giù ti fossi assiso, com’a terra quiete in foco vivo». Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.

Canto III Quel sol che pria d’amor mi scaldò ‘l petto, di bella verità m’avea scoverto, provando e riprovando, il dolce aspetto;

Ci sarebbe da stupirsi se tu, privo di impedimenti, fossi rimasto a terra, proprio come un fuoco che rimanesse quieto e non salisse verso l'alto». 142

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e io, per confessar corretto e certo me stesso, tanto quanto si convenne leva’ il capo a proferer più erto; ma visione apparve che ritenne a sé me tanto stretto, per vedersi, che di mia confession non mi sovvenne. Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non sì profonde che i fondi sien persi,

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tornan d’i nostri visi le postille debili sì, che perla in bianca fronte non vien men forte a le nostre pupille;

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tali vid’io più facce a parlar pronte; per ch’io dentro a l’error contrario corsi a quel ch’accese amor tra l’omo e ‘l fonte.

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Sùbito sì com’io di lor m’accorsi, quelle stimando specchiati sembianti, per veder di cui fosser, li occhi torsi; e nulla vidi, e ritorsili avanti dritti nel lume de la dolce guida, che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. «Non ti maravigliar perch’io sorrida», mi disse, «appresso il tuo pueril coto, poi sopra ‘l vero ancor lo piè non fida, ma te rivolve, come suole, a vòto: vere sustanze son ciò che tu vedi, qui rilegate per manco di voto. Però parla con esse e odi e credi; ché la verace luce che li appaga da sé non lascia lor torcer li piedi». E io a l’ombra che parea più vaga di ragionar, drizza’mi, e cominciai, quasi com’uom cui troppa voglia smaga: «O ben creato spirito, che a’ rai di vita etterna la dolcezza senti che, non gustata, non s’intende mai, grazioso mi fia se mi contenti del nome tuo e de la vostra sorte».

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Dopo le sue parole, Beatrice rivolse lo sguardo al Cielo.

Quel sole (Beatrice) che prima mi scaldò il petto di amore, mi aveva svelato il dolce aspetto della verità con argomentazioni a favore e contrarie; e io, per confessare che avevo corretto il mio errore ed ero sicuro di aver capito, alzai la testa più diritta quanto era necessario a parlare; ma mi apparve una visione che attirò a sé il mio sguardo così strettamente, per guardarla, che non mi ricordai più della mia confessione. Proprio come attraverso vetri trasparenti e chiari, oppure attraverso acque nitide e non turbate (non tanto profonde da non vedere i fondali), tornano i riflessi dei nostri volti così evanescenti che una perla su una fronte bianca non colpisce meno debolmente i nostri occhi, così io vidi più facce di beati pronti a parlare; allora io incorsi nell'errore opposto a quello che accese amore tra Narciso e la sua immagine specchiata nell'acqua. Non appena mi accorsi degli spiriti, ritenendo che fossero immagini riflesse, mi voltai indietro per vedere di chi fossero; e non vidi nulla, e tornai a guardare avanti negli occhi della mia dolce guida, che, sorridendo, ardeva nel suo sguardo pieno di santità. Mi disse: «Non ti stupire se io sorrido del tuo pensiero infantile, dal momento che il tuo intelletto non è ancora sicuro dietro la verità, ma ti fa girare a vuoto come solitamente accade in questi casi: ciò che tu vedi sono creature reali, relegate qui per inadempienza di voto. Dunque parla con esse e credi a tutto quello che sentirai; infatti, la luce verace (di Dio) che le rende felici non permette loro di allontanarsi dalla verità». E io mi rivolsi all'anima che sembrava più desiderosa di parlare, e cominciai, quasi come un uomo indebolito dall'eccessivo desiderio: «O spirito ben nato, che ai raggi della vita eterna senti una dolcezza incomprensibile se non è provata, mi sarà gradito se mi dirai il tuo nome e la vostra condizione».

Ond’ella, pronta e con occhi ridenti: «La nostra carità non serra porte a giusta voglia, se non come quella che vuol simile a sé tutta sua corte. I’ fui nel mondo vergine sorella; e se la mente tua ben sé riguarda, non mi ti celerà l’esser più bella, ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda, che, posta qui con questi altri beati, beata sono in la spera più tarda. Li nostri affetti, che solo infiammati son nel piacer de lo Spirito Santo, letizian del suo ordine formati.

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Allora lei, pronta e con occhi sorridenti:

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«La nostra carità non chiude la porta a un giusto desiderio, proprio come quella di Dio che vuole simile a sé tutto il Paradiso.

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ma mi riconoscerai come Piccarda Donati, che, posta qui con questi altri beati, sono nel Cielo più lento (della Luna).

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I nostri sentimenti, che sono infiammati solo dal piacere dello Spirito Santo, gioiscono nell'adeguarsi al suo ordine.

E questa sorte che par giù cotanto, però n’è data, perché fuor negletti li nostri voti, e vòti in alcun canto». Ond’io a lei: «Ne’ mirabili aspetti vostri risplende non so che divino che vi trasmuta da’ primi concetti: però non fui a rimembrar festino; ma or m’aiuta ciò che tu mi dici, sì che raffigurar m’è più latino. Ma dimmi: voi che siete qui felici, disiderate voi più alto loco per più vedere e per più farvi amici?». Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco; da indi mi rispuose tanto lieta, ch’arder parea d’amor nel primo foco: «Frate, la nostra volontà quieta virtù di carità, che fa volerne sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. Se disiassimo esser più superne, foran discordi li nostri disiri dal voler di colui che qui ne cerne; che vedrai non capere in questi giri, s’essere in carità è qui necesse, e se la sua natura ben rimiri. Anzi è formale ad esto beato esse tenersi dentro a la divina voglia, per ch’una fansi nostre voglie stesse; sì che, come noi sem di soglia in soglia per questo regno, a tutto il regno piace com’a lo re che ‘n suo voler ne ‘nvoglia. E ‘n la sua volontade è nostra pace: ell’è quel mare al qual tutto si move ciò ch’ella cria o che natura face».

Nel mondo io fui una suora; e se tu rifletti attentamente, il fatto che io sia più bella non ti nasconderà la mia identità,

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E questa nostra condizione, che sembra tanto bassa, ci è stata data perché i nostri voti furono inadempiuti e trascurati in alcuni aspetti».

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Allora io le dissi: «Nel vostro meraviglioso aspetto risplende qualcosa di divino che vi rende diversi da come eravate in vita:

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per questo non fui rapido nel ricordare; ma ora quello che mi dici mi aiuta, così che mi è più semplice raffigurarmi il tuo volto.

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Ma dimmi: voi che siete qui felici, desiderate essere in un luogo più alto per vedere Dio più da vicino ed essere in maggior comunione con Lui?»

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Con le altre anime dapprima sorrise un poco; poi mi rispose tanto lieta che sembrava ardere nell'amore dello Spirito Santo:

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«Fratello, la virtù di carità placa la nostra volontà, e ci induce a volere solo ciò che abbiamo e non ci fa desiderare altro.

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Se desiderassimo essere più in alto, i nostri desideri sarebbero discordi dalla volontà di Colui (Dio) che ci colloca qui; e vedrai che questo non è possibile in questi Cieli, se qui è necessario essere in carità e se osservi bene la natura della carità stessa.

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Anzi, alla nostra condizione di beati è essenziale conformarsi alla volontà divina, per cui tutti i nostri desideri diventano uno solo;

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cosicché a tutto il regno piace il modo in cui siamo disposti di Cielo in Cielo, e piace al re (Dio) che ci i...


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