Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo PDF

Title Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo
Course Psichiatria e Psicologia Clinica 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Description

René Girard. DELLE COSE NASCOSTE SIN DALLA FONDAZIONE DEL MONDO. Ricerche con Jean-Michel Oughourlian e Guy Lefort. ADELPHI EDIZIONI, Milano 1983. TITOLO ORIGINALE: "Des choses cachées depuis la fondation du monde". Traduzione di Rolando Damiani. Copyright 1978 EDITION GRASSET & FASQUELLE PARIS.

INDICE.

Premessa. DELLE COSE NASCOSTE SIN DALLA FONDAZIONE DEL MONDO. Libro primo. ANTROPOLOGIA FONDAMENTALE. 1. Il meccanismo vittimario: fondamento del religioso. - Mimesi di appropriazione e rivalità mimetica. - Funzione del divieto: proibizione del mimetico. - Funzione del rito: esigenza del mimetico. - Sacrificio e meccanismo vittimario. - Teoria del religioso. 2. Genesi della cultura e delle istituzioni. - Varianti rituali. - La regalità sacra e il potere centrale. - Polivalenza rituale e specificazione istituzionale. - Domesticazione animale e caccia rituale. - I divieti sessuali e il principio dello scambio. - La morte e i funerali. 3. Il processo di ominizzazione. - Posizione del problema. - Etologia e etnologia. - Meccanismo vittimario e ominizzazione. - Il significante trascendentale. 4. I miti: il linciaggio fondatore camuffato. - «Eliminazione radicale». - 'Connotazione negativa', 'connotazione positiva'. - Segni fisici della vittima espiatoria. 5. I testi di persecuzione. - Testo mitico e referente. - I testi di persecuzione. - La persecuzione demistificata, monopolio del mondo occidentale e moderno. - Duplice carica semantica dell'espressione «capro espiatorio». - Emergenza storica del meccanismo vittimario. Note al libro primo. Libro secondo. LA SCRITTURA GIUDEO-CRISTIANA. 1. Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo.

- Somiglianze tra i miti biblici e la mitologia mondiale. - Singolarità dei miti biblici. - Rivelazione evangelica dell'assassinio fondatore. 2. Lettura non sacrificale del testo evangelico. - Il Cristo e il sacrificio. - Impossibilità della lettura sacrificale. - Apocalisse e discorso parabolico. - Potenze e principati. - La predicazione del Regno. - Regno e Apocalisse. - Morte non sacrificale del Cristo. - La divinità del Cristo. - La concezione verginale. 3. Lettura sacrificale e cristianesimo storico. - Implicazioni della lettura sacrificale. - L'"Epistola agli Ebrei". - Morte del Cristo e fine del sacro. - Sacrificio dell'altro e sacrificio di sé. - Il «Giudizio di Salomone». - Una nuova lettura sacrificale: l'analisi semiotica. - Lettura sacrificale e storia. - Scienza e Apocalisse. 4. Il Logos di Eraclito e il Logos di Giovanni. - Il Logos nella filosofia. - I due Logos in Heidegger. - Definizione vittimaria del Logos giovanneo. «In principio». - Amore e conoscenza. Note al libro secondo. Libro terzo. PSICOLOGIA INTERDIVIDUALE. 1. Il desiderio mimetico. - Mimesi di appropriazione e desiderio mimetico. - Desiderio mimetico e mondo moderno. - Crisi mimetica e dinamica del desiderio. - Mimesi di apprendimento e mimesi di rivalità. - Il "double bind" di Gregory Bateson. - Dalla rivalità d'oggetto al desiderio metafisico. 2. Il desiderio senza oggetto. - I doppi e l'interdividualità. - Sintomi d'alternanza. - Scomparsa dell'oggetto e struttura psicotica. - Ipnosi e possessione. 3. Mimesi e sessualità. - Quello che si chiama «masochismo». - 'Sadomasochismo' teatrale. - L'omosessualità. - Latenza e rivalità mimetica. - La fine del platonismo in psicologia. 4. Mitologia psicoanalitica. - Il platonismo di Freud e il ricorso all'archetipo edipico. - Come riprodurre un triangolo?

- Mimesi e rappresentazione. - La doppia genesi edipica. - Perché la bisessualità? - Il narcisismo: il desiderio di Freud. - Le metafore del desiderio. 5. Al di là dello scandalo. - Sacrificio e psicoterapia. - "Jenseits des Lustprinzips" e psicoanalisi strutturale. - Istinto di morte e cultura moderna. - Lo "skandalon". Note al libro terzo. Per concludere... Note a "Per concludere...". Bibliografia.

PREMESSA.

I testi qui presentati sono il risultato di ricerche svolte a Cheektowaga negli anni 1975 e 1976 e a Johns Hopkins nel 1977. In un secondo tempo essi sono stati rielaborati e completati con alcuni scritti anteriori di René Girard, che sono venuti a inserirsi in vari punti. Si tratta innanzitutto di alcune parti di una discussione apparsa sulla rivista «Esprit» nel 1973, di un saggio intitolato "Les Malédictions contre les Pharisiens", uscito nel «Bulletin du Centre protestant d'études» di Ginevra e di "Violence and Representation in the Mythical Text", pubblicato in «Modern Language Notes» nel dicembre 1977. Abbiamo soppresso di proposito tutte le precauzioni oratorie che la prudenza e la consuetudine raccomandano nella presentazione di una tesi tanto ambiziosa, allo scopo di alleggerire i testi e conservare il loro carattere di discussione. Preghiamo il lettore di tenerne conto. Rivolgiamo i nostri più fervidi ringraziamenti all'Università di New York a Buffalo, all'Università Johns Hopkins, all'Università Cornell e a tutti coloro che, in diverso modo, ci hanno facilitato il compito: Cesáreo Bandera, Jean-Marie Domenach, Marc Faessler, John Freccero, Eric Gans, Sandor Goodhart, Josué Harari, Joseph Oughourlian, Georges-Hubert de Radkowski, Oswald Rouquet, Raymund Schwager, Michel Serres. Siamo particolarmente riconoscenti a Martine Bell per la sua collaborazione e alle nostre mogli per la loro pazienza. RENE' GIRARD, JEAN-MICHEL OUGHOURLIAN, GUY LEFORT.

DELLE COSE NASCOSTE SIN DALLA FONDAZIONE DEL MONDO. "kekryména apò katabolès" "Matteo", 13, 35.

LIBRO PRIMO. ANTROPOLOGIA FONDAMENTALE. "L'uomo si differenzia dagli altri animali in quanto è il più adatto all'imitazione". ARISTOTELE, "Poetica", 4.

1. IL MECCANISMO VITTIMARIO: FONDAMENTO DEL RELIGIOSO.

Oughourlian: La nostra prima domanda, in quanto psichiatri, riguardava la problematica del desiderio. Lei l'ha giudicata prematura, affermando che bisogna cominciare con l'antropologia e che il segreto dell'uomo può rivelarlo solamente il religioso. Mentre oggi tutti pensano che una vera scienza dell'uomo resti inaccessibile, lei parla di una scienza del religioso. Come giustifica questo atteggiamento? Girard: Per rispondere ci vorrà molto tempo... Quanto lo spirito moderno ha di efficace si identifica con la scienza. Ogni volta che essa trionfa in maniera incontestabile, si ripete lo stesso processo. Si prende un mistero antichissimo, temibile, oscuro, e lo si trasforma in enigma. Non c'è enigma, per quanto complesso, che alla fine non venga risolto. Da secoli ormai, il religioso si ritira dapprima dal mondo occidentale e poi dall'umanità intera. Via via che si allontana e si prendono da esso le distanze, quella metamorfosi che ho appena segnalato si compie da sola. Il mistero insondabile di una volta, protetto dai più terribili tabù, appare sempre più come un problema da risolvere. Perché la credenza nel sacro? Perché ovunque riti e divieti, perché non vi è mai stato un ordine sociale, prima del nostro, che non appaia dominato da una entità soprannaturale? Nel favorire accostamenti e confronti, la ricerca etnologica, l'accumulo straordinario di testimonianze su innumerevoli religioni morenti o già morte, ha accelerato la trasformazione del religioso in una questione scientifica, che continua a offrirsi alla sagacia degli etnologi. E dalla speranza di rispondere a tale questione la speculazione etnologica ha attinto, per molto tempo, il suo vigore. In un certo periodo, dal 1860 al 1920 circa, la meta apparve molto vicina e gli studiosi diedero prova di un'attività febbrile. Sembra di vederli tutti ansiosi di essere i primi a scrivere l'equivalente etnologico dell'"Origin of Species", quell'«Origine delle religioni» che avrebbe svolto nelle scienze dell'uomo e della società lo stesso ruolo decisivo del grande libro di Darwin nelle scienze della vita. Passarono gli anni, nessun libro si impose. Le «teorie del religioso», l'una dopo l'altra fecero fiasco, e a poco a poco si diffuse l'idea che la concezione problematica del religioso dovesse essere falsa. Alcuni affermano che non è scientifico affrontare questioni troppo vaste, questioni che occupano l'intero campo della ricerca. A che punto sarebbe ai giorni nostri una biologia che avesse prestato orecchio ad argomenti simili? Lefort: Altri, come Georges Dumézil, sostengono che, nella nostra epoca, il solo metodo che produce risultati, essendo «strutturale», può operare su forme già simbolizzate, su strutture di linguaggio, e non su princìpi troppo generali come il sacro, eccetera. Girard: Ma questi princìpi molto generali si presentano a noi, in ogni cultura particolare, sotto forma di parole come "mana", "sacer". Perché escludere dalla ricerca tali parole e non le altre? L'esclusione del religioso, nel senso in cui cinquant'anni fa costituiva un problema, è il fenomeno che più caratterizza l'attuale etnologia. In questa esclusione deve essere in gioco qualcosa di molto importante, a giudicare dalla passione che ci mettono taluni per renderla definitiva. Secondo E. E. Evans-Pritchard, per esempio, non c'è mai stato e non ci sarà mai niente di positivo nelle teorie del religioso. L'eminente etnologo le tratta tutte con un disprezzo tale che ci si domanda perché vi abbia consacrato un'opera intitolata "Theories of Primitive Religion" (1). L'autore non esita a includere nella sua scomunica maggiore anche le teorie future, condannando senza appello pensieri non ancora venuti alla luce. Perché uno studioso arrivi a infischiarsene di una prudenza elementare in materia di scienza, bisogna che si sia lasciato prendere dalla passione. Oughourlian: Quanti esempi si potrebbero offrire di profezie così categoriche presto smentite dall'esperienza! Infatti, tale genere di predizioni negative si ripete così di frequente nella ricerca che ci si può chiedere se non sia suscitato dall'approssimarsi di quella scoperta che - si proclama solennemente - non

avrà mai luogo. C'è, in ogni epoca, un'organizzazione del sapere per la quale ogni scoperta importante costituisce una minaccia. Girard: Certo, è naturale che una domanda a lungo senza risposta diventi sospetta in quanto domanda. Il progresso scientifico può assumere la forma di domande che scompaiono, di cui si riconosce alla fine l'inutilità. Si tenta di convincersi che la stessa cosa avvenga nel caso del religioso, ma ritengo che non sia così. Se si confrontano tra loro le numerose e mirabili monografie di culture singole accumulate dagli etnologi a partire da Malinowski, da quelli inglesi soprattutto, ci si accorge che l'etnologia non dispone di una terminologia coerente in materia religiosa. Questo spiega il carattere ripetitivo delle descrizioni. Nelle scienze autentiche, si può sempre sostituire agli oggetti già descritti e alle dimostrazioni già fatte una etichetta, un simbolo, un riferimento bibliografico. In etnologia risulta impossibile, perché non vi è accordo sulla definizione dei termini più elementari come rituale, sacrificio, mitologia, eccetera. Prima di lanciarci nell'impresa e per giustificare le libertà che ci prenderemo con le credenze del nostro tempo, sarà opportuno, forse, soffermarsi sull'attuale situazione delle scienze dell'uomo. L'epoca che finisce è stata dominata dallo strutturalismo. Per capire lo strutturalismo, penso si debba tener conto del clima che ho qui segnalato. A metà del ventesimo secolo non c'è più alcun dubbio sul fallimento delle grandi teorie. La stella di Durkheim è al tramonto. Nessuno ha mai preso sul serio "Totem und Tabu". E' in tale contesto che nasce lo strutturalismo etnologico, dall'incontro fra Claude Lévi-Strauss e la linguistica strutturale di Roman Jakobson a New York, durante la guerra. Come i linguaggi, afferma Lévi-Strauss, i dati culturali sono composti da segni che non avrebbero alcun significato se fossero isolati gli uni dagli altri. I segni significano gli uni mediante gli altri; formano dei sistemi dotati di una coerenza interna che conferisce a ogni cultura, a ogni istituzione la sua individualità propria. E' quanto l'etnologo deve rivelare. Egli deve decifrare dall'interno le forme simboliche e dimenticare le grandi questioni tradizionali che rifletterebbero unicamente le illusioni della nostra stessa cultura, e avrebbero senso unicamente in funzione del sistema entro cui operiamo. Bisogna limitarsi alla lettura delle forme simboliche, ci dice Lévi-Strauss; bisogna cercare il senso là dove si trova e non altrove. Le culture «etnologiche» non si interrogano sul religioso in quanto tale. In definitiva Lévi-Strauss invita l'etnologia e tutte le scienze dell'uomo a una vasta ritirata strategica. Prigionieri come siamo delle nostre forme simboliche, non possiamo far altro che ricostituire le operazioni di senso non solamente per noi ma per altre culture; non possiamo trascendere i significati particolari per interrogarci sull'uomo in sé, sul suo destino, eccetera. Tutto quello che possiamo fare è riconoscere nell'uomo colui che secerne le forme simboliche, i sistemi di segni, per poi fonderli con la 'realtà' stessa, dimenticando che frappone tra sé e questa realtà, per renderla significativa, questi sistemi sempre particolari. Oughourlian: Su certi punti l'antropologia strutturalista ha ottenuto risultati notevoli. Il rigore strutturalista, invece di essere disumanizzato e arido come risulta dalle accuse dei suoi avversari, suscita, nella lettura delle forme, una straordinaria poesia; così assaporiamo la specificità delle forme culturali come mai l'avevamo assaporata in precedenza. Girard: Credo che la rinuncia strutturalista alle «grandi questioni», quali si ponevano prima di Lévi-Strauss, in un quadro di umanesimo impressionistico, costituisse la sola via possibile per l'etnologia, nel momento in cui Lévi-Strauss se ne è assunto il fardello, trasformandola radicalmente. Non vi è nulla di più essenziale per l'etnologia che cogliere il senso solamente dove si trova e dimostrare l'inutilità di certe antiche riflessioni sull'uomo. Esiste tutta una problematica ereditata dal diciannovesimo secolo che l'antropologia strutturalista ha definitivamente screditato. Lefort: Per questo i post-strutturalisti hanno proclamato che, dopo Dio, l'uomo a sua volta stava per morire, o era già morto; se ne parla ancora a malapena. Girard: Qui però non sono più d'accordo; si parla sempre dell'uomo e se ne parlerà sempre più negli anni a venire. Le nozioni di uomo e di umanità resteranno al centro di tutto un insieme di domande e risposte per le quali non c'è motivo di rinunciare alla denominazione di «scienza dell'uomo». Tuttavia uno spostamento si sta

effettuando, in parte grazie a discipline nuove come l'etologia, e in parte grazie allo strutturalismo stesso che ci designa, sia pure in modo negativo, l'ambito preciso in cui la questione dell'uomo si porrà, e in verità già si pone, in modo molto esplicito. E' l'ambito dell'origine e della genesi dei sistemi significanti. Esso viene già riconosciuto come problema concreto nel campo delle scienze della vita dove si presenta, certo, in modo abbastanza differente, nei termini del processo di ominizzazione. Si sa perfettamente che questo problema è lungi dall'essere risolto, ma non si dubita che la scienza, un giorno, riesca a risolverlo. Nessuna questione, oggi, ha maggiore avvenire della questione dell'uomo.

MIMESI DI APPROPRIAZIONE E RIVALITA' MIMETICA. Oughourlian: Per concepire il processo di ominizzazione in modo concreto bisognerebbe superare l'incomprensione reciproca fra l'etnologia strutturalista, da un lato, e certe scienze della vita, come l'etologia, dall'altro. Girard: Oso credere che sia possibile ma, per riuscirci, bisogna partire da un antichissimo problema, che non è di moda, e ripensarlo in modo radicale. A proposito di tutto ciò che si può chiamare mimetismo, imitazione, mimesi, regna attualmente, nelle scienze dell'uomo e della cultura, una visione unilaterale. Non c'è nulla o quasi, nei comportamenti umani, che non sia appreso, e ogni apprendimento si riduce all'imitazione. Se gli uomini, a un tratto, cessassero di imitare, tutte le forme culturali svanirebbero. I neurologi ci ricordano di frequente che il cervello umano è un'enorme macchina per imitare. Per elaborare una scienza dell'uomo, bisogna confrontare l'imitazione umana con il mimetismo animale, precisare, qualora esistano, le modalità propriamente umane dei comportamenti mimetici. Si dimostrerebbe facilmente come il silenzio delle scuole attuali sia il risultato di una tendenza che risale agli inizi dell'epoca moderna e che si afferma nel diciannovesimo secolo con il romanticismo e l'individualismo e più ancora nel ventesimo secolo con il timore degli studiosi di apparire docili agli imperativi politici e sociali della loro comunità. Si ritiene che insistendo sul ruolo dell'imitazione si porrà in breve l'accento sugli aspetti gregari dell'umanità, su quanto ci trasforma in gregge. Si teme di minimizzare quanto porta alla divisione, all'alienazione e al conflitto. Dando all'imitazione il ruolo principale ci si renderebbe complici, forse, di quanto ci asservisce e ci rende uniformi. E' vero che le psicologie e sociologie dell'imitazione elaborate alla fine del diciannovesimo secolo portano la ben visibile impronta dell'ottimismo e del conformismo della piccola borghesia trionfante. Ciò vale, per esempio, per l'opera più interessante fra tutte queste, che è quella di Gabriel Tarde, il quale vede nell'imitazione il fondamento unico dell'armonia sociale e del «progresso» (2). L'indifferenza e la diffidenza dei nostri contemporanei riguardo all'imitazione dipendono dalla concezione che se ne fanno, ancorata a una tradizione che risale in ultima analisi a Platone. Già in Platone la problematica dell'imitazione è amputata di una dimensione essenziale. Quando parla dell'imitazione, Platone lo fa in uno stile che annuncia tutto il pensiero occidentale posteriore. Gli esempi che ci propone vertono unicamente su alcuni tipi di comportamento, maniere, abitudini individuali o collettive parole, modi di parlare, sempre su "rappresentazioni". In questa problematica platonica mai si fa cenno ai comportamenti di appropriazione. E' evidente, invece, che i comportamenti di appropriazione, svolgendo un ruolo importantissimo negli uomini così come in tutti gli esseri viventi, sono suscettibili d'essere copiati. Non c'è alcun motivo per escluderli; eppure Platone non ne fa mai parola; e questa mancanza ci sfugge perché tutti i suoi successori, a cominciare da Aristotele, ne hanno seguito le orme. E' Platone che ha determinato una volta per tutte la problematica culturale dell'imitazione ed è una problematica mutila, amputata di una dimensione essenziale, la dimensione acquisitiva che è anche la dimensione conflittuale. Se il comportamento di certi mammiferi superiori, in particolare delle scimmie, sembra preannunciare quello dell'uomo lo si deve quasi esclusivamente, forse, al ruolo già importante, ma non ancora così importante come nell'uomo, svolto dal mimetismo di appropriazione. Se un individuo vede uno dei suoi congeneri tendere la mano verso un oggetto, è subito tentato di imitarne il gesto. Capita anche che l'animale resista visibilmente a questa tentazione, e se il gesto abbozzato ci fa sorridere perché ci ricorda l'umanità, il rifiuto di compierlo, vale a dire la repressione di quello che già possiamo quasi definire un desiderio, ci diverte ancora di più. Rende l'animale una specie di fratello poiché lo mostra sottomesso alla stessa fondamentale schiavitù dell'umanità: prevenire i conflitti

inevitabilmente provocati dalla convergenza, verso un solo e identico oggetto, di due o più mani ugualmente avide. Non è probabilmente un caso, che il tipo di comportamento escluso in modo sistematico da tutte le problematiche dell'imitazione, da Platone fino ai giorni nostri, sia quello cui non si può pensare senza scoprire subito la flagrante erroneità della concezione che ci si fa sempre di tale «facoltà», il carattere propriamente mitico degli effetti uniformemente gregari e lenitivi che si continua ad attribuirle. Se il mimetico nell'uomo svolge in effetti il ruolo fondamentale che tutto indica per esso, deve necessariamente esistere una imitazione acquisitiva o, se si preferisce, una mimesi di appropriazione di cui è importante studiare gli effetti e valutare le conseguenze. Mi direte che nel caso dei bambini - com...


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