Democrazie stabilizzate esame PDF

Title Democrazie stabilizzate esame
Author Sokayna Younsy
Course Diritto pubblico comparato
Institution Università di Pisa
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Materiale esame Diritto pubblico comparato prof. Rino Casella IL PARLAMENTO L’origine dei Parlamenti La parola «parlamento» contiene in sé l’atto del parlare, del conversare, derivando proprio dal verbo «parlare»; non a caso nella letteratura classica con l’espressione «venire a parlamento» si intendeva «venire a colloquio» oppure «avviare un ragionamento», mentre nella terminologia popolare «fare un parlamento» significava «discutere a vuoto, senza una finalità specifica, inutilmente. Tali significati di «parlamento» sono rimasti anche nei comuni dizionari di lingua italiana dove, tuttavia, si precisa che per «parlamento» deve intendersi, quanto meno a partire dal Medioevo, una pubblica adunanza che tratta di affari pubblici, politici e amministrativi. Alla parola «Parlamento», con la P maiuscola, lo studioso e l’operatore del diritto deve dare, invece, un significato diverso, più tecnico e puntuale. I Parlamenti, oggi, per chiamarsi ed essere tali, devono avere caratteristiche ben precise e non limitarsi a riunire porzioni di cittadini e a essere luogo della discussione collettiva. 148 Nella storia dell’umanità le prime adunanze pubbliche, chiamate «Areopago» poi «Bulè» quindi «Ecclesia», risalgono alla c.d. «democrazia ateniese»: esse consentivano a fasce ristrette e selezionate della popolazione titolare di diritti di cittadinanza di discutere questioni di rilevanza generale, talvolta con potere decisorio, altre volte con funzioni consultive verso l’autorità di governo. Dopo l’esperienza ateniese numerose furono le assemblee popolari: dall’Althing islandese del 930 d.C. alla Curia generale che si riunisce in Sicilia sotto gli Svevi intorno al 1190 d.C. Si trattava di luoghi fisici in cui taluni potevano esprimere opinioni e assumere limitate decisioni, senza tuttavia alcuna garanzia di funzionamento né rappresentando una limitazione ai poteri dell’autorità. In tal senso queste assemblee nulla hanno a che vedere con i Parlamenti odierni. Il «Parlamento», infatti, per essere tale deve rappresentare un contropotere rispetto agli organi di governo; deve essere dotato di una struttura e di forme precise di autonomia organizzativa, finanziaria, strumentale; deve poter svolgere funzioni che non possono essere modificate contro il proprio volere. Per trovare primi «veri» Parlamenti dobbiamo attendere il XIII secolo quando in Italia, nella città di Foggia, Federico II di Svevia costituisce una pubblica Assemblea dotandola di poteri normativi, funzionante, con qualche forma di garanzia, dal 1232 al 1240. Nel medesimo periodo, ma successivamente all’esperienza foggiana, si riunisce anche il magnum Parliamentum di Westminster, a Londra, composto da abati, conti e baroni per respingere la richiesta di ulteriori sussidi e contributi (diremo oggi: di nuove tasse) avanzata dal sovrano Enrico III. Per soddisfare le proprie richieste, Enrico III dovrà accettare, nel 1258,

approvando uno specifico atto normativo chiamato Provisions of Oxford, di istituire un’Assemblea rappresentativa del reame, composta anche da delegati delle città e dei borghi, da convocare almeno tre volte l’anno a cui sottoporre le decisioni di spesa più rilevanti. Dopo circa trent’anni di funzionamento di questa Assemblea, il successore di Enrico III, Edoardo I, riconosce l’indispensabilità del Parlamento di Londra, ne formalizza ulteriormente il funzionamento, allargando la rappresentanza anche a vescovi e arcivescovi. Risale a questo periodo, al 1295, l’istituzionalizzazione dell’odierno Parlamento britannico, Westminster appunto dal nome del palazzo che lo ospita, che non a caso è definito la «madre di tutti i Parlamenti». Dopo queste significative esperienze, la parola «Parlamento» ha assunto un diverso significato indicando, al contempo, un luogo fisico e una funzione: il luogo in cui si riuniscono, con una tempistica certa e garantita, rappresentanti di porzioni più o meno ampie di cittadini, godendo di una serie di prerogative e diritti; la funzione riconosciuta dalla legge fondamentale dello Stato di poter assumere decisioni di portata generale, anche al fine di limitare l’autorità costituita. Il Parlamento è, infatti, il frutto di una conquista dei cittadini verso il sovrano; è la rappresentazione plastica di un nuovo potere che limita il potere costituito. Rivendicare l’istituzione di un Parlamento significa rivendicare uno spazio di libertà, traduce la volontà di rifondare lo Stato secondo un modello del tutto 149diverso da quello assolutistico. La conquista del Parlamento è la conquista dei diritti politici, del principio secondo cui non è possibile imporre imposte sui cittadini senza che il luogo di rappresentanza dei cittadini lo voglia (no taxation without representation), della separazione tra i poteri pubblici. Oggi, in un’epoca caratterizzata dal disincanto verso le funzioni svolte dal Parlamento o, peggio, dal declino dei Parlamenti come luoghi della rappresentanza di un popolo, può sembrare strano che il Parlamento abbia svolto in precedenza un ruolo così significativo. Dando per scontato la sua esistenza, abbiamo perso la consapevolezza della sua funzione, abbiamo smesso di percepirlo e di utilizzarlo come sede dei nostri interessi, come strumento di controllo e di indirizzo della volontà politica, come destinatario delle nostre speranze. Eppure il Parlamento è, per sua natura, l’unica istituzione aperta verso la società; esso, è stato tradizionalmente osservato, è come un «porticato tra lo Stato e la società civile». Le fonti del Parlamento e lo status del parlamentare Le fonti del diritto parlamentare possono distinguersi in «fonti scritte» e «fonti non scritte». Alla prima categoria appartengono la Costituzione, i regolamenti parlamentari, le leggi ordinarie; alla seconda le consuetudini e le prassi, che costituiscono precedenti significativi nei lavori parlamentari (v. supra cap. 3). Norma fondante il Parlamento nei sistemi democratici è, ovviamente, la Costituzione. Le Costituzioni delle democrazie stabilizzate, infatti, nell’istituire il Parlamento ne definiscono le attribuzioni essenziali, quale potere e organo dello Stato chiamato ad

assolvere precise funzioni distinte da quelle riconosciute agli altri due poteri tradizionali dello Stato (esecutivo e giudiziario). In particolare, le Costituzioni definiscono il raggio di azione dei Parlamenti, fissandone, in genere, la struttura, lo status dei suoi componenti, le funzioni (artt. 24, 39, 49 e 50 della Costituzione francese; artt. 51 ss. della Legge fondamentale tedesca; artt. 66. ss. della Costituzione spagnola). Le medesime Costituzioni rinviano a una fonte propria del Parlamento la disciplina concreta dell’esercizio delle funzioni costituzionali. Tale fonte, chiamata in genere «regolamento parlamentare» o standing orders nel mondo anglosassone, rappresenta il principale atto giuridico del Parlamento. Le Costituzioni e i regolamenti parlamentari attribuiscono specifiche garanzie al membro del Parlamento al fine di assicurare la sua libertà di espressione politica. Pilastro del parlamentarismo è infatti il principio dell’insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni. Frutto della lotta per il Parlamento originata in Gran Bretagna nel XIII secolo, tale principio trova la sua prima formalizzazione nell’art. 9 dell’Act Declaring the Rights and Liberties of the Subject and Settling the Succession of the Crown150 ovvero il Bill of Rights approvato da Guglielmo III d’Orange re d’Inghilterra nel 1689, secondo cui la libertà di parola in Parlamento non può essere ostacolata né contestata, in alcuna sede, neanche quella giudiziaria. Un secolo dopo il Bill of Rights trova formalizzazione un altro principio cardine del parlamentarismo, quello dell’inviolabilità del parlamentare: gli artt. 7 e 8 della Costituzione francese del 1791 sanciscono il divieto di perseguire, arrestare o detenere un membro del Parlamento senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza. I principi dell’insindacabilità e dell’inviolabilità del parlamentare rappresentano ancora oggi il fondamento di ogni Parlamento democratico e sono indicatori essenziali anche per verificare la natura democratica o meno del sistema politico. Un parlamentare perseguibile, infatti, per l’espressione di un voto o di una dichiarazione è un parlamentare non libero di esercitare il proprio mandato, potenzialmente ricattabile: affermare quindi tali principi significa affermare il potere legislativo quale potere autonomo rispetto al potere esecutivo e al giudiziario, interconnesso ma non sottoposto a questi secondo le forme che la Costituzione delinea. La libertà del mandato del parlamentare è un’altra caratteristica del suo status. Diverse Costituzioni fissano, infatti, il principio del divieto di mandato imperativo: il parlamentare è libero nell’esercizio delle sue funzioni e non può essere vincolato da istruzioni ricevute dal suo partito, dagli elettori o da chi ha finanziato la sua campagna elettorale. Su questo divieto si fonda il concetto stesso di rappresentanza politica. La parola «rappresentanza» è parola ambigua: essa traduce concetti differenti a seconda del contesto in cui si cala: nel diritto privato, per esempio, la rappresentanza riconduce a un

rapporto vincolante tra un mandante e un mandatario. Quella particolare forma di rappresentanza che si definisce «rappresentanza politica» non può, però, essere interpretata secondo gli schemi del diritto privato. Al contrario, la rappresentanza politica genera da un’entità plurale, dall’atto di una volontà collettiva (il voto), laddove la rappresentanza di diritto privato implica un rapporto i cui termini sono singoli. La cifra di tale differenza è data appunto dalla natura che si instaura tra il rappresentante e il rappresentato: nel diritto privato sussiste un vincolo, mentre nel contesto politico tale vincolo sarebbe vietato. Si afferma, perciò, nel politico, quella libertà di mandato i cui fondamenti si ritrovano nel celebre discorso agli elettori di Bristol di Edmund Burke del 1774: «Certamente, signori, deve tornare a felicità e gloria di un rappresentante il fatto di vivere nell’unione più stretta, nella più totale corrispondenza e nella più limpida comunicazione con i propri elettori. Egli deve tenere in gran conto i loro desideri, in gran rispetto le loro opinioni, e deve prestare incessante attenzione ai loro affari. È suo dovere sacrificare il proprio riposo, i propri piaceri, le proprie soddisfazioni alle loro; soprattutto, sempre e in ogni caso, preferire i loro interessi ai propri. Tuttavia, egli non deve sacrificare a voi la sua opinione imparziale, il suo maturo giudizio, la sua illuminata coscienza. 151Né a voi, né a nessun uomo o gruppo di uomini». E questo perché «il Parlamento non è un congresso di ambasciatori di interessi diversi e ostili», ma «un’Assemblea deliberativa di una Nazione, con un solo interesse». È in Francia che il divieto di mandato imperativo trova la formulazione tuttora vigente grazie al sovrano Luigi XVI che, tre giorni dopo il giuramento della Pallacorda, il 23 giugno 1789, lo introdusse con una propria ordinanza. Nelle democrazie stabilizzate tale principio trova, tuttavia, una deroga negli ordinamenti federali laddove la seconda Camera, come si vedrà, è chiamata a rappresentare gli interessi dei territori: in questi contesti (è il caso specialmente della Germania) i rappresentanti dei singoli Stati, i Länder, ricevono precise istruzioni di voto dalle Assemblee statali tanto da essere considerati non dei veri e propri parlamentari ma dei meri delegati statali presso il Parlamento federale tanto che possono essere revocati dall’organo che li ha designati qualora si esprimano in difformità dalle indicazioni ricevute. Il medesimo istituto c.d. «recall», ovvero la revoca del mandato parlamentare effettuata mediante un voto popolare, si ritrova in alcuni Stati degli Stati Uniti d’America, dove gli elettori possono, anche successivamente alle elezioni politiche generali, determinare la decadenza del deputato o senatore eletto nel proprio collegio sostituendolo con un altro. Insindacabilità, inviolabilità, divieto di mandato imperativo rappresentano, dunque, tre elementi propri dello status del parlamentare. Tali caratteristiche sono garantite dalla previsione, esplicitata in alcune Costituzioni, del riconoscimento di un’indennità per la funzione parlamentare. La previsione di un’indennità per l’esercizio delle funzioni di parlamentare costituisce, infatti, la base dell’intero sistema democratico in quanto, senza tale previsione, la funzione dovrebbe essere svolta gratuitamente così limitandone l’esercizio e restringendo a pochi soggetti la possibilità di accedervi.

Nella storia dei Parlamenti, non a caso, l’introduzione di tale indennità coincide con la modifica dei sistemi elettorali e la previsione di un maggior numero di aventi diritto al voto. L’estensione del suffragio elettorale e, soprattutto, l’allargamento dell’elettorato passivo avevano imposto, infatti, l’introduzione di una misura economica che consentisse anche ai ceti meno abbienti di poter esercitare la funzione politica. «Indennità» e «libertà» del mandato parlamentare sono concetti strettamente connessi tra loro. L’assenza di un’indennità o la rinuncia alla stessa renderebbe il parlamentare succube di gruppi di pressione non meglio definiti ovvero verrebbe utilizzata come strumento di propaganda elettorale da parte dei parlamentari più ricchi a danno dei parlamentari che, per motivi personali legati alle proprie condizioni lavorative, non possono rinunciarvi. Da qui discendono i numerosi dubbi circa la legittimità degli obblighi – imposti dagli Statuti di numerosi partiti e gruppi parlamentari – di versare una quota della propria indennità per il bilancio del gruppo o partito di appartenenza, trattandosi, nei fatti, di un vero e proprio «tributo partitico» che discrimina i parlamentari. La tematica della retribuzione dell’attività prestata dai membri delle Camere è al centro di ricorrenti dibattiti sui «costi della politica» e ha spinto diversi 152partiti e movimenti politici, in tutto il mondo, a impegnarsi pubblicamente a sopprimere, o quanto meno a ridurre, le indennità parlamentari. Anche in Italia, a partire dagli anni ’90 del Novecento, all’indomani dell’emergere dello scandalo denominato «Mani pulite», è emersa nell’opinione pubblica la convinzione che eliminare l’indennità parlamentare avrebbe moralizzato una politica che appariva fagocitata da comportamenti illeciti. Per qualche strano fenomeno della comunicazione pubblica, a quanti chiedevano misure di contrasto alla corruzione, diversi partiti rispondevano proponendo di rendere gratuito l’impegno dei parlamentari, senza pensare che ciò li avrebbe resi ancora più facilmente corruttibili. Avverso tali proposte, giova ricordare come la ratio dell’indennità parlamentare sia quella di garantire, da un lato, l’indipendenza del parlamentare, sia esso deputato o senatore, in quanto libero nel suo mandato, e, dall’altro, la parità di accesso alla carica politica in modo da non restringere il campo dei partecipanti alla competizione elettorale ai soli appartenenti ai ceti più abbienti della popolazione. All’opposto, la previsione della gratuità del mandato parlamentare sembra porsi in palese contrasto proprio con quelle disposizioni costituzionali prima richiamate che sono alla base di ogni ordinamento democratico. Sicché resta il dubbio che quanti chiedono la soppressione dell’indennità vogliano sacrificare, sull’altare dell’opinione pubblica, un principio cardine del sistema democratico, quello della libertà del parlamentare (sia esso deputato o senatore) da ogni influenza estranea al bene comune. La struttura dei Parlamenti I Parlamenti possono essere composti da una o più Assemblee. I due terzi dei Parlamenti presenti nel mondo sono, come si dice, «monocamerali», ovvero composti da una sola

Assemblea; tuttavia, i Parlamenti di tutte le democrazie stabilizzate esaminate in questo manuale sono bicamerali, ovvero composti da due Assemblee, chiamate talvolta «Camera alta» e «Camera bassa» o in altri casi «Camera» e «Senato». I Parlamenti bicamerali si classificano, a loro volta, a seconda della tipologia di funzioni riconosciute a ciascuna Camera e della modalità di elezione o nomina dei suoi componenti. Si è soliti così distinguere tra sistemi bicamerali perfetti – detti anche «simmetrici» o «ridondanti» – e sistemi bicamerali imperfetti (o «asimmetrici» o «deboli»). Nel primo caso entrambe le Camere svolgono le medesime funzioni e hanno una base rappresentativa sostanzialmente identica; nel secondo caso le Camere assolvono a ruoli e funzioni differenziati e i loro componenti sono selezionati con modalità divergenti dovendo svolgere una disomogenea funzione rappresentativa. Vi sono, in realtà, anche sistemi bicamerali misti caratterizzati dalla presenza di due Assemblee chiamate a 153esercitare funzioni sostanzialmente omogenee ma con una diversa modalità di composizione e base rappresentativa. Il primo caso è quello tipico italiano, dove il Parlamento si compone di due Assemblee (la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica) che svolgono, allo stesso modo e in ordine paritario, le identiche funzioni, pur essendoci una lieve differenza nella base rappresentativa atteso che l’elettorato attivo e quello passivo muta per i due rami del Parlamento. Il secondo caso caratterizza numerose democrazie stabilizzate tra cui la Spagna, la Francia e la Germania. Quest’ultimo ordinamento merita una speciale attenzione, rappresentando un modello virtuoso di Stato federale. In Germania, infatti, il Parlamento si suddivide in una «Camera alta» (Bundestrat) composta da 69 membri eletti in modo da rappresentare i singoli Stati di cui la Germania si compone e una «Camera bassa» (Bundestag) composta da 601 deputati eletti a suffragio universale e diretto. Nel Bundestrat tedesco il numero dei delegati di ciascun Stato (Länder) varia da un minimo di 3 a un massimo di 6 a seconda della densità demografica. La terza ipotesi, di bicameralismo misto, è da rintracciare negli Stati Uniti d’America, nel Regno Unito e in Canada. Negli Stati Uniti d’America il Congresso si compone della Camera dei rappresentanti (435 deputati eletti a suffragio universale e diretto ogni 4 anni) e il Senato, di cui fanno parte 2 senatori per ciascun Stato membro per un totale di 100 senatori eletti ogni 6 anni. Altro esempio è quello britannico. Le due Camere del Parlamento di Londra rappresentano l’evoluzione del parlamentarismo e, più in genere, del costituzionalismo: da una parte la Camera dei comuni, composta da 659 membri eletti a suffragio universale e diretto ogni 4 anni dai cittadini maggiori di età, con un sistema elettorale maggioritario a turno unico, che esprime, anche se implicitamente, la fiducia al governo; dall’altra la Camera dei lord, che ha assolto storicamente il ruolo di Assemblea rappresentativa dei «pari d’Inghilterra» ovvero della classe nobiliare e che oggi, dopo numerose riforme, consta di un numero variabile (al 2018 sono 780 i lords) di «senatori» nominati a vita dalla Corona su proposta del governo,

per diritto ereditario (in quanto titolari del titolo nobiliare), ovvero in quanto titolari di una carica ecclesiastica (i c.d. law spirituals). In questo originale sistema, che rispecchia appunto l’evoluzione della forma di governo britannica, la Camera dei lord ha storicamente svolto un ruolo «conservativo» rispetto alle politiche di riforma proposte dalla Camera dei comuni, apparendo il più delle volte come un’Assemblea contemplativa titolare del diritto a discutere le proposte della Camera politica ma non a bloccarle, ben potendo la Camera dei comuni deliberare, come si vedrà, anche contro l’orientamento espresso dalla Camera dei lord.

Sulla falsariga del modellino britannico vi è il sistema parlamentare canadese, composto dalla Camera dei comuni, che assolve a funzioni politiche, e dal Senato. Dopo la riforma introdotta nel dicembre del 2011 con il Fair Representation Act, la Camera consta di 338 deputati, eletti a suffragio universale e diretto ogni 4 anni, a livello provinciale sulla base della popolazione registrata; 154l’assegnazione dei seggi nelle circoscrizioni territoriali è svolta in modo da garantire un’equa ripartizione tra le Province e nel rispett...


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