Di generazione in generazione - Lizzola - Copia PDF

Title Di generazione in generazione - Lizzola - Copia
Course Psicologia sociale
Institution Università degli Studi di Bergamo
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Di generazione in generazione (Ivo Lizzola) PREM EMES ES ESSA SA Oggi la costruzione della condizione di giovinezza pare faticosa e incerta: debole è il sentimento di futuro, debole la densità e la forza della consegna degli adulti. Il nostro pare essere tempo opportuno per riconquistare un respiro “di generazione in generazione” nel quale riprendere il rapporto profondo con la propria filialità, con la relazione all’altro, con la consegna di futuro e con la capacità di inizio. Di generazione in generazione l’avventura umana si gioca ancora, cerca la strada: in ogni nuova donna e nuovo uomo la coscienza morale torna a fiorire e misurarsi nella sfida della differenza e del riconoscimento dell’altro, dell’uso dei beni e del loro possesso, delle regole della libertà e del confronto con il potere. Di generazione in generazione è importante ciò cui si sa dare nuovo inizio, nuova prospettiva più che ciò che si prende e consolida, più che ciò che aumenta, si conclude, viene innovato di generazione in generazione prezioso è ciò che si sa lasciare, ciò che ci si fa prendere, ciò che si dedica e dona in modo un poco dispersivo. RIPRENDERE E COGLIERE I TRATTI DELLE ESPERIENZE CHE GENITORI, EDUCATORI, INSEGNANTI E FORMATORI SANNO A VOLTE PROPORRE COME CONTESTI DI PROVA DI SÉ, DI COSTRUZIONE DI UN SAPERE RESPONSABILE, DI CURA DEGLI ALTRI E DEL MONDO PUÒ ESSERE IMPORTANTE, PERCHÉ LA FORMAZIONE E LA RELAZIONE EDUCATIVA, DENTRO E FUORI LA SCUOLA, RECUPERI IL CARATTERE DELL’INIZIAZIONE ALLA VITA

1 RITR TROVAR OVAR OVARE E L’INFA NFANZI NZI NZIA A 1.1 ESP SPOSTI OSTI E A AFFIDA FFIDA FFIDATI TI Nella Santa Casa dell’Annunziata (a Napoli) già dal Quattrocento centinaia di bambine e bambini facevano il loro ingresso raccolti nella rotara di turno nella ruota degli esposti, un cilindro di legno, non grandissimo, che girava sul proprio asse dall’esterno verso l’interno figlie e figli della povertà, per lo più, o del disonore, comunque “insostenibili” nelle famiglie, venivano consegnati a balia, in alcuni casi affidati a famiglie accoglienti (figli d’a Nunziata, da cui il cognome Esposito che ha attraversato i secoli). IL LEGAME STRETTO E COMPLESSO, PORTATORE ANCHE DI AMBIVALENZA E DI MISTERO, TRA NASCITA, DONO E ABBANDONO, SEGNA DA SUBITO I GESTI, LE SCELTE E I DESTINI DI CHI GENERA E DI CHI È GENERATO 1

Questo nostro tempo non è certo il primo dove la violenza e il disprezzo tornano a segnare le convivenze e gli incontri  quale padre non avverte oggi una marcata venatura d’ansia nell’offrire alla vita una figlia o un figlio nel tempo nostro dell’incertezza e della durezza? Se far nascere è avvertire anche un senso grande di inadeguatezza e di colpa, nascere è essere salvati in un corpo fragilissimo pur se incredibilmente vitale, corpo che incontra la cura e che chiede di mantenere la promessa  figli e figlie mostrano la loro esposizione e la forza dell’attesa (dovrà essere serbata e coltivata nella prova e nella difficoltà di crescere, nei giorni dell’incertezza e dello smarrimento). Figli del disprezzo e dell’atrofia del sentire sono i frutti dell’ansia e della colpa dei padri, e l’atrofia del sentire diventa atrofia del senso morale: anche a questo i figli e le figlie restano oggi esposti, nella loro innocenza e nella loro vulnerabilità in un distorto gioco degli affetti e nella crisi della cultura die legami solidali e delle relazioni tra generazioni, nella crisi delle tradizioni che diventano sempre più rigide ed escludenti. Nascere è entrare in una distanza, quasi in un abbandono, sentirsi nel palmo di una mano, nella cura, nella fiducia: l’avventura cominciata quando siamo nati è quella di apparire dentro una relazione che subito si è caratterizzata come una distanza e come prossimità la promessa che viene fatta è che questa distanza è abitabile: “sarai sostenuto, piccolo corpo, nel tuo voler vivere fragile” promessa della cura, che si sente dentro la fragilità. Sono immagini importanti quelle della “prima settimana del mondo”, nella quale si è messi alla luce nella propria fragilità immagini vive, dimensioni dell’intoccabile, dello stupore, del mondo donato; immagini di quando insieme si è toccata l’evidenza del bisogno, dell’inevitabile necessità, la tenerezza della cura prossima e l’enigma della distanza dell’altro. RITROVARE L’INFANZIA È RITROVARE LA CAPACITÀ DI VIVERE ANCORA IL SENSO, LA PROVA, LA FECONDITÀ DELL’ORIGINE, DI RICONOSCERLA E ACCETTARLA TUTTE LE VOLTE CHE IL TEMPO PERSONALE E SOCIALE PROPONGONO L’EVIDENZA DELLA FRAGILITÀ, DONNE E UOMINI RITROVANO L’INFANZIA

Le possibilità di vita, di pensiero, di relazione, di incontro si riveleranno nel corso della vita come fragili, solo nascenti l’educazione sarà il contesto forse più importante nel quale assumere la fragilità, sostenerla, a volte superarla. Fragilità che ci porta ad accettare l’incompiutezza, ad accettare di iniziare, di nascere e di morire, e a recuperare la bellezza del vivere. Siamo a un punto delicato, soprattutto oggi viviamo in un tempo che tende a rimuovere le condizioni di debolezza e i vincoli, a cercare la prestazione, a occultare le rughe e rinnegare la fatica, inseguendo un’autonomia dai forti tratti di irresponsabilità, ma la nascita ci mette sempre di fronte alla nostra fragilità. 2

Chiunque intende porsi come educatore si inserisce in questo intreccio generazionale l’azione educativa vuole scommettere sulla forza della nascita e dell’inizio nelle persone, anche quando si è toccata la vulnerabilità estrema, e sulla forza generativa delle relazioni educative e di cura.

1.2 IL PA PANE NE E LA PAR PAROLA OLA Ritrovare l’infanzia è anche tornare a cogliere che il mondo viene a me, viene a noi e viene insieme, come appagamento e desiderio. La coscienza, il mondo interiore s’approfondisce e si arricchisce perché il mondo si dà a noi, ci viene dato. Ritrovare l’infanzia è tornare a sperimentare l’esposizione al mondo e l’offerta del mondo, per nutrirne la conoscenza, l’esperienza e la responsabilità nostra. L’esperienza del pane in infanzia è stata esperienza di un debito, esperienza molto vicina alla benedizione. Pane, parola e sguardo: parola, e mondo che ci si offre (nella parola); pane da custodire, da serbare, da condividere, pane come legame: il pane è bisogno, ma anche desiderio comune. Il pane ricorda il debito originario: è benedizione e riconoscenza. Si legge nei proverbi “sono stato un figlio per mio padre”: il pane lega e slega padri e figli, è al di là del progetto, al di là del potere. Da qui nasce l’obbligazione a onorare padri e madri, specie quando si faranno figli. Il pane quotidiano è ciò che mette in noi la capacità di agire e la profondità del sentire: sentire la vita e il vincolo; dare e ricevere, far fidare e abbandonarsi. Ci fa sentire il limite delle nostre dipendenze come non paralizzante, e ci fa cogliere l’importanza di pensare sempre alla nostra consegna; ci fa sentire la possibilità bella e creativa nella nostra prova sul mondo e sulle cose, nel nostro dare. Bronferbrenner perché un bambino si sviluppi, è necessaria un’attività reciproca, sempre più ricca tra lui e un altro essere umano, in una relazione emozionale: perché questo funzioni bisogna che vicino alla prima persona che interagisce con il bambino ce ne sia una seconda che sia supporto, appoggio, che definisca, dia risalto. Lo studioso annotava che la scienza ha scoperto che la famiglia è di gran lunga il sistema umano più potente e più capace di fare dell’uomo, della donna, un uomo e una donna servono politiche che riconoscano le famiglie, le valorizzino, le facciano incontrare, le supportino; che le aiutino nei loro tempi, nei loro compiti, nelle relazioni, nel loro compito magico, così che bambini e bambine presto sentano la forza delle loro radici e insieme sentano il mondo. PRENDERSI CURA DEI SENTIMENTI DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE, COLTIVARE IN LORO UNA COMPETENZA EMOTIVA CHIEDE DI COGLIERE LE LORO PAURE E LE LORO ANSIE È IMPORTANTE OFFRIRE LORO UNO SPECCHIO PER I MOTI DI AMORE E OSTILITÀ, DI POTENZA E IMPOTENZA, DI GIOIA E ANSIA, DI PAURA DELLA PERDITA

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Il bambino e la bambina influiscono sulle cose, cercano le cose: tutto partecipa di tutto mondo interno e mondo esterno sconfinano e si intrecciano e si ascoltano allora affermazioni sorprendenti. Poi tutto questo inizia a mescolarsi a un approccio più scientifico-razionale ed è importante tenere coltivate le due dimensioni, insieme. Le bambine ei bambini sono spinti da una motivazione interna a partecipare alla vita degli adulti, a imitarli, ad aiutarli  ha notevole importanza come gli adulti tra loro si organizzano e si comportano, come tessono gli ambienti e le storie tra loro, come le propongono ai piccoli. Panikkar “Siamo responsabili della nostra gioia” sta a noi rinnovare la relazione con quella trascendenza dell’origine che si è sperimentata nel gioco e nell’infanzia della ricreazione, nel sentire un’intima capacità creatrice, un potere generativo come nella festa nella festa, nel gioco d’infanzia, anche nel conflitto, nella gara tiene il legame: si può vincere senza far perdere, senza distruggere e umiliare. Il pane è senza prezzo: mangiare insieme è dono, è proprio per noi fuori dal ricatto del pane, senza comprare l’altro, o venderci, per un tozzo di pane. L’infanzia è per sempre, è a-venire certamente la festa, l’infanzia ritrovata, ci porta vicino allo scontro fra il dramma e la speranza, tra la necessità e la pienezza, ma ci porta fin lì dall’altra parte, su un percorso che fa cogliere come la conoscenza e la responsabilità possono essere illuminate dalla festa, che fa sentire reciprocità e dono, uguaglianza e unicità, differenza e abbraccio.

1.3 IL DE DESTI STI STINO NO DEL SE SENTIR NTIR NTIRE E Il corpo è stato essenzialmente corpo di affetti nel senso che ha sentito; ha ricevuto; ha sopportato. Ha sentito suoni e rumori, tocchi e sapori, e altri corpi. Ha ricevuto cure e cibo corpo di affetti, cioè di affezioni: gli altri corpi si sono fatti vicini e noi, piccoli, ne siamo stati curati e “investiti”. Questi affetti ci hanno fatto sentire il corpo, ci hanno fatto sentire di essere il nostro corpo. Nel corpo si costruisce e si narra la storia delle sensazioni e degli affetti, dei bisogni e dei desideri corpo di desiderio: tutto diventa attesa e affidamento, tenerezza e fremito di un corpo nell’aperto. Il sentire profondo nel corpo dell’infanzia ripara il corpo dal sentire solo sé; il corpo del sentire profondo è corpo del piacere gioioso, è il corpo che sa sentire il gemito e il finire. Tutto questo è la promessa e la speranza del corpo degli affetti, del corpo dell’infanzia e perché siano mantenute ci vuole leggerezza ci vogliono incontri, buoni incontri: sono gli incontri che aiutano a orientare tensioni ed energie, a far sentire capaci di parole o di gesti, nell’incertezza e nella fragilità. Occorre un incontro per dare parola a ciò che si sente: alla solitudine, al desiderio, alla vicinanza, alle separazioni temute. 4

Il corpo cerca la parola, la forma di pensiero per ciò che lo abita: nelle bambine e nei bambini è passaggio necessario, altrimenti tutto rischia d’essere subìto e solo agito. Emozioni e moti interiori si esprimono e “sfiniscono” nell’azione, nel gesto. Corpo subìto, corpo agito, corpo simbolizzato il corpo giovanissimo che si dilata nel mondo e nella vita, vive generatore e mortale, abita il tempo e il senso; può ben essere il corpo che accomuna e affratella. Qual è il destino del sentire, oggi? Il destino del sentire la vita, la bellezza, gli altri; che è il sentire delle bambine e dei bambini  l’atrofia del sentire è conciliabile con un’intelligenza lucida e fredda, raffinata e banale, di uomini che non riescono ad abitare la loro vulnerabilità, né a sostenere dubbi e interrogazioni sulle loro capacità e sulle loro possibilità, non vogliono sentire sé e gli altri in profondità: sono gli stessi uomini che provano a cancellare i segni della vulnerabilità dai giorni delle figlie e dei figli, senza accorgersi di nascondere così anche le tenerezze e le dedizioni, le cure e gli impegni attenti, le fedeltà e le vicinanze, l’intelligenza delle cooperazioni e la bellezza della gratuità per questa via si costruisce il “ sonno del sentire”, quell’ordinario sonnambulismo che diviene indifferenza morale, sordità e cecità ai valori, e alla profondità essenziale della vita.

Coltivare un sentire attento con bambini e bambine, figlie e figli, è avventura di senso e di responsabilità: vanno insieme il sentire nel corpo e l’esperienza di conoscenza vedere germogliare dalla vulnerabilità del corpo la sua capacità di sentire, di pensare e di agire, è un’esperienza di conoscenza. L’esperienza dell’ascolto aperto, del sentire non già orientato, senza potere, è esperienza dell’inizio, del cominciamento, come in infanzia, quando prendono forma il sentire e il pensare. In infanzia “ci si sente irradiare dal mondo” e non si sente l’esigenza di appropriarsene: le cose sono semplice esperienza di stupore e meraviglia. LA PRIMA INFANZIA, CONE LE SUE LEGGEREZZE E LA SUA ESPOSIZIONE, È PERDUTA, MA UN’INFANZIA RITROVATA SI PUÒ APRIRE DOPO

Forse solo nella passività del corpo che non regge più, nei luoghi che noi costruiamo per ospitare le esperienze dell’umano fragile, dell’umano vulnerabile, lì è possibile, forse, reimparare l’ascolto del silenzio e del gesto in un corpo a corpo che serbi dignità, rispetto, fiducia. Sguardo che sia riguardo, nel quale imparare, sentire il senso di parole delicate che provano a ospitare i vissuti. 5

1.4 STRA TRANIERI NIERI TRA N NOI OI Ritrovare l’infanzia è riconoscere la prima volta d’ogni vita. Quella dei nostri figli piccoli formano una generazione che con le sue immagini del mondo e le sue immaginazioni, con le sue domande sulle memorie e sul futuro, ci porta presto per mano in una terra nuova. Tra dieci, quindici anni, fatti giovani donne e uomini, si chiederanno e ci chiederanno come sia stato possibile generare figli, amarsi, sognare, scrivere poesie e sperare negli anni in cui nascevano e crescevano, gli anni delle guerre tecnologiche, del terrorismo suicida, della morte per fame e delle stragi, dei diritti negati e dei fiumi di profughi. Questo nostro tempo è anche il tempo nel quale emerge e si diffonde una particolarissima preoccupazione per le vittime, per gli uomini feriti, per la vita che nasce nell’abbandono. Forse sarò questo a salvare il nostro tempo, ovvero la cura per la fragilità e per gli “stati nascenti”. Lo straniero, l’altro, per secoli è stato ricercato e visitato nei viaggi della scoperta e della conquista, per trovare conferma di sé, dei propri saperi, come da parte di Colombo o al pari di Ulisse ma ora ci raggiunge, è lo straniero tra noi: e questo cambia tutto. Tutti ne risultano in qualche e diversa misura sradicati, deterritorializzati, come dicono gli antropologi, resi stranieri. La riflessione attorno all’alterità e all’umano che ci è comune è una prima risposta a questo scoprire stranieri tra noi  le famiglie, le maestre e i piccoli si avventurano in “terre di mezzo” che si vogliono fraterne e ospitali, dove parole e significati, nuovi un poco per tutti, certo rinnovati, provavano a dire la fraternità viva  fraternità tra diversi, evidente nel corpo come nei paesaggi interiori che divengono in relazione. Molte persone oggi si trovano esposte a discontinuità, fratture, abbandoni e partenze: ciò richiede strategie pedagogiche e sociali per promuovere nuovi incontri, sostenere ricomposizioni, sapere congedarsi e reggere aperture di spazi inediti di libertà e di responsabilità  su queste situazioni di confine le persone possono prendersi cura della vita propria, di quella delle relazioni, di quella del mondo: lo possono fare in luoghi ed esperienze diverse (asilo nido, ospedale, carcere, servizi sociali, scuola, lavoro, feste). GRANDE È LA PROLIFERAZIONE DI STIMOLI, OPPORTUNITÀ, LEGAMI COGNITIVI, ESPERIENZIALI A CUI SONO ESPOSTI LE NOSTRE PICCOLE E I NOSTRI PICCOLI, GLI ADOLESCENTI E I GIOVANI

Le appartenenze culturali e sociali, le tradizionali agenzie di mediazione, da sole non bastano a orientare, a dare orizzonte e vincoli a questa simultanea appartenenza a molti mondi.

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Occorre coltivare la valorizzazione delle diversità e la pratica delle responsabilità, bisogna interrogarsi anche su quali siano le regole comuni da mettere in atto per rendere sostenibile la diversità e per utilizzare l’esperienza dell’altro come strumento privilegiato per la scoperta delle proprie specificità e delle proprie vocazioni, come dice Ceruti. Sono tutti presi dall’incertezza, nativi e migranti, nelle identità e nelle differenze plurali, senza cogliersi “accomunati” nelle situazioni emotive e psicologiche, per la comune esposizione sul futuro, per le fatiche nell’affrontare tempi inediti e inedite condizioni del vivere abbiamo bisogno di fare un racconto della nostra esperienza. Come facciamo a illuminare questi racconti comuni nel rispetto dei segni nei corpi? Esistono alcuni paradigmi: 1. Duby e Le Goff la pratica di autonomizzazione dell’individuo può essere seguita ricostruendo il mutamento culturale prodotto dalla borghesia  il paradigma dell’identificazione per distinzione-competizione (io per distinzione dal tu): eguaglianza con gli altri come me, “altri me stessi”, distinti e in lotta con altri altri, che in questo gioco di identificazione sono utilizzati, servono come strumento perché noi prendiamo forma, nella competizione con loro e per distinzione da loro. I diritti che così prendono forma nel tempo sono diritti “declinati al singolare o al plurale”, come nota Panikkar; 2. Paradigma dell’individualità come storia personale, come specifica distinzione di vita, come sistema di vita e di valore, esistenza unica (io contro tu) il paradigma è perdente e aperto all’incontro con altri unici, fratelli diversi, esposti sulla stessa vulnerabilità; 3. Paradigma dell’io contro non io vita unica, generata e vulnerabile, la tua come la sua, mortale, che si delinea a partire da un’origine e che si compie nella morte. E l’altro, vulnerabile e mortale quanto me nel suo corpo, è mio fratello. Weil ne “La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano” ci dice che la generazione dei diritti si dà a partire dal riconoscimento e dall’obbligazione verso l’altro, moto originario del diritto. C’è un dono, una promessa, una paternità su di noi: da qui l’obbligazione, la fraternità. La scoperta e la nuova geografia interiore di tantissimi bambini si incontra e si intreccia con le memorie delle loro comunità, in maniera assolutamente originale. È necessario tornare ad attingere: si è dovuto tornare nel passato delle memorie delle famiglie, delle storie, delle tradizioni, per tornare a prendere quello che serviva a creare questa fraterna terra di mezzo questa operazione di rivisitazione del passato, di ridisegno e non solo di riattualizzazione, chiede un riconoscimento 7

dell’altro che va oltre lo scambio e la sola reciprocità: chiede una preferenza per l’altro. L’umanità non si è mai trovata a vivere quello che sta vivendo, una discontinuità qualitativa nella storia della specie, anche solo per il fatto che è concretamente esposta alla minaccia di un suicidio collettivo. Meravigliosa sorte della vita sul pianeta, differenziata, tenuta insieme e messa a rischio, nell’avventura dell’umanità.

1.5 L’INFAN INFANZIA ZIA NE NELLA LLA TERR TERRA A DI ME MEZZ ZZ ZZO O Dare corpo alla comunità di stranieri chiede fraternità e obbligazione verso l’altro: chiede una declinazione dei diritti al duale, che è più complessa, dal momento che ha a che fare con i comportamenti di tutti noi, è una declinazione che si deve fare nelle “comunità di pratiche”. Occorre che prenda forma un altro tipo di universalità: quella delle pratiche, delle “comunità di pratiche” che costruiscono degli universali concreti prima e oltre gli universali formali abbiamo un compito particolare, ovvero quello di fare la critica della teoria dei diritti universali e di sostenere tali diritti umani nelle pratiche. Melucci lo scenario futuro si gioca all’interno della natività del gesto e della parola che lega le persone tra loro all’interno della comunità. Si decide lì, nell’impegno, nella p...


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