Dialetto e canzone PDF

Title Dialetto e canzone
Course Linguistica italiana
Institution Università degli Studi di Palermo
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Riassunto del libro Dialetto e canzone di Sottile...


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Dialetto e canzoni Capitolo I Negli ultimi 40 anni è cresciuta la percentuale di quanti dichiarano di parlare italiano, con il conseguente calo della quota dei dialettofoni esclusivi, gli italofoni esclusivi stanno al di sotto della metà della popolazione, mentre solo un terzo delle persone intervistate dichiara di parlare sia italiano che dialetto. Se negli ultimi anni la tendenza ad abbandonare i dialetti si fosse mantenuta costante come nei primi due decenni, oggi saremmo di fronte all’imminente estinzione dei dialetti. Agli inizi degli anni ’90, Berruto provò a disegnare alcuni scenari sulla sorte del dialetto, configurandone quattro: 1. Mantenimento del dialetto 2. Trasfigurazione dei dialetti (trasformazione in varietà regionali fortemente italianizzate) 3. Morte dei dialetti 4. Crescente differenziazione regionale (nelle diverse regioni i tre scenari si sarebbero manifestati con forti differenziazioni) Riguardo il terzo scenario, Berruto provò a calcolare in quanto tempo sarebbe accaduto, concludendo che le varietà locali sarebbero definitivamente uscite di scena nel 2030 o più di 300 anni dopo. Egli si pronunciava a favore della perdita di queste varietà in alcune regioni, ma anche del loro mantenimento in altre. I dati Istat mostrano un decremento di quanti parlano prevalentemente dialetto con i familiari, ma si rileva anche una stabilizzazione della consuetudine di parlare sia italiano che dialetto: situazione e osservabile già a partire dal 2000, che riguarda contesti familiari e amicali. Questo impiego “simultaneo” di lingua e dialetto, (“uso misto” “combinato”), riguarda quindi una significativa fetta di parlanti (i dati mostrano una maggiore vitalità del dialetto nell’Italia meridionale e insulare, e nel Nord-est). Dunque, se nei contesti informali il dialetto non è ormai tanto usato come codice esclusivo della comunicazione, esso sembra però avere trovato una nuova vi(t)a nell’uso misto o combinato con la lingua nazionale. Oggi 3 italiani su 10 usano il dialetto misto alla lingua nazionale: “comportamento linguistico mistilingue” con “l’utilizzazione alternante e frammista di italiano e dialetto nello stesso atto comunicativo”. Il dialetto non sembra mostrare importanti segni di cedimento strutturale o imminente estinzione, esso si mantiene in alcune aree più che in altre, in alcuni contesti sociali e comunicativi. Il dialetto rappresenta sempre di più una risorsa intercambiabile con l’italiano, secondo i modi della commutazione di codice [code switching, passaggio da una lingua all’altra all’interno dello stesso discorso] e dell’enunciazione mistilingue [code mixing, inserimento di parole dialettali in un discorso in italiano e viceversa]. L’inizio della perdita di valore negativo del dialetto, il suo “sdoganamento”, ha avuto a che fare con il nuovo assetto sociolinguistico che si è determinato verso la fine del secolo scorso: la conquista della lingua nazionale da parte di quasi tutti gli italiani. Da qui, il dialetto non è più stato percepito come stigma di condizioni sociali subalterne, simbolo di arretratezza culturale etc. Esso ha cominciato ad affermarsi anche nell’uso dei parlanti italofoni. Infatti, il dialetto inizia ad apparire in una serie di nuovi contesti comunicativi, molto dei quali a vocazione giovanile, che vanno dalle lingue esposte ai media, alla moda, agli slogan, alle canzoni etc. Queste “insorgenze dialettali” sono favorite da diversi elementi:  La vicinanza alle modalità del parlato  La mancanza di tradizione che lascia maggiore spazio a comportamenti innovativi da un punto di vista linguistico  Il carattere informale e scherzoso di molte comunicazioni, che fa sì che il dialetto diventi uno strumento importante di allargamento del “potenziale di variazione” dei parlanti  “Volontà maggiore di riscoprire il dialetto”, che sembra essere legata ad una minore presenza di questo rispetto al passato, e da un senso di nostalgia rispetto alla tradizione Dunque, il panorama sociolinguistico odierno appare caratterizzato da una nuova dialettalità, alla quale sono molto esposti i giovani. Secondo Berruto, è possibile distinguere quattro categorie di valori principali da attribuire al dialetto, valori che valgono per la comunicazione vis à vis, come per quella che si svolge in domini ed ambiti d’uso diversi rispetto al passato (media e simili): 1) Valore comunicativo effettivo come lingua d’uso funzionale dell’impiego quotidiano 2) Valore di risorsa espressiva con funzione principalmente ludica 3) Valore di rappresentazione e sottolineatura simbolica ed ideologica di mondi di riferimento e di valori socioculturali 4) Valore di mera raccolta di materiali e tradizioni con intenti folkloristici e museografici

Berruto prende in considerazione una decina di ambiti di uso attuale del dialetto ed associa a ciascuno di essi uno o più valori tra quelli proposti, notando come di volta in volta l’uso del dialetto presenti ora una funzione referenziale, ora funzioni ludico-espressive, ora un valore simbolico di espressione delle entità locali, ora museografico etc. Il primo valore fa riferimenti alle situazioni in cui il dialetto è impiegato come lingua viva dell’uso, dove i parlanti usano il dialetto nella conversazione ordinaria e nei contesti comunicativi adatti al suo impiego. Mediante l’uso del dialetto è possibile raggiungere anche determinati scopi o modi comunicativi, poiché può essere utilizzato come arricchimento del parlato (anche in ambito giovanile). La condizione di nuova dialettalità alla quale possono applicarsi le categorie di valori proposti da Berruto, investe anche l’ambito letterario. Negli anni 90 la neodialettalità è stata usata in funzione antagonistica, come alternativa alla lingua nazionale considerata la lingua del potere. Qui il dialetto diventa uno strumento per “rompere i tabù linguistici imposti dalla scuola”, ora per “ritrarre ambienti socialmente e culturalmente degradati”, ora con “intenti ludici”. In poesia, nel contesto di una fase di produzioni postneodialettali, i poeti si aprono a nuove esperienze accettando la compromissione con i linguaggi della realtà contemporanea, usando il dialetto senza nostalgia, ma solo come voce altra, inevitabilmente mescidata. Le motivazioni dell’uso del dialetto possono variare a seconda degli autori, ed Antonelli propone di classificarle in:  “Dialetto per dispetto” (combinato con il linguaggio giovanile come scarto dalla norma scolastica)  “Dialetto per difetto” (uso di inserti dialettali per caratterizzare negativamente un personaggio)  “Dialetto per diletto” (impiego di tratti dialettali con fini ludici)  “Dialetto per diritto”: attribuisce all’uso del dialetto una funzione vendicativa, come codice di mondi marginali che diviene strumento di opposizione della dimensione regionale e locale alle dinamiche globalizzanti, con la produzione di una lingua che denota l’appartenenza e il radicamento a un territorio e ad una cultura specifici (Silvia Contarini). Si tratta di usi, valori e funzioni del dialetto che valgono in buona misura anche per le canzoni. In Italia, ed in particolare in Sicilia, il dialetto gode ancora di buona vitalità anche negli usi quotidiani. Viene dunque preso in esame l’arco di tempo nel corso del quale si è avviato e compiuto il processo di sdoganamento del dialetto che ha anche determinato l’impressionante ricchezza di canzoni in dialetto che caratterizzano il panorama musicale, spesso “di nicchia”, degli ultimi 20-30 anni. Capitolo II Gli ultimi decenni della storia linguistica italiana, sono stati caratterizzati da rapidi mutamenti del suo assetto sociolinguistico: l’uso dei dialetti è stato progressivamente abbandonati, l’italofonia aumentata, l’italiano è cambiato anche nella canzone, che si è a poco a poco liberata delle formule ereditate dal passato aprendosi invece all’oralità (ciò favorì una tendenza al dialetto). Masini, riguardo la canzone d’autore, osserva che “il debito dei testi con la letteratura in versi è così forte che ci si chiede se alcuni di essi non siano da annoverare come una delle manifestazioni di poesia contemporanea”…, ma se “la tradizione della lingua poetica è operante anche nel linguaggio della canzonetta di consumo” allora “si tratterebbe di una letterarietà non troppo discosta dagli usi medi e dalla competenza passiva dei destinatari, capace di assecondare la funzione di intrattenimento distensivo cui è votata la canzone di minor tensione culturale”. Coveri sottolinea come a partire dagli anni 60, l’italiano si protenda sempre più verso il parlato, ma “i testi che Mongol produce per Battisti o quelli di Baglioni, che riproducono il parlato quotidiano giovanile, non reggono alla sola lettura, pur restando la colonna sonora delle giornate degli adolescenti grazie alla loro orecchiabilità, in equilibrio tra noto e nuovo”. Gli anni 80, definiti del “riflusso”, sono quelli in cui gli artisti tendono a cercare soluzioni nuove e alcune volte sperimentali, per un percorso che porta, ad esempio, un autore come Fabrizio De André ad imboccare la “mulattiera” del dialetto “trasfigurato in direzione decisamente antifolclorica e mediterranea”, mentre negli ultimi anni si torna ad esperienze linguistico musicali che si muovono “nel solco della tradizione e proprio per questo più facilmente esportabili all’estero” (Ramazzotti, Pausini, Nek, Bocelli…) . Ma gli anni più recenti sono anche quelli delle “sperimentazioni musicali e linguistiche di una nuova generazione di cantanti e autori (Silvestri, Gazzè, Carboni etc.) ai quali si affiancano artisti e gruppi rock (Nannini, Carmen Consoli, Vasco Rossi etc.). Sono anche gli anni del rap (nato negli slums di popolazione di origine afroamericana delle grandi città degli USA) che propriamente canzone non è, trattandosi invece di ritmo martellante, accentazione, di “prosodia metropolitana”, che restituendo alla parola la propria autonomia dalla musica ne rafforza la crudezza e il vigore polemico, come, tra gli altri, Caparezza. La lingua della canzone degli ultimi decenni, è stata ampiamente studiata nell’ambito del rapporto tra italiano contemporaneo- la lingua di tutti i giorni- e linguaggi dei (nuovi) media. Questi appaiono generalmente “lontani dalle forme sedimentate nella storia dell’italiano letterario”.

Ma se la lingua dei media può essere vista come lo specchio di usi linguistici comuni, occorre interrogarsi sulla natura del raggio che dallo specchio si riflette, ovvero sull’influenza che esse hanno nelle nostre abitudini e nell’evoluzione dell’italiano contemporaneo. Però riguardo la canzone, non è semplice immaginare che essa possa effettivamente aver determinato o anticipato alcuni sviluppi della nostra lingua, ma può averli favoriti/accelerati, restando un supporto, un modello di riferimento linguistico quando, in un ambiente prevalentemente dialettofono, l’italiano non era alla portata di tutti. La canzone allora più che uno specchio, sarebbe stata un potentissimo amplificatore. Le innovazioni in questo secolo non sono mai partite dalle canzoni, ma quando sono passate per le canzoni hanno raggiunto un pubblico molto più ampio, facendo così anche accettare come normali alcune novità sintattiche, morfologiche, lessicali sentite in esse. Con Cartago-Fabbri si ricava che, nella canzone italiana, possono essere basicamente individuate 3 tipologie di lingue rapportabili ad altrettanti generi musicali:  Il sanremese/canzonettese  Il cantautorese  Il rappese La preposizione di queste categorie è connessa al diverso rapporto tra testo e musica riscontrabile rispettivamente nella canzonetta, nella canzone d’autore e nel testo rap, e, in secondo luogo, al diverso rapporto che ognuna delle tipologie linguistiche intrattiene con questa o quell’altra varietà del repertorio. IL canzonettese, (tipo canz. Festival di Sanremo) si fonda sulla ricorsività più che sul rinnovamento, e a scollegare le parole dal contesto extralinguistico per convogliare l’attenzione sulla melodia, … Uso estensivo di deittici, verbi sintagmatici, pronominali, abbondanza di strutture coordinative…. Concorrono a disegnare il profilo di una lingua caratterizzata da un certo grado di colloquialità e la cui grammatica si sbilancia verso il parlato, senza trascuratezza. Nel cantautorese è il testo verbale ad essere assunto come elemento centrale della composizione, ed a differenza del canzonettese, qui si trova una lingua dotata di individualità spiccate e non rubricabili sotto formule largamente ricorsive (es. Carmen Consoli). Nel rappese si compie il cambiamento di prospettiva riguardo al rapporto tra parola e musica con la prima che si svincola definitivamente dalla seconda e con una lingua che si fa specchio fedele del parlato spontaneo. Recentemente però si rileva una progressiva ricerca di complessità. “Neostandard e variazione diafasica nella canzone italiana degli anni novanta” (1998, Arno Scholz): uno dei volumi più interessanti sulla lingua della canzone contemporanea, dichiara che nel caso in cui nella canzone si trovassero realizzati registri dell’informalità, controlleremo l’incidenza dei tratti linguistici che coincidono con quelli raccolti da vari studiosi per la caratterizzazione del repertorio medio (Sabatini), tendenziale (Mioni), pubblico (Cresti), non aulico [unitario] (Albrecht). Inoltre, l’eventuale incidenza di tratti sub standard attribuibili al cosiddetto italiano popolare e gli orientamenti mirati a una mimesi del parlato, quindi all’uso consapevole e non dei tratti del parlato. La lettura linguistica della canzone italiana si risolve in una questione di diafasia (e, in subordine, di diamesia) e l’analisi della lingua della canzone si fa anche ricerca dei tratti neostandard e sub standard, così da verificare quanto e se la loro portata sia coerente con l’informalità che caratterizza il genere testuale canzone. In questa prospettiva si ammette quindi che l’eventuale presenza del dialetto riguarda questo gioco di ricerca di una lingua colloquiale e tipica della dimensione orale, usata anche per creare un certo effetto realistico [“un linguaggio che rispecchi perfettamente la realtà rappresentata”]. Ciò trova riscontro nelle parole di Rino Della Volpe (…). Nella canzone rock italiana “pienamente coinvolta nei processi di rimescolamento in atto del repertorio medio”, gli impieghi dei dialetti locali vanno considerati come riusi stilistici di varietà sub o non standard scaturiti dalla medietà dell’oralità standard e marcati in relazione ad essa. Questi riusi sono dati dal fatto che parlare/scrivere l’italiano è considerato un traguardo indipendentemente dal grado di regionalità o dialettalità della loro produzione. A partire dagli anni 80/90, la scelta musicale del dialetto segue due linee principali:  Linea “endolinguistica”: orientata all’uso del dialetto in quanto codice che offre soluzioni metriche e ritmiche più ampie dell’italiano e che con la sua particolarità fonetica, lessicale e sintattica evoca nel pubblico una realtà più familiare e meno stilizzata.  Linea “extralinguistica”: si dirige verso un uso ideologico del dialetto guidato da ragioni di opposizione politica e sociale.

Si tratta di due diversi approcci che muovono dalla comune necessità di approdare a soluzioni linguistiche nuove come quelle tendenti ad “affrancare le parole per musica dalla dittatura della mascherina”: ciò segna l’inizio di un recupero del dialetto nella canzone con connotati simili a quella neodialettale. Tra le due linee, il filone musicale neodialettale finisce per biforcarsi in due rami:  Uno attento all’uso del dialetto come soluzione formale attesa o inaudita, anche rinverdendo una lunga tradizione come quella napoletana (Pino Daniele)  Un altro in cui la scelta linguistica ha connotati più decisamente ideologici, oppositivi o polemici (“dialetto delle fosse”). Riguardo l’uso del dialetto in musica negli ultimi vent’anni, Coveri individua due filoni:  Filone lirico-espressivo (ludico-comico): De André, Daniele, De Sio, Battiato, Consoli, Janacci  Filone simbolico-ideologico: Mau Mau, Almamegretta, Sud Sound System, Sa Razza Posse, Pitura Freska

Il filone lirico-espressivo (Coveri) si sovrappone al valore di rappresentazione e sottolineatura simbolica ed ideologica di mondi di riferimento e di valori socioculturali (Berruto); Il filone simbolico ideologico (Coveri) si sovrappone al valore di risorsa espressiva con funzione principalmente ludica (Berruto); In questa sovrapposizione però, ciascuno dei valori è prevalente ma non esclusivo. De André, ad esempio, fa un uso del genovese (Creuza de ma) che ha a che fare con la ricerca di una lingua mentale, poetica e personale. In questo caso, il valore attribuito al dialetto (grande libertà espressiva per De André) è evidente ad esempio nell’uso di forme ossitone in fine verso, può quindi dirsi espressivo, come espressivo può dirsi ogni uso artistico del dialetto che miri alla ricerca di soluzioni formali inusate, più soddisfacenti rispetto a quelle che si possono raggiungere utilizzando l’italiano. Da questo punto di vista. Il dialetto nella canzone assume un significato espressivo ed un valore “controusurante” come reazione al logoramento della canzone in lingua, e assolve una funzione essenzialmente poetica. Nelle canzoni degli artisti appartenenti al filone simbolico/ideologico l’uso del dialetto serve a farne il segno di protesta, di denuncia politico sociale all’interno di un universo socioculturale ben definito come quello della “cultura hip hop” (nella quale sono ricomprese tutte le esperienze musicali dell’Italia che, declinate in sottogeneri quali trap, reggae e rap, trovano il proprio punto di riferimento nella black music e nella latin music d’Oltreoceano): il dialetto si fa linguaggio di una musica che si pone in alternativa a quella istituzionale” con i suoi forti connotati di controcultura. Dunque il filone simbolico-ideologico sancisce un uso oppositivo e polemico del dialetto, che appare “gergaglizzato”, esprimendo i caratteri di una condizione giovanile marginale, protestaria e di opposizione. Allora, se il filone simb/id. attribuisce al dialetto cantato un significato sovrapponibile a quello che Berruto chiama “valore di rappresentazione e sottolineatura simbolica ed ideologica di mondi di riferimento e di valori socioculturali”, occorre considerare che quei “mondi di riferimento” e quei “valori socioculturali” possono anche coincidere con quelli della cultura dialettale, ovvero quelli dell’universo sociale e culturale linguisticamente sorretto e predicato dal dialetto (ieri più di oggi) . Qui, il valore simbolico ed ideologico del dialetto nella canzone dovrebbe risolversi in qualcosa di più rispetto alla sola connotazione oppositiva e polemica. Infatti, gli artisti di questo filone spesso si fanno anche segno della riappropriazione identitaria, connettendosi al “sentimento delle radici” (non a caso si ispirano spesso alla tradizione). [intervista Almamegretta libro pag.36-37] All’interno del filone sim/id l’attribuzione del terzo valore proposto da Berruto ha quindi luogo anche mediante una seconda via oltre a quella della protesta, dell’opposizione e dell’antagonismo. Per la prima via, i mondi di riferimento coinciderebbero con le periferie metropolitane disadattate (ed esempio i cantanti nei testi rap), periferie da raccontare per denunciare il degrado e l’assenza delle istituzioni. Per la seconda via, quei mondi con i rispettivi valori socioculturali corrisponderebbero all’universo della cultura tradizionale (cultura dialettale). In questo senso allora, il filone simbolico/ideologico fa intravedere una sotto declinazione etnica connettendosi alla ricerca ed alla riscoperta delle radici, concetto e parola chiave (es. “le radici ca tieni” Sud Sound System). Per questa seconda via il valore ideologico può anche riguardare i cantautori che finiscono spesso per assumere il materiale dialettale (sia linguistico che culturale) anche con una funzione ideologica e simbolica. Quando ad esempio nelle loro canzoni il dialetto si fa strumento per celebrare i micro luoghi quale “rappresentazione” ed espressione dell’identità di luogo, o quando il mondo di riferimento del dialetto diventa serbatoio di immagini e moduli utili ad essere impiegati come metafore della contemporaneità. Molto spesso la tendenza alla sottolineatura di mondi di riferimento può sfociare in una tensione a riproporre nostalgicamente quei mondi.<...


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