Diritto D\'Autore e della Pubblicità - Appunti completi lezioni PDF

Title Diritto D\'Autore e della Pubblicità - Appunti completi lezioni
Course Diritto D'Autore E Della Pubblicità
Institution Università degli Studi di Pavia
Pages 33
File Size 691.8 KB
File Type PDF
Total Downloads 43
Total Views 124

Summary

Appunti completi delle lezioni di Diritto d'Autore e della Pubblicità di Michele Bertani AA 21/22....


Description

1

Diritto d’Autore e della Pubblicità Definizione di pubblicità utile per il diritto: qualsiasi messaggio che può avere l’effetto di incidere sulla domanda di beni o servizi." La conseguenza di questa definizione è che (oltre alle classiche pubblicità, come il tabellare del giornale, lo spot televisivo, ecc.) anche ciò che c’è scritto sul packaging del prodotto può essere considerato pubblicità (Caso di specie: succo d’arancia che presenta “contiene vitamina C” sul packaging - comparazione sleale/ingannevole, si cerca di marcare la differenza rispetto ai competitors ma ogni succo d’arancia contiene vitamina C), ma anche ovviamente il product placement, così come le sponsorizzazioni (non necessariamente rimandanti ad un prodotto ma anche solo ad un marchio, anche Della Valle che propone di ristrutturare il Colosseo a suo onere è pubblicità per il diritto)."

Disciplina della concorrenza sleale

È il frutto dell’elaborazione dei giudici che, nel secolo scorso, in alcuni paesi di “Civil Law”, iniziano ad utilizzare una previsione che nel nostro ordinamento privato è l’articolo 2043 C.C., ovverosia la Clausola Generale di Responsabilità Civile, che semplicemente dice che chi arreca ad altri un danno ingiusto con dolo o colpa deve risarcirlo. Sfruttando questa previsione generale, i giudici iniziano a sanzionare il comportamento degli imprenditori che si comportano in maniera scorretta verso i loro concorrenti - uno di questi comportamenti è la pubblicità ingannevole." La pubblicità ingannevole è quel messaggio che incide sulla domanda di beni o servizi idoneo a trarre in inganno chi sta sul mercato dal lato della domanda. La sanzione è coerente coi principi di fondo dell’economia di mercato - si sta parlando della sovranità del consumatore, perno dell’economia di mercato. Il premio per l’economista virtuoso (che sceglie un target e propone il giusto prodotto al giusto prezzo, sodisfando il target mirato in termini di budget e necessità) è la domanda stessa. Con la pubblicità ingannevole non solo arreco danno al consumatore (che ovviamente sceglie male in quanto ingannato, acquista un prodotto che non gli serve o non lo soddisfa o ha un rapporto Q/P meno conveniente), ma anche ai concorrenti più produttivi (che hanno letto meglio il target e calibrato meglio l’offerta e dovevano essere premiati dal consumatore) - impedisco all’economia di mercato di funzionare in modo efficiente, premiando quindi chi alloca male il budget, non è efficiente e ha minore produttività. In questo scenario colpire la pubblicità ingannevole è coerente con le logiche fondamentali di mercato. " Negli anni ’30 due economisti inglesi sconvolgono le regole generali del mercato (considerato ingenuamente in concorrenza perfetta fino ad allora), Robinson contestando che nel mercato l’offerta sia illimitata, mentre Chamberlain sostiene che i prodotti non siano affatto indifferenziati, bensì distinguibili tra loro, per innovazione tecnologica e per marchi e pubblicità. Due fattori potentissimi della realtà del mercato che creano differenziazioni sia quando c’è innovazione tecnologica sia quando non c’è nessuna innovazione. Il selling power dei prodotti è esaltato dalla pubblicità, il marchio distingue il prodotto e veicola messaggi (di qualità, di stili di vita, di presitigio), è uno status symbol, consente il suo posizionamento sul mercato. L’idea di Chamberlain è che in realtà i prodotti offerti nei mercati in cui i marchi e la pubblicità sono rilevanti non vivono nel grande mare della concorrenza, bensì in isole di monopolio circondate da alte mura (che rappresentano la capacità evocativa del marchio, prestigio del marchio, investimenti pubblicitari), che impediscono il libero accesso della concorrenza. All’interno di queste nicchie posso alzare il prezzo fino all’altezza di quelle mura. Ecco perché i 10 centesimi della stampa della griffe sulla maglietta ripagano fino a 50 volte del costo unitario. Se ci fosse una concorrenza perfetta, chiunque si azzardasse ad aumentare il prezzo oltre il limite di CMa = SMaS cesserebbe d’intercettare la domanda e dovrebbe riabbassare la richiesta economica - ma se si pongono le alte mura, dentro la nicchia il produttore ridefinisce le regole ed il prezzo, protetto da queste barriere, può crescere." La pubblicità, in questo scenario, è lo strumento per alterare le condizioni di concorrenza perfetta ed è per questo motivo che le norme che la regolano, prima della WW2, sono morto restrittive."

2 In quegli anni non si può parlare del concorrente (soprattutto in Italia, dove chi lo fa viene sanzionato per denigrazione), visto che l’unico modo che si ha per parlare dei concorrenti è male, logicamente." Anche per la pubblicità ingannevole il rigore era massimo: il parametro sul quale si tarava la valutazione di ingannevolezza era il consumatore più sprovveduto. Egli è individuato come il meno provvisto di esperienza, conoscenze e di acume tra i consumatori medi di un prodotto. " In questi anni la scuola di economia industriale di Harvard, in materia di diritto antitrust, elabora a fondo la nozione di “Barriera all’ingresso”. Regolazione pubblica, diritti di proprietà intellettuale, economia di scale, investimenti pubblicitari - sono tutte barriere all’ingresso. Chi è già nel mercato da tempo e ha già investito (anche in comunicazione) ha già le sue barriere all’ingresso ben erette e andava quindi assoggettato ad uno speciale regime di responsabilità e di rigore nella comunicazione con il mercato. In quell’ambito, coi giudici (civili) molto rigorosi, per far crescere le professionalità nel mondo pubblicitario, viene stipulata un’alleanza tra gli operatori di quel mercato - nasce così l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria. " Nel 1966 esce il primo codice di disciplina: a stilarlo sono le associazioni di categoria di media (giornali a stampa e Rai, con il suo Carosello), inserzionisti e creativi pubblicitari. Il corpo di norme è molto più complesso ed elaborato dei due unici e generalissimi art. del CC che regolamentano la pubblicità e la categoria decide di assoggettarsi a queste norme volontariamente. In accordo col rigore giuridico ordinario dei tempi, si decide che anche l’organo giuridico dello IAP - il Giurì, che decide su dispute interne ai associati dello IAP o tra terze parti che devono attenersi al regolamento IAP - doveva tenere un certo livello di rigore. Lo IAP stila queste regole cercando di rimanere vicino all’esperienza giuridica: la pubblicità comparativa più pericolosa e problematica viene bandita - quella comparativa diretta nominativa, che menziona il marchio del concorrente. È molto circospetto nei confronti della comparativa indiretta (1 fustino di Dixan vs 2 fustini bianchi). L’idea di fondo che permea tutte le nuove norme dell’IAP, tuttavia, è quella di proteggere la pubblicità come istituzione. Quest’idea matura guardando anche l’esperienza statunitense: grande libertà nella pubblicità e nella comunicazione ma anche disastrose guerre pubblicitarie, con risultati negativi per l’intero sistema economico. L’IAP infatti realizza che quando la comparazione è troppo aggressiva, si cammina troppo sul filo della pubblicità ingannevole, quando la competizione è esasperata, ciò che viene screditato è l’istituto stesso della pubblicità ed il consumatore inizia a non crederci più e avere un rigetto verso la comunicazione d’impresa. Il codice di autodisciplina regolamenta (in maniera minuziosa) tante fasi della comunicazione d’impresa con l’intento di sterilizzare i momenti di maggiore ostilità, dichiaratamente per salvare la pubblicità come istituzione. " Cambiano però i tempi e cambia la percezione della pubblicità: la pubblicità viene finalmente intesa come oggetto dal potenziale valore artistico e si ricalibra la riflessione - se prima erano barriere all’ingresso, ora vengono viste come effetti naturali del mercato. L’IAP viene affiancato dalla giurisprudenza italiana ed europea su pubblicità ingannevoli, comparative, direttive sulle pratiche commerciali sleali del 2005 (che crea un framework di regole molto più ampio, dividendo le pratiche ingannevoli e aggressive), DL 146 del 2007."

3

Pubblicità ingannevole

4 i corpi di regole da tenere presente: la disciplina del CC in materia di concorrenza sleale, la disciplina del DL 145/2007 in tema di p.i. e comparazione sleale, gli arti. 18 e seguenti del codice del consumo (che vietano le pratiche commerciali scorrette) ed il codice dell’autodisciplina della comunicazione commerciale dell’IAP - 4 mondi tra loro concettualmente divisi ma comunicanti. Sono anche applicati da 4 figure differenti: nel primo caso dal giudice civile ordinario, nel secondo e terzo sono applicate da un’autorità amministrativa indipendente, il Garante della Concorrenza e del Mercato - che ha competenze in tema di pratiche commerciali scorrette (molto più ampia rispetto alla pubblicità ingannevole - che tuttavia contiene) ed antitrust. Quest’autorità entra in gioco con le competenze di pratiche comm. scorrette quando il soggetto potenzialmente danneggiato è un consumatore, ovvero un soggetto che si accosta al mercato per soddisfare bisogni personali propri o della propria famiglia. Quando invece il comportamento danneggia un altro imprenditore, si applica la disciplina sulla pub. Ingannevole e sleale (DL 145/2007). " Il codice di autodisciplina invece va approcciato in altro modo: è una serie di contratti in cui le parti che compongono l’IAP si vincolano a rispettare le norme autoimpostosi e ad assoggettarsi al giudizio di un organo interno, il Giurì dello IAP, nonché a cessare ogni comunicazione pubblicitaria che il Giurì dichiari contraria al codice. " Che sanzioni possono dare questi organi? Il giudice civile è l’unica figura, tra queste, in grado di ordinare un risarcimento alla parte lesa. Come tutti i procedimenti davanti al giudice civile, però sono lunghi, costosi e le parti lese hanno l’onere di fare la prima mossa e dare l’impulso all’indagine e al processo. L’autorità antitrust, invece, ha potere d’impulso: ciò gli consente di investigare la conformità delle modalità di comunicazione o di commercio delle imprese senza dover necessariamente ricevere denunce da parte di terzi (che comunque può accogliere). Le sanzioni sonno amministrativo-pecuniarie (delle multe da pagare allo Stato, molto salate - fino ad €5M per ogni violazione, ovviamente cumulabili). AGCM inoltre, quando rileva l’infrazione, può ordinare la pubblicazione della decisione a spese della violazione (cosa che può fare anche il giudice ordinario) e/o un comunicato di rettifica, che obbliga a pagare l’imprenditore per un comunicato a caratteri ben visibili su testate giornalistiche in cui si dice “peste e corna” del suo prodotto." L’unica sanzione che il Giurì dell’IAP può ordinare è un invito a desistere dalla continuazione della campagna pubblicitaria. Le imprese, al netto del fatto che non ci sia alcun a sanzione pecuniaria o amministrativa, ottemperano tutte alle decisioni del giurì - la vera pena, infatti, è la “messa al bando” diell’inserzionista che non segue le regole da parte delle parti dell’IAP. La violazione civile è, di fatto, la non ottemperanza di un contratto, difficile da far valere in quanto le parti sono associazioni di categoria - che si legano con meccanismi di contratto particolari. Le associazioni dello IAP sono tuttavia obbligate dal codice a far rispettare il codice all’interno delle categorie, tramite clausole nei contratti di associazione alla categoria - un fenomeno di vitalità contrattuale." Il sistema era efficientissimo fino all’avvento di internet, che consente di usare i social per la comunicazione d’impresa, potendo così non essere assoggettati ai vincoli di categoria per i media tradizionali (partecipanti al sistema-IAP). Ciò consente di sottrarsi al giudizio del Giurì, ma non al processo ordinario se denunciati al giudice ordinario o all’antitrust (che consente costi minori ma non di esser parte attiva al procedimento, che parte solo se ritenuto necessario)."

Il DL 145/2007

Il DL apre con la definizione di pubblicità (pag. 1) all’art. 2 che, al comma b, definisce quella ingannevole. L’inganno è molteplice: il comportamento tenuto deve indurre il destinatario (sia colui al quale è desiderato far arrivare la pubblicità, sia colui che la raggiunge senza volerlo e/o esserne il target - vedasi minori, persone con disabilità, ecc.) in errore. L’errore è tale che induce il consumatore a fare una scelta economica che altrimenti non avrebbe fatto, insidiando la sua consapevolezza. L’errore è valutato coi criteri dell’art. 3: le caratteristiche del bene/servizio (disponibilità, qualità, natura, esecuzione, data di fabbricazione, idoneità, quantità. Descrizione, origine, ecc. - “iPhone a metà prezzo” non dicendo quanti sono; il consumatore entra, sono già finiti poiché era solamente uno, ma posso comunque bombardarlo con offerte e promozione)," Prezzo e condizioni di fornitura e le caratteristiche dell’inserzionista (perché spesso si sceglie in base all’esperienza dell’inserzionista - “20 anni nel settore”). Può dipendere anche dalla presentazione del messaggio: la pubblicità deve sempre essere veritiera ma, secondo l’art. 2/b, anche quando il messaggio è veritiero può essere ingannevole. Come? Con la grafica, ad

4 esempio - scritte grosse e scritte piccole (che sottintendo non siano rilevanti rispetto al claim principale), ma anche immagini, cornici, ecc. In altre occasioni, il messaggio può essere polisemico, generico e potenzialmente fuorviante. Ma chi decide qual è la decodifica corretta? Il modello di consumatore che io assumo per l’analisi: fino all’inizio degli anni 2000, il parametro era il consumatore più sprovveduto, mentre ora il parametro deve essere il consumatore medio (ovvero quello mediamente informato e avveduto rispetto al tipo di prodotto/servizio che sta acquistando). Il consumatore medio è quello potenziale di quel s/p, colui il quale non esclude al momento o in futuro di acquistarlo. La compartimentazione inizia a dire qualcosa di più sul target della mia analisi: se il p/s è di tipo professionale so che il consumatore è più abituato a scegliere questo tipo di prodotto che ha incidenza sul suo lavoro. Ma non siamo sempre gli stessi tipi di consumatori: se vado ad acquistare una casa o un auto, dove l’esborso è più importante, tipicamente ascolto ciò che mi viene detto e poi mi informo. Se l’esborso è più leggero, un pacchetto di patatine, posso permettermi di sbagliare sull’euro di acquisto (diverso il discorso sulle allergie che ci possono dare i prodotti) - quindi minore è l’esborso, minore è l’attenzione all’errore e maggiore è la soglia di tolleranza all’inganno. " L’economia comportamentale ci dice poi che quando siamo messi di fronte all’attività di decision making under risk patiamo dei cognitive beasse (pregiudizi) - di ogni tipo - che ci allontanano dalla scelta nazionale: l’effetto paniere è una di queste, ovvero per aumentare le vendite di un prodotto lo confronto con uno di costo ben più elevato ed uno di qualità/prezzo paragonabile ma sfaso i prezzi, mettendo il mio ad un prezzo mediano. Il consumatore medio tende sempre a scegliere il prodotto a metà (con le dovute eccezioni), con ragionamenti di gratificazione mediana e di meno senso di colpa a spendere tutto ciò che si ha per un singolo prodotto che posso trovare a meno. Questi cognitive biases sono sfruttati per aumentare il prodotto, in quanto insiti in ogni consumatore (mediamente e più avveduti), e sono molto legati alle scelte di presentazione del prodotto. " Ogni medium è un mondo a se, ha le sue regole quanto a tempi e modi di decodifica del messaggio: se esso passa su un giornale (pub. Tabellare) posso leggerlo e rileggerlo quante volte mi è necessario fino ad avere piena contezza del messaggio che voleva rendere l’inserzionista - al contrario, se è uno spot televisivo o radiofonico, i tempi di decodifica li sceglie l’inserzionista. Ciò implica che conta solamente ciò che il consumatore medio riesce a percepire (le scritte a video durante una scena molto animata o con un elemento molto attrattivo potrebbero non essere percepite, ad esempio). Lo stesso messaggio/campagna, orchestrata su più media, può quindi risultare su alcuni lecita e su altri illecita." Continua l’art. 2/b dicendo che il pericolo d’inganno per il consumatore, per essere tale, deve poter pregiudicare il suo comportamento economico e possa dunque ledere un concorrente. La forma scelta dal legislatore è volutamente molto generica: non solo l’inganno provoca una scelta d’acquisto altrimenti evitata, ma provoca anche una deviazione del comportamento del consumatore in una fase precedente all’acquisto, fornendo un contatto privilegiato. " L’inganno rilevante è dunque anche quello che si colloca nel primo stadio della comunicazione pubblicitaria, quello anteriore all’acquisto e va sanzionato come illecito anche qualora il consumatore per poter stipulare il contratto debba ricevere piena informazione (“tutto gratis ma si era capito che nel contratto c’era qualcosa da pagare” -> inganno). "

Comparazione pubblicitaria

La comparazione pubblicitaria è tra le forme più complesse e problematiche da disciplinare e valutare della comunicazione d’impresa. Chi comunica infatti non parla solo di sé, ma anche di qualcun altro ed è una forma pubblicitaria aggressiva. La pub comparativa produce un effetto ineliminabile, pregiudizievole per il comparato: la denigrazione. Qualsiasi pub comparativa ha senso a condizione che avvantaggi il comparante, infatti - sarebbe illogico il contrario e, al limite, il claim può dichiarare la parità dei due prodotti ma solo il comparante trae vantaggio (un newcomer che vuole posizionare un prodotto nel mercato già dominato da altri incumbent o leader del settore). Come si è detto, in Italia, fino alla fine degli anni ’90, la forma comparativa diretta nominativa di pubblicità (la più aggressiva, quella che consente di individuare in modo specifico il comparato e lo menziona) era sempre illecita. " La pub comparativa indiretta è invece quella in cui il comparato è un servizio/bene indistinto (i famosi fustini bianchi vs fustino di Dixan)." La via di mezzo è rappresentata dalla pub comparativa diretta per relationem: quella che non menziona espressamente il comparato ma lo identifica in modo inequivocabile (Infostrada,

5 newcomer nel mercato della telefonia fissa, si compara a Telecom, monopolista totale della telefonia e facilmente riconoscibile dal suo colore rosso tradizionale)." Che cos’è la superlazione pubblicitaria, assoggettata alle stesse norme dei messaggi comparativi? È quella comunicazione d’impresa che sfrutta i superlativi relativi e tutte le forme di messaggio di primato: il N°1, il migliore, il più bello, il più economico, il più conveniente, l’unico, il solo, ecc. Il confronto non è esplicitato (che rende tutto più problematico giuridicamente) ma è inequivocabile, dice qualcosa di rilevante e denigratorio nei confronti dei concorrenti. " Caso succo d’arancia “contiene Vitamina C” -> è ovvio, viene presentato come un plus che in realtà non esiste, avvantaggiando il mio prodotto rispetto agli altri in una situazione in cui il consumatore medio, dato il prezzo relativamente basso del prodotto e la scarsa attenzione (relativamente all’acquisto di un automobile), abbassa la guardia o viene condizionato (anziani, bambini, ecc.). - la vitamina C è presente in questo succo e non negli altri è il messaggio implicito => pubblicità ingannevole. Art. 2 comma 1 lettera d del DL 145 - La pubblicità comparativa è quella che identifica in modo implicito o esplicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente. Attenzione però: solo se c’è confronto si può applicare il test di liceità - se c’è solo accostamento, non è possibile." ART. 4, LE CONDIZIONI DI LICEITÀ DELLA PUBBLICITÀ COMPARATIVA

A. Che sia veritiera e non ingannevole (ai sensi del DL 145 artt. 2 e 3 ovvero ai sensi DL 206/2005 “Codice del consumo” artt. 21/23) - che, come abbiamo detto, non sia idoneo a generare l’effetto di alterazione di comportamento economico del consumatore." B. Che confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si pongono gli stessi obbiettivi. Allo stato attuale questo punto risulta morto, è ovvio che la comparazione debba avere il medesimo ogget...


Similar Free PDFs