diritto penale tributario PDF

Title diritto penale tributario
Author beatrice uffa
Course Diritto processuale tributario 
Institution Università degli Studi di Udine
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INDICE 1.

Sommario…………………………………………………………………….3

2.

Origini del sistema penale tributario e successive evoluzioni

2.1. L’introduzione del sistema penale in ambito tributario in Italia…...................3 2.2. Le origini: la legge n. 4/1929……………………………..…………………..4 2.3. Il distacco dai principi di materia penale: la legge n. 516/82, c.d. “manette agli evasori”………………….……………………………………………………….7 2.4. Il ritorno ai principi: il D. Lgs. n. 74/2000…………………..…….................8 3.

Le singole fattispecie del D. Lgs. n. 74/2000 e gli altri reati tributari

3.1. La struttura del D. lgs. n. 74/2000…………………………………………..12 3.2. Le dichiarazioni in materia di reati tributari: premessa sui soggetti e sulle dichiarazioni…………..……………………………………………….....................14 3.3. Dichiarazione infedele………………………….………..............................16 3.4. Dichiarazione fraudolenta……………………………….………………….16 3.4.1 Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.……..…………….…………………………17 3.4.2 Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici................................18 3.5. Omessa dichiarazione…………………..…………………………………...19 3.6. Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti..................20 3.7. Omessi versamenti……….………………………………………………….21 3.8. Indebita compensazione.…………………………………………………….21 3.9. Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte…………………………...23 3.10. Occultamento e distruzione di documenti contabili………………….……..24 3.11. Il delitto di falso in transazione fiscale.……………………………………..25 3.12. Esibizione di falsa documentazione e di risposta non veritiera……………..26 3.13. Le frodi carosello in materia di I.V.A……………….……………………...26 3.14. Prescrizione……………………………….………………………………...29 3.15. Trattamento sanzionatorio…………………………………………………...30 4. Recenti orientamenti giurisprudenziali e prospettive di riforma nel sistema penale tributario……………………………………………………….….33 4.1. Orientamenti in tema di rilevanza penale dell’elusione e dell’abuso del diritto………………………………………………………………………………..33 4.2. Reati fiscali e riciclaggio……………………………………………………39 4.3. Orientamenti in tema di frodi carosello in materia di I.V.A………………...44 4.4. Condono, scudo fiscale e reati tributari……………………………………..48 4.5. Reati fiscali e responsabilità amministrativa degli enti (D.lgs. n.231/2001)………………………………………………………………………….51 4.6. La Delega fiscale………………………………………………….................58 5.

Bibliografia………………………………………………………………....69

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SOMMARIO Il presente testo tratta i reati tributari, analizzando la loro evoluzione normativa storica, le principali fattispecie di reato ed i recenti orientamenti giurisprudenziali in tema, fornendo la nozione di alcuni nuovi istituti introdotti nel corso del 2014: “voluntary disclosure”, autoriciclaggio, reato transnazionale e frode fiscale comunitaria.

ORIGINI DEL SISTEMA PENALE TRIBUTARIO E SUCCESSIVE EVOLUZIONI 2.1 L’INTRODUZIONE DEL SISTEMA PENALE IN AMBITO TRIBUTARIO IN ITALIA Nel 1861, successivamente alla proclamazione del Regno d’Italia, lo Stato aveva un deficit di due miliardi e mezzo di lire, dovuto ai disavanzi degli ex Stati preunitari ed alle spese sostenute per le guerre d’indipendenza. Il Governo effettuò una serie di interventi legislativi sia in ambito impositivo, che in ambito sanzionatorio, finalizzati ad incrementare il gettito erariale e ad estendere le imposte, le tasse e le tariffe dell’ex Regno di Sardegna ai territori degli ex Regni, con l’eccezione di alcuni territori dell’ex Stato della Chiesa e del Regno delle due Sicilie. I tributi introdotti presentavano un’onerosità molto più elevata rispetto a quelli preunitari, determinando un rilevante aumento della pressione fiscale. Ciò determinava il diffondersi di un fenomeno, la cui misura non è accertata da fonti storiche, ma di cui il governo già percepiva l’importanza in un un’ottica di rilevante lesione degli interessi dello Stato: l’evasione fiscale. La voce più rilevante delle entrate era costituita dai tributi doganali e fu proprio in questo ambito, che lo Stato effettuò il primo tentativo di fusione delle diverse disposizioni repressive preunitarie e di regolamentazione unitaria. Il 21 ottobre 1861, a pochi mesi dalla proclamazione del Regno, fu emanato il “Regolamento doganale”, a cui fece seguito il d. lgs. 28 giugno 1866, n. 3020, con titolo “Del reato di contrabbando e delle pene cui saranno puniti coloro che lo commettono”. Benché la regolazione sanzionatoria in materia di imposte indirette non presentasse particolari resistenze, al contrario, quella in materia di imposte diretta presentava posizioni discordanti ed, in particolar modo, un’elevata resistenza all’introduzione di fattispecie penali. La prima regolamentazione in materia di imposte dirette fu la legge 23 giugno 1873, n. 844, che restò sostanzialmente non applicata e considerata come un raro caso di desuetudine nella legislazione penale. Soltanto successivamente, la legge 9 dicembre 1928, n. 2834, “Penalità in materia di imposte dirette”, introdusse un complesso di sanzioni penali, che effettuavano la tutela nel momento della riscossione. Il legislatore riteneva più rilevante la riscossione rispetto l’accertamento. Difatti, a titolo di esempio, si possono considerare l’art. 2, relativo all’omessa dichiarazione dei redditi, e l’art. 4, relativo agli atti finalizzati alla sottrazione di redditi 3

dall’imposizione, che erano sanzionati con una sovraimposta proporzionale all’imposta evasa ed una sanzione pecuniaria per le fattispecie più rilevanti. Entrambe sono misure di natura civilistica. Al contrario, la sottrazione fraudolenta al pagamento della somma accertata e dovuta a titolo di imposta, regolata dall’art. 6, comma 6, era punita con la detenzione e, se la fattispecie era posta in essere da un professionista, era presente una sanzione accessoria relativa alla sospensione dall’albo. In questo caso era comminata una sanzione di natura penale. Le sanzioni previste dalla legge n. 2834/1928 erano nel complesso poco significative e consideravano l’evasione come un fenomeno limitato, che non poteva essere considerato al pari della sottrazione di ricchezza individuale collegata ai delitti contro il patrimonio. La legge introdusse le sanzioni penali in ambito tributario per la prima volta in Italia, ma era ancora lontana dal sistema sanzionatorio vero e proprio presentato dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4. 2.2.

LE ORIGINI: LA LEGGE N. 4/1929

Per tentare di disciplinare l’ambito sanzionatorio della materia tributaria, fu emesso il r.d. 25 marzo 1923, n. 786, seguito dal D.M. 20 giugno 1923, n. 28, che attribuivano la competenza di conoscere l’esistenza delle violazioni tributarie e di stabilire le relative sanzioni all’intendente di finanza. Non era però ancora presente una normativa di diritto sostanziale uniforme, che potesse essere applicata a quella processuale. Ciò determinò la necessità di effettuare una revisione della normativa tributaria sostanziale in ambito tributario. Una prima revisione fu effettuata sulla legge 30 dicembre 1923, n. 3273, relativa alla tassa sullo scambio, e sul testo unico delle leggi doganali, previsto dal r.d. 26 gennaio 1926, n. 20. Tuttavia, era ancora necessaria una disciplina generale, che regolasse in modo uniforme la parte delle leggi finanziarie, che riguarda la repressione dei reati da esse previsti. Il 7 gennaio 1929 fu emanata la legge n. 4, “Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie”, che per la prima volta stabiliva un insieme organico di norme finalizzate alla repressione dei reati stessi e che consentiva di distinguere la natura penale o amministrativa di una violazione. Le norme della legge n. 4/1929 erano finalizzate ad integrare le disposizioni del codice penale e del codice di procedura penale in ambito tributario. La legge n. 4/1929 era costituita da tre titoli: il primo riguardava la “repressioni delle leggi finanziarie in generale”, il secondo, le “norme di procedura” e il terzo prevede le disposizioni finali e transitorie. Essa prevedeva una serie di principi, tra cui quello di fissità, previsto dall’art. 1, comma 2, secondo cui le disposizioni presenti nella legge n. 4/1929 non potevano “essere abrogate o modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate”. Una disposizione simile è presente nell’art. 1, comma 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212, lo Statuto dei diritti del contribuente, secondo cui le disposizioni presenti, “in 4

attuazione… della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”. La legge n. 4/1929 prevedeva una disciplina diversa da quella più diffusa per il concorso di reati ed il reato continuato. Difatti, nel diritto penale è presente il principio di “tot delictae tot poenae”, ovvero il cumulo “materiale”, per cui se un soggetto commette più illeciti penali, è punito con la somma delle pene previste per ogni singolo illecito. Questo principio non è applicato all’art. 81 c.p., per cui, se un soggetto commette più reati eterogenei con una sola azione o omissione, ovvero il “concorso formale”, o commette diversi illeciti in periodi diversi per conseguire il medesimo obiettivo criminoso, ovvero il “reato continuato”, è applicata la pena più grave aumentata fino al triplo, cioè il “cumulo giuridico”. L’art. 8, comma 1 della legge n. 4/1929 considerava il concorso materiale omogeneo e, a differenza dell’art. 81 c.p., applicava il principio del cumulo materiale delle sanzioni e non quello giuridico. Al comma 2, l’art. 8 prevedeva il reato continuato omogeneo e non anche quello eterogeneo e stabiliva, che l’unificazione legale nell’ipotesi di un reato tributario continuato non era obbligatoria, ma dipendeva dalla discrezionalità del giudice e l’aumento di pena non poteva superare la metà della sanzione, che sarebbe stata presente applicando il cumulo materiale. Il cumulo giuridico era obbligatorio per l’art. 81 c.p., mentre era facoltativo per l’art. 8 della legge n. 4/1929, pertanto il cumulo giuridico dell’art. 81 c.p., secondo la dottrina, non poteva essere applicato al reato continuato eterogeneo, che continuava ad essere disciplinato dal cumulo materiale, così come il concorso formale dei reati tributari, non previsto dall’art. 8 della legge n. 4/1929. L’art. 13 della medesima legge prevedeva un particolare tipo di oblazione, che riguardava le contravvenzioni sanzionate con l’ammenda per un valore non superiore a centomila lire e che era presente all’atto della contestazione della violazione, mentre l’art. 14 considerava un’oblazione generale per le contravvenzioni sanzionate soltanto con l’ammenda, che il giudice poteva non applicare per la particolare gravità del fatto considerato. Queste disposizioni avrebbero determinato problemi rilevanti nell’applicazione dell’art. 81 c.p., per il concorso di reati ed il reato continuato, e dell’art. 162 e dell’art. 162 – bis c.p. per l’oblazione. L’art. 16 della legge n. 4/1929 riguardava la prescrizione delle contravvenzioni, che era di tre anni, termine superiore rispetto a quello di 18 mesi previsto dall’art. 157, comma 1, n. 6 c.p. per le contravvenzioni sanzionate soltanto con l’ammenda, che erano quelle di carattere tributario. L’art. 21, comma 1 della legge n. 4/1929 disponeva, che l’intendente di finanza aveva competenza nella cognizione delle violazioni per le contravvenzioni sanzionate soltanto con l’ammenda, anche se il trasgressore doveva pagare una sovrattassa, mentre il tribunale era competente per ogni altro reato e, per l’art. 21 comma 2, aveva competenza a conoscere le contravvenzioni, nell’ipotesi, in cui era proposta opposizione al decreto penale di condanna dell’intendente. La competenza per territorio, presente nell’art. 21, comma 3, era determinata dal luogo di accertamento del reato (“locus commissi delicti”). L’art. 18 del D. lgs. 74/2000 prevede l’attuazione di questo principio soltanto in via sussidiaria per i delitti diversi da quelli in materia di dichiarazione dei redditi, quando non sia stato possibile determinare la competenza secondo l’art. 8 c.p.p., ovvero il luogo, in cui è stato consumato il delitto, e salvo quanto previsto dai commi 5

2 e 3, ovvero il luogo, in cui il soggetto ha il domicilio fiscale o dove ha sede l’ufficio del pubblico ministero, che ha iscritto per primo la notizia di reato nel registro. L’art. 21, comma 3, oltre alla competenza per territorio, conteneva un principio, che di fatto limitava l’“operatività” dell’illecito penale, ovvero la “pregiudiziale tributaria”, secondo cui “per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti, l’azione penale ha corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovraimposta è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti in materia”. Esso rappresentava una deroga all’art. 22, comma 1, secondo cui, se l’esistenza di un reato dipendeva dalla risoluzione di una controversia relativa ad un tributo, il giudice competente per il reato decideva anche per quest’ultima. La norma era considerata dalla dottrina prevalente come condizione di procedibilità, mentre da una parte come un presupposto di procedibilità soltanto dell’azione penale o anche come una condizione processuale sospensiva dell’azione penale. Il principio della pregiudiziale tributaria presenta ancora traccia nell’art. 56, comma 6 del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, in tema di imposte sui redditi, e nell’art. 58, comma 5 del D.p.r. n. 633/1972, in materia di I.V.A. Questo principio era motivato dalla necessità di tutelare la natura speciale dei tributi e dal complesso tecnicismo presente in questi ultimi, per cui l’accertamento dell’evasione doveva essere effettuato da organi specializzati e non da un giudice penale, che non aveva competenze in materia. L’art. 20 della legge n. 4/1929 ha introdotto il principio di “ultrattività”, per cui leggi tributarie continuavano ad essere applicate anche se sopravveniva una legge più favorevole, derogando pertanto al principio di retroattività della legge penale più favorevole presente nell’art. 2 c.p. ed estendendo la regola del “tempus regict actum”, valida soltanto per le leggi processuali, alle norme di tipo sostanziale. Questo principio non sembrava rispettare l’art. 3 Cost. e, alle questioni di legittimità proposte, la Corte costituzionale ha ritenuto, che la norma “impone, in linea di massima, di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’“abolitio criminis” o la modifica mitigatrice”, considerando comunque la possibilità di deroghe alla norma “ove sorrette da giustificazioni oggettivamente favorevoli”. Pertanto, esso non viola l’art. 3 Cost. e nemmeno l’art. 25 Cost., essendo quest’ultimo previsto soltanto per le norme incriminatrici. L’art. 3 della legge n. 4/1929 dettava il principio di “alternatività”, secondo cui, se la violazione di una norma non costituiva reato, “sorge l’obbligazione al pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria” a livello penale ovvero a livello amministrativo. Nonostante il legislatore avesse riordinato il complesso sistema di illeciti e sanzioni relative al settore finanziario tramite la legge n. 4/1929, considerava l’evasione fiscale come un fenomeno, che non necessitava di una disciplina privilegiata e difatti, spesso non era nemmeno prevista una sanzione detentiva. Le norme ed i principi previsti dalla legge n. 4/1929, in particolar modo la “pregiudiziale tributaria”, avevano evidenziato l’inadeguatezza del sistema del contenzioso tributario, dovuta all’incapacità delle Commissioni tributarie di far fronte all’elevato numero di contenziosi, che determinò un aumento dei tempi previsti per l’accertamento definitivo e, pertanto, l’impossibilità ad accertare i reati tributari in tempi ragionevoli. 6

Anche se il decorso della prescrizione era sospeso fino alla data dell’accertamento definitivo e, pertanto, il tempo necessario per esaurire i gradi di giudizio del contenzioso tributario non determinava l’estinzione del reato, l’avvio del processo era posticipato per anni e ciò determinava una riduzione dell’interesse delle Procure alla persecuzione dei reati tributari ed una successiva riduzione dei processi. Si pensi, che Vittorio Bachelet, in occasione del convegno su “Le sanzioni in materia tributaria” del 1978, osservava che in vent’anni era stati effettuati “cinquanta processi penali” in campo tributario. Successivamente alla legge n. 4/1929, fu effettuata un’unificazione ed una razionalizzazione della disciplina prevista dalle diverse leggi relative alle imposte sul reddito tramite il testo unico 645 del 1958. Negli anni ’50 e ’60 erano ancora prevalentemente presenti le sanzioni pecuniarie, e non penali, secondo l’orientamento prevalente già nel 1929, mentre la detenzione era limitata a particolari ipotesi di omessa dichiarazione aggravata (art. 243), omesso versamento (art. 260) e frode fiscale (art. 252). Quest’ultima era l’unica fattispecie sanzionata con la reclusione. Una prima variazione dell’orientamento del legislatore divenne presente con la riforma attuata tramite il D.p.r. 29 settembre 1973 n. 600, con cui il sistema sanzionatorio venne innovato: furono aumentate le violazioni sanzionate con la detenzione, i cui massimi furono portati a 3 anni per l’arresto e 5 per la reclusione, aumentarono le sanzioni pecuniarie, spesso limitate agli illeciti non penali, e fu introdotto un sistema di sanzioni accessorie. La riforma del 1973 non aveva cancellato la precedente impostazione normativa e consentiva il permanere della pregiudiziale tributaria, che aggravava la durata del contenzioso tributario, allora costituito da 4 gradi di giudizio: la commissione tributaria di primo grado, la commissione tributaria di secondo grado, la commissione tributaria centrale, oppure la corte d’appello e la Cassazione. La materia tributaria necessitava di una riforma radicale, che non era ancora stata introdotta. 2.3. IL DISTACCO DAI PRINCIPI DI MATERIA PENALE: LA LEGGE N. 516/82, C.D. “MANETTE AGLI EVASORI” La legge n. 516 del 7 agosto 1982, detta “manette agli evasori”, introduceva per la prima volta un sistema sanzionatorio strutturato e complesso, finalizzato a contrastare l’evasione fiscale, tanto da finire per costituire un vero e proprio sottosistema dell’ordinamento penale. L’introduzione della legge del 1982 era dovuta alla necessità di soddisfare due esigenze del sistema penale. Con le riforme degli anni Settanta, le funzioni dello Stato avevano assunto una struttura più complessa, poiché l’ordinamento statale era passato dall’essere soltanto uno Stato di diritto a diventare uno Stato sociale di diritto. Ciò implicava la necessità di risorse sempre più elevate per far funzionare l’apparato statale e per poter conseguire i numerosi obiettivi di politica sociale ed economica prefissati dal governo. L’esigenza di fondi per sostenere la spesa statale aveva determinato una sempre più elevata rilevanza del fenomeno dell’evasione fiscale, che, in quel periodo, era stimata intorno al 25% del prodotto interno lordo. 7

Le cause dell’evasione erano dovute in prevalenza alla ridottissima di efficienza degli organi amministrativo – finanziari di controllo e di repressione e alla manca di un adeguato sistema sanzionatorio. Alla necessità di risorse, si accompagnava l’esigenza di ridurre tutte le conseguenze, che erano determinate dal fenomeno evasivo, tra cui l’alterazione del regolare svolgimento della vita economica e della concorrenza tra le imprese, l’aumento delle differenze tra classi sociali e di distribuzione del reddito tra soggetti (in quanto le persone con reddito più elevato tendevano ad evadere maggiormente), la limitazione dell’efficacia delle riforme fiscali e gli effetti destabilizzanti dell’evasione sul sistema economico e sociale complessivo. Nel 1982 veniva emanata la legge n. 516, che introduceva una vera e propria normativa di settore finalizzata allo specifico obiettivo di combattere l’evasione. Con questa legge, la sanzione pena...


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