Docsity la caduta dell impero romano d occidente 4 PDF

Title Docsity la caduta dell impero romano d occidente 4
Author Marco Impiombato
Course Storia
Institution Liceo (Italia)
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Summary

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Description

La caduta dell'impero romano d'occidente Storia 11 pag.

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La Caduta dell’Impero Romano d’Occidente La caduta dell’Impero Romano d’Occidente, che era sorto nel 395 d.C. dopo la morte di Teodosio I, viene fissata al 476, anno in cui Odoacre ha deposto l'ultimo Imperatore Romano d'Occidente, Romolo Augusto. La caduta dell'Impero Romano d'Occidente è un evento molto importante della storia. Sono state date molte spiegazioni sui motivi che hanno portato a questa caduta. In linea di massima l'Impero è caduto dopo essere stato invaso, nel corso del V secolo, da molte popolazioni e privato del suo nucleo peninsulare per opera delle truppe germaniche di Odoacre. Negli anni precedenti alla rivolta di Odoacre, l'Impero aveva assunto sempre di più una impronta germanica, perdendo la sua iniziale identità. Tra le altre cause che hanno portato alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente ci sono il calo demografico, dovuto a guerre, carestie ed epidemie; la crisi economica e produttiva, sia nelle campagne che nel commercio; la crisi e la fuga dalle città, che venivano sempre più spesso saccheggiate dai barbari; la divisione troppo grande tra pochi privilegiati che vivevano nel lusso e la massa della popolazione che viveva nella povertà; la mancanza di consenso nei confronti del governo centrale ed i difetti del sistema costituzionale.

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Le Cause esterne: le invasioni barbariche L'estrema agonia di Roma iniziò quando, intorno al 395, i Visigoti si ribellarono. La morte di Teodosio I e la divisione definitiva dell'impero romano d'Occidente e d'Oriente tra i due suoi figli Onorio I e Arcadio, portò il generale visigoto Alarico a rompere l'alleanza con l'impero ed a penetrare attraverso la Tracia fino ad accamparsi sotto le mura di Costantinopoli. Contemporaneamente gli Unni invasero la Tracia e l'Asia Minore mentre i Marcomanni la Pannonia. Fu solo grazie all'intervento del generale Stilicone, che, seppur bloccato dall'autorità di Arcadio, poté fermare sul nascere un possibile assedio della capitale d'Oriente. Ed ancora nel 402 sempre i Visigoti tentarono un nuovo colpo di mano assediando Mediolanum, l'altra capitale imperiale (questa volta della parte occidentale) dove si era rifugiato Onorio. Fu solo grazie ad un nuovo intervento di Stilicone che fu salvata e Alarico fu costretto a togliere l'assedio. Pochi anni più tardi, nel 410, i tentativi di Alarico ottennero un importante successo.

Grazie soprattutto alla morte di Stilicone, unico baluardo della romanità, egli riuscì a penetrare in Italia ed mettere a sacco la stessa Roma. A quella data, già da alcuni anni, la capitale imperiale si era trasferita a Ravenna, ma qualche storico candida il 410 quale possibile data della vera caduta dell'impero romano. Privato di Roma e di molte delle sue precedenti province, con un'impronta germanica sempre più marcata, l'impero romano degli anni successivi al 410 aveva davvero poco in comune con quello dei secoli passati. Nel 410, la Britannia era ormai 2

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andata perduta definitivamente, come pure grossa parte dell'Europa occidentale fu messa alle strette "da ogni genere di calamità e disastri", finendo in mano a regni romano-barbarici formatisi all'interno dei suoi originari confini e comandati da Vandali, Svevi, Visigoti e Burgundi. Vi fu solo un timido tentativo di ripristinare l'antico splendore di Roma da parte del magister militum Ezio, che riuscì a fronteggiare provvisoriamente i barbari fino al 451, quando batté gli Unni di Attila grazie ad una coalizione di genti germaniche federate nella battaglia dei Campi Catalaunici. La morte di Ezio nel 454 portò alla successiva fine nell'arco di venticinque anni e a un nuovo sacco di Roma nel 455. Il 476 sancì infatti la fine formale dell'Impero romano d'Occidente. In quell'anno, Flavio Oreste rifiutò di pagare i mercenari germanici al suo servizio. I mercenari insoddisfatti, inclusi gli Eruli, si rivoltarono. La rivolta era capeggiata dal barbaro Odoacre. Odoacre e i suoi uomini catturarono e uccisero Oreste. Poche settimane dopo, Ravenna, la capitale dell'Impero, cadde e l'ultimo imperatore Romolo Augusto venne deposto. Questo evento viene tradizionalmente considerato la caduta dell'Impero romano, almeno in Occidente. Tutta l'Italia era in mano a Odoacre, il quale mandò le insegne Imperiali all'imperatore d'Oriente Zenone.

Le Cause interne:  Divisione dell’impero e imbarbarimento Secondo diversi storici l'estensione spropositata dell'Impero lo rese ingovernabile dal centro e la conseguente divisione in una pars occidentalis e una pars orientalis non fece altro che accelerarne la rovina, favorendo i barbari invasori. Lo storico inglese illuminista Gibbon sostenne che a causare

il definitivo

crollo

dell'Impero furono i figli e i nipoti di Teodosio: con la loro debolezza, essi abbandonarono il

governo

agli

eunuchi,

la

Chiesa ai vescovi e l'Impero ai barbari. Ma più che la divisione in sé, che finì per rovinare solo la 3

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parte occidentale, furono piuttosto i conflitti interni, le continue usurpazioni e lo strapotere politico dell'esercito, che dal III secolo in poi eleggeva e deponeva gli imperatori a proprio piacimento, a minare profondamente la stabilità interna dell'Impero. L'Impero romano d'Occidente, meno coeso socialmente e culturalmente, meno ricco economicamente, meno centralizzato e peggio organizzato politicamente dell'Impero romano d'Oriente, finì alla lunga per pagare questa instabilità di fondo. Fu quindi la mancanza di disciplina dell'esercito, più accentuata nella parte occidentale che in quella orientale, dove il potere centrale era più forte, a risultare una delle cause principali della rovina dell'impero. La

mancanza

di

disciplina,

ovviamente,

dipese

anche

dall'imbarbarimento

dell'esercito, divenuto col tempo sempre meno romanizzato e sempre più costituito da soldati di provenienza germanica (anche per riempire i vuoti dovuti al calo demografico e alla resistenza alle coscrizioni da parte dei cittadini romani), integrati nell'esercito dapprima come mercenari a fianco delle legioni e poi, in forme sempre più massicce, come foederati che conservavano i loro modi nazionali di vivere e di fare la guerra. Il risultato fu un esercito romano nel nome, ma sempre più estraneo alla società che era chiamato a proteggere.

 Anarchia endemica nella pars occidentalis Un brillante studioso, Angelo Fusari, ha individuato nell'incapacità dell'economia romana di evolvere in un'economia dinamica durante il Principato, nonostante le strutture politiche decentrate e leggere di quel periodo, il difetto che porterà alla decadenza romana. Il ristagno della tecnica, l'assenza di nuovi mercati, la mancanza di una cultura "borghese" impedirono alla classe equestre, attiva nei commerci e nell'industria, di anticipare i tempi di uno sviluppo "capitalistico" dell'economia romana. Tale finestra si chiuse con l'instaurazione del Dominato, che salvò l'Impero dalla disgregazione e dalla crisi economica e politica del III secolo, ma nello stesso tempo si

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caratterizzerà per il dirigismo economico, la centralizzazione amministrativa e l'irregimentazione sociale. Ebbene, mentre nella pars orientalis il totalitarismo del Dominato venne accolto senza problemi, anche per l'identificazione della Chiesa bizantina con il potere imperiale, la deferenza dell'aristocrazia locale e la millenaria tradizione del dispotismo orientale, nella pars occidentalis l'antica aristocrazia romana e la Chiesa di Roma si misero frequentemente di traverso al potere imperiale, spesso lontano dall'Urbe (sedi imperiali a Milano, Treviri e poi Ravenna) nonostante Roma fosse ancora la città più popolata dell'Impero. Questi

fattori

politici,

che

si

innestavano

su

un'economia

impoverita

dallo

spopolamento, dalla fuga dei coloni dalle campagne e dei borghesi dalle città, dei cittadini e dei contadini da un fisco spietato, contribuirono a portare la società romana in Italia e nelle province occidentali a un forte livello di instabilità. Il rigetto dell'autorità centrale si manifestava in una guerra di tutti contro tutti: l'antica aristocrazia romana contro i vertici di un esercito ormai barbarizzato, i proprietari terrieri contro i coloni che tentavano di sottrarsi alla servitù della gleba, i cittadini ed i contadini dal fisco. L'Impero romano d'Occidente viveva quindi una situazione di anarchia endemica, che indebolì la resistenza dell'Impero alla rinnovata pressione dei barbari.



Declino economico-sociale

La storiografia del XIX e del XX secolo ha

posto l'accento, invece, sulle profonde questioni di tipo economico-sociale che dal III secolo in poi portarono al progressivo declino della produzione agricola, alla crisi dei commerci

e

delle

città,

alla

degenerazione

burocratica

ed

alle

profonde

disuguaglianze sociali, facendo perdere ricchezza e coesione interna all'Impero romano, in particolare alla pars occidentalis, fino alla sua caduta finale nel V secolo. Fu la crisi economico-sociale, insomma, che alla lunga

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finì per indebolire fatalmente la struttura politico-militare dell'Impero romano d'Occidente, che, già dilaniato dalle guerre intestine (vedi sopra) e devastato da frequenti carestie ed epidemie (allo stesso tempo causa e conseguenza della crisi economica e dell'instabilità politica), alla fine non seppe più resistere con successo alle invasioni barbariche provenienti dall'esterno.Secondo gli storici di scuola marxista, come Friedrich Engels, l'Impero romano cadde quando il modo di produzione schiavistico, non più alimentato dalle grandi guerre di conquista, cedette il passo al sistema economico feudale basato sul colonato e quindi sulla signoria fondiaria e sulla servitù della gleba tipiche dell'economia curtense del Medioevo. L'economista e sociologo Max Weber sottolineò la regressione dall'economia monetaria

all'economia

naturale,

conseguenza

della

svalutazione

monetaria,

dell'inflazione galoppante e della crisi dei commerci dovuta anche alla stagnazione produttiva ed alla crescente insicurezza dei traffici. Per lo storico russo Mikhail Rostovtsev fu la ribellione delle masse contadine (fuga dalle campagne) alle élite cittadine a determinare la perdita della coesione sociale interna. Per altri storici ancora, infine, fu la degenerazione burocratica, caratterizzata dall'endemica corruzione e dall'eccessivo peso fiscale sui ceti medi, a produrre quella profonda frattura sociale tra una ristretta casta di privilegiati (aristocratici latifondisti e vertici della gerarchia burocratica e militare)

che

estremo

e

contadini

la e

nel

grande

massa

dei

costretti

proletari

alla

sopravvivenza, perdere

vivevano

che

all'Impero

lusso dei

urbani

quotidiana alla la

fine

fece

compattezza

necessaria per evitare il crollo del V secolo.

 Separatismo provinciale Un'ipotesi interessante è quella prospettata dallo storico Santo Mazzarino e ripresa dall'economista Giorgio Ruffolo: sotto la superficie apparentemente omogenea della civiltà ellenistico-romana, in realtà emersero progressivamente le antiche nazionalità 6

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compresse. Gli effetti di questa spinta si sarebbero manifestati soprattutto nel V secolo in Occidente (in Gallia, in Spagna, in Africa) e soltanto nel VII secolo in Oriente (in Siria ed in Egitto). In questo modo si spiegherebbe la facilità con cui le popolazioni romanizzate si fusero con i conquistatori germanici in Occidente e con i conquistatori arabi in Oriente. Secondo Heather, per sedare le rivolte interne erano in genere sufficienti pochi reggimenti (il Conte Teodosio riuscì a sedare una rivolta in Britannia nel 368 con solo quattro

reggimenti),

quindi,

senza

un

massiccio

attacco

esterno,

le

spinte

autonomistiche non avrebbero mai potuto portare al crollo dell'Impero; solo se tutte le province dell'Impero si fossero rivoltate tutte insieme, un crollo di questo tipo sarebbe stato plausibile.

 Il Cristianesimo Il cristianesimo viene considerato da alcuni storici e filosofi (soprattutto gli illuministi del XVIII secolo: Montesquieu, Voltaire, Edward Gibbon) la causa principale

della

caduta

dell'Impero

romano

d'Occidente. Secondo le loro tesi il Cristianesimo avrebbe reso più deboli militarmente i Romani, in quanto incoraggiando una vita contemplativa e di preghiere e contestando i tradizionali miti e culti pagani,

li

aveva

privati

dell'antico

spirito

combattivo, lasciandoli in balia dei barbari (Voltaire sosteneva che l'Impero aveva ormai più monaci

Costantino, il primo imperatore cristiano

che soldati). Inoltre la diffusione del Cristianesimo aveva scatenato dispute religiose, che alla fine resero l'Impero meno coeso, accelerandone la rovina. Sembra però piuttosto azzardato concludere che una forza che agì nel senso della coesione nell'Impero romano d'Oriente abbia agito nel senso della disgregazione nella parte occidentale. Non bisogna dimenticare però che le ideologie formulate dagli intellettuali riguardo agli imperatori sono diverse da impero orientale a occidentale. L'Oriente fece propria l'ideologia formulata da Eusebio di Cesarea (basileus sacralizzato), l'Occidente invece quella di Ambrogio e Agostino (imperator pius e non 7

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divinizzato, sottoposto alla Chiesa del quale è garante). Non è un caso infatti che fu proprio in Occidente che Teodosio fu costretto a piegarsi supplice per ben due volte di fronte al semplice vescovo di Milano, Ambrogio appunto. È vero, ci sono le testimonianze di un'aperta esultanza di cristiani eminenti come Tertulliano o Salviano di Marsiglia, di fronte alle disfatte e alle invasioni. Ma ci sono altrettante testimonianze di dolore ed amarezza, come quella di san Girolamo. O persino le memorie documentate di vescovi che guidarono la resistenza armata ai barbari, sostituendosi alle milizie romane in fuga. Sant'Agostino rivendicava, invece, che la sola e vera patria dei cristiani era quella celeste e che le città degli uomini rovinavano non per colpa dei cristiani, ma per effetto delle nequizie dei loro reggitori. Sembra potersi dire, quindi, che nell'insieme i cristiani non combatterono i barbari (a differenza che in Oriente, dove il Cristianesimo costituì qualche cosa di simile a un movimento nazionale che si opponeva decisamente ai barbari), ma nemmeno sabotarono l'Impero. Il ruolo del cristianesimo nell'aver partecipato - non determinato - al collasso dell'impero d'Occidente, dovrebbe essere oggi rivalutato, ponendo particolare attenzione: alla disgregazione economica-sociale accelerata da donne e uomini di alto lignaggio (come Priscilliano, le due

Melanie,

abbandonando

Paola) il

che, secolo,

vendettero intere proprietà; ai contrasti tra funzionari imperiali e vescovi (ad esempio Oreste e Cirillo), e anche tra imperatori e vescovi (Giustina e Ambrogio); agli ideali evangelici che spinsero gli uomini a fuggire il secolo (monaci), che spinsero le donne alla verginità, e quindi al calo della natalità, e a considerare il mondo un pellegrinaggio temporaneo (Agostino) e quindi, sostanzialmente, privo di importanza. Un ottimo campo di indagine per capire la forza corrosiva del cristianesimo è quello delle leggi di Maggiorano (una delle più famose proibì alle donne di farsi monache prima dei 40 anni, poiché, e l'imperatore lo aveva ben capito, questo stava causando

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una diminuzione delle nascite, in un momento in cui Roma aveva bisogno di tutte le spade possibili).

 Decadenza del mos maiorum e dispotismo Anche la corruzione e l'abbandono degli antichi costumi repubblicani, che avevano reso grande Roma, oltre al dispotismo degli imperatori, ebbero un notevole influsso, secondo alcuni storici, sul declino e la caduta finale di Roma. Secondo Montesquieu ed altri storici, a causa dell'influenza dei molli e corrotti costumi orientali, la società romana finì per abbandonare le tradizionali virtù repubblicane che avevano contribuito all'espansionismo e alla solidità dell'Impero. Le prime avvisaglie della decadenza, quindi, si sarebbero avute già nel I secolo d.C., con la tirannia di imperatori come Nerone, Caligola, Commodo e Domiziano. Una visione che la storiografia romana di ideologia repubblicana, vicina al Senato o tradizionalista (Publio Cornelio Tacito, Cassio Dione Cocceiano, Ammiano Marcellino), aveva interesse a diffondere. Tuttavia, anche in questo caso non si spiega perché il dispotico e grecoorientale Impero bizantino riuscì a resistere benissimo alle invasioni barbariche, a differenza dell'Impero d'Occidente.

Conseguenze: Il

periodo

alla

successivo deposizione

dell'ultimo

imperatore

Romolo Augusto e alla fine dell'Impero romano d'Occidente del 476 d.C. vide lo stabilizzarsi di nuovi regni (detti regni latino-germanici

o

romano-barbarici), si

erano

che

andati

formando

nelle

ex

province

romane

a

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partire dalle invasioni del V secolo e che, inizialmente, erano stati formalmente dipendenti dall'Impero. Il regno fu l'unica istituzione politica nuova elaborata dagli invasori, anche se ci furono importanti differenze all'interno dei popoli germanici. Schematizzando si può dire che il regno barbarico non conobbe la separazione dei poteri, concentrati tutti nelle mani del re che li aveva acquisiti per diritto di conquista, al punto che la cosa pubblica tendeva a confondersi con la sua proprietà personale e la stessa nozione di regno con la persona di chi esercitava il potere politico e assicurava la protezione militare dei sudditi, dai quali esigeva in cambio fedeltà. La monarchia dei popoli barbarici non fu territoriale bensì nazionale, ossia rappresentò chi era nato nella stessa tribù. Nonostante il ruolo distruttivo che spesso i popoli invasori svolsero nelle terre invase, quasi tutti i nuovi regni furono a loro volta...


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