Docsity le regole del corpo valeria giordano PDF

Title Docsity le regole del corpo valeria giordano
Course Teoria del Diritto e dell'Argomentazione
Institution Università degli Studi di Salerno
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Riassunto del testo impiegato nel corso....


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Le regole del corpo - Valeria Giordano Teoria Del Diritto E Dell'argomentazione Università degli Studi di Salerno 14 pag.

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LE REGOLE DEL CORPO – Valeria Giordano CAPITOLO PRIMO: IL CORPO FRA REALTÀ NATURALI E ARTIFICI GIURIDICI 1. Problematica è la distinzione operata dalla scienza giuridica tra realtà naturali e artifici giuridici, alla base di cui vi è uno sforzo teorico nel regolare fatti sociali attraverso delle strutture giuridiche. In un ambito come quello del biodiritto si affermano dei processi che necessitano di limiti del corpo rispetto alla dialettica natura/artificio che è centrale nel dibattito tra giusnaturalismo e positivismo. I temi ed i problemi si intersecano nel biodiritto nelle loro molteplici forme e mostrano la difficoltà di un intervento regolativo della vita. Il diritto, dinanzi a richieste circa il ricondurre la vita al tema giuridico, si mostra in difficoltà nell’estendere le sue categorie giuridiche a interessi diversi rispetto a quelli per cui le stesse categorie sono state istituite. Sono scelte giuridiche complesse quelle che riguardano problemi tra corpo, vita, salute, e generano divisioni culturali. Si assiste così ad una espansione del biodiritto ad ambiti prima riservati alla sola sfera privata. La normatività che le regola è una normatività del fattuale, sganciata dalla forma giuridica dalla regolazione astratta della legislazione ma che nasce dalla necessità di dar voce a diverse situazioni giuridiche controverse. Il problema del biodiritto emerge perciò nei tribunali, chiamati di volta in volta a decidere su temi complessi. 2. Il discorso bioetico si sviluppa principalmente come discorso giudiziario e ciò mostra da un lato, l’inadeguatezza della regolamentazione legislativa nel far fronte alle diverse situazioni imprevedibili della vita, dall’altro la problematicità nel fornire una risposta giuridica a temi che riguardano la sfera privata e che sollevano questioni etico-politiche complesse. Indubbiamente il tema della vita, legato alla sua fine al suo inizio, genera casi difficili per cui non è affatto agevole individuare una decisione giuridica, in questi casi le decisioni dei giudici si trasformano in scelte etiche complesse. In tal modo si genera una rinascita di prospettive giusnaturalistiche, un fattore di sviluppo del diritto transnazionale è proprio costituito dal maggiore potere decisionale dei tribunali. Sicuramente il processo di costituzionalizzazione nelle democrazie contemporanee comporta la giuridicizzazione di molti principi elaborati dal giusnaturalismo che godono di una dimensione normativa rafforzata grazie alla strada internazionale. L’effettività del diritto globale, però, sembra svincolarsi sempre più dalle limitazioni formali della norma aprendosi invece a modelli di autoregolazione giuridica. 3. L’impossibilità di “afferrare il sovrano” ci pone dinanzi a diversi interrogativi, la difficoltà è quella di far fronte alle trasformazioni delle democrazie contemporanee con un armamentario invece immutato in un contesto in cui si ha un aumento delle fonti di produzione normativa, fra sistemi di multilevel governance.Questa governance multilivello che tende ad espandersi in modo arbitrario in assenza di riferimenti normativi stabili. Assistiamo ad un allontanamento della cornice normativa realizzato attraverso l’istituto della DRITTWIRKUNG che potenzia, dunque, l’operato delle corti. Si tratta di un istituto che riguarda i rapporti tra Costituzione e giurisprudenza, che coinvolge il problema della valenza precettiva dei principi, considerando un possibile dialogo costante tra le Corti che prescinda dai limiti legislativi posti dagli ordinamenti. È illusorio credere che il diritto giurisdizionale transnazionale possa sostituire del tutto la politica costituzionale democratica, ma si tratta di un aspetto che svela la crisi della rappresentanza politica. La quale è evidente proprio in riferimento alla tematiche bioetiche rispetto alle quali la pluralità delle posizioni morali rende inevitabili scelte individuali dei consociati. La lentezza di una specifica regolamentazione sul fine della vita, ad esempio, spinge i consociati a spostarsi in Paesi dove sono accolti principi del suicidio assistito. Dinanzi alla negazione di

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diritti fondamentali nel nostro Paese, molti consociati decidono di spostarsi verso Paesi aventi delle legislazioni maggiormente permissive in tal senso. Le parole di Foucault rivelano dinamiche che effettivamente oggi si presentano quale sfida per il giuridico: “il potere della vita si è sviluppato attraverso due poli: il primo è stato centrato sul corpo in quanto macchina, il suo potenziamento, la crescita della sua utilità, tutto questo è stato assicurato da determinati meccanismi di potere, si parla di ANATOMO-POLITICA DEL CORPO UMANO; il secondo polo è incentrato sul corpo-specie che è da supporto ad i processi biologici quali la proliferazione, la morte, la nascita, il livello di salute, tutto ciò assicurato da una serie di interventi e di controlli regolatori, si parla di UNA BIOPOLITICA DELLA POPOLAZIONE. 4. Si ha così un indebolimento dei meccanismi di garanzia e di protezione dei cittadini e si accompagna ad una mutazione genetica della politica: questa mutazione comporta una riduzione delle forme di partecipazione dei cittadini alle istituzioni pubbliche, una perdita della forza normativa della costituzione dovuta ad un indebolimento delle garanzie dei diritti fondamentali che tendono ad emanciparsi sul piano delle Corti Sovranazionali. La difficoltà è quella di trovare un consenso su questioni eticamente controverse e problematica risulta la risposta giuridica che sia adeguata alle urgenze che vengono poste dal dibattito bioetico. Poteri e diritti che si dissolvono anche sul piano internazionale e comportano nuovi profili di categorie giuridiche richiedendone una ridefinizione che sia adeguata alla mutata realtà sociale: in un continuo incontro/scontro la regolamentazione interna, legislativa e giurisprudenziale, e governace multilevel. Non è facile, indubbiamente, stabilire i confini dell’intervento del diritto nella giuridicizzazione dei corpi. 5. Vi sono una varietà di interrogativi a cui è necessario dare risposta tra cui la definizione più appropriata di vita umana, che è “compresa tra l’attivarsi di un processo embrionale dai confini scientificamente determinati e l’estinguersi di tale processo con la morte tra fattori altrettanto complicati”. Una molteplicità di problemi che è necessario risolvere e su cui bisogna interrogarsi sul terreno giuridico, risolverli attraverso una legislazione specifica piuttosto che una risposta giuridicizzata caso per caso dall’attività della giurisprudenza, la quale non avendo carattere di generalità e astrattezza genera discriminazioni e diseguaglianze. Sui temi della bioetica si ha una sorta di silenzio da parte del legislatore, vista la difficoltà di pervenire ad un consenso diffuso su problematiche che da sempre dividono la società e dipendono da valutazioni soggettive, valutazioni che risultano difficili da risolvere senza in qualche modo coinvolgere aspetti morali e religiosi. Una regolamentazione legislativa di tali problematiche da un verso affida a scelte giuridiche la valutazione degli interessi in gioco e alla loro ponderazione nel caso concreto, dall’altro sottrae all’etica pubblica le scelte personali dei singoli. 6. Vi sono due grandi posizioni teoriche: una di tradizione cattolica, l’altra di matrice laica che si possono assumere per giustificare con argomentazioni pro life o pro choice il discorso bioetico; si può parlare di un dis-ordinamento giuridico, ossia una situazione nella quale il diritto rinuncia a porsi quale strumento per decidere di scelte pratiche e affida la propria capacità di strumento per decidere alle scelte di volta in volta individuate dagli operatori giuridici secondo il modello del “formalismo pratico”. L’utilizzo di criteri e principi da parte del legislatore ovvero la loro costituzionalizzazione, come “dignità”, “persona”, costringe i giudici a conciliare la loro portata normativa con il conflitto etico di cui sono parte. Quasi un secolo fa, prima del processo di positivizzazione dei principi morali nelle costituzioni, Cardozo sottolinea come ogni principio giuridico, una volta enunciato, tendesse a espandersi

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oltre i limiti logici, gli spazi per i quali era stato ideato, cioè che questi sottolinea è dunque la natura espansiva del ragionamento morale. Il fatto dunque che la Costituzione comprenda valori e principi sostanziali che in qualche modo contrastano con la sua pretesa di prescrizione politica di molte disposizioni della stessa Costituzione: la sua natura contraddittoria da un lato rappresenta una triste realtà, dal nostro punto di vista può costituire uno dei maggiori punti di forza. 7. Vi sono state alcune sentenze che hanno ridisegnato le tappe fondamentali del dibattito bioetico nel tentativo di colmare un vuoto di regolazione legislativa, è il caso ad esempio di alcune pronunce della Corte Costituzionale sull’inizio vita. Nel nostro ordinamento vige l’obbligo per il legislatore, così come interpretato dai tribunali costituzionali, di trattare allo stesso modo fattispecie uguali ma, allo stesso tempo, di considerare in modo differenziato fattispecie diverse. In alcuni casi si sono generati dilemmi etici complessi tra posizioni riconducibili ai modelli pro life e pro choice, il problema è quella di fornire una risposta giuridica adeguata a temi bioetici assai complessi, talvolta i tribunali si sono pronunciati e ne sono risultati scontri istituzionali fortissimi fra Parlamento e giurisdizione. Si fa riferimento ad esempio al caso Englaro, in cui il Presidente della Repubblica si fa da unico garante della democraticità del Paese. 8. Una delle problematiche che si pone è inerente il diritto alla cura, che da un lato si configura come libertà negativa da altro verso come obbligo, la problematica nello specifico riguarda le ipotesi nelle quali vi è l’impossibilità di prestare il consenso per le persone che si trovino in stato di incoscienza; la giurisprudenza sul fine della vita si è a lungo interrogata sulla natura del trattamento sanitario di alimentazione e idratazione. Dalla normazione delle Corte Costituzionale risulta che i trattamenti sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge, sempre che il provvedimento che li impone sia volto a impedire che lo stato di salute del singolo possa arrecare danno alla collettività e che l’intervento previsto non danneggi ma sia utile alla salute del singolo. Vista l’impossibilità di consultare il soggetto incapace e chiedere il suo consenso ai trattamenti di sostegno nelle aule di tribunale vi sono state drammatiche e diverse alternative che oscillano tra la possibilità di e la scelta di interrompere il trattamento attraverso una volontà presunta e la prevalenza del principio di precauzione relativo alla vita. Ciò è avvenuto in merito al caso Englaro, il padre e tutore della ragazza in stato vegetativo richiede l’interruzione dei trattamenti di alimentazione e idratazione artificiale, tale vicenda è stata al centro di un dibattito giurisprudenziale che da cui emergono diverse argomentazioni. La Corte di Appello di Lecco rifiuta l’interruzione e motiva tale rifiuto sulla base del fatto che, in base alla normativa vigente, la morte si ha con la cessazione di tutte le funzioni dell’encefalo e la sospensione dell’alimentazione in tal caso indurrebbe la ragazza a morte certa, configurandosi in tal modo come una forma di eutanasia indiretta omissiva; nella sentenza della Cassazione, invece, si sostiene che il rifiuto dei trattamenti, anche quando conduce alla morte, non può scambiarsi per un’ipotesi di eutanasia, ossia per quel comportamento che intende abbreviare la via causando in maniera positiva la morte, ma esprime piuttosto, tale rifiuto, una scelta da parte del malato che la malattia segua il suo corso naturale. Sempre la Cassazione afferma che non è artificiale l’interruzione dei trattamenti che porta ad una morte naturale ma sono i trattamenti stessi ad essere artificiali. Nella decisione della Corte d’Appello la distinzione tra vite degne e vite non degne risulta assolutamente abolita dovendo far riferimento esclusivamente al bene vita costituzionalmente garantito indipendentemente dalla qualità della stessa vita. Nella decisione del TAR della Lombardia viene sottolineato il diritto assoluto di rifiutare il trattamento sanitario. Le argomentazioni della Cassazione fondano la concretizzazione della libertà di autodeterminazione dei soggetti sul consenso posto alla base del rapporto medico-paziente e considerato criterio di legittimazione del trattamento sanitario nel quale ricade non soltanto la facoltà del paziente di scegliere tra i diversi trattamenti ma anche la possibilità di rifiutare la

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terapia o decidere di interromperla consapevolmente, in tutte le fasi della vita, anche nella fase terminale. Diversamente, la sentenza Pretty v. Regno Unito (2346/02) della CEDU ha interpretato l’articolo 2 della Convenzione in via estensiva: chiarendo che questa non può essere interpretata in modo da attribuire il diritto a morire da un lato, e dall’altro, non può essere interpretata quale diritto di autodeterminazione che conferisce la facoltà di scegliere la morte piuttosto che la vita. Con la decisione della Cassazione si cerca di tutelare i valori della persona anche nel caso in cui questa versi in uno stato di incapacità di intendere e di volere permanente, attraverso la ricostruzione dei suoi valori di riferimento. Indubbiamente tale clima, alquanto teso, ha sottolineato la necessità di adottare una legislazione sul fine della vita vista l’assenza di una regolamentazione specifica. Gli strumenti internazionali hanno sottolineato in tale ambito l’imprescindibilità dal principio di autodeterminazione. 9. La giurisprudenza ha giocato un ruolo fondamentale sul fine della vita. Altra vicenda che ha generato scalpore e diviso l’opinione pubblica è quella di Welby, il soggetto non ancora malato terminale, chiede l’interruzione delle cure vista la sua malattia degenerativa. Anche qui vista l’inerzia del legislatore si assiste ad un ampliamento del potere decisionale dei tribunali, che evidenziando una lacuna nell’ordinamento giuridico ha progressivamente affermato il diritto di rifiutare i trattamenti salvavita in quanto espressione di una scelta terapeutica. Il tribunale di Roma, in prima istanza, respinse la richiesta di Welby, motivando il rifiuto in base all’assenza di una legge sul fine della vita. Interessante è invece l’argomentazione del giudice per l’udienza preliminare nel processo condotto nei confronti del medico che staccò il respiratore su richiesta di Welby, il giudice scagiona il medico vista la scriminante posta dall’articolo 51 del codice penale la quale prevede la punibilità sia esclusa nel caso di adempimento ad un dovere o l’esercizio di un diritto. Si tratta di un’interpretazione costituzionalmente orientata dal momento che data l’inerzia del legislatore, il rifiuto dei trattamenti sanitari si colloca tra i diritti inviolabili sanciti e tutelati dall’articolo 2 della Costituzione cui è collegato il diritto all’autodeterminazione dei soggetti quale espressione del principio di libertà. Una tutela rafforzata in quanto la libertà di scelta terapeutica è direttamente enunciata dall’articolo 32 della Costituzione. Questa situazione giuridica appare per un verso meno complessa rispetto a quella del caso Englaro dal momento che è il soggetto stesso a chiedere l’interruzione della terapia, risulta evidente la manifestazione del consenso che invece è faticoso ricostruire nel caso di paziente in stato vegetativo, ma si pongono comunque altri problemi per quanto riguarda un’interpretazione costituzionalmente orientata e le ipotesi delittuose prescritte dal codice penale. In primo luogo, più che parlare di eutanasia, la scelta di Welby rientra nello stesso diritto di vivere in quanto questi ha diritto a rifiutare i trattamenti. In questo caso il richiamo al concetto di vita supera il mero dato biologico fondandosi piuttosto su parametri qualitativi che riguardano la sfera della sofferenza, del dolore, per cui anche l’azione o omissione del medico, su richiesta del paziente, risulta legittima poiché sarebbe illecita una condotta contraria alla volontà del paziente. Certamente anche il caso di Eluana Englaro rappresenta una prima strada per approcciarsi ad un progetto legislativo che metta innanzitutto al centro la dignità, dunque il divieto di ostinazione nella somministrazione di cure o nel ricorso a trattamenti inutili vista l’imminenza della morte. Non si tratta però di una novità introdotta nel nostro ordinamento, in quanto tale disciplina è stata introdotta nel 2010 in merito alle cure palliative; nonostante spesso vi sia confusione tra eutanasia e sedazione palliativa profonda, quest’ultima consiste nel somministrare intenzionalmente dei farmaci sedativi in dosaggi che riducano la coscienza di un paziente in fase terminale. Un aspetto innovativo è certamente il testamento biologico che garantisca la libera scelta del paziente, è disciplinato a livello internazionale dalla Convenzione di Oviedo recepita in Italia nel 2001. Il concetto chiave che ispira la legislazione è quello di autonomia dei soggetti. Siamo in presenza di un insieme di regole power conferring, attraverso le quali si hanno modalità di autoregolazione normativa.

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CAPITOLO SECONDO: IL POTERE RIPRODUTTIVO DEL CORPO 1. Il panorama giuridico registra un mutamento circa la tematica di inizio della vita con la L. 40/2004 con la quale è riconosciuta la piena soggettività giuridica all’embrione. Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita è subordinato ad una serie di requisiti alquanto stringenti, norme che riguardano la commercializzazione degli embrioni o dei gameti, sperimentazione scientifica su di essi, divieto di fecondazione eterologa. Il nostro ordinamento risente dell’influenza della religione cattolica, infatti, il legislatore talvolta ne risulta quasi condizionato nelle sue scelte, poiché si registrano dei fenomeni di turismo procreativo che sono comunque lesivi del principio di uguaglianza. La L. 40/2004 concede una tutela all’embrione che ha comportato la compressione del diritto alla salute della donna e suscitato un dibattito molto animato; la stessa legge è stata oggetto di diversi interventi della giurisprudenza, non soltanto nazionale, che ha ampliato la sua portata denunciandone i profili di irragionevolezza. Nei dibattiti vi sono stati dei sostenitori della normativa ma anche suoi critici che hanno evidenziato i molteplici profili di incostituzionalità, mettendo in luce come talune limitazioni legislative sulla PMA fossero espressione di posizioni morali e ideologiche; la richiesta è quella di dettare una normativa imparziale a quelle che sono visioni religiose o morali. Una pretesa che è però resa invalida dal fatto che nel diritto sono incluse opzioni ideologiche che riproducono delle forme di discriminazione. 2. Sulla legge 40 si è generato un clima particolarmente teso. Si è assistito al riconoscimento a favore dell’embrione non soltanto del diritto alla vita, che gli permette di acquistare piena soggettività giuridica, ma, addirittura, anche un suo diritto alla privacy in modo da escludere una diagnosi preimpianto. Si è registrata una tendenza della bioetica di stampo cattolico alla giurisdificazione di statuti che affondano le loro origini in documenti internazionali, i quali si fondano sull’intangibilità della dignità umana e sul primato della persona rispetto alla ricerca scientifica superando, in tal modo, la riduzione operata dall’articolo 1 del codice civile che subordina l’acqui...


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