Elementi della fattispecie PDF

Title Elementi della fattispecie
Author Viviana Gulletta
Course Diritto Penale
Institution Università degli Studi dell'Aquila
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Summary

Vengono analizzati dettagliatamente gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e le cause di esclusione della colpevolezza, con esempi chiarificatori e specificazioni necessarie...


Description

ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA FATTISPECIE INCRIMINATRICE Strettamente strumentale alla comprensione della dinamica delle tecniche di normazione in materia penale è lo studio degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice. Noi distingueremo elementi oggettivi ed elementi soggettivi della fattispecie, ma c’è un’altra distinzione importantissima, la classificazione che distingue elementi descrittivi ed elementi normativi della fattispecie incriminatrice. Cosa sono gli elementi descrittivi? Apparentemente si tratta dei concetti di fattispecie più coerenti con il principio di tassatività o sufficiente determinatezza. Si tratta di quegli elementi di fattispecie che fanno riferimento immediato a dati della realtà sensibile o del mondo empirico, coerenti col principio di tassatività nella misura in cui i concetti, ad esempio, di uomo, di cosa o animale non suscitino particolari anfibologie interpretative. Se tutti gli elementi descrittivi di fattispecie fossero pienamente coerenti col principio di tassatività, non avrebbero in questo momento nel nostro discorso se non una valenza classificatorio- sistematica. In realtà anche negli elementi descrittivi di fattispecie possono esserci delle componenti di tipo valutativo che li rendono meno tassativi di quanto appaia. Pensate al concetto di pericolo che nelle varie circostanze aggravanti o attenuanti previste dagli artt. 61 e ss. c.p. si declinano attraverso i requisiti della speciale gravità e della speciale tenuità. E’ chiaro che, arricchendosi il pericolo di una nota valutativa, diventa certamente meno tassativo rispetto alla nozione di uomo, cosa o animale. Nell. ambito degli elementi descrittivi della fattispecie dobbiamo includere anche gli elementi di tipo numerico, pensate alle tre o più persone che si associano per commettere delitti (fattispecie dell’associazione per delinquere, art. 416 c.p. ). Una volta indicato il confine tra elementi descrittivi ed elementi normativi della fattispecie dovremo poi verificare se questo confine sia netto come sembra. Come anticipato settimana scorsa, gli elementi normativi di fattispecie assomigliano tantissimo alle norme penali parzialmente in bianco, perché entrambe richiedono un processo di eterointegrazione per la loro comprensione. Sono elementi normativi della fattispecie penale quei concetti che per la loro comprensione rinviino ad una norma diversa da quella in cui sono contenuti; norma che potrà essere un’altra norma penale, una norma extrapenale, cioè appartenente a qualsiasi altro ramo dell’ordinamento giuridico ma anche una norma etico-sociale, perché gli elementi normativi si distinguono in giuridici ed extragiuridici. Esempio di elemento normativo giuridico penale= Art. 368 c.p. Siamo nella fattispecie della calunnia, nell’ambito dei delitti contro amministrazione della giustizia. Qui il lessico penalistico prevale nitidamente su qualsiasi altro significato etico-sociale della calunnia. (Va distinta nettamente dalla diffamazione perché la diffamazione è un delitto contro l’onore, la calunnia un disvalore specifico in ambito penalistico).

Chiunque

con denuncia [c.p.p. 333], querela [c.p.p. 336], richiesta[c.p.p. 342]

o istanza [c.p.p. 341], anche se anonima o sotto falso nome, diretta all' Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale

(1)

, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente ovvero simula a carico di

lui le tracce di un reato

(3)

, è punito con la reclusione da due a sei anni.

La calunnia è la falsa incolpazione di un reato a carico di persona innocente. Il concetto di reato contenuto nel delitto di calunnia è appunto l’elemento normativo giuridico penale che integra la fattispecie. Per esigenze di sintesi, chiaramente la norma si limita a fare riferimento ad un reato, cioè un fatto previsto e punito con sanzione penale. Ovviamente nella qualificazione concreta, la calunnia consisterà nella falsa attribuzione di qualsiasi fattispecie di reato a carico di innocente. La tassatività del delitto di calunnia non è in alcun modo minata dalla presenza dell’elemento normativo giuridico penale, perché il concetto di reato è tassativamente definito nei suoi elementi essenziali. Stesse considerazioni valgono poi per gli elementi normativi giuridici che non facciano riferimento a norme del c.p. ma a norme di qualsiasi altro ramo dell’ordinamento giuridico. Possiamo fare riferimento al furto, ex art. 624 c.p. Chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui , sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri , è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da centocinquantaquattro euro a cinquecentosedici euro.

Qui l’elemento normativo sarà rappresentato dall’altruità della cosa, perché il concetto di altruità rinvia per la sua definizione alla normativa civilistica sui modi di acquisizione e trasferimento del diritto di proprietà. Anche questo, come il concetto di calunnia, è un concetto di sintesi, che serve a far riconfluire nozioni generali che poi si specificheranno nella singola fattispecie incriminatrice, e anche in questo caso il concetto di altruità non crea nessun problema sul piano del principio di tassatività o sufficiente determinatezza. Esistono anche elementi normativi di tipo etico-sociale che non rinviano in quanto tali a norme diverse da quelle in cui sono contenuti, ma a misure di valore, a criteri di valutazione di portata etico-sociale. Il delitto di atti osceni, di cui all’art. 527 c.p., è stato depenalizzato prima nella versione colposa, e due anni fa, anche nella versione dolosa, ma il concetto di oscenità di un atto o di un comportamento rimane paradigmatico perché l’oscenità di un atto o di un comportamento è proprio il classico esempio di elemento normativo etico-sociale. Ai sensi del nostro c. p. atto o oggetto osceno è qualsiasi cosa che, in un dato momento storico, offenda il comune sentimento del pudore. I margini applicativi di questa fattispecie, oggi depenalizzata, si sono praticamente desertificati nel corso del tempo, fino a fare apparire assolutamente marginale, e quindi depenalizzabile, la relativa fattispecie incriminatrice. Non esistono nel nostro c.p. fattispecie incriminatrici che facciano riferimento, nell’ambito dei delitti contro la religione, al concetto di Dio, ma Dio è un elemento normativo di fattispecie di natura etico-sociale. Si afferma da tempo in dottrina che gli elementi descrittivi possiedano maggiore coerenza rispetto al principio di precisione come aspetto specifico della tassatività o sufficiente determinatezza; per contro, gli elementi normativi della fattispecie penale non rivendicherebbero lo stesso livello di tassatività. In particolare, sarebbero censurabili proprio gli elementi normativi etico- sociali i quali, rinviando ad una misura di valore non

giuridica, attribuirebbero in concreto al giudice una discrezionalità molto simile all’arbitrio. Negli ultimi vent’anni è ripresa la produzione di studi sugli elementi normativi che hanno restituito loro una piena coerenza col principio di tassatività. Innanzitutto bisogna vedere se la distinzione tra elementi normativi ed elementi descrittivi di fattispecie sia così nitida come la dottrina tradizionale ha sempre ritenuto. Uno studioso tedesco nei primi anni del ‘900, Erik Wolf, ha formulato una teoria che ancora oggi trova un’eco precisa nel pensiero di penalisti illustri. Secondo Wolf la distinzione non avrebbe senso, perché ogni elemento della realtà, per il solo fatto di essere trasferito nel corpo di una norma giuridico- penale subisce un processo di normativizzazione. Non è affatto detto che il concetto di uomo, rilevante nell’ambito delle discipline sull’omicidio e il concetto di morte abbiano lo stesso significato empirico che hanno nel linguaggio comune. Tutti i concetti di una fattispecie penale sono normativi, proprio per il fatto di essere stati inclusi in una norma giuridico-penale, hanno infatti subito una trasfigurazione giuridicometodologica. Anche nel pensiero di Erik Wolf la distinzione tra elementi più o meno normativi della fattispecie poi riaffiora, perché lui distingue gli elementi già pieni di valore da quelli bisognosi di essere riempiti di valore. Alcuni studiosi sostengono che oggi non si possa più dire se un elemento sia normativo o descrittivo, lo si può considerare in prevalenza normativo o in prevalenza descrittivo in rapporto al profilo specifico che ci interessa. Facciamo un esempio. Ai sensi dell’art. 575 c.p. : Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Questa fattispecie, paradigma dei reati causali puri, sembra il paradiso degli elementi descrittivi. Concetto di uomo, di morte; ma proprio la morte, dall’entrata in vigore del c.p. ad oggi ha subito una trasfigurazione giuridico- metodologica simile a quella indicata dal Wolf in rapporto a tutti gli elementi costitutivi della fattispecie. Nel 1930 la morte aveva una sola valenza univoca, la scienza medica non era in grado di sdoppiare la vita biografica dalla vita biologica. Oggi invece, rifacendoci agli studi clinici internazionali più accreditati sul fenomeno, possiamo avere ben tre tipi di morte. Una, inequivocabile, la morte cardiaca. Se si ferma il cuore, è finita. Poi abbiamo la morte corticale, che è una lesione cerebrale gravissima che però ha lasciato intatte le funzioni del tronco encefalico, per cui il soggetto è in grado di respirare autonomamente (questa è la condizione dei soggetti che si trovano in stato vegetativo permanente, e che ragionevolmente non hanno nessuna speranza di ritornare ad un’ordinaria vita di relazione). La morte cerebrale, secondo le acquisizioni più accreditate della scienza medica, coincide invece con la cessazione irreversibile delle funzioni del tronco encefalico. Nel 1993, il legislatore italiano, anche per poter regolare la disciplina degli espianti e dei trapianti, è intervenuto per dettare la definizione giuridica di morte, che è rilevante anche per il diritto penale. La l. 578/1993, contenente norme generali per l’accertamento della morte, identifica la morte nella cessazione irreversibile delle funzioni dell’encefalo, accogliendo

delle tre definizioni di morte, quella cerebrale. Beninteso, quella cardiaca è assolutamente inequivoca, ma tra morte corticale e morte cerebrale può esserci una grande differenza, che certamente incide sull’attuale disciplina degli espianti da cadavere e dei trapianti. Il concetto di morte, dunque, si è normativizzato nel corso del tempo, non perché sia diventato elemento normativo di fattispecie, ma perché può esserlo nei casi dubbi. Se Tizio procura a Caio una lesione personale gravissima per cui Caio rimane sospeso tra la vita e la morte, può porsi il problema della definizione giuridica del concetto di morte anche ai fini dell’individuazione del momento consumativo del reato. Il confine tra elementi normativi ed elementi descrittivi non è poi così nitido come la dottrina ha sempre ritenuto. Esistono elementi descrittivi suscettibili di normativizzazione, ed esistono elementi normativi che possiedono una forte componente valutativa, come il concetto di pericolo, o anche, nella contravvenzione di porto abusivo di armi, il concetto di notte. Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti, è commesso in luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o di notte in un luogo abitato, le pene sono aumentate (art. 699 c.p. comma 3) Come vediamo dal comma 3, anche il concetto di notte è sicuramente descrittivo, ma è chiaro si tratti di un concetto decisamente ambiguo, dotato di una cospicua zona grigia, perché non è dato comprendere tutt’ora ( e il dibattito riprende vigore perché una disposizione simile è in discussione alla Camera dei Deputati per quanto riguarda una possibile riforma delle disposizioni sulla legittima difesa) se il concetto di notte debba essere delimitato cronologicamente o in rapporto ai ritmi circadiani, perché in quest’ultimo caso il perimetro dell’aggravante muta in rapporto alle stagioni, con l’ora legale o con l’ora solare. Gli elementi normativi giuridici hanno una loro piena e definita tassatività. Nessuno può dubitare della nitidezza ermeneutica del concetto di reato di cui è falsamente incolpato il calunniato, o dell’altruità della cosa nei delitti contro il patrimonio. Questo è il motivo per cui alcuni libri di testo (in particolare quello di De Vero) propongono l’abbandono della distinzione tradizionale tra elementi normativi e descrittivi di fattispecie ed una ridefinizione trasversale dei due elementi di fattispecie in rapporto alla loro minore o maggiore coerenza col principio di tassatività o sufficiente determinatezza. In rapporto alla vicinanza degli elementi di fattispecie con il principio di determinatezza distinguiamo tra elementi rigidi, elastici e vaghi; laddove, com’è facilmente intuibile, gli elementi maggiormente incompatibili col principio di determinatezza sono proprio quelli vaghi. Gli elementi rigidi di fattispecie sono quelli la cui interpretazione non da dubbi di alcun tipo. Pensiamo all’associazione per delinquere: gli elementi descrittivi di tipo numerico non sono discutibili.

Possiamo tranquillamente includere in questa categoria anche gli elementi normativi di tipo giuridico, posto che essi non creano alcun problema col principio di tassatività o sufficiente determinatezza. Gli elementi elastici di fattispecie sono meno coerenti col principio di tassatività perché essi hanno un’area di significato incontrovertibile e poi una zona grigia (tempo di notte che abbiamo citato prima, re degli elementi elastici) in cui spetta al giudice stabilire e identificare la sussistenza dell’elemento di fattispecie. Prendiamo ad esempio il concetto di oscenità o, ancora meglio, quello di pericolo; in questi casi spetta al giudice integrare la fattispecie sulla base della sua sensibilità ermeneutica personale. Si tratta di elementi ancora coerenti col principio di tassatività e indispensabili per assicurare ad una certa fattispecie incriminatrice una certa durata nel tempo. Quando ci si abbandona ad una tipizzazione puramente casistica la vitalità della fattispecie penale richiede sempre continue iniezioni legislative nelle aggravanti del furto. Gli elementi vaghi non hanno nessun’area di significato incontrovertibile, sono solo zona grigia. Sono elementi di cui non è possibile ricostruire in maniera univoca o attendibile il significato, e sono assolutamente in contrasto col principio di tassatività o sufficiente determinatezza. Esiste una fattispecie incriminatrice che è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per il contrasto con il principio di tassatività, cioè l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 603 c.p. (plagio) Il delitto di plagio è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sent. 8 giugno (su internet riporta 9 aprile ) 1981 n. 96, ed è una delle prime sentenze che hanno censurato una norma penale per difetto di tassatività o sufficiente determinatezza. Leggendo la norma si può notare come la tipicità della fattispecie sia assolutamente apparente. Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. (art. 603) Che il plagio abbia una dimensione extra penale è chiaro, ma come si dimostra in un processo che taluno ha ridotto una persona al proprio potere? Questa norma pullula di elementi assolutamente vaghi, per cui non è possibile individuare quel nucleo incontrovertibile di significato che invece è presente negli elementi elastici. La tassatività è dunque strettamente legata al problema dell’interpretazione e anche il suo più importante corollario che è, secondo la dottrina prevalente, un sotto principio autonomo, richiede continue integrazioni rispetto al rapporto tra questo divieto e il procedimento ermeneutico. Il divieto è quello di analogia in materia penale. Questa è un’articolazione del principio nullum crimen, nulla poena sine lege estremamente interessante. Non dobbiamo preoccuparci dell’eventuale soluzione di continuità rispetto al principio di tassatività o sufficiente determinatezza; infatti, sia considerare l’analogia come un sotto principio autonomo, sia considerarla come il principale corollario del principio di tassatività

o sufficiente determinatezza, si tratta di argomenti che hanno un collegamento evidente, sia nella ratio, sia poi nei rapporti con il procedimento ermeneutico. I riferimenti normativi da cui noi desumiamo la rilevanza del divieto di analogia in materia penale sono almeno tre, e non tutti hanno la stessa importanza. Nell’art. 25 comma 2 Cost. , che è modulato secondo la scansione della irretroattività, tassatività e divieto di analogia sono ricompresi in via implicita, per parere unanime della dottrina costituzionalistica e di quella penalistica. Più significativo il riferimento contenuto nell’art. 1 c.p. “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge come reato”. L’avverbio espressamente rinvia alla natura tassativa dell’incriminazione, al divieto di analogia in materia penale e al carattere frammentario della materia penale. La disposizione più importante è contenuta nell’art. 14 delle preleggi, che ci interessa in tutta la sua portata, quando afferma che “l’analogia è vietata per le norme penali e quelle che fanno eccezione a regole generali”. L’analogia non è un procedimento ermeneutico, è un processo di integrazione dell’ordinamento giuridico che in altri rami del diritto pone rimedio alle lacune del diritto. Ex art. 12 preleggi, se manca una norma che sia applicabile al caso concreto, il giudice può fare riferimento a norme che regolano casi simili o materie analoghe (analogia legis) o in mancanza, addirittura, ai principi generali dell’ordinamento (analogia iuris). Se un procedimento di questa portata fosse applicabile alla materia penale, gli effetti sul piano della tutela dei nostri diritti di libertà sarebbero disastrosi, perché sarebbe possibile per il giudice creare una norma penale ah hoc che non c’è, per punire un caso che non rientra in nessuna fattispecie delittuosa prevista dall’ordinamento. Il diritto penale per nostra fortuna è lacunoso, frammentario, e ciò che non costituisce espressamente reato non è reato, in base al principio nullum crimen, nulla poena sine lege. Il postulato di garanzia del divieto di analogia è un argine solidissimo alla tutela dei nostri diritti fondamentali di libertà. Non è un caso che, con l’avvento del nazionalsocialismo in Germania, fu abolito il divieto di analogia, per consentire al giudice di applicare le norme incriminatrici ben oltre i casi e i modi da esse previsti. Il divieto di analogia in Germania fu ripristinato solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nel 1946. Non deve porsi in materia penale il problema delle lacune del diritto, perché non si applica alla materia penale il principio che è alla base del procedimento analogico: Ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositio. Dobbiamo intanto capire quale sia il rapporto tra analogia e procedimento ermeneutico e, soprattutto, quale sia la portata del divieto di analogia in materia penale. Prendendo ad esempio la riserva di legge, abbiamo visto come oggetto di riserva siano solo e soltanto le norme incriminatrici, non anche le norme di favore; questo stesso principio può essere applicato al divieto di analogia con un’importante puntualizzazione, e cioè che l’analogia

può applicarsi alle norme di favore, a meno che la norma di favore non abbia carattere eccezionale, perché in questo caso riconfluiremmo di nuovo nel divieto previsto dall’art. 14 delle preleggi. A rigore, e in astratto, interpretazione e analogia non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. L’interpretazione delle norme, anche penali, è un processo doverosamente consentito al giudice secondo vari livelli, l’analogia non è un procedimento ermeneutico. L’interpretazione può svolgersi su diversi livelli. Possiamo avere un’interpretazione strettamente letterale del testo che si traduce in un’applicazione pedissequa, pedante, dei contenuti puntuali descritti dalla norma. In alcuni casi possiamo avere anche un’interpretazione autenti...


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