Eneide, libro II - in questo libro Virgilio racconta l\'inganno del cavallo e poi si da alla descrizione della rovina della città di Ilio PDF

Title Eneide, libro II - in questo libro Virgilio racconta l\'inganno del cavallo e poi si da alla descrizione della rovina della città di Ilio
Author Antonio Giordano
Course letteratura latina 1
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
Pages 18
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Summary

Questo è un libro molto complesso. Virgilio descrive la caduta di Troia, e l'inganno del cavallo. Sono presenti molto pathos e molti riferimenti dotti....


Description

LIBRO II INCENDIO DI TROIA -IL CAVALLO DI LEGNO (2.1- 57) Tacquero tutti ed attenti tenevano i visi; quindi il padre Enea così cominciò dall'alta letto: Indicibile dolore, regina, inviti a rinnovare, come i Danai distrussero i beni troiani ed il regno degno di pianto, e le cose tristissime che io vidi e di cui fui gran parte. Quale soldatodei Mirmidoni o dei Dolopi o del crudele Ulisseraccontando tali cose si tratterrebbe dalle lacrime? E già la notte umida dal cielo precipita e le stelle cadendo consigliano i sonni. Ma se sì grande (è) l'amore di conoscere i nostri casi ed ascoltare brevemente la massima angoscia di Troia, anche se il cuore inorridisce e rifugge dal lutto, inizierò. Stroncati dalla guerra e respinti dai fati i capi dei Danai, scorrendo ormai tanti anni, innalzano un cavallo, come un monte con l'arte divina di Pallade, e tagliato l'abete ne intrecciano i fianchi; simulano il voto per il ritorno; quella fama si sparge. Qui furtivamente, estratti a sorte, chiudono scelti corpi scelti di eroi nel cieco fianco e riempiono interamente le enormi caverne ed il ventre di presidio armato. C'è di fronte Tenedo, isola notissima per fama, ricca di beni, finchè duravan i regni di Priamo, ora solo insenatura e posto mal sicuro per le carene: qui giunti si nascondono nel lido deserto; pensando noi esser partiti e diretti col vento a Micene. Perciò tutta la Teucria si scioglie dal lungo lutto; si apron le porte, piace andare e vedere il campo dorico ed i luoghi deserti e il lido abbandonato: qui la schiera dei Dolopi, qui s'accampava il crudele Achille; qui il posto per le flotte, qui solevan combattere in schiera. Parte stupisce ed ammirano il micidiale dono della vergine Minerva e la mole del cavallo; e Timete per primo consiglia che si guidato entro le mura e collocato sulla rocca, o per frode o già così dicevano i fati di Troia. Ma Capi, e queli cui (era) migliore il parere nella mente, consiglian o di precipitare in mare le insidie dei Danai ed i doni sospetti e bruciare con fiamme accostate, o trapassare ed esplorare i cavi nascondigli del ventre. Il volgo si spacca incerto in decisioni contrarie. Qui oer primo, accompagnandolo gran folla, Laocoonte ardente corse giù dalla sommità della rocca, e da lontano "O miseri cittadini, quale sì grande pazzia? Credete partiti i nemici? o pensate che nessun dono dei Danai manchi di inganni? Così v'è noto Ulisse? o chiusi da questo legno si nascondono gli Achivi, o questa macchina fu fabbricata contro le nostre mura,

per controllare le case e per venire sopra la città, o qualche inganno si cela; non credete al cavallo, Troiani. Qualunque ciò sia, temo i Danai anche portando doni". Così detto scagliò un'enorme lancia con potenti energie nel fianco della bestia e nel ventre ricurvo per le strutture. Ella ristette tremando, e percosso il ventre, risuonaron le cave caverne e diedero un gemito. E se i fati degli dei, se la mente non fosse stata funesta, aveva spinto col ferro a violare i segreti argolici, ed ora Troia esisterebbe, e tu, alta rocca di Priamo resteresti. IL GRECO SINONE (2. 57-144) Ecco frattanto i pastori dardanidi trascinavano, legato le mani alla schiena, un giovane davanti al re con gran chiasso, che s'era offerto sconosciuto volontariamente a loro che passavano, per ordir proprio questoe aprir Troia agli Achei, sicuro di spirito e preparato ad entrambi i casi, sia a tentare gli imbrogli sia ad affrontare morte sicura. Da ogni parte per la voglia di vedere la gioventù troiana sparsa attorno corre e gareggiano a schernire il catturato. Senti ora le insideie dei Danai e da un misfatto solo conoscili tutti. Infatti come si fermò in mezzo alle occhiate turbato, inerme e con gli occhi vide attorno le schiere frige, "Ahi, disse, che terra ora, quali mari possono accettarmi? o cosa mai resta più a me misero, cui mai neppurun posto presso i Danai, ed in più gli stessi Dardanidi ostili chiedono castighi col sangue?" A quel gemito gli animi mutarono ed ogni attacco si bloccò. Esortiamo a dire da quale sangue nato, o che porti; ricordi che fiducia abbia il catturato. "Tutto davvero, o re, qualunque sia stato, confesserò il vero, disse, nè dirò che non sono di razza argolica. Questo anzitutto; nè se la Fortuna ha reso Misero Sinone, la malvagia non lo renderà falso e bugiardo. Se per caso parlando giunse alle tue orecchie qualche notizia del belide Palamede e l'illustre gloria per fama, che i Pelasgi sotto falsa accusa con processo sacrilego mandarono a morte innocente, perchè ostacolava le guerre, ora lo piangono, privato della luce: per lui il padre povero mandò me, come compagno ed affine per parentela in armi qui dai primi anni. Finchè stava al potere incolume ed aveva prestigio nelle sedute dei re, anche noi godemmo sia qualche fama che onore. Dopo che per l'invidia dell'astuto Ulisse, non dico cose sconosciute, sparì dalle spiagge terrene, afflitto trascinavo la vita nelle ombre e nel pianto e tra me sdegnavo la morte dell'amico innocente.

Nè tacqui, pazzo, e mi garantii, se una sorte avesse permesso, se mai vincitore fossi tornato alla patria Argo, vendicatore e con le parole smossi duri rancori. Di qui per me il primo passo del male, di qui sempre Ulisse ad atterrirmi con nuove accuse, di qui a spargere frasi ambigue tra il volgo e cercare, consapevole, le armi. E difatti non riposò, finchè, intermediario Calcante.. Ma perchè io mai rimugino invano cose spiacevoli, o perchè indugio? se considerate gli Achivi tutti allo stesso modo, anche sentir ciò basta, suvvia fate vendetta: questo vorrebbe l'Itaco e caro lo pagherebbero gli Atridi" Allora proprio vogliamo sapere e chiedere i motivi, ignari di sì grandi misfatti e dell'arte pelasga. Prosegue tremando e dice con cuore falso: "Spesso i Danai desiderarono tentare la fuga, lasciata Troia, e stanchi ritirarsi dalla lunga guerra; magari l'avessero fatto. Spesso li ostacolò l'aspra burrasca del mare ed Austro atterrì i partenti. Soprattutto quando questo cavallo composto di travi d'acero s'ergeva, per tutto l'etere i nembi risuonarono. Perplessi inviamo Euripilo ad interrogare gli oracoli di Febo, ed egli riporta dai luoghi segreti queste tristi parole: "Col sangue placaste i venti e con una ragazza sacrificata, quando all'inizio,o Danai, giungeste alle spiagge iliache; occorre cercare i ritorni col sangue e sacrificare con una vita argolica." Come quella frase venne alle orecchie del volgo, i cuori stupirono ed un gelido tremore corse nel fondo delle ossa, a chi accennino i fati, chi richieda Apollo. Allora l'Itaco trascina in mezzo il vate Calcante con grande tumulto; richiede quali siano quelle volontà degli dei. E molti ormai mi predicevan il crudele misfatto del furfante, e taciti prevedevan i fatti venturi. Egli tace per ben dieci giorni e nascosto rifiuta di tradire qualcuno con la sua voce o esporlo alla morte. Finalmente a stento, spinto dalle grandi grida dell'Itaco, secondo l'accordo, tronca gli indugi e mi destina all'altare. Concordarono tutti e quel che ciascuno temeva, ridotto alla morte di uno solo, lo sopportarono . Ed ormai si presentava il giorno esecrando; mi si preparavano i riti sacri ed i frutti salati e le bende attorno alle tempia. Mi sottrassi, confeso, alla morte e ruppi le catene, e nascosto nel limaggioso stagno tra l'erba m'appiattai, finchè partissero, se mai fossero partiti. Nè per me più alcuna speranza di veder l'antica patria nè i dolci figli ed il bramato padre, ad essi forse essi chiederanno vendette per le nostre fughe ed espieranno questa colpa colla morte dei miseri. Perciò ti prego per i celesti e le divinità conoscitori del vero, per se mai esiste, che resista ancora per i mortali,

la intemerata fede, abbi pietà di sì grandi affanni, abbi pietà d'un cuoreche sopporta cose non degne. Per queste lacrime concediamo la vita ed inoltre commiseriamo. Lo stesso Priamo per primo ordina che si levino le manette e le strette catene e così parla con parole amiche: "Chiunque sia, dimentica ormai da ora i Grai perduti, sarai nostro ed a me che chiedo questo, racconta il vero: perchè costruirono questa mole di immenso cavallo? chi l'autore? o cosa chiedono? quale voto? o quale macchina di guerra? Aveva detto. Lui, istruito dalle frodi e dall'arte pelasga alzò al cielo le palme liberate dalle catene: "Voi, fuochi eterni, e la vostra non violabile maestà chiamo a testimonio,disse, voi altari e spade nefande, che rifuggii, e bende degli dei, che portai come vittima: mi è lecito sciogliere i sacri giuramenti dei Grai, lecito odiare gli uomini e portare tutto alla luce, se copron qualcosa, non son tenuto da alcuna legge di patria. Tu però mantienti alle promesse e tu, Troia salvata, salvami la lealtà, se riferisco il vero, se ricompenso alla grande. Ogni speranza dei Danai e la fiducia della guerra intrapresa stette sempre negli aiuti di Pallade. Ma da quando l'empio Tidide infatti e l'inventore di delitti Ulisse, avvicinatisi, osarono strappare dal tempio consacrato il fatale Palladio, uccise le guardie dell'altissima rocca, rubarono la sacra effigie e con mani cruente (osaron) toccare le bende virginee della dea, da allora svaniva e scaduta si ritirava indietro la speranza dei Danai, spezzate le forze, distolta la mente della dea. Nè la Tritonia diede quei segnali con dubbiosi prodigi. Appena posato il simulacro nel campo: arsero lampeggianti fiamme, sbarrati gli occhi, e corse per le membra salato sudore, e tre volte essa balzò dal suolo, straordinario a dirsi, e reggendo lo scudo e la lancia tremante. Subito Calcante profetizza che occorre prender il mar con la fuga, nè può Pergamo esser distrutta dalle armi argoliche se non riprendano da Argo gli auspici e riconducano la divinità che per mare e conle curve carene han portato con sè. Ed ora poichè col vento si diressero alla patria Micene, e preparano armi e gli deicome compagni e si presenteranno improvvisi, ripassato il mare; così Calcante interpreta i prodigi. Ammoniti, costruirono questa effige al posto del Palladio, al posto della maesta lesa, che espiasse il triste sacrilegio. Calcante tuttavia ordinò di innalzare questa immensa mole, e di alzarla fino al cielo, collegate le travi, che non potesse esser accolta dalle porte e condotta dentro le mura, nè proteggere il popolo sotto l'antica protezione. Infatti se la vostra mano avesse violato i doni a Minerva, allora una grande rovina, ( che gli dei prima rivolgano contro lo stesso presagio) sarebbe accaduta per il potere di Priamo ed i Frigi

se invece con le vostre mani fosse salita nella vostra città, l'Asia inoltre sarebbe giunta alle mura pelopee con gran guerra e quei destini proteggerebbero i nostri nipoti". IL SACERDOTE LAOCOONTE (2.195-227) Con tali insidie e con l'arte dello spergiuro Sinone la cosa fu creduta e catturati con inganni e lacrime costrette quelli che non domarono nè il Tidide nè Achille larisseo, non dieci anni , non mille carene. Qui un'altra cosa maggiore si presenta ai miseri e più tremenda e turba gli animi inesperti. Laocoonte, sacerdote estratto a sorte per Nettuno, presso i solenni altari uccideva un enorme toro. Ma ecco da Tenedo serpenti gemelli per l'alto mare tranquillo (inorridisco raccontandolo) con immensi giri incombono sul mare ed insieme si dirigono ai lidi; ma i loro petti alzati tra i flutti e le creste sanguinee superano le onde l'altra parte raccoglie dietro e incurva i dorsi immensi con una spira. C'è un fragore, spumeggiando il mare; ed ormai tenevano i campi iniettati gli ardenti occhi di sangue e di fuoco lambivano le sibilanti bocche con le lingue vibranti. Scappiamo pallidi in volto. Quelli in schiera sicura vano su Laocoonte; ed anzitutto entrambi i serpenti, abbracciati i piccoli corpi dei due figli li avvolgono e divorano col morso le misere membra; poi afferran lui stesso che accorre e porta le armi e lo legano con enormi spire; ed ormai abbracciatolo due volte nel mezzo, due volte circondatogli il collo con gli squamosi dorsi lo superan con testa ed alti colli. Egli tenta con le mani divellere i nodi macchiate le bende di bava e nero veleno, insieme alza alle stelle terribili grida: quali i muggiti, quando un toro ferito sfugge l'altare e scuote dal capo la scure incerta. Ma i draghi gemelli di corsa fuggono ai sommi templi e cercano la rocca della crudele tritonide, si nascondono sotto i piedi della dea e sotto il cerchio dello scudo. IL CAVALLO TRA LE MURA (2. 228- 267) Allora davvero nei cuori atterriti a tutti si insinua un nuovo terrore e dicono che Laocoonte meritandolo ha pagato il delitto, lui che violò con la punta il rovere sacro e scagliò la lancia sciagurata nel fianco. Gridano che si deve condurre nelle case la statua e pregare la maestà della dea. Dividiamo le mura ed i baluardi apriamo della città. Tutti s'accingono all'opera ed ai piedi mettono scorrimenti di ruote e tendono al collo corde di stoppa; la macchina fatale sale le mura

piena di armi. Attorno ragazzi e vergini fanciulle cantano inni e gioiscono toccare la fune con mano; ella avanza e minacciando scorre in mezzo alla città. O patria, o Ilio, casa degli dei e mura dei Dardanidi famose in guerra. Quattro volte sulla soglia stessa della porta tentennò e quattro volte nel ventre le armi diedero un suono. Insistiamo tuttavia smemorati e ciechi di pazzia e sistemiamo il mostro funesto nella rocca consacrata. Allora anche Cassandra apre la bocca ai fati futuri mai creduta dai Teucri per ordine del dio. Noi miseri, per i quali sarebbe stato l'ultimo quel giorno, orniamo i templi di fronde festosa per la città. Intanto il cielo gira e dall'Oceano corre la notte avvolgendo con la grande ombra e terra e polo ed inganni dei Mirmidoni; sparsi per le mura i Teucri tacquero; il sopore abbraccia le stanche membra. E ormai la falange argiva, allestite le navi, andava da Tenedo nei complici silenzi della tacita luna cercando i noti lidi, quando la poppa regia aveva alzato fiamme, e difeso dagli iniqui fati degli dei Sinone apre furtivamente i Danai richiusi nel ventre e le prigioni di pino. Il cavallo spalancato li restituisce all'aria e lieti si traggono dal cavo rovere i capi Tessandro e Stenelo ed il crudele Ulisse, scivolati dalla fune calata, Acamante e Toante ed il pelide Neottolemo e Macaone per primo e Menelao e lo stesso costruttore dell'inganno Epeo. Invadono la città sepolta nel sonno e nel vino; son sgozzate le guardie, e spalancandosi le porte accolgono tutti i compagni e uniscon le schiere alleate. L'OMBRA DI ETTORE ( 2. 268 - 297) Era il tempo in cui per gli stanchi mortali il primo sonno comincia e serpeggia graditissimo per dono degli dei. Nei sogni, ecco, davanti agli occhi mi sembrò presentarsi Ettore mestissimo e versare larghi pianti , come quando strappato dalle bighe e nero di cruenta polvere e trafitto nei piedi gonfi per le cinghie. Ahimè, qual era, quanto mutato da quell'Ettore che ritorna rivestito delle spoglie d'Achille o dopo aver gettato fuochi frigi sulle poppe dei Danai. portando una barba incolta e capelli uinzuppati di sangue e quelle ferite, che numerosissime ricevette attorno alle mura patrie. Inoltre mi sembrava che io piangendo chiamassi l'eroe ed esprimessi angosciose frasi: "O luce dei Dardania, o sicurissima speranza dei Teucri, quali sì lunghi indugi ti trattennero? Da quali spiagge vieni, o aspettato Ettore? come ti vediamo dopo molte morti

dei tuoi, dopo vari affanni di uomini e della città, noi stanchi. Quale indegna causa macchiò le fattezze serene? o percchè scorgo queste ferite? Egli nulla, nè aspetta me che chiedo cose vane, ma traendo dolorosamente dal profondo del cuore i gemiti: "Ah. fuggi, figlio di dea, dice, e togliti da queste fiamme. Il nemico tiene le mura; Troia crolla dall'alta cima. Abbastanza fu dato alla patria e a Priamo: se Pergamo si fosse potuta difendere con la destra, sarebbe stata difesa anche da questa. Troia ti consegna le cose sacre ed i Penati; prendi questi come compagni dei fati, con questi cerca le grandi mura che infine costruirai, percorso il mare". Così dice e con le mani trae fuori dai profondi penetrali le bende, Vesta potente e l'eterno fuoco. L'INCENDIO DI TROIA (2. 300- 317) Intanto le mura son sconvolte dovunque dal pianto e più e più, benchè la casa del padre Anchise appartata e protetta da piante sia lontana, i suoni si precisano e l'orror delle armi sovrasta. Mi scuoto dal sonno e supero la cima dell'alto tetto in salita e sto con le orecchie tese: come quando, infuriando gli Austri una fiamma cade sul raccolto, o un rapido torrente dal corso montano travolge i campi, travolge i fertili prati e le fatiche dei buoi e trascina le selve a precipizio; stupisce ignaro il pasore sentendo il frastuono dalla cima di una rupe. Allora davvero è manifeta la lealtà, e si svelano le insidie dei Danai. Ormai la vasta casa di Deifobo presentò il crollo, vincendo Vulcano, ormai brucia il vicino Ucalegonte; col fuoco spendono i vasti flutti sigei. Sorge un clamore d'eroi ed un fragore di trombe. Pazzo prendo le armi; nè sufficiente conto nelle armi, gli animi ardono di raccogliere un gruppo per la guerra edaccorrere sulla rocca coi compagni; ira e pazzia sconvolge la mente, si presenta bello morire in armi. IL TERRIBILE ANNUNCIO DI PANTO ( 2.318 - 360) Ma ecco Panto sfuggito alle armi degli Achivi, Panto otriade, sacerdote della rocca e di Apollo, egli trascina per mano le cose sacre e gli dei vinti ed il piccolo nipote e pazzo di corsa tende alle porte. "Dove la situazione estrema, Panto? che baluardo prendiamo? appena così avevo parlato che con gemito grida: "E' giunto il giorno estremo ed il momento ineluttabile della Dardania. Fummo Troiani, fu Ilio e l'immensa gloria dei Teucri; il crudele Giove tutto trasferì ad Argo; i Danai dominano nella città incendiata. L'alto cavallo stando in mezzo alle mura versa

armati e Sinone vincitore esultante sparge incendi. Altri si presentano alle porte spalancate, quante migliaia mai vennero dalla grande Micene; altri occuparono con le armi spianate le vie strette; la schiera serrata sta con la punta lampeggiante della spada, pronta alla strage; a stento le prime guardie delle porte tentano scontri e resistono con Marte cieco". Da tali parole dell'otriade e dalla volontà degli dei son portato tra le fiamme e tra le armi, dove la triste Erinni, dove il fragore chiama ed il grido alzato alcielo. Si aggiungono compagni Rifeo ed Epito grandissimo in armi offertisi dalla luna, ed Ipani e Dimante e s'uniscono al nostro fianco ed il Giovane Corebo migdonide - per caso era giunto in quei giorni a Troia acceso di pazzo amore per Cassandra e da genero portava aiuto a Priamo ed ai Frigi, infelice, da non ascoltare i consigli della promessa invasata... Come li vedo riuniti bruciare per gli scontri, sopra essi comincio: "Giovani, cuori invano fortissimi, se l'estrema volontà è sicura in voi di seguire chi osa, vedete quale sia la fortuna della situazione: se ne sono andati, abbandonati i penetrali e gli altari, tutti gli dei, per i quali questo regno era durato; voi soccorrete una città incendiata. Moriamo e gettiamoci in mezzo alle armi. Una sola speranza per i vinti: sperare nessuna salvezza". Così si aggiunse furore nei cuori dei giovani. Poi, come lupi rapaci in nera nebbia, che ciechi la malvagia fame ha spinto ed i cuccioli lasciati aspettano con le fauci secche, tra armi, tra nemici andiamo ad una morte non dubbia e teniamo la via del centro della città; una notte nera avvolge di cava ombra. BATTAGLIA CON ANDROGEO ( 2. 361 - 401) Chi spiegherebbe parlando la strage di quella notte, chi le morti o potrebbe eguagliare le angosce con lacrime? La città antica che ha dominato per molti anni crolla; e moltissimi corpi inerti qua e là son stesi per le vie e per le case e le soglie consacrate degli dei. Ma non da soli i Teucri pagano il fio con il sangue; a volte an che ai vinti il valore ritorna nei cuori ed i vittoriosi Danai cadono. Crudele ovunque il lutto, ovunque terrore e frequentissima l'immagine della morte. Primo dei Danai ci si offre, accompagnandolo una grande schiera, Androgeo, credendoci schiera alleata ignaro, ed inoltre chiama con parole amiche: "Affrettatevi, uomini. Quale sì lenta indolenza attarda? altri rapinano e portan via Pergamo

incendiata: voi venite appena adesso dalle alte navi?" Disse e subito, non si davan risposte davvero abbastanza fidate, si accorse caduto in mezzo ai nemici. Si stupiì e trasse indietro...


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