Ernesto de Martino - riassunti introduzione all\'antropologia PDF

Title Ernesto de Martino - riassunti introduzione all\'antropologia
Author teresa magliocca
Course Antropologia Cognitiva
Institution Università degli Studi di Siena
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riassunti introduzione all'antropologia...


Description

Ernesto de Martino. Tra gli intellettuali che rimasero fuori dalla sfera fascista troviamo de Martino stesso, postosi, come molti altri prima di lui sotto l’ala protettrice del Croce, aperto antifascista. Ernesto de Martino farà proprie le teorie filosofiche del croce. Esordisce nel 1941 con “Naturalismo e storicismo nell’etnologia”, che crea, alla luce del Crocianesimo, una >. Critica quello che lui chiama come “naturalismo” che è un atteggiamento dominante all’interno della scuola francese di ispirazione Durkemaniana. Ad essi rimprovera un atteggiamento di riduzione nei confronti dei fenomeni dei fenomeni culturali tipici dei primitivi, ad oggetti suscettibili di essere indagati, incapaci di restituirci la dimensione storica di quelle esperienze. Polemizza contro l’incapacità di queste correnti di pensare l’esperienza storica dei primitivi all’interno di una filosofia dello spirito. De martino seguiva il croce nella metodologia ma al tempo stesso se ne allontanava poiché ingloba nella sua analisi le popolazioni del mezzogiorno. Lo spazio teorico di de Martino non coincide affatto con lo storicismo tedesco (Boas). Egli vuole ricondurre la storia dei popoli lontani alla filosofia dello spirito. In pieno periodo fascista, oltre le personalità di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce, nacque la Scuola di Milano. Tra le personalità più di spicco troveremo Antonio Banfi il quale pubblicherà una rivista: “gli studi filosofici” in cui De Martino e Remo Cantoni (allievo del Banfi e altro grande esponente della filosofia del tempo), avranno uno scambio di opinioni nei confronti della riflessione etnologica. Qui De Martino rimprovera il Cantoni di percepire un “Olimpico distacco” nei confronti dell’oggetto del conoscere. De Martino cerca di unire il sapere etnologico alla filosofia del croce, ma quest’ultima andava contro l’ideologia umanistico-etnocentrica di quest’ultimo. Negli anni del dopoguerra de Martino comincerà la sua riflessione etnologica vera e propria. Nel 1948 pubblicò il “Mondo Magico, prolegomeni a una storia del magismo” visto come una continua di “naturalismo e storicismo”. Egli cerca di compiere una ricostruzione della struttura del mondo magico, tentando di recuperarlo dalla storia. Il mondo magico era anche una chiave di lettura di un presente travagliato dal mito della razza e anche dalle brutture della guerra appena terminate. Il mondo magico prende parte da un problema epistemologico, cioè il “problema dei poteri magici” configurato come un problema riguardante la ricostruzione della realtà. La realtà magica ruota intorno al concetto di presenza, termine preso in prestito dalla filosofia di Heideger (in quanto non ha nulla a che vedere con il dasein, l’esserci di H.). La presenza è uno stato etico che l’uomo si sforza di costruire per sottrarsi all’idea insopportabile di non esserci e nel momento in cui l’essere umano compie questo sforzo di essere nel mondo, fonda la cultura. È un moto sofferto ma vitale da cui l’uomo non può sottrarsi. A differenza degli evoluzionisti de M. non pensa alla magia come ad una forma imperfetta di razionalità. La agia è una lotta ingaggiata dagli esseri umani per poter esistere ed è strettamente collegato al concetto di presenza. Essa non è un qualcosa di definitivo al contrario è qualcosa che può essere messa in discussione. In “morte e pianto rituale” (1958) analizza quello che è il concetto di perdita della presenza. Analizza il lamento funebre nel mondo antico e nelle popolazioni della Basilicata. L’idea di de M. si avvicina molto al concetto di Marxismo, ma il suo non fu né ortodosso, né teoretico anzi, si definisce come etico con una forte propensione per l’aspetto umanistico. Egli affronta le problematiche meridionaliste e non compie analisi di tipo economico-storico o sociologico come avevano fatto i Marxisti precedenti. Al marxismo etico è collegato il concetto di destorificazione per cui “ogni forma di riscatto magico, religioso p da intendersi come alienazione da un sé angosciante che cerca di stare nella storia come se però non ci fosse”. Inaugura un “antropologia del negativo” cioè un antropologia delle masse che non fanno storia ma che ora irrompono nella storia. Questo concetto si unisce perfettamente alle ricerche compiute dal de martino stesso in Salento e in Basilicata. L’atteggiamento di De Martino è di tipo etico,

anche se non manca una certa preoccupazione di tipo epistemologico. Egli era consapevole del fatto che il rapporto tra osservatore e d osservato non era affatto neutro e che l’antropologo tende a valutare una cultura aliena attraverso degli schemi e dei preconcetti che si è fatto in precedenza poste all’interno di alcune categorie definite come “etnocentriche”. Il rischio che si corre è quello di presentare in maniera dogmatica una cultura aliena. La soluzione a questo problema è quindi un continuo confronto tra la storia dell’osservato e quella dell’osservatore, mediante cui si arriva a riconoscere che il “proprio” e l’ “alieno” sono solo due possibilità storiche dell’essere umano. L’incontro diventa così, per l’etnografo, un’occasione per il più toccante esame di coscienza. Egli non ha dubbi sulla superiorità culturale dell’occidente poiché esso è l’unico che analizza le cose attraverso un metodo scientifico, ma sa anche che i suoi giudizi sono etnocentrici, perciò il lavoro dell’etnologia consiste nell’analizzare le proprie categorie, interpretandole come frutto della cultura occidentale. L’etnocentrismo critico dunque è un continua ridiscussione delle proprie categorie analitiche, ridiscussione che porta ad una modifica di esse in virtù di una cultura aliena studiata. ‘ciò produce nell’etnologo la consapevolezza che le sue categorie sono storicamente determinanti: tuttora egli non ne può fare a meno. Nel 1961 pubblica “La Terra del Rimorso”. Con questo libro egli vuole ricostruire la religione pugliese. Il libro è frutto di una ricerca sul terreno durata 18 giorni. Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio si reca a Galatina per la festa di San Paolo. Il Tarantismo è una forma di religiosità popolare che è stata ricondotta all’ombra della chiesa ufficiale. Al tempo della ricerca ormai il fenomeno è residuale. Questo studio è connesso alla notte della taranta. Egli fa uno studio di equipe, non è solo. Sono interessati a questo fenomeno in qua to sono interessati a delineare una necessaria ricostruzione della religione meridionale come espressione culturali delle classi subalterne, di contro alla religione ufficiale. Il libro è un tentativo riuscito di come il tarantismo sia autonomo come fenomeno e non riconducibile a: -

Il morso del ragno, cioè il tarantismo come malattia.

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Il tarantismo come disturbo mentale, un problema di natura psichiatrica.

Il tarantismo è un complesso culturale che consiste nel morso di un ragno nei mesi estivi. Dopo il morso la tarantata non ha più voglia di vivere, perde le forze, ha incubi, assume comportamenti stravaganti. Si mette in pratica un esorcismo fino a quattro giorni, quando questa donna si rimette. Durante l’esorcismo la tarantata simula prima l’atteggiamento della tarantola, ma poi diviene colei che vuole scacciarla. C’è musica e ci sono colori e con uno dei quali la tarantata deve trovare una relazione. Il rimorso sta a significare due cose: RI-morso, in quanto la tarantola non morde una volta sola e rimorso nel senso che si è perduto qualcosa. La taranta non si manifesta a Galatina e quindi il ragno non centra nulla. Perché a galatina il ragno non dovrebbe mordere? Quindi sfata l’ipotesi dell’aracnidismo. A galatina non avviene tutto questo perché c’è San Paolo protettore dei tarantati, non è nemmeno una malattia mentale. Quali sono le ragioni del tarantismo? Si giunge ad una conclusione dal punto di vista emico (è tarantato chi dice di esserlo). Si giunge ad una conclusione, cioè quella che si tratta di un fenomeno culturale, una forma di religiosità mediterranea. Risposta delle classi subalterne, alla religione ufficiale che non può tollerare manifestazioni pagane, ma nemmeno estirparle. Inoltre giungiamo al perché di tutto ciò: vanno a scavare nelle vite dei tarantati, nel modo in cui sono concepiti dalle persone intorno a loro. Essi hanno avuto dei problemi, hanno subito dei traumi, delle perdite di ordine psicologici con cui sono riusciti a fare i conti, alcuni tarantati, tra questi hanno cercato di curarsi ma invano. La taranta è qualcosa di cui non ci si libera: infatti la persona che esorcizzata ritorna alla normalità e conduce una vita normale nei rapporti con gli altri fino all’anno successivo, quando la taranta si ripresenta. È come se le persone che abbiano subito traumi e perdite mostrassero nell’esorcismo tutto il loro malessere. È il percorso che ognuno di noi potrebbe fare, nel proprio contesto, affidandosi ad un santo o alla scienza magari.

Parliamo di cultura, quindi di qualcosa di condiviso: le popolazioni del Salento, con il tarantismo e con questa modalità di tarantismo, fanno i conti con individui sofferenti. Inoltre con l’esorcismo la stessa popolazione si premura e si preoccupa di reintegrare il tarantato nell’ordine sociale della popolazione stessa. Egli purtroppo non fa i conti con la passata antropologia o se la conosce non l’accetta. Nella taranta il tarantato balla. Si cercano le melodie esatte per farlo ballare, a volte si stava anche giorni. Nella musica egli cerca i colori, da qui l’idea dei fazzoletti colorati ogni ragno p diverso d un altro, con un nome proprio e con un suo colore predominante. Ogni ragno poi può essere esorcizzato da una sola melodia....


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