Esame Antropologia Culturale - storia del gioello PDF

Title Esame Antropologia Culturale - storia del gioello
Author Chiara Drappero
Course Antropologia del design
Institution Scuola Italiana Design
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Summary

Esame Antropologia Culturale - storia del gioiello, origini, stili, usi e costumi, riferimento semiologici e antropologici. Tesina d'esame antropologia culturale...


Description

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Tesina di Antropologia Culturale. Di Chiara Drappero e Valeria Gabriele. Prof.ssa Alba Solaro. Anno accademico 2019/2020

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Uno sguardo sulla complessa storia dei gioielli e del loro significato simbolico nel corso del tempo. Oggetti che, a differenza della moda, degli abiti o delle scarpe, sono destinati a durare nel tempo.

Perché, sai, su quest’ardente pietra dell’anello che mi hai donato splende una città illuminata con lampioni verdi. ‘‘Ghiannis Ritsos’’

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INTRODUZIONE

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Fin dai tempi degli uomini primitivi il gioiello assume nella sua storia un significato simbolico e un linguaggio che muta nel corso del tempo, così come la sua funzionalità e la sua ricerca estetica. Il corpo umano diventa per questo ambito uno spazio concettuale e un luogo di sperimentazione dove il gioiello che lo adorna ne diventa medium, un mezzo di comunicazione ed espressione di sé. Per definizione, quando si parla di gioiello si intende un oggetto ornamentale realizzato in materiale prezioso lavorato e spesso adorno di pietre preziose o gemme. Il termine stesso deriva dalla parola ‘’gioia’’ e indica come detto in precedenza qualcosa di prezioso, pregiato o comunque dal grande valore economico. Ma se ci si riferisce ad una persona allora si vuole intendere che è essa ad essere preziosa e a possedere doti e qualità. Da sempre, o almeno fino alla fine degli anni ’60 gioielli e monili si ricevevano in regalo oppure venivano ereditati, solitamente in occasione di cerimonie o momenti speciali della propria vita, come ad esempio un ciondolo od un anello appartenenti ad un antenato simboleggiandone il legame. In altri casi un gioiello può simboleggiare il distacco con la propria infanzia quando regalato in un particolare momento di crescita, come il raggiungimento dell’età adulta. La tradizione dell’eredità dei gioielli si interrompe con la rivoluzione del design in atto a Milano nel ’67, con il primo brand di gioielleria contemporaneo Pomellato, in concomitanza con la nascita del prêt-à-porter. Andando ancora più indietro nel tempo, fino a 90.000 anni fa possiamo risalire alle prime forme di gioielleria, strettamente connesse alla natura come collane di artigli o conchiglie. Si può quindi intuire che la storia del gioiello non può essere presa in considerazione a partire dall Art Nouveau, periodo in cui appare più profondo il ruolo e il significato dell’ornamento all’interno della società, bensì bisogna tenere in considerazione il linguaggio simbolico che esso ha avuto in origine ancor prima delle influenze artistiche e filosofiche. Prenderemo in considerazione questo argomento sotto diversi punti di vista: come già accennato il gioiello nasce per colmare un bisogno primitivo dell’uomo, la distinzione sociale. Popoli ed etnie lo hanno utilizzato, trasformato e fatto proprio in base alle proprie esigenze, prendendo spunto dal mondo attorno ad essi e tramutando in talismani tutto ciò che la natura aveva da offrirgli. Cercheremo di raccontare come e quali funzioni abbia ricoperto nel corso delle ere il gioiello, dalle prime funzioni che ha avuto, i significati che ha acquisitio, fino all’analisi dei messaggi nascosti dietro esso.

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TALISMANI, I PRIMI GIOIELLI Il termine amuleto, o talismano, è usato per descrivere i piccoli oggetti protettivi amati dagli Egizi e dagli altri popoli antichi prima ancora di loro. Oltre a garantire protezione, tali oggetti potevano avere lo scopo di infondere a chi li indossava particolari qualità. Gli amuleti spesso raffiguravano oggetti sacri e animali, e, dal Nuovo Regno (1550PIAROA SHAMAN NECKLACE - PROVE1069 a.C.) in poi, ritraevano dei e dee. NANCE: Orinoco/Venezuela - MATERIAL: La gamma di amuleti funerari aumentò Seeds, teeths, shell, vegetal pumpkin, vegetal notevolmente dal periodo saitico (664-525 fibre - CULTURE: Piaroa a.C.) in poi. Gli amuleti erano fatti di pietra, metallo, vetro o, più comunemente, faïence, ed i materiali erano selezionati per la loro presunte proprietà magiche. Una distinzione generale può essere fatta tra gli amuleti indossati nella vita quotidiana al fine di proteggere il portatore dai pericoli e dalle difficoltà che potrebbero minacciare lui o lei, e quelli realizzati espressamente per adornare il corpo mummificato del defunto. CONDOR HEAD AYMARA SHAMAN La seconda categoria poteva includere AMULET - PROVENANCE: Perù - MATEanche divinità funerarie come Anubis e i RIAL: Animal bone, seeds, wool - CULTURE: figli di Horus. Quechua/Aymara Amuleti particolari erano collocati, in posizioni prestabilite, sul corpo e all’interno delle bende di una mummia, come lo scarabeo del cuore. La funzione principale di questi ornamenti, in origine, non era quella di esprimere la propria ricchezza, come accade oggigiorno, ma piuttosto quella di proteggere la persona che lo indossava o come buon auspicio come ad esmpio per la fertilità della donna. Sono questi gli ornamenti che hanno posto le fondamenta per la nascita di veri e propri stili, ognuno diverso dall’altro ma accomunati da influenze passate.

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FUNZIONALITÀ NELLA STORIA E NELLE CULTURE Nella storia dell’umanità, la pratica di adornare il proprio corpo è seguita da tutte le usanze e culture del mondo. I goielli, come l’arte, non solo fanno parte dell’istinto innato dell’uomo di ricerca della bellezza estetica ma soprattutto nelle culture più antiche erano simbolo di distinzione e attributi di qualità delle tribù. Le differenze culturali e antropologiche dei popoli è sottolineata dal differente utilizzo dei materiali e delle lavorazioni, per questo si riesce ad associare un determinato artefatto ad una precisa cultura e alla sua simbologia. Alcune delle prime testimonianze sulle pratiche ornamentali risalgono al 30.000 a.C.: si tratta soprattutto di collane o bracciali realizzati in ossa, conchiglie o altri materiali di derivazione naturale, è molto facile infatti trovare reperti di accessori realizzati con i denti animali. A questi oggetti venivano attirbuite qualità mistiche e spirituali, amuleti protettivi portati al collo come segno di forza e di coraggio. Nelle epoche successive gli umonini iniziano a fare uso di materiali differenti come il metallo, acquisendo le padronanze necessarie per lavorarlo. Le prime popolazioni ad utilizzare l’oro furono quelle situate vicino ai terreni alluvionali, soprattutto in Mesopotamia, e successivamente i Bizantini contribuirono a trasmettere le tecniche di lavorazione di questo materiale in occidente. Per quanto rigurda il suo simbolismo, è noto che data la sua lucentezza l’oro sia fortemente connesso al divino, splenente della stessa luce del sole. Erano infatti i sacerdoti e i sovrani ad indossarlo, segnando una netta linea di distinzione con il resto del popolo che nel passare del tempo, epoca dopo epoca, va sfumandosi allargando l’escluività elitaria; se inizialmente l’oro aveva una precisa funzione simbolica, al giorno d’oggi il portatore è identificato sul piano delle sue disponibilità economiche. A differenza dell’oro infatti, al gioiello sono stati assegnati molti più ruoli e simbologie nel corso della storia, differenziando culture, usanze e concetti sociali oltre che posizione economica. Per questo motivo si tratta di un linguaggio molto più complesso e mezzo espressivo dell’uomo. Una singolarità antropologica dell’Etiopia ad esempio è rappresentata dalla popolazione dei Mursi, uno degli ultimi a seguire ancora le usanze del disco labiale. Secondo le tradizioni, al compimento dei quindici anni alle ragazze del villaggio viene effettuato un taglio nel labbro inferiore, tenuto aperto da un piatto di legno o terracotta (anche decorato con pitture) fino alla cicatrizzazione della ferita. Dopo circa tre mesi la ragazza sceglie la dimensione finale del disco, che riuscirà ad ottenere nel corso della sua vita. Non sono certe le origini di questa usanza, ma alcune teorie prevedono lo sfregio autoinflitto per rendere meno attraenti le ragazze del villaggio nei confronti dei commercianti di schiavi. Alcuni antropologi invece, descrivono l’ampiezza del disco

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come uno status symbol all’interno della tribù, più grande è il disco, maggiore è la dote al momento del matrimonio, ma comunque rimane un’ipotesi non confermata. E' più plausibile invece che si tratti solamente di un elemento che simboleggia la maturità sociale, ovvero il momento in cui la ragazza diventa donna, con possibilità di riproduzione e quindi idonea ad essere scelta in sposa. A differenza di altri popoli nelle diverse zone del mondo come Congo, Ciad e Tanzania, i Mursi sono gli unici a precludere quest'usanza agli uomini. Sono diverse infatti le sfumature che assume questa tradizione all'interno delle dierse tribù, nello stato del Ciad infatti si usa forare anche il labbro superiore.

Un secondo caso da osservare è quello delle donne dell’etnia birmana dei Kayan, noti anche con il nome di Pandaung. Si tratta di una minoranza di lingua tibeto-birmana situata tra Myanmar e Tailandia ( buona parte della popolazione si è spostata a causa del regime militare instauratosi). A rendere famosa questa popolazione è di fatto una minoranza, si tratta delle cosiddette ‘‘Donne Giraffa’’, tra quelli che lasciarono il Myanmar e rifondarono i loro villaggi poco lontani dalla Tailandia c’era una vera e propria “sezione” per quelli con il collo lungo, che divenne ben presto una vera e propria attrazione turistica e sopravvisse economicamente proprio grazie al turismo. Queste donne, già dall’età di cinque anni oppure al raggiungimento della pubertà, iniziano ad indossare questi anelli di ottone ( che possono arrivare a pesare addirittura dieci chili ) che diversamente da come si crede non ‘‘allungano’’ il collo, ma abbassano la cassa toracica attraverso la pressione esercitata su di essa nel corso del tempo. La scelta di indossare questi anelli è completamente volontaria, tant’è che sono proprio le bambine a chiedere alle loro madri di poter iniziare ad utilizzarli. È stato ipotizzato che questi anelli abbiano funzioni diverse oltre quella del senso estetico:

infatti, come per la popolazione dei Mursi si crede che essi servano per rendere le donne meno attraenti, e quindi per impedire che diventino schiave. Secondo un’alra credenza invece la forma allungata del collo dovrebbe ricordare quella di un drago, una figura importante per l’etnia Padaung, oppure sono ‘‘semplicemente’’ simbolo di bellezza e ricchezza ed è un modo per attrarre gli uomini e quindi convolare a nozze con un partito migliore. Purtroppo da questa tradizione conseguono danni fisici e motori permanenti, oltre al dolore osseo dovuto all’abbassamento di cassa toracica, spalle e clavicole, essendo perennemente stressati i muscoli del collo tendono a cedere e indebolirsi col tempo, e quando le donne rimuovono gli anelli per sostituirli rischiano seri danni. In altri casi la rimozione degli anelli è una delle punizioni previste per l’adulterio e costringe la donna a trascorrere tutto il resto della propria vita in posizione sdraiata. Ad oggi il governo del Myanmar tenta di convincere queste donne a liberarsi da questa usanza secolare, ne consegue una forte diminuzione di donne giraffa e probabilmente la loro scomparsa in breve tempo. Un’altra popolazione che possiamo prendere in considerzione sono gli indigeni dell’America meridionale, più precisamente del Venezuela, i Yanomami ( o Yanomamo/a ). Questa vivace e coloratissima tribù da sempre è solita adornarsi, anche abbondantemente in quanto questi gioielli sono il loro unico abbigliamento. Bracciali e collane di perline colorate vengono abbiante alle piume degli uccelli tropicali della zona, ma la particolarià del loro modo di adornarsi consiste in quelli che noi chiameremmo ‘‘piercing’’ che nel loro caso anzichè essere acciaio antiallergenico sono piccole e sottili aste di bambù che vanno a traforare naso, guance e labbra. Questa pratica inizia per loro già nella tenera età, con degli aghi di palma vengono

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effettuati dei fori che adorneranno fino all’età adulta: si dice infatti che la trazione occidentale del piercing dervi proprio da queste usanze originarie di questa popolazione. Nel Sud d’America il piercing era chiamato Tembetà, si usa perforare il labbro inferiore, inserendovi dei bastoncini, ciò permette ai giovani innamorati di scambiarsi messaggi erotici velati. La perforazione del labbro nelle culture tribali africane, invece, è un’esclusiva femminile e il significato della pratica cambia da tribù a tribù. Ad esempio presso la tribù Dogon del Mali un anello al labbro viene portato per questioni spirituali. Vittima del consumismo dell’uomo occidentale, una parte di questa popolazione è sata strerminata dai cercatori di oro, che hanno continuato a diffondere sofferenze fino alla demarcazione di quella terra brasiliana denominata ‘‘Parco Yanomami’’ nel 1992.

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I Bororo sono un’altra tribù originaria del Mato Grosso in Brasile, hanno sempre vissuto secondo i codici della propria cultura, dedicandosi alla caccia e all’agricoltura e tramandando di generazione in generazione riti, tradizioni, identità. Utilizzavano i gioielli per coprire i punti più vulnerabili del loro corpo, soprattutto quando si trovavano in situazioni di battaglia. Secondo questa tribù i punti più vulnerabili erano il naso, la bocca e le orecchie, per proteggere questi punti utilizzavano la pratica del piercing. I gioielli inoltre alludevano alla classe sociale, per esempio il celibato che identifica lo status di donna sposata e persino la menopausa è indicata dal numero di anelli alle orecchie. Fino al primo figlio indossano dei pesanti braccialetti in rame incisi alle caviglie. La classificazione degli individui è determinata da una serie di fattori tra cui il clan di appartenenza, la discendenza del sangue e il gruppo di residenza (in riferimento a dove una famiglia vive nel villaggio). Quest’ultimo particolare è importante perché nella distribuzione spaziale delle case ogni clan occupa un ruolo preciso. Uno dei riti più spettacolari di questa tribù è il Gerewoll, il culto della bellezza del corpo; le donne e gli uomini si adornano con i costumi tradizionali, con risvolti ricamati a mano, i gioielli sono spesso collane fatte di catene intrecciate, i veli delle donne vengono adornati con pietre, perle, conchiglie e sono lunghi fino alle caviglie. I primi europei che arrivarono in Brasile rimasero impressionati dalla bellezza dei loro ornamenti, che parvero raggiungere l’apice della magnificenza nel caso dei diademi plumari, ricercati addirittura dai re portoghesi. In effetti gli oggetti che vengono fabbricati con le piume presentano una varietà e una ricchezza tali da dar vita a una vera e propria “arte plumaria”: si tratta di ornamenti costruiti sia per decorare oggetti (pettini, armi, maschere, strumenti musicali…), sia per adornare il corpo come diademi, bracciali, coprispalle, ghiere per la nuca, forcine per i capelli, visiere, ornamenti nasali e labiali, collane… Ma per ampliare ancora di più le loro possibilità decorative, le piume possono venire applicate direttamente sul corpo; ad esempio gli indios della tribù Kayapò, in alcune occasioni, fissano fra i capelli le piccole piume bianche. Gli uccelli utilizzati sono moltissimi tra cui ara, aironi, tucani, anitre, falci e molti altri. Per avere sempre a portata di mano la materia prima delle loro opere i Bororo tengono persino nei loro villaggi degli ara resi semi-domestici, in modo da poterli periodicamente spiumare. Non contenti della molteplicità dei colori a loro disposizione (una varietà enorme di gialli, rossi, blu, neri, marroni, rosa, bianchi…), gli indios hanno anche inventato una tecnica, il ‘‘tapirage’’, che consiste nello spennare un uccello vivo, spesso un pappagallo, e nel soffregarne la pelle con sostanze irritanti, in modo che le nuove piume crescano ancora più variegate e screziate. Tutta questa cura nella realizzazione di simili manufatti non dipende tanto dal piacere dell’abbellirsi e del decorare, quanto piuttosto al bisogno di differenziarsi dal mondo della natura attraverso un’opera di cultura. Questi gioielli trasmettono una serie complessa di messaggi sulla sessualità, sull’appartenenza clanica, sulla posizione sociale, sul cerimoniale religioso, insomma, attraverso le piume gli Indios manifestano la loro visione del mondo, rappresentano visivamente le loro istituzioni sociali.

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Donna della tribù dei Bororo

Alan Azevedo: The XI Meeting of Yanomami Women ▶

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PSICOLOGIA DEI GIOIELLI

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Diamanti, perle, gemme, infiniti materiali ed infinite combinazioni di essi li trasformano in lussuosi oggetti del desiderio, ma pochi si rendono realmente conto del valore simbolico che essi hanno; anche quando un gioiello viene acquistato apparentemente per casualità o per puro piacere estetico, nel nostro inconscio si scatena qualcosa che ci porta verso quella scelta. Sarà forse il suo colore, la sua forma o la sua brillantezza, ma cosa ci comunicano davvero questi affascinanti e misteriosi oggetti? E soprattutto, che cosa comunichiamo agli altri portandoli indosso? Che cosa vogliamo dire, o non dire? I GIOIELLI COME EGOTISMO Per definizione si tratta di oggetti pregiati, dunque legati al concetto di consumo e di lusso, ma scendendo nei particolari possiamo accorgerci che non è il valore economico dell’oggetto stesso ad attirarci, ma qualcosa di ben più profondo. Basti pensare alla bigiotteria, sviluppatasi nel periodo successivo al crollo della Borsa nel 1929: dopo la Seconda Guerra Mondiale infatti i ricchi più esigenti si allontanano molto dalla gioelleria di lusso, dal momento che veniva associata alla non patriottica e inappropriata frivolezza delle mogli dei profittatori di guerra. Iniziano quindi ad essere introdotti nuovi materiali più economici come il bronzo dorato, il cristallo di rocca e gli esperimenti col cromo. Succesivamente comparvero il plexiglass e l’acrilico, che stimolarono la creatività nelle creazioni di bigiotteria. Si tratta perciò di una sorta di parallelismo del mondo del lusso che trattiene una notevole importanza osservando le indagini di mercato riguardanti la gioielleria. Analizzando la psicologia del gioiello, la scelta dell’oggetto può identificarsi in un bisogno di espressione di un intenso sentimento del possesso, in altre parole l’espressione della voglia di lusso e narcisismo. In questo caso si decide di investire nella

Pavone con zaffiri e diamanti, Anello Pavone di Carlo Palmiero

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propria immagine e in ciò che essa rappresenta: potrebbe essere il desiderio di approvazione altrui, la suscitazione di invidia nei confroti di coloro che non possiedono determinati beni, oggetti esclusivi che ci pemettono di identificarci e di distinguerci. Da chi predilige gioielli molto vistosi a chi preferisce optare per il minimalismo, l’espressione narcisistica dovuta alla dipendenza da ammirazione da parte degli altri contribuisce a creare una maschera che proietta un immgine di sè nella maniera in cui si crede di essere o che si vorrebbe essere. Atricoli di lusso o bigiotteria, l’immagine che si vuole ottenere è quella di una persona di successo, di classe magari, che non ha bisogno degli altri e che ha molta ammirazione di se e prova piacere nel vedere il suo corpo addornato di piccoli oggetti luccicanti.

GIOIELLI COME RICHIAMI EROTICI

Un’altra prospettiva sul mondo dei messaggi veicolati dagli accessori è rappresentata dal tema degli erotismi. Collane, orecchini, bracciali e anelli non possono fare a meno di attirare l’attenzione su specifiche parti del corpo come il seno, le mani e il volto rappresentando di conseguenza quella che si può definire un’attrazione sessuale. Il codice sessuale simboleggiato dalle forme di questi oggetti fa riferimento agli organi sessuali dell’uomo e della donna dividendosi in due categorie: i gioielli di forma allungata, e quelli di forma tondeggiante. I primi, tra i quali fanno parte collane, catene, pendagli, orecchini pendenti, richiamano gli organi sessuali maschili, sono un segnale di potenza e autorevolezza. Trattandosi di un estensione ...


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