Forma di stato e forma di governo - Diritto Pubblico PDF

Title Forma di stato e forma di governo - Diritto Pubblico
Author Simona Russo
Course Istituzioni di diritto pubblico
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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Forme di stato e forme di governo con riferimento particolare a quella italiana ...


Description

Forma di stato e forma di governo Nel descrivere uno Stato si fa riferimento ai concetti di forma di Stato e forma di governo. Per Stato si intende l'organizzazione giuridica di un popolo, su un determinato territorio, sotto un potere sovrano. Per forma di Stato si intende il rapporto che corre tra le autorità pubbliche (con potestà pubblica) e la società civile e l'insieme dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira la sua azione. A seconda delle varie combinazioni dei tre elementi (popolo, territorio e sovranità) si hanno varie Forme di Stato. Una prima classificazione è di tipo storico. Essa distingue le forme di Stato in: 1. Lo stato assoluto Lo Stato assoluto nacque in Europa tra il XV e il XVII secolo. Esso rappresenta la prima forma di Stato vera e propria. Lo Stato assoluto era una forma di Stato caratterizzata dall'accentramento dei poteri (potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario) nelle mani del re. Il sovrano era considerato il rappresentante di Dio sulla terra (principio teocratico) e a lui spettava il compito di emanare le leggi, di nominare i giudici, di comandare l'esercito, di dichiarare guerra o concludere la pace, di emettere moneta, di imporre le tasse. Il termine assoluto deriva proprio dal fatto che il potere del re è assoluto, cioè privo di qualsiasi vincolo. Lo Stato assoluto è detto anche Stato patrimoniale perchè: a) Il popolo e il territorio erano considerati patrimonio del re; b) Il patrimonio dello Stato e quello del sovrano non erano separati, ma formavano un tutt'uno. Così, ad esempio, i tributi versati dai cittadini allo Stato venivano spesso usati dal re per finanziarie le proprie spese e quelle della sua corte. Si pensi a Luigi XVI. Questa forma di Stato decade dopo la Rivoluzione francese del 1789, nel momento in cui si affermano i principi di uguaglianza e libertà di tutti i cittadini e nasce lo stato liberale. 2. Lo stato liberale Il modello di stato liberale venne introdotto in Francia dopo la Rivoluzione del 1789. Questa forma di Stato supporta la nascita e l’affermazione della classe borghese ed assume le finalità di questa. Viene riconosciuta una sfera di autonomia e di libertà al singolo individuo che lo Stato non può invadere, ma che deve essere garantita attraverso, soprattutto, il mantenimento dell’ordine sociale e della sicurezza interna ed esterna. In particolare viene riconosciuta da parte dei pubblici poteri tutela della proprietà privata e garanzia di libera iniziativa economica. Se libera iniziativa economica e proprietà privata diventano il fondamento del nuovo modello di convivenza sociale, la classe borghese afferma alcuni principi che ne possano realmente assicurare l’affermazione e la difesa da parte dello Stato. In primo luogo viene ripensata la legittimazione del potere, che cessa di essere divina (principio teocratico) e viene riconosciuta come proveniente dai consociati (principio rappresentativo) o meglio da quella parte dei consociati (la stessa borghesia) che rappresenta – o ritiene di rappresentare – l’intera collettività. Il Re, che nel sistema precedente era tale per grazia di Dio e manifestazione della Sua volontà in Terra, è ora titolare del potere regio per grazia di Dio e volontà della Nazione. Accanto al Monarca nascono o acquisiscono forza e prestigio i Parlamenti nazionali, che sono, almeno in parte, elettivi. La legittimazione dal basso del potere rappresenta la migliore garanzia che l’azione dello Stato rispetti la sfera di libertà dell’individuo, che con il voto indirizza esso stesso l’agire dei pubblici poteri. Finalità garantista hanno anche il principio della divisione dei poteri tra gli organi dello Stato e il principio di legalità. Quest’ultimo si presenta come precetto cardine del cd. Stato di diritto: tutti

gli organi dello Stato, sia cittadini che i pubblici poteri, sono tenuti ad agire secondo la legge (uguaglianza di tutti davanti la legge) e non su volontà del Re e tutti i cittadini possono appellarsi ad una costituzione scritta in caso di violazione dei loro diritti. Nel pensiero liberale l’organizzazione statale avrebbe dovuto funzionare impersonalmente e meccanicamente secondo l’astratta volontà di una legge generale e uguale per tutti, espressione di una volontà generale maturata all’interno degli organi rappresentativi mediante una libera discussione. In realtà la legge finiva per essere espressione degli esclusivi interessi della borghesia. Lo Stato liberale entra in crisi poiché i due principi cardine di tale forma di Stato, il principio rappresentativo e quello di uguaglianza, hanno trovato solo una parziale realizzazione. In riferimento al principio rappresentativo: l’esercizio del diritto di voto era limitato ad una percentuale della popolazione, successivamente esteso sulla base del censo o sul livello di istruzione. Inoltre, permangono e si accentuano rispetto al passato le forti sperequazioni economiche tra una esigua classe borghese e una massa indigente. Ne consegue una forte pressione dei ceti meno abbienti per ottenere migliori condizioni di vita. Oltre a ciò si afferma sempre più la necessità di un intervento diretto dello Stato in economia (intervento che in realtà avviene anche durante il periodo liberale attraverso dazi e aiuti alla nascente industria) con abbandono dell’atteggiamento astensionista in materia da parte dei poteri pubblici. Gli sbocchi di tale crisi sono diversi tra i vari Stati. In quelli in cui la classe borghese è meno forte e le istituzioni liberali più fragili vi è il passaggio allo Stato totalitario/autoritario o a quello socialista. Negli Stati di più salde tradizioni liberali si afferma lo Stato democratico-sociale. Un esempio di stato Liberale è il Regno d’Italia. 3. Lo stato socialista Lo Stato socialista nasce per la prima volta in Russia, dopo la rivoluzione d'Ottobre del 1917 e la fine dello zarismo. Successivamente esso si è affermato in molti paesi dell'Europa dell'est, ma anche in Stati di indipendenza più recente in Asia, Africa e America centrale. Questo modello si ispira alla dottrina marxista-leninista. Secondo quest’ultima nei paesi borghesi i principi di uguaglianza e libertà sono solo formalmente affermati o, comunque, ad esclusivo appannaggio della classe detentrice dei mezzi di produzione. In particolare il principio di uguaglianza è contraddetto dalla profonda disuguaglianza che negli ordinamenti liberali caratterizza la distribuzione della ricchezza. Tale disuguaglianza ha come causa fondamentale la proprietà privata. Necessaria conseguenza di quest’ultima è difatti la sperequazione tra il borghese detentore dei mezzi di produzione e il proletario, il quale, a causa dell’eccesso di offerta di lavoro, vende la propria manodopera ad un prezzo (che sarebbe il salario) inferiore rispetto al suo valore, consentendo l’arricchimento della classe borghese (teoria del plus-valore). La borghesia, inoltre, forte del suo predominio economico, tende a tradurre tale supremazia sul piano politico. Lo Stato non è altro che la sovrastruttura politica attraverso la quale la classe borghese afferma e difende il suo primato economico. La finalità dello Stato bolscevico è allora la realizzazione del bene dei singoli (così come lo Stato liberale) ma lo strumento attraverso cui passa tale finalità è la sostituzione della proprietà privata con la proprietà di Stato (proprietà socialista) che determinerà l’eliminazione della distinzione in classi (cioè della disuguaglianza). Lo Stato interviene massicciamente non solo nel settore economico, che controlla completamente, ma anche nella cultura e nella religione in vista della formazione di una comune coscienza socialista. Nello stesso modo e allo stesso scopo sono affermate le libertà dei singoli. Queste sono riconosciute e tutelate solo se ed in quanto funzionali all’edificazione del socialismo. 4. Lo stato totalitario/autoritario

Nei paesi che hanno una struttura economica più debole e una più carente tradizione democratica la crisi dello Stato liberale, accentuata e accelerata dal primo conflitto mondiale, sfocia nello Stato totalitario. Quest’ultimo si è concretizzato soprattutto nella Germania del Terzo Reich (1934-1945) e, seppur in misura minore, in Italia durante il periodo fascista (1922-1943). Nel caso italiano, tuttavia, è opportuno parlare non tanto di Stato totalitario, quanto di Stato autoritario. Se difatti sia il nazionalsocialismo che il fascismo rappresentano una esaltazione del concetto stesso di Stato, il quale tende a controllare e indirizzare ogni aspetto della vita sociale ed economica, in Italia tale controllo totalitario non è risultato mai pienamente realizzato: chiesa cattolica e monarchia hanno rappresentato i due principali limiti alla piena realizzazione dello Stato fascista. Il fine dello Stato totalitario/autoritario non è più il benessere del singolo, ma l’interesse della Nazione, che rappresenta un valore supremo: i singoli diventano semplici strumenti per la realizzazione del fine statale. Il principio della rappresentanza politica viene negato in radice e sostituito con quello del partito unico a cui si affianca un sindacato unico. Le masse vengono istruite attraverso una capillare propaganda diretta ad inculcare gli ideali del regime e il potere si accentra nella figura di capo carismatico, vero e unico interprete della volontà nazionale. La negazione di ogni reale forma di pluralismo sociale e istituzionale comporta anche la negazione di ogni diritto di libertà, in particolare dei diritti politici.

5. Lo stato democratico-sociale Nei paesi dove più radicate sono le istituzioni dello Stato liberale (in primis l’Inghilterra) la crisi di quest’ultimo, determinata soprattutto dall’estensione del suffragio e dalla consequenziale piena affermazione del principio rappresentativo, trova il proprio punto d’approdo nello Stato sociale. L’accesso al voto delle classi meno abbienti determina il definitivo abbandono dell’atteggiamento tipico dello Stato liberale: l’astensionismo nel campo economico. La tutela del diritto di proprietà e della libera iniziativa privata erano state le esigenze della classe borghese, che, accentrando il potere economico, vi aveva visto le migliori garanzie della propria ricchezza. L’inserimento dei ceti subalterni nel meccanismo della rappresentanza spinge lo Stato ad ampliare interventi e spese diretti a soddisfare le domande sociali (istruzione, sanità, previdenza) di chi non possiede ricchezza e a ridistribuire secondo criteri di equità quest’ultima. Gli apparati pubblici crescono enormemente e l’intervento statale assume un autentico ruolo di governo dell’economia finalizzato, come accennato, non solo a garantire una maggiore ricchezza della collettività, ma anche a ridistribuire questa ricchezza in modo equo e non secondo le pure logiche del mercato. Lo Stato non si limita più a garantire una semplice uguaglianza formale, ma anche e soprattutto una uguaglianza sostanziale. Di conseguenza le libertà riconosciute e tutelate aumentano in quantità e cambiano in qualità. Si affermano le cd. Libertà positive (ad es. istruzione) che richiedono per la loro realizzazione un intervento dei pubblici poteri e non un atteggiamento meramente garantista (cd. Libertà negative, tipiche dello Stato liberale). Ad esse inoltre si aggiungono le libertà collettive (soprattutto riunione e associazione) a testimonianza di un assetto statuale che si apre agli enti intermedi (tra l’individuo e lo Stato), dando vita ad un sistema pluralista, in cui non è più identificabile un solo centro di potere, lo Stato, ma una serie di poteri in concorrenza tra loro o che collaborano in funzione del bene comune. Lo Stato quindi perde il ruolo di garante esterno di una concorrenza tra individui e acquista il nuovo ruolo di mediatore tra i diversi gruppi sociali (famiglia, scuola, associazioni ecc..) ed istituzionali (Regioni, Province, Comuni ecc..). Una seconda classificazione delle forme di Stato è, invece, di tipo territoriale, cioè in base alla dislocazione del potere sul territorio. Essa distingue le forme di Stato in: 1. Stato unitario

Uno Stato si definisce unitario quando il potere dello Stato è nelle mani di organi centrali a cui spetta l’esercizio esclusivo della funzione legislativa, amministrativa, giurisdizionale e di indirizzo politico. Lo stato unitario opera su tutto il territorio con sedi distaccate (i prefetti in Italia) in modo da rendere il suo apparato amministrativo più efficiente e vicino ai cittadini. Tuttavia questi enti territoriali decentrati restano emanazione del governo centrale e di fatti hanno limitate competenze (solo amministrative) di concessione dallo Stato, quindi derivate. 2. Stati federali Uno stato si definisce federale quando è formato da più stati dotati di un’autonoma sovranità sul proprio territorio che si uniscono in un unico governo solo in relazione a determinate materie, quali la politica estera, la difesa e l’economia. I caratteri tipici di uno Stato Federale sono: a) L’esistenza di un ordinamento statale federale, dotato di una Costituzione scritta e rigida b) La previsione da parte della Costituzione federale di una ripartizione di competenze tra Stato centrale e stati membri c) L’esistenza di un Parlamento bicamerale, in cui cioè esiste una camera composta dai rappresentanti eletti dal popolo dello Stato federale (Senato degli Stati Uniti) e l'altra composta dai rappresentanti dei vari Stati membri (Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti) d) La partecipazione degli stati membri a procedimento di revisione costituzionale e) La presenza di una Corte costituzionale in grado di risolvere i conflitti tra Stati federali e Stati membri

3. Stati regionali Lo Stato regionale è uno Stato unitario (quindi uno Stato nel quale la sovranità non è distribuita sul territorio) in cui però alcuni poteri sono decentrati a enti locali, ossia le Regioni, le Provincie e ai Comuni. Si caratterizzano per: a) La presenza di una Costituzione statale che riconosce e garantisce l’esistenza di enti territoriali dotati di autonomia politica, cioè capaci di darsi un proprio indirizzo politico sia pure nell’ambito dei limiti posti dalla Costituzione. Essi, infatti, sono dotati di propri Statuti, ma non di una propria Costituzione. b) L’attribuzione costituzionale alle Regioni di competenze legislative e amministrative chiaramente individuate c) L’attribuzione ad una Corte costituzionale del compito di risolvere i conflitti tra Stato le regioni, assicurando comunque la preminenza dell’interesse nazionale. d) L'esistenza di un Senato eletto su base regionale e) La partecipazione delle Regioni ad alcune funzioni statali, quali la possibilità di presentare proposte di legge al Parlamento o di fare richiesta di referendum f) Il principio della sussidiarietà, per cui i bisogni dei cittadini vengono soddisfatti dagli enti loro più vicini, ovvero i Comuni e solo quando ciò non è possibile l'erogazione dei servizi necessari compete a Province e Regioni Si può, quindi, affermare che lo Stato regionale è una forma particolare di Stato decentrato. Lo Stato italiano può essere considerato uno Stato regionale. Regioni, Province e Comuni sono gli Enti locali riconosciuti nel nostro Stato e dotati di un certo livello di autonomia politica ed amministrativa. Le Regioni sono dotate di potestà legislativa, potendo emanare le leggi regionali nelle materie espressamente elencate dalla Costituzione. Nel nostro paese si realizza un decentramento piuttosto ampio tanto che secondo alcuni autori in Italia si avrebbe una forma intermedia tra Stato unitario e Stato federale.

Con forma di governo si indica il modo con il quale le funzioni fondamentali dello Stato vengono ripartite tra gli organi costituzionali e i rapporti che si instaurano tra tali organi. Tale concetto risulta intimamente collegato a quello di forma di Stato. Se quest’ultimo indica le finalità che l’ordinamento nel suo complesso persegue e i valori cui si ispira, l’espressione forma di governo indica l’assetto organizzativo mediante il quale siffatte finalità vengono perseguite. Tra le forme di governo si annoverano: 1. 2. 3. 4.

La monarchia (assoluta, parlamentare) La repubblica (presidenziale o semipresidenziale o parlamentare) Il centralismo democratico dei paesi sovietici I regimi autoritari

La monarchia La monarchia è una forma di governo in cui la sovranità appartiene ad una sola persona, ovvero il re o capo dello Stato che la esercita per tutta la sua vita o fino alla sua rinunzia (abdicazione). In genere la monarchia è ereditaria, cioè il trono si tramanda da un componente all'altro della stessa famiglia e l’ordine di successione è stabilito dalla legge: il criterio più diffuso è quello in base al quale, succede al trono, il primogenito. La monarchia, però, può essere anche elettiva, cioè il sovrano accede a tale carica in quanto eletto, in genere da un collegio ristretto. Un esempio di monarchia elettiva fu quella che si ebbe nell'antica Roma. A seconda del modo in cui si configura il potere del re, la monarchia può essere: 1. Monarchia assoluta Si tratta della forma di governo propria dello Stato assoluto ed è caratterizzata dalla concentrazione di tutte le funzioni/poteri nelle mani del monarca che non è sottoposto al controllo di alcuno ed è considerato re per grazia divina. Questa forma di governo è arcaica, oggigiorno solo nel Brunei esiste la monarchia di tipo assoluto. 2. Monarchia costituzionale Tale forma di governo caratterizza la prima fase dello Stato liberale e accompagna l’affermazione del principio della separazione dei poteri. Essa realizza un assetto dualistico, fondato cioè su due centri di potere (contrariamente all’assetto monistico in cui vi è un solo centro di potere), nel quale il potere non si concentra più nella sola corona, ma viene da questa condiviso (parzialmente) con un altro organo: il Parlamento. Il Re continua ad essere titolare del potere esecutivo (nomina i ministri ai quali devono rispondere) e ad essere formalmente titolare della funzione giurisdizionale, ma deve dividere l’esercizio della funzione legislativa con il Parlamento, il quale viene eletto dal popolo. Nelle monarchie costituzionali il potere del re è limitato anche da una Costituzione, nella quale sono riconosciuti i diritti fondamentali dei cittadini. 3. Monarchia parlamentare La forma di governo parlamentare si afferma a seguito della rottura dell’equilibrio, proprio della monarchia costituzionale, tra Parlamento e Sovrano. La sempre maggiore forza economica della borghesia tende a tradursi sul piano politico in supremazia dell’organo parlamentare, mentre il potere regio (o, con accezione più ampia, del capo dello Stato) tende a trasformarsi in potere neutro, di garanzia. Il Governo cessa di essere politicamente responsabile verso il Sovrano e diventa politicamente responsabile nei confronti del solo Parlamento attraverso l’istituto della fiducia, senza la quale l’Esecutivo non può entrare in carica o deve rassegnare le dimissioni. Il Governo, pur essendo legato ad un rapporto di fiducia con il Parlamento, non ne risulta propriamente subordinato, perché esso mantiene una propria discrezionalità e tra i due organi si

instaura una relazione dialettica La Repubblica La repubblica è la forma di governo nella quale i poteri dello Stato sono detenuti da organi eletti dai cittadini in loro rappresentanza. Le repubbliche si distinguono in: 1) Presidenziale La repubblica presidenziale è la forma di governo nella quale il Presidente, eletto direttamente dal popolo, detiene il potere esecutivo ed è, al tempo stesso, Capo dello Stato in quanto rappresenta l'unità dello Stato. Un esempio tipico di Repubblica presidenziale è quella degli Stati Uniti d'America in cui: a) Il Congresso, formato da due Camere (Camera dei rappresentanti e Senato), detiene il potere legislativo. b) Il Presidente della repubblica, eletto direttamente dal popolo, detiene il potere esecutivo. I due organi sono indipendenti l'uno dall'altro poiché da una parte il Presidente non può sciogliere anticipatamente il Congresso e dall'altra il Presidente non è responsabile di fronte al Congresso, se non in casi particolarmente gravi come nell'ipotesi di comportamento illegale. 2) Semipresidenziale Anche nella repubblica semipresidenziale, il Presidente detiene il potere esecutivo e rappresenta l'unità dello Stato. Tuttavia, risp...


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