I cuccioli i capi - Voto: 30L PDF

Title I cuccioli i capi - Voto: 30L
Author Alice Semioli
Course Lingua e letterature ispanoamericane mod. 1
Institution Università degli Studi di Torino
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Summary

Libro di Mario Vargas Llosa ...


Description

Mario Vargas Llosa

I cuccioli I capi Traduzione di Angelo Morino

Alla memoria di Sebastián Salazar Bondy

I.

Portavano ancora i pantaloni corti quell’anno, non avevamo cominciato a fumare, fra tutti gli sport preferivano il calcio e stavamo imparando a tagliare le onde, a tuffarci dal secondo trampolino del Terrazas, ed erano turbolenti, imberbi, curiosi, molto agili, voraci. Quell’anno, quando Cuéllar entrò nella scuola Champagnat. Fratello Leoncio, è vero che arriva uno nuovo, in terza A, fratello? Sí, fratello Leoncio scostava con una manata il ciuffo che gli copriva la faccia, adesso silenzio. Arrivò un mattino, mentre ci mettevamo in fila, per mano al suo papà, e fratello Leoncio lo mise in testa perché era ancora piú bassetto di Rojas, e in aula fratello Leoncio lo fece sedere dietro, con noi, in quel banco vuoto, giovanotto. Come si chiamava? Cuéllar, e tu? Choto, e tu? Chingolo, e tu? Mañuco, e tu? Lalo. Miraflorino 1? Sí, dal mese scorso, prima abitava a San Antonio e adesso a Mariscal Castilla, vicino al cinema Colina. Era secchione (ma non leccaculo): la prima settimana fu quinto e la seguente terzo e poi sempre primo fino all’incidente, lí cominciò a battere la fiacca e a beccare brutti voti. I quattordici Incas, Cuéllar, diceva fratello Leoncio, e lui glieli sfagiolava tutti di fila, i dieci comandamenti, le tre strofe dell’inno Marista, la poesia Mi bandera di López Albújar: tutto di fila. Che cranio, Cuéllar!, gli diceva Lalo e il fratello ottima memoria, giovanotto, e a noi imparate fannulloni! Lui si lucidava le unghie sul risvolto della giacca e guardava tutta la classe da sopra la spalla, facendo il gasato (per scherzo, in fondo non era un gasato, solo un po’ gigione e ridarello. E poi un buon compagno.

Ci suggeriva agli esami e nell’intervallo ci offriva leccalecca, riccastro, torrone, fortunato, gli diceva Choto, ti danno piú mancia che a noi quattro, e lui per i bei voti che pigliava, e noi meno male che sei un tipo simpatico, violinastro, questo lo salvava). Le lezioni delle elementari finivano alle quattro, alle quattro e dieci fratello Lucio faceva rompere le fila e alle quattro e un quarto loro erano nel campo sportivo. Tiravano le cartelle sull’erba, le giacche, le cravatte, dài Chingolo dài, mettiti in porta prima che qualcun altro ce la freghi, e nella sua gabbia Judas diventava matto, bau, drizzava la coda, bau bau, mostrava i denti, bau bau bau, spiccava salti mortali, bau bau bau bau, scuoteva le sbarre. Porco diavolo se una volta riesce a scappare, diceva Chingolo, e Mañuco se scappa bisogna restare calmi, i danesi mordevano solo quando fiutavano che hai fifa di loro, chi te l’ha detto?, mio papà, e Choto io mi arrampicherei sulla porta, cosí non l’avrebbe raggiunto, e Cuéllar sfoderava il suo pugnalino e zac zac lo sbudellava, affettava e stendevaaaaaauuuu, guardando il cielo, uuuuuuaaauuuu, con le due mani intorno alla bocca, auauauauauuuuu: faceva bene l’urlo di Tarzan? Giocavano solo fino alle cinque perché a quell’ora uscivano quelli delle medie e i grandi ci facevano sgombrare il campo con le buone o con le cattive. Con la lingua fuori, spintonandoci e sudando raccoglievano libri, giacche e cravatte e uscivamo in strada. Scendevano per la Diagonal scambiandosi passaggi da pallacanestro con le cartelle, pigliati questa pisello, attraversavamo il parco all’altezza di Las Delicias, pigliata! visto, pirla?, e al chiosco di D’Onofrio compravamo coni, alla vaniglia?, misti?, mettine un po’ di piú, moretto, non camorrare, un po’ di limone, taccagno, un pochettino di fragola. E poi continuavano a scendere per la Diagonal, il Violín Gitano, senza parlare, calle Porta, tutti presi dai gelati, un semaforo, shhp leccando shhp e saltarellando fino al condominio San Nicolás e lí Cuéllar ci salutava, dài, non andartene ancora, andiamo al Terrazas, avrebbero chiesto la palla al Cinese, non voleva giocare per la selezione della classe?, amico, per farcela bisognava allenarsi un po’, vieni andiamo dài, solo fino alle sei, una partitina di pallone al Terrazas, Cuéllar. Non poteva, suo papà non lo lasciava, doveva fare i compiti. Lo accompagnavano fino a casa sua,

come poteva entrare nella squadra della classe se non si allenava?, e alla fine ce ne andavamo al Terrazas da soli. Simpatico ma molto sgobbone, diceva Choto, per lo studio trascura lo sport, e Lalo non era colpa sua, suo papà doveva essere un rompi, e Chingolo certo, lui moriva dalla voglia di andare con loro e Mañuco sarebbe stato molto difficile che entrasse nella squadra, non aveva il fisico, né potenza, né fiato, si stancava in quattro e quattr’otto, né niente. Ma dà di testa bene, diceva Choto, e poi era nostro tifoso, bisognava ficcarlo in un modo o nell’altro diceva Lalo, e Chingolo perché rimanga con noi e Mañuco sí, l’avremmo ficcato, anche se sarebbe stato piú difficile! Ma Cuéllar, che era ostinato e moriva dalla voglia di giocare nella squadra, si allenò tanto durante l’estate che l’anno dopo si guadagnò il posto di mediano sinistro nella selezione della classe: mens sana in corpore sano, diceva fratello Agustín, avevamo visto?, si può essere un buon sportivo e diligente nello studio, che seguissimo il suo esempio. Come hai fatto?, gli domandava Lalo. Dove li hai pescati quello scatto, quei passaggi, quel dominio del pallone, quei tiri ad angolo? E lui: l’aveva allenato suo cugino il Faville e suo padre lo portava allo stadio ogni domenica e lí, guardando i campioni, gli insegnavano i trucchi, capito? Si era fatto quei tre mesi senza andare al cinema né in spiaggia, solo a guardare e a giocare a pallone mattino e pomeriggio, toccate questi polpacci, non erano diventati duri? Sí, è migliorato molto, diceva Choto a fratello Lucio, davvero, e Lalo è un attaccante agile e smaliziato, e Chingolo come organizzava bene l’attacco! e, soprattutto, non andava giú di morale, e Mañuco ha visto come avanza fino in porta a cercare la palla quando l’avversario sta vincendo, fratello Lucio?, bisogna ficcarlo nella squadra. Cuéllar se la rideva felice, si soffiava sulle unghie e se le lucidava sulla maglietta di quarta A, maniche bianche e davanti azzurro: sei a posto, gli dicevamo, ti abbiamo ficcato ma non gasarti. In luglio, per il campionato scolastico, fratello Agustín autorizzò la squadra della quarta A ad allenarsi due volte la settimana, il lunedí e il venerdí, nell’ora di disegno e di musica. Dopo il secondo intervallo, quando il cortile rimaneva vuoto, tutto umido di guazza, lustro come un pallone nuovo di zecca, gli undici selezionati scendevano nel

campo, ci cambiavamo l’uniforme e, con scarpe da football e tute nere, uscivano dagli spogliatoi in fila indiana, con passo ginnico, capeggiati da Lalo, il capitano. A tutte le finestre delle aule spuntavano facce invidiose che spiavano le loro corse, c’era un venticello freddo che increspava l’acqua della piscina (tu faresti il bagno?, dopo la partita, adesso no, brr che freddo!), i loro tiri, e muoveva le fronde degli eucalipti e dei ficus che si affacciavano sopra il muro giallo della scuola, i loro rigori e il mattino volava via: un allenamento coi fiocchi, diceva Cuéllar, bestiale, vinceremo. Un’ora dopo fratello Lucio suonava il fischietto e, mentre si vuotavano le aule e le classi si mettevano in fila nel cortile, noi selezionati ci vestivamo e tornavamo a casa per il pranzo. Ma Cuéllar si attardava perché (copi tutto quello che fanno i campioni, diceva Chingolo, chi ti credi?, Toto Terry? 2) si infilava sempre nella doccia dopo gli allenamenti. A volte anche loro si facevano la doccia, bau, ma quel giorno, bau bau, quando Judas apparve sulla soglia degli spogliatoi, bau bau bau, solo Lalo e Cuéllar si stavano lavando: bau bau bau bau. Choto, Chingolo e Mañuco saltarono dalle finestre, Lalo strillò, scappò, attento amico e riuscí a chiudere la porticina della doccia proprio sul muso del danese. Lí, raggomitolato, piastrelle bianche, azzurre e rivoletti d’acqua, tremante, udí i latrati di Judas, il pianto di Cuéllar, le sue grida, e udí gemiti, balzi, tonfi, scivoloni e poi solo latrati, e un mucchio di tempo dopo, lo giuro (ma quanto, diceva Chingolo, due minuti?, di piú amico, e Choto cinque?, di piú, molto di piú), il vocione di fratello Lucio, le parolacce di Leoncio (in spagnolo, Lalo?, sí, anche in francese, le capivi?, no, ma si immaginava che fossero parolacce, scemo, per la furia della sua voce), i maledizione, dio mio, fuori, pussa via, largo largo, la disperazione dei fratelli, il loro terribile spavento. Aprí la porta e già se lo portavano via in braccio, lo vide appena fra le sottane nere, svenuto?, sí, nudo, Lalo?, sí e sanguinante, amico, parola, che orrore: la doccia era tutta piena di sangue. E poi, cos’è successo dopo mentre io mi vestivo?, diceva Lalo, e Chingolo fratello Agustín e fratello Lucio hanno messo Cuéllar nel camioncino della direzione, li abbiamo visti dalla scala, e Choto sono partiti a ottanta (Mañuco a cento) all’ora, suonando il clacson a tutto spiano come i pompieri,

come un’ambulanza. Intanto fratello Leoncio inseguiva Judas che andava e veniva per il cortile spiccando salti, piroette, lo acchiappava e lo ficcava nella sua gabbia e attraverso le sbarre (voleva ammazzarlo, diceva Choto, l’avessi visto, faceva paura) lo frustava senza misericordia, tutto rosso, col ciuffo che gli ballava sulla faccia. Quella settimana, la messa della domenica, il rosario del venerdí e le preghiere all’inizio e alla fine delle lezioni furono per la guarigione di Cuéllar, ma i fratelli si infuriavano se gli alunni parlavano fra loro dell’incidente, ci beccavano e un nocchino, silenzio, prendi, in castigo fino alle sei. Tuttavia quello fu l’unico argomento di conversazione durante gli intervalli e le lezioni, e il lunedí successivo quando, all’uscita dalla scuola, andarono a trovarlo alla Clinica americana, vedemmo che non aveva niente in faccia né sulle mani. Era in una bella stanzetta, ciao Cuéllar, pareti bianche e tende color crema, sei già guarito, amico?, vicino a un giardino con fiorellini, erba e un albero. Loro lo stavamo vendicando, Cuéllar, negli intervalli una sassata dopo l’altra contro la gabbia di Judas e lui ben gli sta, fra poco non gli sarebbe rimasto neanche un osso sano a quello schifoso, rideva, quando sarebbe uscito saremmo andati alla scuola di notte e saremmo entrati dai tetti, viva il nostro amico pam pam, l’Aquila Mascherata zac zac, e gli avremmo fatto vedere le stelle, di buon umore ma magretto e pallido, a quel cane, come lui a me. Sedute al capezzale di Cuéllar c’erano due signore che ci offrirono cioccolatini e uscirono in giardino, tesoro, resta a chiacchierare con i tuoi amichetti, quella col vestito bianco è mia mamma, l’altra una zia. Racconta, Cuéllar, fratellino, cos’è successo?, gli aveva fatto molto male?, moltissimo, dove l’aveva morso?, proprio lí, e si impaperò, il pistolino?, sí, tutto rosso, e si mise a ridere e ci mettemmo a ridere e le signore dalla finestra ciao, ciao tesoro, e a noi solo un altro minutino perché Cuéllar non era ancora guarito e lui sst, era un segreto, suo papà non voleva, neppure sua mamma, che si sapesse, bimbo mio, meglio non dire niente, perché?, era stato alla gamba e basta, tesoro, capito? L’operazione è durata due ore, disse, sarebbe tornato alla scuola fra dieci giorni, pensa che lunga vacanza, cosa vuoi di piú?, gli aveva

detto il dottore. Ce ne andammo e in classe tutti volevano sapere, gli hanno cucito la pancia, vero?, con ago e filo, vero? E Chingolo come si è impaperato quando ce l’ha raccontato!, era peccato parlare di quello?, Lalo no, perché mai?, a lui sua mamma diceva ogni sera prima di coricarsi ti sei già lavato i denti?, hai già fatto pipí?, e Mañuco povero Cuéllar, che male aveva dovuto fargli!, se una pallonata lí ti toglie il fiato come poteva essere un morso?, e soprattutto pensa alle zanne che si paga Judas, raccogliete pietre, andiamo al campo, all’una, alle due, alle tre, bau bau bau bau, gli piaceva?, schifoso, che prendesse e imparasse. Povero Cuéllar, diceva Choto, non avrebbe piú potuto fare bella figura nel campionato che comincia domani, e Mañuco tanto allenarsi per niente e il peggio è che, diceva Lalo, questa storia ci ha indebolito la squadra, bisogna mettercela tutta se non vogliamo fare il fanalino di coda, ragazzi, giurate che ce la metterete tutta.

1. Miraflores è un centro residenziale alla periferia di Lima [N.d.T.]. 2. Toto Terry è stato un famoso giocatore di calcio peruviano [N.d.T.].

II.

Tornò a scuola solo dopo le feste nazionali e, cosa strana, invece di avere preso in uggia il calcio (non era per il calcio, in un certo senso, che Judas l’aveva morso?) diventò piú sportivo che mai. Invece, lo studio cominciò a importargli di meno. E si capiva, anche se fosse stato deficiente, non aveva piú bisogno di sgobbare: si presentava agli esami con medie molto basse e i fratelli lo passavano, brutti esercizi e ottimo, pessimi compiti e promosso. Dopo l’incidente te le fanno buone, gli dicevamo, non sapevi un tubo delle frazioni e, porca miseria, ti hanno dato otto. Inoltre, gli facevano servire messa, Cuéllar legga il catechismo, portare il gagliardetto dell’anno nelle processioni, cancelli la lavagna, cantare nel coro, distribuisca le pagelle, e il primo venerdí del mese veniva in refettorio anche se non faceva la comunione. Chi si gode la vita, diceva Choto, piú di te?, peccato che Judas non abbia morso anche noi, e lui non era per quello: i fratelli lo coccolavano per paura di suo papà. Delinquenti, cos’avete fatto a mio figlio?, vi chiudo la scuola, vi sbatto in galera, non sapete chi sono io, avrebbe ammazzato quella maledetta bestiaccia e il fratello direttore, calma, si calmi signore, l’ha scrollato per il soggolo. È andata cosí, parola, diceva Cuéllar, suo papà l’aveva raccontato a sua mamma e anche se bisbigliavano lui, dal mio letto in clinica, li aveva sentiti: era per questo che lo coccolavano, non per altro. Per il soggolo?, che fegatoso!, diceva Lalo, e Chingolo magari era vero, non per niente era sparita quella dannata bestia. L’avranno venduto, dicevamo, sarà scappato, forse l’avevano regalato a qualcuno, e Cuéllar no, no, sicuramente era

venuto suo papà e l’aveva accoppato, lui manteneva sempre quello che prometteva. Perché un mattino la gabbia apparve vuota e una settimana dopo, al posto di Judas, quattro coniglietti bianchi! Cuéllar, gli porti un po’ d’insalata, ah amico, gli dia delle carote, come ti coccolavano, gli cambi l’acqua e lui felice. Ma non solo i fratelli si erano messi a viziarlo, anche i suoi genitori presero quella strada. Adesso Cuéllar veniva ogni pomeriggio con noi al Terrazas a giocare a calcetto (tuo papà non si arrabbia?, adesso no, al contrario, gli domandava sempre chi ha vinto la partita?, la mia squadra, quanti gol hai fatto?, tre?, bravo!, e lui non arrabbiarti, mamma, mi sono strappato la camicia giocando, è stato per caso, e lei sciocchino, cosa importava?, tesoro, la domestica gliel’avrebbe rammendata e gli sarebbe servita per stare in casa, che le desse un bacio) e poi ce ne andavamo nel loggione dell’Excelsior, del Ricardo Palma o del Leuro a vedere film a episodi, drammi sconsigliati alle signorine, pellicole di Cantinflas e di Tin Tan 1. Gli aumentavano di continuo le mance e mi comprano tutto quello che voglio, ci diceva, se li era messi in tasca i suoi genitori, mi accontentano in tutto, li aveva in pugno, stravedono per me. Fu il primo dei cinque ad avere schettini, bici, motorino e loro Cuéllar che tuo papà ci regali una coppa per il campionato, che li portasse alla piscina dello stadio a veder nuotare Merino e il Coniglio Villarán e che passasse a prenderci con la sua macchina all’uscita dallo spettacolo pomeridiano, e suo papà ce la regalava e li portava e passava a prenderci con la sua macchina: sí, l’aveva in pugno. In quel tempo, non molto dopo l’incidente, cominciarono a chiamarlo Cazzolino. Il soprannome nacque a scuola, fu quel montato di Gumucio a inventarlo?, certo, chi se non lui?, e da principio Cuéllar, fratello, piangeva, mi stanno dicendo una brutta parola, come un finocchio, chi?, cosa ti dicono?, una cosa brutta, fratello, si vergognava a ripeterla, farfugliando e le lacrime che gli correvano giú, e poi nell’intervallo gli alunni di altre classi ehilà Cazzolino, e il moccio che gli colava, come stai?, e lui fratello, senta, correva da Leoncio, Lucio, Agustín o dal professor Paredes: è stato lui. Si lamentava e si arrabbiava anche, cos’hai detto?, Cazzolino ho detto, bianco di collera, finocchio, con le mani e la voce che gli

tremavano, dài ripeti se hai coraggio, Cazzolino, ecco e cosa succede? e lui allora chiudeva gli occhi e, cosí come gliel’aveva insegnato suo papà, non cedere ragazzo, si buttava, spaccagli il muso, e li sfidava, pestagli i piedi e badabàm, e si scagliava, una sberla, una capocciata, un calcione, ovunque si trovasse, in fila o nel campo, lo sbatti a terra e la fai finita, in classe, nella cappella, non ti scocceranno piú. Ma piú si scaldava e piú lo stuzzicavano e un giorno, era uno scandalo, fratello, venne suo padre sprizzando scintille in direzione, martirizzavano suo figlio e lui non l’avrebbe permesso. Che si comportasse da uomo, che castigasse quei mocciosi o l’avrebbe fatto lui, li avrebbe messi tutti a posto, che insolenza!, un pugno sul tavolo, era il colmo, qui si esagerava. Ma gli avevano appiccicato il soprannome come un francobollo e, nonostante i castighi dei fratelli, siate piú umani, abbiate un po’ di compassione per il direttore, e nonostante i pianti e le smanie e le minacce e i colpi di Cuéllar, il soprannome uscí in strada e a poco a poco prese a circolare per le strade di Miraflores e non riuscí piú a toglierselo di dosso, poveretto. Cazzolino passa la palla, non fare l’ingordo, quanto hai beccato in algebra, Cazzolino?, ti cambio una cioccolata, Cazzolino, con un croccante, e non dimenticarti di venire domani alla gita a Chosica, Cazzolino, avrebbero fatto il bagno nel fiume, i fratelli avrebbero portato i guantoni e potrai fare la boxe con Gumucio e vendicarti, Cazzolino, hai gli scarponcini?, perché si sarebbe dovuto scalare il colle, Cazzolino, e al ritorno avrebbero fatto ancora in tempo per lo spettacolo pomeridiano, Cazzolino, gli piaceva il programma? Anche a loro, Cuéllar, che all’inizio ci facevamo attenzione, amico, cominciò a rimanere appiccicato, amico, contro la nostra volontà, simpaticone, compagno, d’improvviso Cazzolino e lui, tutto rosso, cosa?, o pallido, anche tu, Chingolo?, spalancando gli occhi, cristo, scusa, non era stato con cattiva intenzione, anche lui, anche il suo amico?, cristo, Cuéllar, che non facesse cosí, se tutti glielo dicevano a uno gli rimaneva appiccicato, anche tu, Choto?, e gli veniva in bocca senza volerlo, anche tu, Mañuco?, lo chiamavano cosí alle sue spalle?, girava la schiena e loro Cazzolino, vero? No, cosa vai a pensare, lo abbracciavamo, parola che mai piú e poi perché ti

arrabbi, stupidotto?, era un soprannome come tanti altri e in fin dei conti lo zoppetto Pérez non lo chiami anche tu Stampella e lo strabico Rodríguez Bircio o Sguardo Fatale e Becco d’Oca quel balbuziente di Rivera? E non chiamavano lui Choto e lui Chingolo e lui Mañuco, e lui Lalo 2? Non arrabbiarti, scemino, continua a giocare, dài, tocca a te. A poco a poco si rassegnò al suo soprannome e in sesta non piangeva piú né andava su di giri, faceva lo gnorri e a volte ci scherzava persino sopra, Cazzolino no, Cazzaccio ah ah!, e in prima media si era talmente abituato che, semmai, quando lo chiamavano Cuéllar diventava serio e guardava con diffidenza, come se dubitasse, era uno scherzo? Tendeva addirittura la mano ai nuovi amici dicendo molto piacere, Cazzolino Cuéllar ai tuoi ordini. Non alle ragazze, chiaro, solo ai maschi. Perché in quel periodo, oltre allo sport, si interessavano già alle ragazze. Avevamo cominciato a fare scherzi, durante le lezioni, ehi, ieri ho visto Pirulo Martínez con la sua innamorata, nell’intervallo, passeggiavano mano nella mano per il molo e di colpo pum, una sberliccata!, e all’uscita, in bocca?, sí ed erano rimasti un bel po’ a baciarsi. Poco dopo, questo fu l’argomento principale delle loro conversazioni. Quique Rojas aveva una tizietta piú vecchia di lui, bionda, con...


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