I fratelli Verri PDF

Title I fratelli Verri
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Milano
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biografia e opere degli autori ...


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ALESSANDRO E PIETRO VERRI Il milanese Pietro Verri (1728-1797) fondò con il fratello Alessandro l'Accademia dei Pugni (1761), la fucina dell'illuminismo lombardo, da cui nel 1764 uscì la rivista "Il Caffè", intorno alla quale maturarono le riflessioni migliori del riformismo illuminista in Italia. Esaurita l'esperienza della rivista (1766), P. Verri entrò nell'amministrazione pubblica austriaca, anche se ne fu allontanato (1786) per un insanabile contrasto con Giuseppe II. La sua vastissima produzione è tutta improntata alla concezione illuministica della cultura e del sapere, secondo cui l'attività intellettuale ha senso solo se guarda all'"utile" contro i "pregiudizi", nella misura in cui sa promuovere un rinnovamento morale, civile ed economico della società. "Cose e non parole" è un motto del "Caffè": in questo senso l'illuminismo lombardo si sgancia completamente da ogni residuo classicistico per tentare una cultura impegnata nelle battaglie civili.

(Può apparire arbitrario riunire in un unico saggio i profili dei due fratelli Verri che, soprattutto nell’età matura, si distinsero nettamente l’uno dall’altro per interessi culturali, orientamenti ideologici e atteggiamenti mentali. Ma in primo luogo, di fondamentale importanza per la conoscenza delle loro personalità è la loro opera comune, il carteggio che intrattennero bisettimanalmente (pur con una lunga interruzione tra il 1784 e il 1789) per oltre trent’anni. In secondo luogo, nel caso di Alessandro è più rilevante, dal punto di vista filosofico e ‘civile’, la produzione degli anni 1763-66, allorché viveva in una specie di simbiosi intellettuale con Pietro, di quanto non siano gli scritti successivi di carattere storico-letterario.)

Biografia Pietro e Alessandro Verri nacquero a distanza di tredici anni l’uno dall’altro, rispettivamente il 12 dicembre 1728 e il 9 novembre 1741, da una famiglia patrizia milanese che proprio con il loro padre Gabriele, giurista di fama e dal 1749 membro del Senato, il supremo tribunale lombardo, uscì dall’oscurità raggiungendo nel contempo una discreta ricchezza. Entrambi i fratelli serberanno un pessimo ricordo dell’infanzia, trascorsa in un ambiente familiare arido e bigotto, e dell’istruzione ricevuta in casa e in vari collegi Pietro terminò gli studi nel collegio gesuitico di Parma, uno dei più rinomati seminaria nobilium nell’Italia del tempo; Alessandro conseguì la laurea in giurisprudenza a Pavia nel giugno 1760 ed esercitò poi per due anni (come già aveva fatto Pietro) la carica di protettore dei carcerati. Tornato in famiglia nel 1749, il primogenito Pietro, giovane di indole orgogliosa e ribelle, che aveva maturato ambizioni letterarie e un gusto per la scienza newtoniana, si scontrò subito con i genitori e con lo zio monsignore e primicerio della cattedrale, legati al culto della stirpe, a un sapere tradizionale e a una religiosità angusta e tutta esteriore. Tra i motivi del conflitto erano la sua smania di frequentare il teatro, le «conversazioni» della buona società milanese e, soprattutto, la sua relazione con una nobildonna altolocata e più anziana di lui, la romana Maria Vittoria Ottoboni Boncompagni, moglie del duca Gabrio Serbelloni. «Era brutta e m’ha coglionato solennemente», scriverà Pietro ad Alessandro ricordando di essere stato piantato dalla duchessa per un altro corteggiatore. ma riconoscerà più tardi il proprio debito verso la gentildonna, che ne aveva dirozzato i modi e coltivato la mente, facendogli conoscere la «bella letteratura francese» . Questa delusione e la crescente sazietà per i riti e i passatempi della società nobiliare lo spinsero a chiedere un brevetto di capitano nell’esercito austriaco e a partire volontario per il fronte della guerra dei Sette anni. L’esperienza del pericolo e delle durezze della vita militare, il contatto con popoli e Paesi diversi, l’amicizia nata fra lui e un ufficiale gallese, Henry Lloyd, le letture fatte durante le lunghe pause fra le marce e le battaglie temprarono il suo carattere e gli allargarono la mente, stimolando il suo interesse per i grandi problemi dell’economia e della politica. Quando nel gennaio 1761 fece ritorno a Milano, dopo un intero anno trascorso a Vienna, Pietro era deciso ad aprirsi una via nuova verso le pubbliche carriere,. Il manoscritto delle “Considerazioni sul commercio dello Stato di Milano”, gli procurò nel gennaio del 1764 la nomina a membro di una Giunta incaricata di esaminare i problemi finanziari dello Stato di Milano, cui fece seguito, nel novembre del 1765, il conferimento della duplice carica di consigliere NEL “Supremo consiglio di economia”, e di rappresentante regio nella direzione dell’appalto generale delle imposte indirette. Nel frattempo, in mezzo alle «noiosissime seccature domestiche», Pietro aveva avuto la sorpresa di trovare un ammiratore e un’anima gemella nel fratello minore Alessandro, ormai ventenne. Attorno ai due cominciò a radunarsi, nell’inverno 1761-62, un gruppo di giovani nobili, tutti in polemica contro il costume e il sapere dei padri, che si ritrovava la sera in casa dei Verri per discutere, giocare, leggere in comune gli scrittori francesi e inglesi. Di questa piccola società, battezzata dalla

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voce pubblica Accademia dei Pugni, facevano parte diverse personalità,fra cui anche C.beccaria. Fu Pietro Verri, a suggerire a Beccaria il tema del suo capolavoro, Dei delitti e delle pene (1764), a pilotarne la scrittura e poi a gestirne l’enorme fortuna europea. E fu ancora lui a progettare e dirigere l’impresa del «Caffè», la rivista degli illuministi milanesi che si pubblicò per due anni, dal 1764 al 1766.Anche il viaggio a Parigi di Beccaria e Alessandro Verri nell’autunno 1766 fu voluto e organizzato da Pietro, che intendeva stabilire un rapporto diretto con la capitale dei lumi. Mentre Alessandro con le sue vivacissime lettere-reportage dava inizio a quel fitto carteggio con il fratello cui si è sopra accennato, il precipitoso ritorno a Milano del suo compagno e lo scarso rispetto da lui dimostrato per l’amor proprio dei due Verri portarono a una rottura solo in parte e dopo molti anni sanata. Intanto l’allontanamento di altri soci dei Pugni e il crescente assorbimento di Pietro nei pubblici affari avevano portato di fatto allo scioglimento del sodalizio che aveva reso celebre in Europa l’ école de Milan. Alessandro proseguì da solo il viaggio per l’Inghilterra e, dopo essere ripassato nel febbraio-marzo 1767 da Parigi, in primavera fece ritorno in Italia. Da Livorno, dove avviò la stampa, poi interrotta, del Saggio sulla storia d’Italia, passò a Roma; qui si innamorò, ricambiato, di una gentildonna sposata, ma separata dal marito, Margherita Sparapani Boccapaduli Gentili, e a questa catena resterà avvinto tutta la vita, nonostante gli inviti e i rimproveri del fratello che avrebbe voluto riportarlo a Milano. A Roma si dedicò allo studio dei classici greci e latini e alla composizione di opere teatrali e di romanzi archeologici, in cui si riflette un atteggiamento conservatore ormai agli antipodi rispetto alle posizioni di Pietro. A Roma Alessandro morirà il 23 settembre 1816, quasi vent’anni dopo il fratello maggiore. Dal canto suo quest’ultimo profuse nei tardi anni Sessanta le sue migliori energie nella collaborazione con il governo asburgico, in particolare per la progettazione e l’attuazione di due grandi riforme, la liberalizzazione del commercio dei cereali, con la connessa riforma annonaria, e il riscatto delle regalie alienate (cioè delle entrate dello Stato cedute nei secoli a corpi o a privati che le riscuotevano per proprio conto). Nel 1771 Verri perse interesse agli affari politici ed economici e ripose le sue insopprimibili ambizioni di emergere e primeggiare, nella filosofia e nella storia. Egli decise inoltre di fondare una propria famiglia, dove avrebbero regnato l’affetto e il rispetto reciproco tra i coniugi e tra genitori e figli, contrariamente a quanto era stato nella sua famiglia d’origine. La promozione a presidente del Magistrato camerale (fine 1780) coincise con l’ascesa al trono di Giuseppe II, Verri manifestò in un primo tempo pieno consenso. Verso la metà degli anni Ottanta, avvenne la precoce messa a riposo, a seguito dei cambiamenti introdotti da Giuseppe II nelle strutture di vertice della Lombardia austriaca (1786). Il risultato fu il definitivo abbandono da parte di Verri del modello dell’assolutismo illuminato.

Alessandro Verri scrittore Nei suoi scritti giovanili Alessandro Verri si mostrò non meno capace del fratello maggiore di padroneggiare diversi temi e registri, dalla satira e dalla buffoneria alla pittura di costume, dalla trattazione impegnata di problemi giuridici e filosofici alla narrazione storica di stile voltairiano. A parte le arringhe in difesa dei carcerati di cui era protettore, il suo esordio come scrittore fu rappresentato da un intervento, Riflessioni in punto di ragione sopra il libro intitolato: Del disordine e de’ rimedi delle monete nello Stato di Milano, a sostegno di Beccaria nella polemica sul disordine monetario del 1762, firmato P.P.I.C, in cui fingeva di dar ragione ai suoi avversari esagerandone le assurdità e lo stile contorto e cruschevole. Vi fu chi prese sul serio lo scherzo, e ci rimase male quando seppe che la sigla posta nel frontespizio significava «Pascolo per i coglioni». Non venne invece stampato un Saggio sulla morale cristiana composto nel 1763, in cui Alessandro, con trasparente riferimento alla propria famiglia, stigmatizzava l’ipocrisia e il bigottismo di una religiosità tutta esteriore e l’eccesso di severità nell’educazione dei figli, con costanti riferimenti alla morale evangelica che impartiva insegnamenti molto diversi. partecipò nel 1761, con il fratello Pietro, all'Accademia dei Pugni e al "Caffè". Lo scritto “la Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al vocabolario della Crusca” (1764-65) è una netta opposizione al classicismo e al purismo linguistico ed ebbe larga risonanza. Tra il 1761 e il 1766 lavorò al Saggio sulla storia d'Italia, che però rimase inedito. Fu poi con l'amico Beccaria a Parigi e a Londra: durante il soggiorno all'estero tenne un fitto carteggio con il fratello Pietro, che rappresenta un prezioso documento sulla vita culturale del secondo Settecento italiano. Rientrato in Italia, si trasferì definitivamente a Roma: qui maturò la sua adesione al neoclassicismo e subì un profondo cambiamento ideologico-politico, avvicinandosi a posizioni papaline-reazionarie. Tradusse l'Amleto (1768) e l'Otello (1777) di Shakespeare; compose le tragedie Pantea e La congiura di Milano, che pubblicò nel 1779 nel volume Tentativi drammatici. Di maggior rilievo sono i suoi romanzi, Le avventure di Saffo (1782) e soprattutto le Notti romane (1792) e Vita di Erostrato (1815), che testimoniano un neoclassicismo velato di atmosfere preromantiche. La partecipazione di Alessandro all’esperienza del «Caffè» fu di poco inferiore a quella del fratello a giudicare dal numero dei rispettivi contributi (31 contro 44). E fu qui che comparvero alcune delle sue pagine più note e più citate in materia di letteratura e di lingua, come la Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al Vocabolario della Crusca, il Saggio di legislazione sul pedantismo e Dei difetti della letteratura e di alcune loro cagioni. Ma altrettanto feconda fu la sua vena di osservatore ironico e disincantato della realtà sociale, da cui sgorgarono pezzi deliziosi come Le riverenze, la 2

Conversazione tenutasi nel caffè, il Commentariolo di un uomo che ha ragione sulla definizione: L’uomo è un animale ragionevole, nel quale ultimo ricorre per la prima volta il detto «L’uomo non si muta» («Il Caffè», 1764-1766, cit., p. 645) divenuto poi una sorta di leitmotiv negli scritti di Alessandro. Non meno numerosi e di mole spesso maggiore sono tuttavia gli articoli di argomento giuridico, economico o filosofico-morale: tra gli esempi migliori il Discorso sulla felicità dei Romani, Di Giustiniano e delle sue leggi, Alcune riflessioni sull’opinione che il commercio deroghi alla nobiltà, Di Carneade e di Grozio, Di alcuni sistemi del pubblico diritto, La virtù sociale. Circola in questi saggi una volontà di «conquistar paese alla ragione» (p. 751) non meno evidente di quella che permea gli scritti di Pietro o di Beccaria, sebbene più intinta di scetticismo, più condizionata da un’antropologia negativa e da una «fenomenologia del disimpegno», secondo la felice formula di Marco Cerruti. La transizione dai giovanili ideali enciclopedici e razionalistici a «una visione del mondo meno progressista», alla «lenta cristallizzazione di un moralismo amaro» si compie nel Saggio sulla storia d’Italia che Alessandro Verri compose tra il 1764 e il 1766, prima del viaggio a Parigi e a Londra. L’intento di questo vero e proprio tour de force, consistente nello sforzo di condensare in un solo libro ventidue secoli di storia, dalla fondazione dell’antica Roma al 18° sec., era quello stesso che ispirerà la Storia di Milano di Pietro. Ma via via che il saggio procede dalla storia dell’antica Roma, in cui lo soccorrono le riflessioni di Montesquieu e di altri grandi storici, il tessuto narrativo si sfalda in una serie di quadri e di episodi non ben connessi tra loro, spesso evocati per il solo scopo di introdurre un commento ironico o arguto. Di Voltaire è presente, a tratti, lo stile, ma non la volontà di comprensione del passato; e il pirronismo storico spesso dichiarato dall’autore diventa il pretesto per rifugiarsi nel giudizio moralistico o nella constatazione dell’irrazionalità del reale. La sua è «una storia ‘illustrata’ piuttosto che filosofica, oggetto di contemplazione e di divertimento più che di interpretazione razionale». Non a caso questa Storia fornirà molti spunti per le tragedie e i romanzi della maturità (Le avventure di Saffo, 1781, le Notti romane al sepolcro degli Scipioni, 1782-1804) composti nel clima congeniale della Roma papale e ispirati a una visione ormai pienamente conservatrice dell’uomo e della storia e all’apologia del cattolicesimo.

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