III PT (Espressionismo francese e tedesco, Cubismo, Futurismo) PDF

Title III PT (Espressionismo francese e tedesco, Cubismo, Futurismo)
Author Vittoria Santarelli
Course Storia Dell'Arte Contemporanea I
Institution Università Ca' Foscari Venezia
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I FAUVES Il 18 ottobre 1905 aprì i battenti a Parigi la terza edizione del “Salon d’Automne” quando Louis Vauxcelles (critico d’arte) si trovò circondato da dipinti dai colori talmente violenti da fargli esclamare (facendo riferimento ad una scultura tradizionale in stile quattrocentesco fiorentina che si trovava in mezzo alla sala): “Donatello fra le belve!”, talmente classica gli appariva quella statua in mezzo a tanta aggressiva novità. Il gruppo dei Fauves non essendo sorto come movimento (ne diventò mai tale), si riconosceva per convinzioni: -il dipinto deve dar spazio al colore -non bisogna dipingere secondo l’impressione, ma in base al sentimento interiore. -si deve esprimere se stessi -la pittura deve essere istintiva e immediata. -il colore va svincolato dalla realtà che rappresenta.

Henri Matisse: nato nel 1869 compì i suoi studi nella cittadina natale e poi a Parigi. Una malattia a vent’anni lo costrinse a letto e fu l’occasione perché Matisse cominciasse a dipingere come passatempo. “Come impressionista ho dipinto dalla natura poi ho ispirato a una maggiore concentrazione e a un’espressività più intensa nelle linee e nei colori. Per raggiungere questo obiettivo ho dovuto sacrificare altri valori: la materia, la tridimensionalità, la ricchezza di dettagli. Ora voglio riconciliare questi valori”. Inizialmente influenzato da Cezanne, Matisse fu attratto in un secondo tempo anche dall’esperienza divisionista; tuttavia il suo animo lo portava verso il piacere del colore e verso la pittura intesa come “gioia di vivere”. - “Donna con cappello”, 1905: fu una delle nove opere dell’artista esposte al “Salon d’Automne”. L’insieme dei colori parve a un critico che visitò l’esposizione “una pentola di colori rovesciata in faccia al pubblico”. La donna era Amelie, la moglie di Matisse, la quale era ripresa di tre quarti, volgendo lo sguardo all’osservatore e mostrandosi nel suo ricco abbigliamento borghese dominato da un fastoso e monumentale cappello. un lungo guanto le copre la mano e il braccio e un ventaglio aperto in primo piano le copre il busto. La violenza delle tinte è il modo impiegato dall’artista per affermare se stesso e la propria personalità. I colori sono usati sia puri sia in unione (i gialli vengono accostati al violetto, il rosso al verde, il blu all’arancio). Matisse non cerca la somiglianza cromatica, ma, anzi ogni tinta ha una precisa funzione nel modellare le masse e nel creare le ombre: quelle del viso sono verdi e azzurre, mentre quelle del collo sono arancio. Una linea scura delinea i contorni di alcune parti della figura rendendola più incisiva.

- “La stanza rossa”, 1908: dipinto che si trova all’Ermitage di San Pietroburgo. I primari rosso, blu e giallo costituiscono le tinte dominanti. La costruzione prospettica è approssimativa. Da un lato è suggerita dalla sottile linea nera del bordo del tavolo e della piega della tovaglia appena accennata. L’aspetto piatto che esalta i colori e i decori, è confermato dal paesaggio al di là della finestra, dove alberi fioriti si stagliano contro un prato verde e un cielo azzurro, come in un suggestivo ricamo.

- “La danza”, 1909: fu un opera che ebbe una lunga gestazione e sul cui soggetto l’artista ritornò nuovamente circa venticinque anni dopo, con un trittico dalle dimensioni imponenti. Cinque fanciulle nude sono colte in una danza vertiginosa, mentre si tengono per mano muovendosi in circolo. Il ritmo convulso comporta che la danzante in primo piano lasci la mano della compagna e si lanci verso di lei per riprenderla e ricomporre così il cerchio. Il dipinto è realizzato da soli 3 colori principali: il verde brillante per il prato, il blu per il cielo e il rosso per i corpi delle fanciulle (il rosso e non il rosa allontana il soggetto dal suo colore naturale).

- “La musica”, 1910: l’artista rappresenta cinque figure maschili che suonano e cantano. A sinistra il violinista è l’unico rappresentato in piedi e le altre quattro figure sono sedute. Gli ultimi tre personaggi sulla destra stanno cantando e lo si nota dalla bocca aperta rappresentata. I colori, come nel quadro precedente, sono i tre principali: il blu del cielo, il verde brillante del prato e il rosso del corpo.

ESPRESSIONISMO Esprimere significa proprio portare fuori ciò che si prova dentro di noi, i nostri stati d’animo e le nostre idee. L’espressionismo è una ben definita corrente dell’avanguardia artistica del 900 a cui possiamo attribuire una precisa collocazione temporale: 1905- 1925. L’espressionismo era inteso come proiezione immediata di sentimenti e stati d’animo estremamente soggettivi, presenta per sua natura contenuti sociali, spunti dialettici, drammatiche testimonianze della realtà. Dietro ai colori violenti, alle forme sommarie, ai modellati angolosi, rispunta la vera anima tedesca. Parlando di espressionismo francese abbiamo Matisse e la sua violenza di colori sgargianti e accesi, manterrà sempre una giocosa serenità di sottofondo. Invece, in terra tedesca assistiamo a trasfigurazioni drammatiche. Forme e colori inizieranno una lotta furiosa che inizierà a dipingere i cieli di rosso o a raffigurare figure di scheletrica angolosità, non ci sarà più quel rapporto di reciprocità. Vogliono mettere in crisi ogni sentimento del bello, cosi come si era tramandato fino ad ora.

DIE BRUCKE Nel 1905 quattro studenti di architettura dell’Università di Dresda interrompono i propri studi per dedicarsi alla pittura. Nasce così il Die Brucke (il ponte). Non bastava essere artisti per iscriversi, bastava versare una modesta somma che dà diritto sia a partecipare alle riunioni sia a ricevere una raccolta di stampe a fine anno. Tra i suoi fondatori c’è da ricordare Kirchner, Heckel, Nolde. Il Die Brucke vuole porsi come l’ideale ponte tra vecchio e nuovo, contrapponendo all’ottocento realista e impressionista, un novecento violentemente espressionista e antinaturalista. Questo concetto di ponte tra vecchio e nuovo rappresenta il carattere fondamentale del gruppo che protrae ufficialmente la sua esistenza fino al 1913. Anche i soggetti dei dipinti sono abbastanza omogenei: si va da scene di realtà metropolitana a nudi nel paesaggio o in interni. In ogni caso ricorrono ad un’esagerata enfatizzazione dei colori e una voluta spigolosità delle forme.

Ernst Ludwig Kirchner: fu l’ispiratore e primo ammiratore della Brucke, formazione che attinge all’incisione del cinquecento tedesco, all’arte primitiva e al gusto per le stampe giapponesi, già diffusissimo anche in ambito impressionista.

- “Strada a Berlino”, 1913: in questi anni gli artisti sono dei ribelli. Kirchner vuole porsi in modo violento, in modo di rottura. Sono rappresentati signori della borghesia, lavoratori di una nuova classe sociale che investe il proprio denaro in altri investimenti. Questi signori si vestono bene e frequentano posti eleganti, però anche loro hanno i loro segreti. L’artista infatti vuol rappresentare una società contemporanea che tanto parla per bene ma in realtà anche loro hanno del marcio. Accanto si protagonisti ci sono delle signore vistose, forse delle prostitute. È descritto un mondo contemporaneo e vivace ma vogliono denunciarne la corruzione. C’è tanto nero, visi come se fossero maschere. Tema delle donne per strada in Kirchner che torna molto spesso.

Emil Nolde: pseudonimo di Emil Hansen, dal nome del paese natale “Nolde”, si unì alla Brucke nel 1906 su invito di Schmidt-Rottluff. Fu un altro straordinario protagonista della tormentata stagione impressionista. Proveniente dalle arti applicate, ammira molto Van Gogh e Munch, effettuò un lungo viaggio tra le culture primitive del Pacifico. Molti dei suoi soggetti sono a sfondo religioso e nella loro estrema crudezza rimandano alla tradizione germanica primitiva e alle suggestioni dei bestiari medioevali. Sono i suoi paesaggi carichi di colore ed espressività a interessare e influenzare i personaggi della Brucke, a cui Nolde insegna la tecnica dell’acquaforte. - “Natura morta di maschere”, 1911:

Karl-Schmidt Rottluff: dal nome del proprio paese, si distinse dagli altri membri del gruppo per la spiccata vocazione al paesaggio. Dal 1908 i suoi lavori diventano meno enfatici nella forma e nel colore, che occupano superfici sempre più ampie e regolari. Kirchner ama definire lo stile di Rottluff “impressionismo monumentale”, proprio per il costante legame con la natura, unito ad una forma sempre più semplificata e ad una composizione assai bilanciata. Otto Muller: si avvicinò alla Brucke nel 1910, la sua arte è sempre caratterizzata da un senso di armonia tra uomo e natura, come emerge dalle opere più tipiche, raffiguranti gruppi di gitani e nudi femminili immersi nel paesaggio e impaginati come quadri di Matisse e di Cézanne.

Edward Munch: fu uno dei primi e significativi esponenti nella pittura espressionista europea. In lui si ritrovano tutti i grandi temi sociali e psicologici del tempo: dall’incertezza del futuro alla disumanizzazione della società borghese, dalla solitudine umana al tragico incombere della morte, angoscia e crisi dei principali valori etici e religiosi. Nato in Norvegia nel 1863, si ritrovò a dover affrontare numerosi appuntamenti con la malattia e con la morte (sua madre e sua sorella) che costelleranno tutta l’esistenza dell’artista, influendo anche sulla maturazione di un pensiero fortemente negativo. Nel 1892 espone a Berlino una cinquantina dei suoi dipinti e il giudizio della critica è così drastico che solamente dopo una settimana la mostra viene sospesa. Successivamente nel 1914 la sua arte viene accettata dalla critica, anche se non del tutto compresa. Membro dell’Accademia tedesca delle arti e socio onorario dell’Accademia bavarese di arti figurative, nel 1937 conobbe le prime persecuzioni naziste e il regime hitleriano definì “degenerate” ben 82 sue opere, ordinandone il ritiro dai musei o la loro distruzione. L’artista è caratterizzato per avere questa visione della realtà profondamente permeata dal senso angoscioso della morte. La vicenda personale non ha sicuramente

aiutato l’artista, infatti, la precoce perdita dei cari, le frequenti crisi depressive e l’inquietudine interiore hanno portato il pittore a non vedere mai una luce di speranza.

- “Il grido” (L’Urlo), 1893: dove il simbolismo di Munch si fa più maturo e il suo messaggio più angosciante. L’artista grida di questo suo tormento interiore nella pittura. Questo quadro venne rubato due volte e questi furti lo resero ancora più famoso. Ce ne furono tre versioni. Munch aveva scritto nel suo diario “una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la citta e sotto di me il fiordo… Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato l’urlo”. Nella versione del 1895 riscrive la storia aggiungendo dei dettagli “Camminavo lungo la strada con due amici –quando il sole tramontò- il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue- mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto –sul fiordo nero azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco i miei amici continuavano a camminare e io tremavo di paura – e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”. La scena è altamente autobiografica e ricca di riferimenti simbolici. L’uomo in primo piano esprime il dramma collettivo dell’umanità intera. Il ponte richiama le mille difficoltà che nella vita si devono affrontare, mentre gli stessi amici che camminano, incuranti delle nostre emozioni, rappresentano con cruda disillusione la falsità dei rapporti umani. Come in ogni opera di Munch, la forma perde qualsiasi residuo naturalistico diventando preda delle angosce più profonde dell’artista. Al posto della testa vi è un enorme cranio senza capelli. Le narici sono mostruosamente ridotte a due fori, gli occhi sbarrati, le labbra nere rimandano alla morte. E l’urlo disperato che esce da quella bocca straziata si propaga nelle convulse pieghe di colore del cielo, della terra e del mare. È l’urlo di chi si sente perso dentro se stesso e si sente solo, inutile e disperato anche fra gli altri.

Egon Schiele: Nato in Austria nel 1890, Leon Egon Adolf Schiele compie i suoi primi studi nella cittadina natale per poi trasferirsi verso Vienna. Nel 1905 il piccolo artista rimane orfano di padre e passa sotto la tutela di uno zio. Questi acconsente a iscrivere il piccolo Egon all’Accademia di belle arti di Vienna, per accedere alla quale Schiele supera brillantemente l’esame d’ammissione ancora nel pieno dell’adolescenza. Schiele giunge in breve ad una sintesi stilistica e formale che già nel 1907 farà esclamare allo stesso Klimt “lei disegna già meglio di me!”. Nel 1914 approda di nuovo a Vienna dove conobbe la sua futura moglie Edith Harms. Proprio al periodo bellico risalgono i suoi lavori più belli e intensi nel 1918. Negli ultimi mesi del conflitto Vienna venne colpita da un’epidemia di febbre spagnola durante la quale morì Edith e dopo tre giorni Egon, all’età di appena 28 anni. L’attenzione artistica di Schiele è prepotentemente attratta dalla figura umana e dalla straordinaria gamma espressiva che essa offre. L’artista austriaco muove per rivendicare il valore dell’esperienza interiore e dell’estrinsecazione più o meno violenta delle passioni più profonde. Agitato e insoddisfatto scava nei propri personaggi per metterne a nudo l’anima, proiettando autobiograficamente in essi le stesse inquietudini che lo divorano.

CUBISMO I pittori cubisti si sforzano di costruire una nuova realtà, non necessariamente simile a quella che conosciamo, anche se a volte parallela. Il pittore cubista si figura di ruotare tra le mani l’oggetto da rappresentare, o, se si tratta di una persona, di girarle attorno. In questo modo egli non coglie più un solo aspetto, ma ne percepisce diversi in successione. Il nome stesso deriva dall’uso cubista di scomporre la realtà. Il Cubismo (come anche l’Impressionismo) una volta assunto il nome che gli era stato attribuito per scherno, ne fece la bandiera della più grande bandiera artistica del secolo. La storia del Cubismo si intreccia in modo indissolubile con quella dei suoi due principali artefici la cui amicizia nata a Parigi nel 1907 legherà i due maestri per tutta la vita. Il loro lavoro e la loro ricerca comune si consolidarono in breve fino a trasformarsi in una vera e propria cooperazione in cui esiti straordinari sono stati quelli di stimolare creativamente le rispettive personalità. “Andavo a trovare Braque al suo studio, oppure era lui che veniva da me. Ognuno di noi doveva vedere ciò che l’altro aveva fatto durante la giornata” (affermò Picasso). La data iniziale del Cubismo può essere ricondotta al 1907, anno nel quale Picasso dipinse “Les Demoiselles d’Avignon”. In quello stesso anno si tenne a Parigi una grande mostra retrospettiva dedicata a Cézanne la cui pittura ispirò ed esercitò un influsso fondamentale nel Cubismo.

Papiers collés e collages: per sottolineare il diverso uso che è possibile fare dei frammenti di realtà derivati dalla scomposizione analitica, Braque inventa la tecnica del “Papier collés”, in questo caso vengono applicati sulla tela ritagli di giornali e di carte da parati di varie qualità e colori. Picasso, invece, inventò la tecnica dei “collages” in cui vengono utilizzati materiali eterogenei quali stoffa, paglia, gesso o legno. Queste tecniche verranno riprese poi, successivamente, anche in ambito surrealista. In questo modo si è giunti a dissociare nettamente il colore dalla forma e a osservare l’indipendenza del primo dalla seconda.

Pablo Picasso: nato a Malaga nel 1881 suo padre lo avviò precocemente all’apprendistato artistico, il giovane dimostra uno straordinario talento tanto che a 14 anni espone un suo primo dipinto ad una mostra di Barcellona “a 13 anni dipingevo come Raffaello, ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Alla fine del primo conflitto mondiale Picasso alternò a grandi dipinti monumentali e vivaci riprese cubiste. Nel 1925 partecipò alla prima mostra surrealista alla Galerie Pierre di Parigi e negli anni ’30 allarga la sua esperienza surrealista anche alla scultura, introducendo anche l’utilizzo di diversi materiali. Periodo blu (1901-1904): nell’autunno del 1901 la pittura dell’artista oscillò tra l’ammirazione per Cézanne e le tematiche postimpressioniste, ebbe una prima svolta decisiva: si inaugura il così chiamato “periodo blu”. Tipo di pittura giocato tutto sui colori freddi (blu, azzurro, grigio, turchino), colori che rimandano ad uno stato d’animo cupo. I temi, infatti, attingono ad un repertorio di personaggi poveri e malinconici, segnati dal dolore e sconfitti dalla vita. - “Bambina con colomba”, 1901: quest’opera realizzata da Picasso nel 1901 fa pienamente parte del periodo blu, periodo nostalgico e malinconico dell’artista. La bambina con la colomba è l’immagine dell’anima che vive nel mondo dell’innocenza. La colomba rappresenta lo spirito santo e la protagonista la stringe a sé in modo molto affettuoso. I colori sono cupi così da evidenziare la tristezza e la povertà che prendono il sopravvento in questa raffigurazione. La pennellata è simbolo di una rottura con l’epoca precedente. I temi sono simili agli impressionisti, ma li fa a modo suo, con una pennellata molto forte.

- “Poveri in riva al mare”, 1903: questa viene considerata l’opera rappresentante per eccellenza del periodo blu di Picasso e la quale venne realizzata a Parigi. Mancano, infatti, tutti i colori caldi e non tutti gli elementi sono rappresentati: la terra è simboleggiata dalla spiaggia, l’acqua del mare e l’aria si identificano con il cielo. Non c’è alcun calore umano, né una luce di speranza. I tre personaggi scalzi e infreddoliti sono la dolorosa metafora moderna della “Sacra famiglia”. Hanno un misero aspetto, ma, spiccano per la dignità monumentale che assumono. nonostante l’utilizzo della tavolozza quasi monocroma, l’artista riesce comunque a differenziare marcatamente i tre elementi: terra (spiaggia); acqua (mare); aria (cielo). Le tre fasce orizzontali contrastano con la loro geometrica uniformità, con i tre personaggi in riva al mare in primo piano contribuendo così a isolarli al fine di sottolineare ulteriormente il loro dramma. Picasso era addolorato dal suicidio di un suo caro amico pittore. Si sentiva solo in quel luogo e lo aveva portato a disegnare la famiglia e l’affetto.

Periodo rosa (inizio 1906 - fine 1906): a partire dal 1906 la tavolozza di Picasso cambia colore improvvisamente, e, ai malinconici azzurri, si arriva ad un tiepido rosa, arancio e ocra. Questa fase di intensa produzione e di breve durata costituisce la logica prosecuzione della fase blu. Al mondo degli emarginati si sostituiscono soggetti ripresi in prevalenza dall’ambiente del circo e dei saltimbanchi. - “Famiglia di acrobati con scimmia”, 1905: lavoro interessante di questo periodo rosa. Picasso trovò ispirazione attraverso l’osservazione del Crique Médrano a Montmatre, attraverso lo studio di queste figure ha dato vita a questa importante composizione: i protagonisti sono una serie di acrobati e saltimbanchi facenti parte di un circo itinerante. Tutti i personaggi sono differenti e nonostante siano stati riprodotti come un gruppo, tutti sembrano sconnessi tra di loro. I colori utilizzati nella composizione sono vari: blu, rosso, marrone, ma soprattutto il rosa, declinato in varie tonalità e che domina gran parte dell’ambiente. - “I Saltimbanchi”, 1905: la tavolozza dell’artista si riscalda progressivamente, utilizzando così varie e delicate gradazioni di rosso, di rosa e di arancione. L’opera ripropone il tema della famiglia il quale era assai caro all’artista. I sei personaggi sono colti in un momento di silenziosa attesa e la loro serietà pensosa è in contrasto con i costumi esuberanti e di colori vivaci in cui sono rappresentati. Picasso fu sempre affascinato della vita da circense, andava spesso al circo “Medrano”. Egli interpreta la dura quotidianità dei clown, acrobati e giocolieri con grande sensibilità e discrezione, mettendone in evidenza la miser...


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