Il caso di Anna O - Appunti di lezione 1-2 PDF

Title Il caso di Anna O - Appunti di lezione 1-2
Author FEDERICA MANDELLI
Course Psicologia dinamica
Institution Università degli Studi di Bergamo
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Summary

il caso di Anna O. Barbetta...


Description

Anna O, Breuer e Freud Joseph Breuer era un esperto in materia di isteria. In quell’epoca era anche la figura più importante nel mondo dell’ipnosi clinica. Freud divenne il suo apprendista e lo ammirava profondamente. Insieme scrissero le prime righe di quella che sarebbe diventata la storia della psicoanalisi. Anna O rappresentò un caso decisivo perché entrambi avanzassero nella comprensione della mente umana. A quel tempo l’isteria era vista come una malattia esclusiva delle donne. Si supponeva che a volte fingessero di avere problemi fisici solo al fine di attirare l’attenzione. Breuer, invece, era convinto che non mentissero e anche Freud la pensava allo stesso modo. In altre parole, nessuno dei due pensava che si trattasse di una simulazione. Anna O era una giovane di 21 anni, austriaca e proveniente da una famiglia benestante. Era una ragazza particolarmente intelligente e istruita. Tuttavia, iniziò a presentare molti sintomi bizzarri. Entrava in una sorta di “trance” che lei chiamava “nuvole”. Soffriva di allucinazioni in cui vedeva serpenti e teschi. Rimaneva muta. Rimaneva paralizzata. Non riusciva a bere liquidi. A volte dimenticava la sua lingua madre, il tedesco, e riusciva a parlare solo in inglese o in francese. Breuer cominciò a trattarla quando aveva una tosse persistente che la sfiniva. Presentava anche una paralisi al volto, a un braccio e a una gamba. Il padre soffriva di adenite tubercolare ed era lei che lo aveva assistito durante la malattia. Ma ella stessa cominciò ad ammalarsi. Anna O e la cura attraverso la parola Joseph Breuer la ipnotizzò, ma si rese conto che così facendo riusciva a ottenere solo racconti molto caotici. La seconda volta che la ipnotizzò, le chiese se qualcosa la disturbava. Anna O rispose con questa frase: “Ajamáis acht nobody bella mió please lieboehn nuit”. Una frase in cinque lingue. Breuer decise, in modo intuitivo, che avrebbe trattato Anna O senza ipnosi. Da allora Breuer focalizzò il trattamento sull’ascolto come strumento principale. Incoraggiava Anna O perché parlasse e dicesse tutto quello che le veniva in mente. I sintomi migliorarono e apparvero le fondamenta di quello che sarebbe stato il metodo della libera associazione o della associazione libera. Anna O iniziò a chiamare queste sessioni “pulizia dei camini” o “cura attraverso la parola”. Ed è sotto quest’ultima accezione con cui è conosciuta la psicoanalisi nella storia. Breuer, nel frattempo, diede a questo processo il nome di “metodo catartico”. La cura di Anna O e l’inizio della psicoanalisi Il processo terapeutico con Anna O ebbe molti alti e bassi. Alla fine, lei si innamorò di Breuer e sviluppò una forte dipendenza da lui. Anche lui sentiva attrazione nei confronti della ragazza. Visto che era sposato, decise di interrompere il trattamento. Qualche tempo dopo, Freud scoprì in questi fatti il fenomeno del “transfert” e il desiderio sessuale alla base dell’isteria. Anna O venne internata due volte e presentò diverse ricadute. Eppure, ci fu un momento in cui riuscì a tenere sotto controllo tutti i sintomi che la affliggevano. Divenne un’attivista per i diritti delle donne e dei bambini. Fu anche una scrittrice e traduttrice di una certa importanza. La sua vita intraprese un corso che si potrebbe definire “normale”. Undici anni dopo, Joseph Breuer e Sigmund Freud pubblicarono una delle opere in cui la psicoanalisi apparve come un approccio differenziato. Si tratta del libro “Studi sull’isteria”. Il caso di Anna O è in definitiva il più illustrativo in quest’opera. Molti arrivano a dire, naturalmente in modo simbolico, che furono l’isteria e Anna O ad aver inventato la psicanalisi. Va precisato che Freud non conobbe mai Anna O, ma ne sentì solamente parlare dall’amico e collega Josef Breuer, che l’aveva avuta in cura. Non a caso Freud, parlando del caso di Anna O., ha sempre attribuito al suo amico e maestro Josef Breuer la scoperta del metodo ipnotico-catartico che era servito per curare la paziente. A se stesso attribuiva invece il merito di aver compreso ed ampliato i meccanismi profondi sfuggiti al collega viennese, avendo così lo spunto per la creazione di una nuova disciplina: la psicoanalisi. L’uomo dei topi “L’uomo dei Topi” fu un paziente di Sigmund Freud, il cui “caso clinico” fu pubblicato con il titolo: Bemerkungen über einen Fall von Zwangsneurose, 1909). Questo fu il secondo dei sei casi clinici pubblicati da Freud e il primo curato con la psicoanalisi. Il nome di copertura deriva dal fatto che tra le molte compulsioni del paziente c’era un’ossessione per fantasie da incubo centrate sui topi. Come negli altri casi clinici pubblicati, per proteggere l’anonimato del paziente, Freud usò un soprannome (“Anna O“; “Il piccolo Hans“; “L’uomo dei lupi”, ecc.). L‘Uomo dei Topi era in realtà un avvocato di circa trent’anni, di nome Ernst (oppure Paul) Lanzer, vissuto fra il 1878 e il 1914, che aveva sofferto fin dalla prima infanzia di impulsi

ossessivi, aggravatisi negli ultimi quattro anni, al punto di compromettere sia la sua vita privata, sia quella lavorativa. L’analisi con Freud iniziò il 1 ottobre del 1907 e durò solo undici mesi. Freud parlò di questo caso ai colleghi delle riunioni del mercoledì, che si tenevano nel suo studio, per poi proporre l’argomento nel congresso di Salisburgo, il 27 aprile del 1908, circa sei mesi dopo la presa in carico del paziente. Freud espose questo caso clinico, che possiamo trovare anche nel libro Cinque Conferenze sulla Psicoanalisi, con il titolo: “Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva”. Il paziente aveva consultato Freud perché soffriva di ossessioni (relative a due persone a lui care, suo padre e una donna di cui era ‘ammiratore’, che poi divenne sua moglie) ed inoltre perché provava forti impulsi, come quello di tagliarsi la gola con un rasoio. Inoltre, si costruiva divieti che potevano riferirsi anche a situazioni insignificanti. L’Uomo dei Topi accettò di ripercorrere tutti gli eventi più significativi della sua infanzia insieme a Freud. Il trauma all’origine dei problemi di questo paziente era avvenuto in tempi molto recenti, precisamente durante il servizio militare, prestato in Galizia, con la carica di sottotenente. L’Uomo dei Topi aveva sviluppato infatti il timore di un supplizio orientale, descrittogli dal suo Capitano (un militare conosciuto da tutti come amante delle crudeltà) in cui alcuni topi venivano indotti a farsi strada nell’ano di un criminale. La sua ossessione era che questa punizione dei ratti avrebbe potuto avere come vittima sia la donna che avrebbe eventualmente sposato, sia suo padre, che egli amava e che era morto da anni. Da bambino, l’Uomo dei Topi si era “comportato male come un topo”, nel senso che aveva morso qualcuno, probabilmente la sua governante. L’Uomo dei Topi fu picchiato per questo da suo padre, il che fece nascere in lui un odio profondo verso il genitore. Secondo il ragionamento di Freud, il ricordo della punizione paterna per il suo morso aveva determinato in quest’uomo un’ostilità repressa verso il padre. Questo antagonismo, a sua volta, aveva presumibilmente generato il desiderio inconscio che il padre potesse subire il particolare supplizio della penetrazione anale da parte di ratti mordaci. Poiché il desiderio di vendetta era inaccettabile alla coscienza, egli lo aveva represso, trasformandolo in un timore ossessivo cosciente che il padre divenisse vittima del supplizio dei ratti, attraverso una “formazione reattiva.” Freud interpretò dunque l’ossessione dei ratti come una difesa nevrotica contro il desiderio inaccettabile che il padre subisse il particolare supplizio della penetrazione dei ratti, ritenendo che l’orrore conscio del paziente fosse solo un mascheramento di un godimento inconscio. Freud osservò, a questo proposito, la faccia del suo paziente, mentre gli raccontava questo problema, deducendone che quella bizzarra espressione che il paziente mostrava poteva corrispondere solo all’ “orrore di un godimento da lui stesso ignorato”. Con questo paziente il transfert si fece esplicito perché, durante l’analisi, l’Uomo dei Topi arrivò a chiamare Freud ‘Mio Capitano’. Questa analisi permise a Freud di affinare la sua comprensione della nevrosi ossessiva ed in particolare del ruolo che vi giocano l’odio ed il godimento, l’ambivalenza dei sentimenti (accompagnata dall’idealizzazione dell’oggetto d’amore e dalla svalutazione della sessualità), l’eccessivo investimento anale del denaro, la colpa, legata a sentimenti di morte provati nei confronti del padre (di cui il capitano era sicuramente una delle figure fantasmatiche). Freud si soffermò anche sul tema dell’autoerotismo, poiché aveva notato che la maggior parte dei pazienti nevrotici tendeva ad imputare i propri disturbi alla masturbazione adolescenziale. Lanzer interruppe la sua analisi con Freud dopo un periodo relativamente breve e ben prima che il suo transfert fosse stato completamente risolto. Freud completò la versione scritta del caso nell’ottobre 1909 e in quel tempo confessò a Jung che il suo paziente aveva ancora dei problemi non risolti. Lanzer fu ucciso durante la prima guerra mondiale. La Nevrosi Ossessiva L’approccio alla nevrosi ossessiva è rimasto ancorato ai concetti espressi da Freud in questo caso clinico anche se, in seguito, alla nevrosi ossessiva propriamente detta, si sono aggiunte osservazioni sulle “manifestazioni ossessive”, il “carattere ossessivo”, lo “stile ossessivo”, ecc. Sono state anche delineate le caratteristiche di questo disturbo, caratterizzato dalle difese psichiche dell’isolamento, lo spostamento, l’annullamento, la depersonalizzazione. Anna Freud al Congresso dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale del 1965 tornò sulla Nevrosi Ossessiva ribadendo la centralità dei fattori costituzionali relativi alle tendenze sadico-anali e la scelta, da parte del nevrotico, di quegli specifici

meccanismi di difesa che finiscono per determinare il classico quadro sintomatologico della nevrosi ossessiva. L’uomo dei lupi Sergei Konstantinovitch Pankejeff è passato alla storia come l’uomo dei lupi. Il suo caso comparve per la prima volta nel saggio di Sigmund Freud "Dalla storia di una nevrosi infantile". È uno dei casi più paradigmatici in psicoanalisi poiché supporta molte delle tesi freudiane. Sergei Pankejeff, l’uomo dei lupi, si presentò nello studio di Freud all’età di 23 anni e vi restò in cura per quattro anni, dal 1910 al 1914. Il paziente, di origine russa, aveva una madre ossessionata dalle malattie e un padre che presentava fasi alternate di depressione e iperattività. Uno degli zii paterni, che soffriva di paranoia, viveva come un eremita tra gli animali. Un altro zio era stato protagonista di uno scandalo, avendo obbligato la fidanzata del figlio a sposarlo. Un suo cugino, infine, soffriva di delirio di persecuzione. Insomma, l’ambiente familiare dell’uomo dei lupi presentava gravi segni di instabilità. Quando l’uomo dei lupi aveva 15 anni, la sua unica sorella, maggiore di due anni, si tolse la vita. Un anno prima la ragazza aveva mostrato gravi segni di depressione. Qualche anno dopo, anche il padre si suicidò. A 17 anni Pankejeff contrasse la gonorrea da una prostituta e a partire da questo momento cominciò a soffrire di episodi depressivi e fu ricoverato in varie cliniche. Gli fu diagnosticato un disturbo maniaco depressivo. Allo stesso tempo, fu colpito da gravi problemi di salute, soprattutto una stitichezza cronica e un disturbo gastro-intestinale molto doloroso. Quando giunse nello studio di Freud, il giovane Sergei era fisicamente molto provato. Nei primi mesi, la sua reazione alla terapia fu ermetica. Il ragazzo non mostrava alcun interesse nei confronti della psicoanalisi, sebbene seguisse tutte le indicazioni fornite dall’illustre medico. Per toglierlo dalla passività e restituirlo all’iniziativa, Freud gli comunicò che la terapia si sarebbe conclusa da lì a qualche mese. Si era già stabilito un legame tra i due e, conscio che la terapia aveva un termine preciso, l’uomo dei lupi cominciò a impegnarsi, recando finalmente apporti significativi alle sessioni. Fu la svolta che permise di elaborare il suo caso. Il caso venne battezzato “L’uomo dei lupi” per via di un sogno fatto da Pankejeff, che permise a Freud di delineare la dinamica del suo inconscio. Il sogno, in realtà, risaliva a molto tempo prima, quando il paziente aveva quattro anni e mezzo, ma era stato così intenso da lasciare nel giovane una forte impressione. Nel sogno Sergei vedeva la finestra della sua camera da letto aprirsi da sola. Era inverno. Sui rami di un grosso noce erano seduti sei o sette lupi bianchi. Avevano code folte come quelle delle volpi e tenevano le orecchie diritte, come fanno i cani. Erano tranquilli, ma tutti lo osservavano con insistenza. Il bambino ne aveva avuto profondo terrore e si era svegliato gridando. La sensazione era di un’immagine molto reale. Pankejeff aveva fatto un disegno del sogno per Freud. In psicoanalisi, i sogni sono geroglifici in attesa di essere decifrati. Gli elementi che vi appaiono sono simbolici e, a partire dal vissuto del paziente, è possibile stabilire associazioni che danno significato al contenuto onirico. Fu quanto fece Freud negli anni successivi con l’uomo dei lupi. A partire dal sogno dei lupi, Freud iniziò un percorso a ritroso nelle esperienze infantili del paziente. Scoprì che quando Pankejeff era un bambino di un anno e mezzo, aveva assistito a un amplesso tra i genitori. A partire da ciò, Freud forgiò il concetto di scena primaria. Vi erano state anche esperienze sessuali infantili con la sorella e un tentativo di seduzione e successivo rifiuto verso la sua tata. Emerse anche un rapporto ossessivo con la religione. Il giovane pregava diverse ore al giorno e baciava le immagini dei santi prima di andare a dormire. Non poteva, tuttavia, evitare di sentirsi male per tutto quello che faceva o pensava. Dopo aver percorso nel dettaglio questa costellazione esperienziale, Freud classificò i disturbi di Pankejeff come un caso di omosessualità repressa. A suo avviso, Sergei guarì grazie alla psicoanalisi. Dopo la prima guerra mondiale, tuttavia, il paziente tornò in analisi, questa volta con un altro psicoanalista. Più tardi pubblicò un’autobiografia in cui scrisse – che sia vero o falso non ci è dato sapere – che il sogno dei lupi era stata una sua invenzione. Il caso è andato incontro a centinaia di reinterpretazioni nel corso degli anni e ancora oggi genera diverse polemiche....


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