Il genere comico anni Venti PDF

Title Il genere comico anni Venti
Course Cinema e televisione
Institution Università degli Studi di Bergamo
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IL GENERE COMICO anni Vent Intanto la guerra volgeva al termine. Il cinema americano aveva ormai raggiunto la sua piena maturità linguistica, mentre l'industria si era andata strutturando in un solido sistema industriale. Il genere comico si era andato fortemente sviluppato negli anni dieci sotto la forma dello slapstick. Esso restò fino agli anni Venti relegato a produzioni di cortometraggio ma, vista la sua grande popolarità ed il positivo riscontro economico, in questo decennio iniziano ad essere prodotti i primi lungometraggi comici, mentre la produzione di corti andrà via via scomparendo. Più la durata dei film andava allungandosi, più complesse ed articolare si facevano le sceneggiature, i personaggi andavano assumendo caratteristiche fisiche e psicologiche sempre più marcate, la farsa cedeva il passo alla commedia. Nonostante i maggiori autori del genere continuassero ad inserire nei loro film numerose gag tipiche dello slapstick, talvolta anche a discapito della linearità del racconto, la formula era in ogni caso vincente come dimostra la popolarità che il genere detenne lungo tutto il decennio. Charlie Chaplin fu senz'altro l'autore più conosciuto del genere. Durante gli anni della guerra, aveva continuato a produrre cortometraggi di gran valore con la Essanay e la Mutual Film. La sua fama era ormai internazionale, quando si unì, nel 1919 alla United Artists. Sarà con questa casa che Chaplin distribuirà tutti i suoi lungometraggi. Se molte pagine sono state scritte sul personaggio di Charlot, meno numerose sono state le analisi condotte sugli aspetti tecnici e linguistici del suo cinema, sul Chaplin come regista. Egli scriveva, dirigeva, interpretava, montava, produceva i suoi film e ne scriveva le musiche. Charlot, questo il nome dato alla sua maschera, è un vagabondo, vestito come un con una bombetta nera, uno smoking sgualcito, bastone e due grandi scarpe calzate al contrario. I suoi abiti, benché malandati, sono quelli di un vero gentleman inglese. Charlot è il non integrato, l'estraneo, lo straniero, alla ricerca dell'accettazione sociale. Egli incarna l’aspirazione alla dignità di ogni essere umano. Si serve dei panni dell'emarginato per scagliare la sua satira contro l'altro lato del sogno americano, le contraddizioni di quel sistema che stava rendendo ricchi molti americani. Con Chaplin si va oltre lo slapstick: la maschera si fa personaggio, la risata non è più fine a se stessa. Era l'uomo-cinema eppure lo stile della sua regia è, sotto certi aspetti, il meno cinematografico di tutti. Ad esempio, egli colloca la cinepresa in modo da riprendere la scena come se gli attori agissero su un palcoscenico teatrale, la cinepresa non manifesta mai la sua presenza, non si sposta per seguire i personaggi. Chaplin usa sporadicamente i primi piani, poco frequenti sono i tagli di montaggio. Il suo cinema non mette al centro né la regia, né il montaggio, ma l'attore. Tutto sul set deve essere predisposto affinché la sua performance risulti intelligibile anche ad un bambino. Questo stile lineare ed asciutto, che Chaplin deriva dall'opera di MaxLinder, è, nonostante tutto, il frutto di un lavoro meticolosissimo e curato in ogni dettaglio. Chaplin arrivava a ripetere centinaia di volta una stessa scena finché non riusciva ad eseguirla alla perfezione. Il monello, del 1921, fu il suo primo lungometraggio e, a suo stesso dire, uno dei suoi film più riusciti. Chaplin vi interpreta il suo personaggio di sempre, stavolta alle prese con un trovatello che ha raccolto neonato per strada e di cui è divenuto un affettuoso padre adottivo. Nel film, Chaplin è un misero vetraio che vive di espedienti, il monello, interpretato Jackie Coogan, è un ragazzino di cinque anni che lo “aiuta” nella attività scagliando sassi contro i vetri delle finestre. Alle esilaranti risate che scaturiscono dalle numerose gags, si mescola la profonda commozione suscitata dal grande amore che lega i due protagonisti. Un amore anarchico e spontaneo, oltre tutte quelle regole che

severi poliziotti e impettite dame di carità tentano di ristabilire. Il lieto fine è soltanto apparente: la vera madre, ormai attrice acclamata, ritroverà il figlio che era stata costretta ad abbandonare, l'ultima scena del film ci mostra il vetraio che entra insieme al bimbo nella villa della sua vera madre, ma la porta che si richiude ci impedisce di vedere il resto. La fine che si lascia ipotizzare non può che essere quella intravista nella sequenza del sogno con l'angelo Chaplin rimane da solo. Resta cioè il vagabondo, l'uomo che cerca di essere accettato, le cui ribellioni contro il mondo corrotto dalla spasmodica ricerca di denaro e potere, che puntualmente lo espelle, sono destinate al fallimento. Chaplin curò personalmente ogni fase della lavorazione de Il monello, dalla sceneggiatura al montaggio finale, applicandovi con una meticolosità perfino superiore agli standard per i quali era già noto. Il suo stile raggiunge qui la sua perfezione e più completa maturità. Chaplin continuò, infatti, a produrre film muti ancora per quasi un decennio. Luci della città , che Chaplin girò nel 1931, è sostanzialmente un film muto con una colonna sonora e musiche sincronizzate. È nel successivo Tempi moderni (1936) che il vagabondo farà sentire per la prima volta la sua voce. Tempi moderni si distingue, più di ogni altro film di Chaplin, per la sua feroce satira sociale. "L'umanità in marcia verso il progresso", leggiamo nei titoli di testa e un branco di pecore bianche sfila sullo schermo. Se Tempi moderni è il primo film in cui udiamo la voce di Chaplin è anche l'ultimo film in cui lo vedremo vestire i panni del vagabondo. Con questo film Chaplin fa uscire definitivamente di scena il personaggio che lo aveva reso celebre. Nel finale del film lo vedremo ancora allontanarsi sulla strada che si perde verso l'orizzonte stavolta, però, non più da solo. Nel successivo film, Il Grande Dittatore (1939), suo primo film completamente sonoro, Chaplin vestirà i panni di un barbiere ebreo e del tremendo AdenoidHynke, parodia riuscitissima dell'uomo che stava scatenando il Secondo Conflitto Mondiale. Dopo la guerra, quando l'internamento e lo sterminio degli Ebrei furono noti, Chaplin dichiarò che non avrebbe realizzato il film se solo avesse potuto immaginare cosa era realmente accaduto nei campi di concentramento. Il film gli valse due candidature agli Oscar, ma nessuna statuetta. Benché vivesse e lavorasse negli Stati Uniti da molti anni, Chaplin non chiese mai la cittadinanza statunitense. Inoltre i suoi film, ed in particolar modo Tempi Moderni, avevano spesse volte messo in evidenza le contraddizioni della società americana. Per queste ragioni Chaplin divenne bersaglio del movimento innescato dal senatore Joseph McCarthy, venendo più volte accusato di filocomunismo. Nel 1952, mentre si trovava in Europa per l'uscita di Luci della ribalta gli venne negato il visto di ingresso negli Stati Uniti. Così decise di ritirarsi in Svizzera dove si spense la notte di Natale del 1977....


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