Il girasole da stampare PDF

Title Il girasole da stampare
Course Etica Sociale
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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riassunto del libro il girasole per etica sociale...


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IL GIRASOLE SIMON WISENTHAL I limiti del perdono

SINOPSI: Nel 1942, a Leopoli (Ucraina), una SS morente chiede a un ebreo il perdono per i crimini che ha commesso. A rifiutare questa grazia al giovane nazista è Simon Wiesenthal: che dopo la guerra diventerà l'implacabile «cacciatore dei nazist», oltre che autore di diversi libri. Finita la guerra, quel rifiuto continua a tubare Wiesenthal: ne discute con gli amici, va a visitare l'anziana madre della SS, infine decide di raccontare quella vicenda (con grande intensità) per chiedere a sé stesso e ad altri testimoni e intellettuali se ha commesso un errore, negando il perdono. RIASSUNTO: L’ebreo Simon (giovane architetto) racconta la sua storia in un lager di Leopoli (Ucraina). Nel lager si troveranno uomini di diversa estrazione sociale: ricchi e poveri, colti e analfabeti, religiosi e miscredenti. Un destino comune li aveva resi tutti uguali. Simon nel lager era legato, al suo amico Arthur (avvocato e scrittore) e Josek (estremamente religioso, faceva il commerciante) il nuovo arrivato, al quale raccontava sempre i suoi aneddoti e cercava di riportare tutti sulla strada della fede , dimenticando a volte dove si trovava. I tre amici non credevano che sarebbero sopravvissuti a quell’orrore. Ma erano convinti che i tedeschi alla fine non sarebbero rimasti impuniti. Le SS periodicamente facevano delle registrazioni, che nel loro linguaggio non significa soltanto fare l’inventario, ma anche eliminare i prigionieri con la morte. Simon e i suoi amici lavoravano nelle officine delle ferrovie dell’est. Dai tedeschi molti erano considerati di razza inferiore. Solo i Volksdeutsche (cittadini tedeschi), avevano una posizione più tollerabile e alcuni di loro avevano compassione per i prigionieri, altri invece li umiliavano. Con il lavoro nelle officine delle ferrovie a volte i prigionieri non tornavano nel lager, perciò speravano di rimanere lì per sempre. Nei lager si moriva ogni giorno, i prigionieri venivano umiliati e uccisi, altri non riuscivano a sopportarlo e si toglievano la vita, risparmiandosi innumerevoli tormenti. Gli abitant di Leopoli si erano ormai abituati alla vista degli ebrei perseguitati. Sembrava che tutti accettassero con indifferenza quell’orrore. Durante una camminata, i prigionieri passarono per la città sotto lo sguardo dei cittadini e alcuni vecchi amici, e tra i campi, Simon vide centinaia di girasoli, vicino a un cimitero che avevano destato in lui nuovi pensieri. A Leopoli sorgevano continuamente nuove imprese, le quali come manodopera usavano i prigionieri, esonerando in questo modo la loro gente dal servizio militare. C’era corruzione nella gestione delle filiali che usavano a sproposito gli ebrei come manodopera. Nonostante ciò gli ebrei, però, erano contenti nel fare lavoro esterno perché non era pesante. Anche le istituzioni accademiche non concedevano uguali diritti agli studenti, c’erano infatti le “ giornate senza ebrei”. Simon insieme ad altri prigionieri era stato portato al politecnico. Il politecnico di Leopoli era stato trasformato in un ospedale militare. Simon viene prelevato e condotto da un’infermiera in una stanza dell’edificio, dove si trovava una SS morente di 21 anni, lasciati i due da soli, la SS nel suo delirio gli racconta il suo rapporto con la madre e il padre, il suo passato, la sua esperienza nella campagna contro la Russia, i suoi atti orrendi commessi contro gli ebrei, e ricorda uno in particolare in cui lo vede tra i protagonisti dell’uccisione di un gruppo di ebrei bruciati in una stanza. Racconta di come aveva sparato contro un padre e suo figlio che tentavano di sfuggire dall’inferno delle fiamme. Quelle immagini tormentavano la SS. Questi atti orrendi commessi contro gli ebrei erano giustificati dal fatto che secondo l’ideologia nazista, loro erano responsabili di tutti i mali dell’umanità e per tale motivo non erano degni di essere considerati uomini. Inizialmente Simon udendo tutto questo, tento di andarsene ma la SS voleva finire il suo racconto e a quel punto anche Simon, voleva sapere fino a che punto può arrivare la malvagità nazista e così rimase in silenzio ad ascoltare il racconto. Inizialmente Simon nonostante si trovassi a disagio, accetta che la SS prenda la sua mano e persino gli scaccia una mosca dalla testa, atto seguito da un ringraziamento da parte della SS.

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La SS si interrompe più volte nel suo racconto e poi riprende e ricorda come al fronte con la Russia venne colpito da una granata e qualche istante prima gli vengono in mente i ricordi di quella famiglia uccisa da lui a colpi di fucile mentre tentavano di scappare, e ora si trova lui reduce dalle bruciature su tutto il corpo e in fin di vita. La SS cerca la compassione di Simon, cerca continuamente la sua mano, ma Simon non tollera più tutto quel racconto e non prova più compassione. La SS vuole morire in pace, ma non può perché il ricordo di quella famiglia da lui uccisa lo tormenta costantemente, e ha un bisogno imminente di chiedere perdono ad un ebreo per poter morire in pace. Simon lo guarda disteso per l’ultma volta, vede già sulla tomba della SS un fiorire, un girasole e abbandona la stanza rapidamente e raggiunge i suoi compagni, giusto in tempo per un piatto di zuppa offerto dall’ospedale militare che giaceva su quello che una volta era il politecnico di Leopoli, dove Simon si era laureato. Tornato nel Lager, Simon rivede i suoi amici Arthur e Josek. E voleva confrontarsi con loro riguardo l’accaduto, nonostante inizialmente si mostri titubante, finisce per raccontare l’intera vicenda, perché voleva un giudizio valido. E mentre per Arthur non si poteva perdonare, perché non si aveva l’autorizzazione di tutti gli ebrei che avevano sofferto e contnuavano a soffrire, Josek non solo avrebbe non perdonato con indifferenza ma in piena conoscenza (questo stupisce Simon). Non c’era altro da dire, ciò che si poteva dire, in quei tempi orribili, era stato detto. Così non toccarono più l’argomento. Il giorno dopo Simon dovette tornare nell’ospedale militare. L’infermiera che l’aveva prelevato il giorno prima lo ritrovò e gli chiese di accompagnarla nuovamente, questa volta lo portò in una stanza diversa dalla prima volta, e gli consegnò un fagotto/pacco verde, spiegandoli che la SS era morta quella notte e gli aveva fatto promettere di consegnare tutto quello che li era rimasto all’ebreo con cui aveva parlato, tu†o tranne l’orologio di cresima che gli aveva fatto mandare a sua madre. Simon si rifiutò di prenderlo e torno insieme ai suoi compagni. Tornato nel campo di concentramento raccontò la vicenda ai suoi amici. Tutti dissero che aveva fatto bene a non prendere nulla delle cose lasciate dal morto. Passarono due anni. Arthur era morto durante un’epidemia di tfo. Anche Josek era morto, da una pallottola concessa da una SS che un giorno lo trovo troppo debole e decise che la sua era arrivata. Visto che l’Armata Rossa si stava avvicinando, le SS risparmiavano pallottole. Il pensiero della SS morente accompagnò Simon in quelli anni, anche se non sempre si fece presente. Un giorno arrivò un nuovo convoglio nella baracca dove si trovava Simon, si chiamava Bolek, giovane polacco, veniva dal lager di Auschwitz, era stato evacuato all’avvicinarsi dei russi. Bolek aveva studiato teologia. Simon racconta anche a lui la sua vicenda con la SS morente. Bolek gli spiega che Simon poteva perdonare qualcosa che fosse stato fatto a lui direttamente, ma d’altra parte a chi avrebbe dovuto rivolgersi la SS. E quindi Simon rappresentava per la SS tutti gli ebrei coinvolt in un destno comune. Quindi in un certo senso la SS è morta in pace perché aveva confessato le sue colpe commesse su un gruppo di persone che per lui erano rappresentate tutte in Simon. Bolek e Simon, parlarono a lungo ma non trovarono una soluzione. Arrivò l’ora di tornare a casa, Simon perse le tracce di Bolek, dopo la liberazione. La Polonia era per Simon, ormai un cimitero. Dopo la liberazione Simon si unì a una commissione d’inchiesta sui criminali nazist. Nell’estate del 1946, Simon insieme alla moglie e a un gruppo di amici, fece una gita nei dintorni di Linz (Austria), mentre si guardava intorno vide dietro un cespuglio un girasole, che lo portò a ricordare la SS morente e quell’incontro nel politecnico di Leopoli, divenuto all’epoca ospedale militare. Gli tornò in mente il fagotto che la SS aveva lasciato per lui con l’infermiera. Così, si recò a Stoccarda, che era immersa nella rovina e si informò sulla strada dove abitava la madre della SS, voleva farsi un’idea della personalità della SS, stando a stretto contatto con le sue origini. Quando arrivò nella casa, la signora lo fece entrare e riconobbe subito in un quadro la SS, finalmente aveva un nome, si chiamava Karl. La signora gli chiese di suo figlio, Simon non voleva rovinare l’immagine del bravo figlio a una povera anziana che aveva perso tutto, così gli disse una bugia, cioè che aveva incontrato Karl su un treno ospedale e dal finestrino le aveva dato un bigliettino con l’indirizzo della madre, chiedendoli di portarle i saluti. La signora gli raccontò di come era orgogliosa di suo figlio Karl, di come era cambiato dopo che si era arruolato volontario nelle SS, di come il padre non era d’accordo di quella decisione. La donna raccontò di come vide un giorno portare via gli ebrei e anche il loro medico di famiglia. La propaganda nazista diceva che gli ebrei venivano trasferiti. Hitler regalava loro un’intera provincia, in cui vivere indisturbati fra i loro simili.

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Ma dopo si sentirono parlare delle brutalità con cui li trattavano le SS, e anche Karl era una di quelle. Poi la donna scrutò attentamente Simon e si accorse che non era un tedesco e Simon gli disse che era ebreo, la donna si senti imbarazzata. E anche con lei Simon, si confronta sulla vicenda della colpa del destino degli ebrei. E nel racconto della donna, nella descrizione di suo figlio Karl, Simon poté completare l’immagine della SS, e confermare che non lo aveva ingannato, che da piccolo Karl era veramente stata una brava persona, cresciuto da brave persone, ma con questo Simon non aveva trovato la soluzione al suo problema. IL DIBATTITO: Questa vicenda continuò a tormentare Simon. Così decise di fissarla per iscritto, e alla fine del suo racconto rivolge la domanda che ancora oggi merita una riposta, per il suo significato politico, filosofico e religioso: “Ho avuto ragione o torto negando il perdono?». Nel dibattito Simon si rivolge e chiede l’opinione dei suoi contemporanei: di coloro che hanno sofferto con lui, e di quelli che lui considera, per varie ragioni, delle autorità in campo morale. Alla domanda di Simon Wiesenthal rispondono: 1. Sven Alkalaj (primo ambasciatore della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina negli Usa. Discendente di una famiglia ebraica): egli respinge l’idea di colpa collettiva, ma crede che esista una responsabilità nazionale o statale del genocidio o della creazione di quel genocidio. 2. Jean Amery (critico e saggista, aderì alla Resistenza belga, fu internato ad Auschwitz): lui risponde che nella posizione di Simon Wiesenthal, si sarebbe mostrato più tollerante nei confronti della SS, e distingue tra: ⁃ un perdono psicologico (nel senso che costituisce una questione di sentimento). Spiega che probabilmente in circostanze poco diverse (vedendo i suoi occhi, se avessi saputo che un tedesco aveva aiutato un suo parente), S. W, avrebbe potuto perdonare; -‐ un perdono politco, Jean, vede le cause del genocidio solo di origini politche, e rifiuta qualunque conciliazione con i criminali e con tutti quelli che hanno aiutato a preparare atti indicibili. 3. Stefan Andres (scrittore tedesco): secondo lui la domanda di S.W. non troverà risposta all’esterno, ma solo al suo interno, nella sua coscienza. Dice che nessuna penitenza religiosa può liberare un criminale dalle conseguenze terrene del suo delitto: Chi si pente è tenuto a riparare al male fatto, nella misura in cui gli è possibile. 4. Harry James Cargas (scrittore, membro del comitato esecutivo del Catholic Center for Holocaust Studies): egli pur con la paura a non perdonare, perché teme di non essere perdonato, non perdonerebbe Karl. E per lui il perdono non è qualcosa per la quale si dipende da qualcun altro, ma bisogna guadagnarselo. 5. Paolo De Benedetto (docente di giudaismo presso la facoltà Teologica di Milano e di Antico Testamento presso l’università di Trento e Urbino): per lui un perdono prima della morte sembra un’uscita troppo facile da un mondo che in quel momento stava soffrendo per persone come Karl, per cui l’unico che può perdonare è Dio. 6. Petru Dimitriu (Saggista e romanziere romeno): lui non giudica S.W. per non aver concesso il perdono a un uomo annientato, mutilato che sta per morire, e dice che probabilmente nella sua condizione avrebbe fatto lo stesso, sentendosi poi colpevole e disperato anche lui come S.W. di non aver concesso il perdono. Infine crede che, Karl è morto migliore di quanto sia vissuto e finalmente in quel momento di agonia e rimorso è tornato ad essere uomo (RIFERIMENTO LIBRO DI LEVINAS, ETICA E INFINITO – DISTRAZIONE DA SÉ). 7. Eugene J. Fisher (Americano, autore di numerosi studi sull’ebraismo e cristianesimo): egli ritene che chiedere agli ebrei il perdono costtuisca il massimo dell’arroganza da parte dei cristani, ma quello che possono fare i cristiani è chiedere una reciproca riconciliazione con gli ebrei. Secondo lui la Chiesa

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cristiana ha fatto di più che chiedere ufficialmente perdono agli ebrei, esprimendo il suo pentimento di fronte a Dio e di fronte a tutta l’umanità. 8. Constantne Fitzgibbon (scri1ore e critico le1erario): egli rifiuta il ruolo di giudice, e quindi di giudicare il modo di agire o meglio di non agire di S.W. in un momento di orrore anni prima, perché secondo lui esula dalla sua competenza non essendo né ebreo né tedesco. Ma comunque dice la sua: se si fosse trovato in quella situazione, avrebbe fa†o lo stesso, e con indifferenza non avrebbe concesso il perdono alla SS morente, perché gli avrebbe concesso una via di uscita troppo facile da questo mondo, dopo la brutalità commessa. 9. Edward H. Flannery (sacerdote ca1olico statunitense): anche lui prende in considerazione l’aspe1o psicologico della vicenda, e aggiunge quello emotivo, in quanto possono influire sulla decisione da prendere, ma quando si trovano in conflitto con principi etici e religiosi debbono cedere, e questo è il caso di S.W. e di tutti a coloro a cui rivolge la sua domanda. Principio fondamentale dell’etc a ebraico-‐ cristana è che il perdono deve sempre essere concesso a chi sia sinceramente pentto. Secondo Edward, era una questone privata quella tra Simon e Karl, perché Karl non gli chiedeva di parlare a nome di tutti gli ebrei o per il male fatto a tutti gli ebrei, ma solo per quello che lui personalmente aveva fatto. Edward avrebbe perdonato al posto di Simon, e avrebbe chiesto a Karl di fare pace con Dio chiedendoli il perdono. 10. Eva Fleischner (Statunitense, Membro del Comitato per i rapporti con la Chiesa dell’U.S. Holocaust Memorial Council e del comitato costitutivo dell’U.S. Catholic Conference, Ufficio delle relazioni ca1olico-‐ ebraiche): sottolinea che il perdono non è un’invenzione cristiana. Secondo lei, S.W. ha fornito una risposta esauriente a Karl permettendole di aggrapparsi alla sua mano, rimanendo seduto sul le†o, infine scacciando la mosca che infastdisce il morente. Simon è stato costretto di andare da lui, ma ha scelto invece di rimanere e ascoltare Karl fino in fondo. E, alcuni anni più tardi, andando a far visita a Stoccarda alla madre di Karl, decidendo di non privare la vecchia donna solitaria dei ricordi affettuosi del suo . Tutto ciò, secondo Eva, costituisce già una significativa e umana risposta. Secondo Eva, Karl non poteva espiare la sua colpa, poiché le vittime erano morte. E Simon non può perdonare Karl a nome loro. Secondo Eva un atto di espiazione da parte di Karl sarebbe stato invece di chiamare Simon, povero impotente ebreo già condannato, parlare con i suoi colleghi SS, e con questo atto Karl avrebbe veramente fatto qualcosa per migliorare il suo destino. 11. Saul Friedländer (professore di storia all’università ebraica di Gerusalemme): secondo il suo parere, non esiste risposa a una simile domanda. 12. Helmut Gollwitzer (teologo protestante tedesco): per lui la domanda di S.W. è un problema biblico e ricorre alla bibbia, quindi il vero perdono non è nelle possibilità umane, ma è nelle mani di Dio , il perdono di Dio dona nuova vita. 13. Hans Habe (giornalista e cronista viennese): per lui l’espiazione è il presupposto del perdono e servono entrambi alla stessa cosa: l’esistenza senza odio. 14. Gustav W. Heinemann (Presidente della Repubblica federale tedesca dal 1969 al 1974): anche lui fa un’analisi dei due fatti che nel suo racconto non gli danno pace, non aver perdonato Karl e non aver detto a sua madre la verità sul figlio assassino. Per lui la giustizia e la legge non possono esistere senza misericordia. 15. Arthur Hertzberg (rabbino a New York di origine galiziana): secondo lui l’orrore commesso da coloro che credevano nell’ideologia nazista, non ha perdono nemmeno da Dio. 16. Habraham J. Heschel (scri1ore di origine polacca, uno dei massimi pensatori dell’ebraismo contemporaneo): secondo lui, nessuno può perdonare un delitto che sia stato compiuto contro altri uomini. È assurdo quindi pensare che un qualsiasi uomo vivente possa perdonare le sofferenze di sei milioni di ebrei.

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17. Christopher Hollis (inglese, autore di numerosi saggi di politica ed economia): secondo lui, S.W. avrebbe dovuto dire una parola di pietà alla SS morente dal momento che confessava l’atroce delitto di cui si era macchiato. E per rafforzare il suo pensiero anche lui, come altri che risposero alla domanda di S.W. ricorre alla bibbia e ricorda un’antica leggenda medievale: gli apostoli si riunirono in cielo per celebrare nuovamente l’Ultima Cena. C’era un posto vuoto, finché sulla soglia comparve Giuda ed entrò, e Cristo si alzò e lo baciò e gli disse: . 18. Roger Ikor (Francese. Membro del comitato d’onore della Lega internazionale contro l’antisemitismo e il razzismo. Autore di numerosi romanzi): lui è stato prigioniero di guerra e benché le sue condizioni sono state in parte simili quelle di un deportato ebreo, perché ha conosciuto la stessa fame e lo stesso isolamento morale, sente di capire i sentimenti di S.W. ma non sente di avere il diritto di mettersi nei panni di un deportato. Per lui solo chi vive in prima persona può capire di cosa sta parlando S.W. e può perdonare. 19. Jacob Kaplan (Gran Rabbino di Francia): per lui sarebbe stato giusto dire alla SS che non era in suo potere accogliere quella supplica, ma che la sincerità del suo pentimento e l’accettazione della morte come una giusta espiazione avrebbero certamente peso nel giudizio di Dio. In mancanza del perdono queste parole avrebbero risposto in parte a quello che la SS attendeva da S.W., e al tempo stesso sarebbero state conformi alla tradizione ebraica. 20. Robert M.W. Kempner (tedesco, assistente del procuratore americano al processo di Norimberga e consigliere degli israeliti al processo Eichmann. Nel 1967 rappresentante della famiglia di Anna Frank al processo dei complici di Eichmann in Olanda): lui ricorda alcuni processi a cui assistete, contro alcuni accusati responsabili dello sterminio degli ebrei, altri collaboratori dello sterminio. Loro chiesero il perdono davanti alla corte e ai famigliari delle vittime ed ebbero la loro condanna. E conclude dicendo che gli uomini su questa terra non possono liberare col i colpevoli dal loro mostruoso crimine. Possono solo pregare che il Signore sia misericordioso con le loro anime. 21. Hermann Kesten (scri1ore tedesco): lui nonostante non si sia mai trovato vicino a condizioni simili a quelle dei deportati, crede che non avrebbe potuto resistere all’invocazione del giovane agonizzante. 22. Franz König (arcivescovo di Vienna, cardinale dal 1958): lui affida a Dio il perdono. 23. Harold S. Kushner (rabbino al Temple Israel di Natick, nel Massachuse1s): per lui il perdono è qualcosa che nasce dentro di noi. Significa allentare il dolore, o forse, ancora più importante, cancellare il ruolo di vittima. 24. Primo Levi (scrittore torinese, deportato ad Auschwitz nel 1944): secondo lui la figura della SS, descritta nelle pagine di...


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