Il Placito Capuano e L\' affresco di San Clemente PDF

Title Il Placito Capuano e L\' affresco di San Clemente
Course Storia della lingua italiana
Institution Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
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Appunti lezione sul Placito capuano e l'affresco di San Clemente...


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IL PLACITO CAPUANO E L’AFFRESCO DI SAN CLEMENTE PLACITO CAPUANO o CASSINESE “Sao ko kelle terre, per kelle fini ki contene, trenta anni le possette parte S(an)c(t)i Benedicti“ Capua, marzo 960 È il placito più antico; negli altri placiti successivi c’è la stessa formula con qualche piccola variazione. OSSERVAZIONI LINGUISTICHE C’è stata una lunga discussione verso la metà del Novecento, ora superata, ma che resta un importante tema: il termine presente nella formula, simile all'italiano . Se si pensasse, però, a come si dice ‘io so’ in Campania oggi, si noterebbero alcune particolarità: ‘io so’ si dice , quindi ci sarebbe aspettati che ci fosse e non . è una forma analogica, così come esiste la forma da cui è derivato e altre forme di questo tipo. Fino a che punto, quindi, il testo riflette il dialetto di Capua del X secolo? Molti hanno iniziato a pensare che si trattasse, oltre che di formule stereotipate (riguardo a ciò sappiamo che è realmente così), si trattasse anche di un lessico giuridico interregionale che riguardava tutte le scritture di questo tipo. Per cui questo non è tanto rappresentativo del dialetto campano, ma di questo tipo di scritture giuridiche. È un fatto interessante perché ipotizza l'esistenza già nel X secolo di un lessico sovraregionale, di un lessico condiviso da più regioni. Questa ipotesi è ancora oggi abbastanza circolante perché non si può escludere che esistessero delle formule che, basate sul latino, potessero essere condivise da molte regioni. Si pensa però anche che questo fosse un verbo del dialetto campano più arcaico: il fatto che sia la forma ritrovata nei testi dei secoli successivi, non impedisce che nel X secolo esistesse anche tale forma. Fino a che punto tale forma riflette il volgare di Capua? E fino a che punto si tratta di una formula stereotipata che riflette un italiano giuridico sovraregionale, per quanto con molti tratti del volgare locale? Un’altra osservazione importante è da fare riguardo : originariamente, dove adesso ci sono delle velari , c’erano delle labiovelari /kw/. Per questo genere di labiovelari: da possiamo aspettarcelo, mentre per le altre labiovelari non ce le aspettiamo ridotte in quel modo in Toscana, ma ci si aspetterebbe forme come ,

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Per quanto riguarda non ci saremmo aspettati in Toscana una velare, perchè nonostante ci sia una labiovelare sorda in posizione iniziale, seguita da vocale diversa da , si è portati a dire che lì la labiovelare resta tale: l’elemento che impedisce lo sviluppo successivo è il fatto che queste labiovelare siano secondarie, cioè non originarie, ma formatesi successivamente. In Toscana le labiovelari secondari restarono intatte, mentre in tutta un’area dell’Italia meridionale anche queste subirono una riduzione. Solo un numero determinato abbastanza piccolo di fatti linguistici riguardano tutta Italia e talvolta tutta l’area romanza; la maggior parte sono più che altro locali: un esempio è che la mancata riduzione delle labiovelari in Toscana. Di fatto questo nella formula del placito di Capua coincide perfettamente. Non sempre la grafia corrisponde alla pronuncia: sappiamo che nell’area di Capua, come in tutto il Meridione, le consonanti in posizione intervocalica i intersonantica se sono sorde si sonorizzano per cui: → (pronuncia) → (pronuncia) Si tratta di pronunce ancora oggi presenti nella stessa area. Non è una grafia stabile, che riflette esattamente il parlato, ma risente della grafia latina. IMPORTANZA STORICA Spesso si dice che con questo testo inizia la storia della tradizione scritta italiana: il 960 è considerata come la data di nascita della lingua italiana. Sappiamo che ci sono anche testimonianze precedenti come l’iscrizione di Commodilla, l’indovinello veronese, ma tuttavia per la prima volta qui il volgare si presenta incardinato in un testo latino e dunque considerato con pari dignità, almeno da un punto di vista formale. Prima di questa data abbiamo scritture che affiorano sottoforma di tracce in maniera anche un pò casuale. Mille anni dopo lo storico della lingua italiana Bruno Migliorini, pubblicò la prima storia delle lingua italiana, ampia e organica e volle che uscisse esattamente nel 1960, 1000 anni dopo il placito.

Ancora non c’era una discussione sulla lingua italiana, se non su quanto detto per esempio nel Concilio di Tours, ad usare la rustica romana lingua e a tradurre in questa dal latino per quanto riguarda le prediche. Il volgare di questa fase era una varietà esclusivamente orale e per cui non si dovrebbero trovare testimonianze scritte, ma tuttavia sono state trovate molti segni di questa lingua che cova sotto e di cui spesso non se ne comprende la portata.

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È diverso per stile, per una serie di piccoli tratti, ma senza dubbio è latino; in realtà si sta sviluppando questo incendio, c’è un’altra lingua e si può andare a cercarla in altri modi. In alcuni casi queste iscrizioni sono rinvenute in modo casuale (iscrizioni di Commodilla), ma è evidente però che un’altra lingua stava occupando un suo spazio nel versante orale.

AFFRESCO DI SAN CLEMENTE (ROMA) Affresco che si trova nella Chiesa di San Clemente alle spalle del Colosseo. È importante perché ci sono delle scritte che sono, almeno in parte, in lingua volgare. Ancora una volta si tratta di una chiesa sotterranea, perchè molto antica, essendo costruita sulle basi di un tempio ancora più antico e che riflette un livello stradale diverso da quello attuale. Nel Medioevo (XII secolo- 1128), sopra la Chiesa, è stata costruita una Basilica,a livello della strada. Non c’è un solo affresco, ma si tratta di tre affreschi posto uno sopra l’altro rappresentanti tre episodi della vita di San Clemente, o meglio tre miracoli. DATAZIONE Qui, ancora una volta, come per le iscrizioni di Commodilla, sorge il problema della datazione. Questa chiesa è sotterranea usata almeno fino al 1128, poi è stata inaugurata la Chiesa al piano superiore e questa è stata abbandonata. La datazione è semplice se ci si accontenta del margine di mezzo secolo: sono rimaste tracce dei lavori di ristrutturazione della Basilica inferiore e sappiamo che il muro dove si trovano gli affreschi è stato eretto nel 1080, quindi è impossibile che l’affresco sia precedente. Poi nel 1128 la Chiesa è stata abbandonata perché ormai inaugurata la Basilica superiore per cui è improbabile che questi affreschi siano stati realizzati in quest’epoca. Dunque come margine ci si può dare un’epoca compresa tra 1080-1120.

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STORIA Sappiamo dalla scritte che un devoto commissionò quegli affreschi che rappresentassero episodi della vita di San Clemente. Nel terzo affresco il pittore o qualcun altro, per rendere la scena più vivace e comprensibile, fa parlare i personaggi, secondo un sistema simile a quello del fumetto. I cartigli con il nome vicino alla testa delle figure era un’usanza antica, ma usarli per far parlare le persone era una novità. (Primo fumetto della storia) Ci sono 4 persone che tirano una colonna e il riferimento per questo affresco è un testo letterario intitolato “Passione di San Clemente”, risalente a mezzo millennio prima. Le leggende sul martirio del santo risalgono al V-VI secolo circa, mentre riguardo questa storia non si sa con certezza la datazione. Ci sono però testi letterari che raccontano ciò che è rappresentato nell’affresco: questi dicono che a un certo punto il santo riuscì a convertire la moglie di un patrizio romano di nome Sisinnio (in alto a dx). Sisinnio voleva vendicarsi, per cui andò a cercare il santo per imprigionarlo. Mentre San Clemente era in casa sua per guarirlo, Sisinnio ordina ai suoi servi, Gosmario, Albertello e Carboncello, di legare e trascinare San Clemente fuori da casa sua. Il miracolo raccontato non è chiarissimo e ha qualcosa di palesemente inventato: i servi che cercano di trascinare Clemente si resero conto che era una colonna, tornarono dentro e presero un altro Clemente, ma tornati fuori si resero conto che era di nuovo una colonna. Il pittore dipinse una colonna che parlava che diceva “Per la durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare i sassi”, ma ciò che nella passio non c’era. INTERPRETAZIONE DEL TESTO Riguardo l’interpretazione del testo ci sono varie discussioni: per alcuni le frasi sono tutte pronunciare da Sisinnio, secondo altri le frasi sono dette dalla figura disegnata accanto, ovvero il servo. Un’ulteriore difficoltà dipende dal fatto che è molto rovinato per l’umidità; c’è stato un pittore inglese che nell'Ottocento ha riprodotto l’affresco, però non si può dire se ci sono errori o meno. Per esempio, riguardo una scritta non si capisce se sia o e questo potrebbero essere frutto dell’interpretazione del pittore che l’ha riprodotto. Ciò non è possibile capirlo perché nell’originale non si vede più questa scritta. Dal punto di vista linguistico possiamo notare: -

opposizione latino/volgare: il santo utilizza il latino; i servi e Sisinnio utilizzano il volgare. Ciò che è importante è la coesistenza di due lingue contrapposte su un piano testuale e simbolico. C’è un’opposizione tra un codice A e un codice B, per cui è impossibile pensare ad una rustica romana lingua.

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il linguaggio scurrile ‘Fili delle pute, traite”

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discrepanza tra grafia e pronuncia: era davvero pronunciato ‘Fili’ in volgare? Al singolare succedeva che … si allunga e si palatalizza, un fenomeno avvenuto 600 anni prima; anche che era la grafia latina, era pronunciata ‘putta’. Bisogna tener conto che le grafie volgari erano influenzate da quelle latine. Questo mette in difficoltà, perché non è sempre così, ma in tal caso siamo abbastanza sicuri.

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l’articolo determinativo è utilizzato normalmente: alla fine del Mille è normale trovarlo. Davanti il sostantivo va quindi l’articolo. non ha l’articolo perchè in latino non c’è…. C’è una consapevolezza di chi scrive del fatto che in latino va l’articolo, in volgare no.

LIVELLO LESSICALE - SINTATTICO - STILISTICO L’iscrizione presenta due registri linguistici ben definiti e contrapposti. Il pagano Sisinnio si rivolge ai servi in un linguaggio triviale, di tono plebeo (li apostrofa infatti come «fili de le pute»), ed usa il volgare. San Clemente, che sottolinea il significato morale del miracolo, si esprime invece in latino, anche se la grafia della lingua risulta errata rispetto alla norma classica. Le parole latine del santo costituiscono un commento morale all’episodio. Esse trascendono la comicità della situazione, per istituire un parallelo tra la metaforica durezza dei cuori pagani e quella, reale, dei sassi che i servi di Sisinnio sono costretti a trascinare. I tratti che caratterizzano come volgare la lingua di Sisinnio sono: - la caduta delle consonanti tipiche delle desinenze latine dei casi; l’espressione «colo palo» deriva, ad esempio, da «cum illum palum» (il latino tardo, infatti, aveva sostituito l’ablativo con l’accusativo; ciò spiega anche la forma «Sisinnium» in luogo del regolare «Sisinnius»); - la trasformazione della u finale latina in o (per cui si ha «collo palo»); - la presenza, in luogo delle desinenze, di preposizioni che indicano la funzione grammaticale dei nomi (es. «de le pute»: il latino avrebbe avuto il genitivo plurale); - il passaggio di rb ad rv nel nome proprio «Carvoncelle», tipico del dialetto romanesco. Permangono invece elementi latini nelle desinenze del vocativo nei nomi «Gosmari» e «Carvoncelle». -

è il modo in cui a Roma si dice ‘dietro’ Da questo in Toscana venne fuori il ...

Il discorso di San Clemente presenta, come si è detto, alcuni errori rispetto alla norma classica. L’ablativo causale «duritia» diviene «duritiam» (sempre a causa del diffondersi indiscriminato dell’accusativo in luogo di tutti gli altri casi). Il genitivo «vestri» diventa «vestris» (forse per analogia con il sostantivo «cordis», che segue invece regolarmente la terza declinazione).

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LIVELLO TEMATICO La scelta di far parlare il pagano in volgare – scelta ovviamente anacronistica: l’affresco dell’XI secolo rappresenta una scena ambientata mille anni prima, quando le varietà linguistiche erano ben diverse – ha uno scopo ben preciso: serve a sottolineare la durezza dell’animo di Sisinnio, contrapposta alla santità di Clemente. Sisinnio, uomo dal cuore di sasso, nel dipinto è ritratto con la mano alzata in segno di comando, in atteggiamento energico e rude. Inoltre, egli si comporta da sciocco: sprona i suoi servi a trascinare un pesante carico, senza accorgersi che si tratta di una colonna e non del santo. Un autore moderno, probabilmente, avrebbe caratterizzato un personaggio del genere mettendogli in bocca espressioni dialettali. Ma il volgare, al tempo di questa iscrizione, era percepito appunto come un dialetto: ossia come una varietà linguistica minore, priva di autonoma dignità e quindi adeguata a personaggi di rango sociale (e morale) inferiore. L’iscrizione testimonia dunque dello scarso prestigio sociale rivestito dal volgare: esso poteva prestarsi a dar voce a personaggi “bassi” e “comici”, ma non aveva ancora raggiunto una autonoma dignità espressiva e letteraria.

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