Il proverbio come oggetto lessicografico. PDF

Title Il proverbio come oggetto lessicografico.
Author Chiara Rizzo
Course Linguistica
Institution Università degli Studi di Firenze
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Summary

È una descrizione di cosa è il proverbio, è un documento universitario. Io l’ho usato per prepararmi al meglio per l’esame di linguistica e ho preso 30/30!
Buona fortuna...


Description

Centro interuniversitario di Geoparemiologia Università degli Studi di Firenze Collana diretta da Temistocle Franceschi 3

Questo volume è stato realizzato con il patrocinio ed il contributo di: - REGIONE PUGLIA – Presidenza del Consiglio Regionale; - PROVINCIA di BARLETTA ANDRIA TRANI – Assessorato alla Cultura; - CITTÀ di ANDRIA – Assessorato alla Cultura.

in copertina: Riproduzione della collina di Castel del Monte, Andria, realizzata da Nicola Di Cosmo

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Ragionamenti intorno al proverbio Atti del II Congresso internazionale dell’Atlante Paremiologico Italiano

in memoria di

PAOLA CHICCO

a cura di Temistocle Franceschi

Auditorium “PAOLA CHICCO”, Andria, 21-24 aprile 2010

Edizioni dell’Orso Alessandria

©2011 CopyrightbyEdizionidell’Orsos.r.l. viaRattazzi,47  15121Alessandria tel.0131.252349  fax0131.257567 e-mail:[email protected] http://www.ediorso.it RedazioneinformaticaeimpaginazioneacuradiARUN MALTESE ([email protected]) Èvietatalariproduzione,ancheparziale,nonautorizzata,conqualsiasimezzoeffettuata, compresalafotocopia,ancheausointernoedidattico.L’illecitosaràpenalmenteperseguibileanormadell’art.171dellaLeggen.633del22.04.41 ISBN978-88-6274-282-5

Indice

Presentazione del volume

1

Saluto dell’organizzatore del congresso

3

Saluto del preside della scuola media

7

Saluto dell’assessore alla cultura

11

Saluto del rappresentante del presidente della provincia

15

Saluto del rappresentante del presidente del consiglio regionale

19

Saluto del sindaco

23

Ricordo di Paola di Paola Desideri

27

Ricordo di Paola di Teresa Ferri

29

INTORNO AL PROVERBIO

33

T. Franceschi, La ricerca territoriale del proverbio o geoparemiologìa.

35

P. Desideri, L’intertestualità paremiologica nel linguaggio pubblicitario italiano.

51

C. Lapucci, L’inserimento nel sistema proverbiale di forme provenienti dal melodramma e da altri tipi di spettacolo.

67

S.C. Trovato, Il proverbio come oggetto lessicografico (quasi una norma redazionale).

83

P. Sisto, Il calendario, i santi e i proverbi. Tra magia, devozione popolare e letteratura.

93

L. Massobrio, La ricerca geoparemiologica in Piemonte.

105

F. Tateo, Proverbi fra latino, volgare e dialetto.

113

V. Di Natale, Lavoratori e lavoro nei proverbi di tradizione orale in Puglia.125 A. Dettori, Paremie d’autore. Osservazioni sull’uso letterario di proverbi e frasi idiomatiche.

137

VIII

Indice

S. Balducci, Aspetti retorici nell’analisi dei proverbi

151

A. Monaldi, Dal proverbio di tradizione al proverbio reinterpretato: Mussolini «paremiurgo».

159

P. Rondinelli, Il concetto di proverbio nell’antichità e nel Rinascimento.

167

R. Tosi, Precedenti classici di proverbi italiani.

179

J. Nikolaeva, Problemi di equivalenza nel vocabolario paremiologico russo-italiano

195

M.C. Barrado Belmar, Dios en los proverbios italianos y españoles. Estudio comparado.

207

E. Benucci, Giuseppe Giusti e la «Raccolta di proverbi toscani». Dal manoscritto alla fortuna editoriale del ‘repertorio’ Giusti-Capponi. 219 J. Sevilla, Hacia un máximo paremiológico español contemporáneo. Un ejemplo de investigación geoparemiológica.

241

A. Sardelli, Enfoque geoparemiológico de las obras Refranero multilingüe y BADARE.

255

V. Carrassi, Da stereotipo ad archetipo: il dinamismo del proverbio nel Gargantua di Rabelais.

271

G.B. Salvadori, I proverbi trentini dell’alta valle del Chiese.

281

C. Cervini, L’Atlante Paremiologico Toscano.

285

N. Mafuta Ma, Gli animali nei proverbi e nella trattatistica delle imprese: dalla tradizione orale alla letteratura delle immagini. 289 A. Rubano, Figghja fèmmene - e mmåla nuttåte. Il dialetto di Foggia nei proverbi.

297

D.M. Tognali, A proposito di proverbi dialettali alto-camuni.

309

A. Iurilli, Paremìa e favola. La Bestiarum schola di Pompeo Sarnelli.

315

P. Guaragnella, Rassegna di proverbi e sentenze ne Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile

329

Il proverbio come oggetto lessicografico (quasi una norma redazionale)

È noto che un dizionario, di lingua o del dialetto, ha il compito di registrare e descrivere le unità di prima articolazione – autosemantiche e di relazione –, nonché, per quel che riguarda la morfologia e la sintassi, tutto ciò che a questi livelli può avere rappresentazione lessicografica: tutti gli affissi e i confissi, utili alla comprensione della formazione delle parole, oltre che le proprietà sintattiche di ciascuna parola. Queste, seguendo Menza (2010: 38)1 sono: a) le proprietà di selezione, «che coincidono con ciò che in grammatica generativa è chiamata struttura tematico-argomentale» e b) le proprietà di selezionabilità, le proprietà, cioè, che «stabiliscono da quali elementi la parola in esame può o deve, […], dipendere, essere retta» (ibid.). Per quel che riguarda le unità lessicali, invece, è ovvio che vadano descritte non solo le parole semplici o prototipiche e quelle formate con regole, ma anche le parole complesse o (locuzioni) polirematiche, che a buon diritto fanno parte del lessico. Il problema che a questo punto si pone – problema che trae origine dalla prassi quotidiana di chi ha dedicato e continua a dedicare gran parte del suo tempo alla lessicografia dialettale – è se il proverbio, che certo non è una parola semplice, si possa far rientrare nella classe delle polirematiche e se vada perciò registrato in un’opera lessicografica o non vada piuttosto respinto. Tanto più che i dizionari moderni, soprattutto quelli di lingua, si comportano in modo assai differente tra loro: Sabatini-Coletti, ad esempio, non è alieno dal registrarli, mentre De Mauro (2000 e Gradit) ne fa a meno. Certo, nell’ambito della lessicografia dialettale, per la scarsa conoscenza che abbiamo della cultura veicolata dal dialetto e per la necessità di poter disporre di ampi materiali di rilevanza etno-linguistica e culturale, il problema se includere o meno il proverbio in un dizionario non è neppure da porsi. È noto infatti, che i proverbi in particolare, ma anche le altre polirematiche, mostrano più e forse meglio delle singole parole la cultura del popolo che li usa e la visione della vita delle comunità che li adoperano2. Infatti, studiarne o ricostruirne il significato

1

Al quale siamo debitori della terminologia. Scrive a questo proposito FRANCESCHI (1978: 144): «Il patrimonio paremiologico d’un popolo vale a illuminarne la mentalità, la visione della vita, la Weltanschauung tradizionale». 2

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Salvatore C. Trovato

denotativo o letterale, che il più delle volte è stato oscurato da quello metaforico impostosi decisamente nell’uso, significa fare ricostruzione culturale. In passato la statuto epistemologico del proverbio non è stato ben delineato e definito. Chiunque abbia dimestichezza con le raccolte di proverbi sa bene che in esse, accanto ai proverbi veri e propri, sono spesso confluite parecchie locuzioni polirematiche. Peraltro, non è un caso se poco più di trent’anni fa G.R. Cardona, a proposito del proverbio, scriveva che «la definizione di questo genere linguistico pur così familiare e consueto, è estremamente difficile. Anche se non abbiamo alcuna difficoltà a distinguere un proverbio da una frase di stessa struttura che invece non lo è, non riusciamo a formalizzare le caratteristiche che ci permettono di riconoscerlo» (1976: 193, ora 2006: 166). E se lo studioso americano A. Taylor (1930; ricordato da Cardona, cit.) negava addirittura «l’utilità e perfino la possibilità di definizioni valide del proverbio», che brillerebbe così per la sua «qualità incomunicabile» (ibid.). In effetti, negli stessi dizionari della lingua italiana – come si può vedere dalle citazioni che seguono – non è facile trovare una definizione soddisfacente della nozione, soffermandosi, i dizionari, sui contenuti e l’uso del proverbio (dimensione semantico-pragmatica), sull’origine, popolare anziché dotta, sugli elementi stilistici e retorici che lo contraddistinguono, piuttosto che sulle qualità formali che lo differenziano, ad esempio, dalle altre polirematiche: a) Tommaseo-Bellini (1861-79 in Zing. CD-Rom): «Detto breve arguto, e ricevuto comunemente, che per lo più sotto parlar figurato comprende avvertimenti attenenti al vivere umano»; b) GDLI (XIV: 784): «detto breve e arguto, di origine e diffusione popolare, che esprime, per lo più in modo figurato o allusivo, verità, concetti, regole, consigli o convinzioni comunemente accettate: adagio, massima»; c) Duro et alii (III/2: 1170): «breve motto, di larga diffusione e antica tradizione, che esprime, in forma stringata e incisiva, un pensiero o, più spesso, una norma desunti dall’esperienza»; d) De Mauro (2000 e Gradit) « breve detto, di origine popolare, che esprime una norma, un pensiero, una ammonizione desunta dall’esperienza»; e) Sabatini-Coletti 2006: «motto che, in forma perlopiù figurata, dà un ammaestramento, un ammonimento»; f) Zing.: « detto breve e spesso arguto, di origine popolare e molto diffuso, che contiene massime, norme, consigli fondati sull’esperienza».

In tutte il proverbio è definito come “detto” o “motto”, parole a loro volta spiegate come “espressioni proverbiali”, con evidente tautologia, che finiscono per non spiegare il concetto stesso di proverbio. È assai indicativo, poi, il fatto che “proverbio” manchi nei più diffusi dizionari di linguistica (Dubois, Giacomo et alii, G.R. Cardona 1988, Beccaria, che pur registra “proverbio” ma con un rimando a “paremiologia”, Casadei) e che di esso non si parli in Grossmann-

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Rainer, che pur dedica alle polirematiche un’ampia e puntuale trattazione3 (2004: 56-69). Buona luce, invece, viene alla definizione del concetto di “proverbio” da linguisti come Marcello Durante e Temistocle Franceschi, oltre che dagli studi di grammatica generativa. Di Durante non possiamo non ricordare una definizione inedita di “proverbio” riportata da G.R. Cardona (2006: 166n), notevole, per quanto decontestualizzata da uno studio specifico. Durante definisce il proverbio come: «sequenza grammaticalmente autonoma4 che si caratterizzi rispetto al discorso colloquiale per il ritmo fonico (rima, allitterazione ecc.) ed eventualmente semantico (antitesi, parallelismo, gradazione) ed esprima un contenuto assunto come verità paradigmatica, cioè tale da adattarsi non soltanto alla situazione in atto, ma altresì a qualunque situazione dello stesso genere», dove mi pare chiaro che con “sequenza grammaticalmente autonoma” lo studioso mirasse a cogliere la specificità grammaticale del proverbio, quasi la categoria grammaticale cui potrebbe appartenere. Studi ben più approfonditi ha dedicato ai proverbi Temistocle Franceschi. Egli, com’è noto, è il fondatore dell’Atlante Paremiologico Italiano e insieme della geoparemiologia, una variante della geografia linguistica che ha per oggetto il proverbio, e a lui si devono parecchi interventi anche di ordine teorico sui proverbi. Egli, innanzi tutto, rivendica con forza alla linguistica5 lo studio dei proverbi, in passato ritenuti prerogativa dei folcloristi, e – dal momento che il proverbio nasce e si sviluppa prevalentemente nella cultura orale, anzi nelle molte culture orali presenti in Italia – più propriamente alla dialettologia. Egli, infatti, dopo aver suddiviso la «materia demologica, ossìa tutto ciò che si tramanda per tradizione diretta (orale) comunitaria» (1978: 117-19) in tre grandi settori, quello artistico, quello linguistico e quello relativo al “sapere popolare”, colloca nel secondo settore il proverbio, in quanto elemento della comunicazione. Il proverbio, infatti, pur potendo nascere nell’ambito della letteratura orale (o anche scritta) che fa parte del settore artistico, non è mai usato «a divagar chi ascolta (e tanto meno chi parla), bensì a comunicare» (1978: 120). Così, il fatto che il proverbio, unitamente alla rilevanza culturale ricordata, sia elemento della comunicazione e segno linguistico pur esso è un ulteriore argomento a favore della sua inclusione nei dizionari. Tornando a Franceschi, egli inserisce preliminarmente il proverbio tra le

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Dovuta a Miriam Voghera. Enfatizzazione mia. 5 E ribadisce che il proverbio, come i singoli vocaboli, appartiene «alla nostra memoria linguisti4

ca».

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Salvatore C. Trovato

espressioni idiomatiche di una lingua allo stesso modo dei «modi di dire tradizionali caratteristici d’un idioma» (1978: 112) e, da varie angolature, definisce il proverbio: a) come «segno linguistico complesso, che contiene un significato più ampio di quello proprio dell’enunciato» (ivi: 128, enfasi mia), specificando che per “complesso” intende «ogni segno verbale che si vale di un’immagine: nel quale il significato proprio dell’enunciato svolge la funzione di non immotivato significante di ciò che s’intende veramente esprimere» (ibid.6); b) come «frase fatta, figurata o no, che svolge la funzione di sostituire un più lungo, complesso, astratto, generico discorso con una formulazione spiccia e spesso ellittica, solitamente figurata, che nel codice di quella tradizione linguistica – cioè di quel dialetto – vale a rendere con prontezza e precisione il concetto da esprimere» (ivi: 1317).

Riassumendo quanto si è fin qui detto, al proverbio viene riconosciuta, da Durante e da Franceschi, la qualifica di “sequenza grammaticalmente autonoma”, “segno linguistico complesso” e, in maniera più precisa, di “frase fatta”, che potremmo sostituire, come oggi usa, con “locuzione polirematica” o “polirematica” tout court. Anche se, a distinguere il proverbio dalle altre polirematiche, sarà opportuno aggiungere (→infra) altri elementi di qualificazione che ne descrivano la specificità. Intanto, è opportuno vedere in che cosa un proverbio, ai vari livelli, differisce da una polirematica e in che cosa concorda. Sul PIANO MORFOLOGICO il proverbio non presenta le proprietà delle parole – come avviene, per esempio, per le polirematiche verbali le quali hanno un verbo che concorda col soggetto, quasi sempre esterno alla polirematica (Il bambino va matto per il cioccolato, i miei figli vanno matti per il cioccolato ecc.) o per le polirematiche aggettivali endocentriche8 (quel povero giovane è incapace di in-

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Enfatizzazione mia. Enfatizzazione mia. 8 Il concetto di “polirematica endo-/esocentrica” è stato introdotto da MENZA (2006: 70 sgg. e 2010: 58 sgg.). È il caso di richiamarlo in questa sede. Scrive il giovane studioso catanese: «Le une e le altre hanno […] la stessa distribuzione (sintassi esterna) della categoria monorematica di cui portano il nome. Ad es. la polirematica aggettivale ha la stessa distribuzione di un aggettivo, la polirematica avverbiale la stessa distribuzione di un avverbio, e così via. Solo le polirematiche “a sintassi interna”, però, riproducono, al loro interno, quantunque irrigidita, anche la struttura del sintagma (specificatore, testa, argomenti interni ecc.) della categoria cui appartengono. Riflettono, cioè, oltre alla sintassi esterna (distribuzione), anche quella interna (struttura sintagmatica) della monorematica di cui portano il nome. Le polirematiche “a sintassi esterna”, invece, riflettono soltanto la sintassi esterna della propria categoria, e non anche la struttura sintagmatica» (2006:71). Insomma, una loc. agg. del tipo capace/incapace di intendere e di volere è “a sintassi interna”, perché al suo interno si individua 7

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tendere e di volere, si tratta di persone incapaci di intendere e di volere) – e non ha, come le altre polirematiche, un corrispondente monorematico. Se, ad es., a tirare le cuoia, polirematica verbale, corrisponde morire monorematica, a tirare le somme corrisponde concludere; per le polirematiche nominali a casa di correzione corrisponde riformatorio e per le aggettivali a matto da legare corrisponde sconsiderato o irragionevole, a un proverbio del tipo l’acqua cheta rovina i ponti o il buon pilota si vede alla tempesta non corrisponde nessuna unità monorematica che possa definirsi come proverbio. Insomma, se esistono le coppie “loc. verb” : “verbo”, “loc. nom.” : “nome”, “loc. agg.” : “aggettivo”, il proverbio ha Ø come corrispettivo monorematico.

Sul PIANO SINTATTICO, mentre le polirematiche hanno la stessa distribuzione (→ nota 8) delle corrispondenti categorie monorematiche, tant’è che «non sono mai, in linea di principio, interamente fissate come frasi complete» (Benincà 2001: 163) – Marello (1996: 40) le chiama “sintagmi cristallizzati” –, i proverbi sono proposizioni complete (Benincà: ibid.) o, come abbiamo già visto con Franceschi “frasi fatte” (1978: 131), nel senso etimologico della parola, e perciò chiuse e, ovviamente, zerovalenti. Sul PIANO SEMANTICO la maggior parte delle polirematiche – perlopiù le polirematiche verbali – e i proverbi hanno significato non composizionale (polirematiche) e comunque metaforico (proverbi9). Le locc. verb. siciliane avere il carbone bagnato per ‘avere la coda di paglia’ o firrïari l’Arca e la Mecca (e più spesso firrïari leccalamecca) ‘andare in giro per il mondo; sapere del mondo’ sono usate solo coi significati non composizionali (ma anche metaforici, ovviamente a patto che se ne conosca o ne sia stato scoperto il si-

un aggettivo (capace) che è la testa della polirematica e attribuisce alla polirematica stessa la categoria grammaticale; senza cuore per ‘crudele; insensibile’, invece, è una polirematica aggettivale a “sintassi esterna”, perché al suo interno non è riconoscibile un aggettivo monorematico che rifletta la struttura interna del sintagma aggettivale, ma quella del sintagma, retto, nel caso nostro, da senza (SP). 9 Ciò non vale, ovviamente, per tutte le polirematiche e per tutti i proverbi. Si sottraggono al significato non composizionale e/o metaforico molte polirematiche del lessico tecnico-specialistico che, tuttavia «si specificano in accezioni non comuni, ma tecnico-specialistiche come in particella elementare o pianta annua» (DE MAURO, Introduzione al Gradit: XXXII) o, per quel che riguarda il dialetto, erva di ventu lett. ‘erba di vento’, ma ‘parietaria’, e tante altre. Ma anche quei proverbi che FRANCESCHI (1978: 120-21) chiama “aforismi popolari” e all’interno dei quali situa «i detti ergologici, spesso in relazione col calendario (chi vuole un bell’agliaio, lo metta di gennaio), quelli metereologici (la neve tonda aspetta la seconda; Natale al sole, Pasqua al tizzone), quelli sanitarî (sole di vetro e aria di fessura portano a sepoltura), e tanti altri, nati al fine di perpetuare questo o quell’aspetto del sapere popolare; come Santa Lucìa, la notte più lunga (o il giorno più corto) che ci sia» (ivi: 121).

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Salvatore C. Trovato gnificato letterale). Quello letterale è diventato opaco, e ricostruirlo non si può se non ricostruendo l’ambiente culturale che ha dato luogo alla frase prima e alla lessicalizzazione poi10. La stessa cosa vale per i proverbi, il cui significato letterale spesse volte è andato perduto. Come è del sic. cu è sutta aggruppa li fil...


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