Il romanzo italiano dell\'Ottocento e Novecento, Gino Tellini PDF

Title Il romanzo italiano dell\'Ottocento e Novecento, Gino Tellini
Author Thomas Di Stefano
Course Letteratura italiana A1 e A2
Institution Università degli Studi di Bergamo
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Summary

IL ROMANZO ITALIANO 1. TRA SETTECENTO E OTTOCENTO Il settecento è secolo fertile per la narrativa italiana, vi si trovano infatti grandi varietà di generi, opere e autori. Tuttavia la strada è tutt’altro che spianata per quanto riguarda il neonato genere romanzesco, che invece aveva già cominciato a...


Description

IL ROMANZO ITALIANO 1. TRA SETTECENTO E OTTOCENTO Il settecento è secolo fertile per la narrativa italiana, vi si trovano infatti grandi varietà di generi, opere e autori. Tuttavia la strada è tutt’altro che spianata per quanto riguarda il neonato genere romanzesco, che invece aveva già cominciato ad imporsi oltralpe, soprattutto in Francia e Inghilterra. Infatti l’introduzione del romanzo deve scontrarsi, in Italia, con condizioni sfavorevoli date non tanto da un’arretratezza o un isolamento in campo di innovazione letteraria ma piuttosto di un clima sociale non ancora maturo. Il romanzo nasce come genere per la classe media, è eccentrico e innovativo come la borghesia che rappresenta e alla quale sembra indirizzarsi, borghesia che se nel resto d’Europa si era ormai ferventemente imposta come classe dominante, in Italia faceva ancora fatica a rivendicare la propria posizione nella società come nella politica. Baretti interviene nel 1764 sulla Frusta Letteraria catalogando il romanzo tra i generi “bassi” di trastullo popolare, una prerogativa del volgo non adatta alle sfere più alte; in rappresentanza di una bieca visione che non prevedeva alcuna via di mezzo tra letteratura d’élite e merce per il volgo. UN PRIMO TURNING POINT Un primo cambio di rotta a livello nazionale avviene a cavallo tra il settecento e l’inizio del nuovo secolo, e trova il proprio fulcro inizialmente nell’ambiente letterario lombardo. I due capitoli fondamentali di questa fase innovativa sono senz’altro le Ultime lettere di Jacopo Ortis e il romanzo storico, rappresentativi del pathos eroico e del vero documentato, e proprio per questo trovano terreno fertile in un paese dalla pesante eredità neoclassicista come l’Italia. L’IO OTTOCENTESCO NELL’ORTIS, EROE ROMANTICO L’Ortis rappresenta in questo frangente un mutamento radicale da quello che fino ad allora era stato l’impianto autobiografico settecentesco, si passa da un io razionale e sociale ad un io “romantico” – quello ottocentesco – titanico, individualista, in continuo conflitto con la realtà e con se stesso ma sempre incline a tradurre le proprie volontà in azione, e perciò irrimediabilmente esposto al crollo di ogni illusione e alla scelta della morte volontaria. L’io ottocentesco è caratterizzato da quell’egotismo eroico e auto celebrativo che fa di lui una personalità eccezionale e tormentata dall’emblematico valore simbolico per quell’epoca. Tuttavia la stessa carica d’energia che spinge questo io all’azione è una carica autodistruttiva, gli si ritorce immancabilmente contro quando si scontra con l’impossibilità di modificare la situazione in cui si trova. L’immutabilità e la negatività delle circostanze storiche e il conformismo delle consuetudini sociali di un’Europa rivoluzionaria e post rivoluzionaria tediano l’eroe, lo condannano e lo spingono all’annichilimento, dal quale egli trova scampo soltanto attraverso il suicidio. La morte si delinea, in un personaggio estremamente deluso sia a livello sentimentale che sociale come l’Ortis, in un’affermazione di se e di una libertà tanto agognata in vita. Jacopo Ortis incarna tutti gli ideali tipici dell’eroe romantico che si possono racchiudere nel connubio “amore e patria”. SESTO TOMO DELL’IO E GLI ALTER EGO DI FOSCOLO Jacopo Ortis è chiaramente un alter ego del proprio autore, ma non è affatto l’unica rappresentazione del carattere dell’autore. Durante la stesura dell’Ortis, Foscolo si lancia nella creazione di altri scritti di carattere romanzesco più vicini ad altre opere di scrittori europei dal tono più ironico e realistico. Ispirato dai racconti di Swift, Montesquieu e Sterne comincia la stesura – incompiuta e della quale ci restano solo degli abbozzi – del Sesto tomo dell’Io, un romanzo autobiografico di distaccata saggezza mondana e umorismo doloroso molto lontano dalle caratteristiche dell’Ortis. La traduzione di Sentimental Journey di Sterne rappresenta per Foscolo una sorta di esercizio autobiografico, una proiezione di sé che fa maturare in lui il volto di un suo ennesimo alter ego: il protagonista Didimo. Questi è l’anti-Ortis per eccellenza, non è travolto dagli eventi mondani ma li affronta, adattandosi con la saggia consapevolezza di non poterli cambiare né influenzare; conosce bene la vita e tiene a bada i propri sentimenti, è un personaggio comico e sconsolato. Didimo non si suicida, perché ha imparato a convivere con la propria realtà e a guardare gli avvenimenti con distacco critico e a difendersi dalle cattiverie del mondo.

Nonostante tutti questi tentativi di cimentarsi in una prosa del tutto diversa e innovativa, Foscolo torna all’Ortis, che vede come l’unica occasione per riscattare un genere tutt’altro che apprezzato nei salotti letterari italiani dell’epoca, riuscendo saccentemente a sublimarlo in chiave lirica e tragica, in una veste che ne nobiliti le umili origini. VISIONE FOSCOLIANA DELLA STORIA E DEL ROMANZO La formazione neoclassica di Foscolo gli impone una visione della storia quale materia in grado di salvaguardare un grande patrimonio comune, di rispetto e amore per la propria terra, ma che tuttavia rientra tra le prerogative dell’ ‹‹alta letteratura›› . La storia non è per lui oggetto della letteratura di consumo a cui fa capo il romanzo, che si rivolge ai lettori medi – ingenui e inesperti – ai quali conviene rivolgersi con mezzi idonei e con testi adeguati perché non cadano vittime di prodotti scadenti e fuorvianti. Ne si deduce l’avversione di Foscolo per il romanzo storico, che appartiene ad un orizzonte culturale antisublime e antiaulico rispetto alla sua poetica; un genere che appartiene agli anni della Restaurazione, dopo la caduta di quelle illusioni portate dalla Rivoluzione che hanno spinto la passione civile a manifestarsi sui fatti del passato, e non della contemporaneità. In Italia si è tentato di ovviare all’assenza del romanzo con l’imitazione delle prose classiche, con la conseguenza, secondo Foscolo, di rovinarne il lustro e di dissuaderne la lettura da parte del pubblico medio. Il modo migliore per comunicare con quella vasta platea di lettori è quello di andare incontro alle loro esigenze: di argomento e di stile. L’argomento deve trattare di costumi contemporanei e deve riuscire a dilettare appassionando. Lo stile va liberato dal freddo tecnicismo tipico delle imitazioni dei classici. 2. LO SPERIMENTALISMO DEGLI ANNI ‘20 La prima moderna valorizzazione del romanzo nel nostro paese – seppur ancora timida e assediata da resistenze interne - ha luogo a partire dai primi decenni dell’ottocento nell’ ambiente fertile dei romantici lombardi e della Milano crocevia letteraria, in un contesto storico rasserenato dalla calma della pax austriaca. Già nel 1809 Giovanni Berchet pubblica il Curato di Wakefield,versione del Vicar of Wakefield di Goldsmith, introducendo così il repertorio del romanzo domestico-sentimentale inglese, che secondo la sua visione puntava a coinvolgere tutto quel vasto pubblico del ceto medio – snobbato da Foscolo come una via di mezzo tra i letterati e gli idioti – che definisce come il “popolo” o il “terzo stato”, quella fetta di lettori che diversamente dal “volgo” (composto da stolti e faccendieri in malafede), costituisce parte pulsante del nuovo processo storico, incline alla lettura anche se non abbiente o altolocato. Berchet intuisce fin da subito le grandi potenzialità del romanzo, e diversamente da Foscolo con l’Ortis, intende dare al genere una forma antisublime anche per l’aspetto linguistico; il tono alto e tragico della creazione fosco liana più celebre infatti non corrisponde più ai requisiti necessari per legalizzare e innalzare un prodotto considerato fino ad allora troppo vile. Nel 1816 il milanese Pietro Borsieri pubblica Avventure letterarie di un giorno, che occupa un posto di riguardo nella legittimazione del romanzo. Il giovane galantuomo protagonista del racconto è una rappresentazione dell’autore stesso, che approfitta in particolare di una delle varie vicissitudini della sua giornata (il pranzo) per intavolare un dibattito, insieme ad altri personaggi, interamente incentrato sulla difesa del romanzo. A Borsieri importa in particolare la linea del romanzo di vita contemporanea, e il libro tenta infatti un ritratto dei costumi contemporanei, ma in particolare assolve una duplice funzione, teorica e pratica: è opera di riflessione letteraria e insieme opera narrativa. DALLO STUDIO DEL PRESENTE IN BORSIERI AL ROMANZO STORICO Borsieri aveva dato l’imput alla produzione di romanzi all’interno della cerchia dei letterati lombardi, dando vita anche ad una sorta di narrativa comico-satirica improntata sulla contemporaneità. Tuttavia il mutato clima storico e politico vede gli austriaci abbandonare quell’atteggiamento collaborativo avuto nei primi anni della dominazione ed inasprire l’occhio della censura. Non stupisce pertanto vedere dopo il 1819 un recupero agguerrito della legittimazione del romanzo storico, che riusciva a tenersi al riparo dalla censura. In questo frangente il romanzo di vita contemporanea non scompare, ma punta verso una narrativa d’intrattenimento, più

evasiva ed effusiva senza gli umori polemici o i riferimenti alla contemporaneità sociale – politica presenti in alcuni scritti del primo decennio. Si tentava soprattutto di abbassare il tono alto dell’eroicità tragica tipica dei modelli di Goethe, Foscolo e Byron per puntare ad una scrittura più alla mano. Tra gli esponenti di questo filone si annoverano autori di una narrativa principalmente idillico – arcadica: Bertolotti, torinese di nascita ma affermatosi a Milano – autore tra l’altro di accese discussioni in risposta alla querelle della Stael – e il pavese Sacchi, fautore di una narrativa “civile”, cioè che assecondi le aspettative del pubblico. Anche Leopardi durante gli anni ’20 pensa alla strada del romanzo autobiografico sul modello dell’Ortis, ma da un’angolatura antieroica di straniamento dell’io narrante e protagonista. A questo proposito è attorno al 1819 redige delle bozze, i Ricordi di infanzia e di adolescenza, che tuttavia non diverranno mai opera compiuta. Con le Operette morali designa una prosa umoristica e antiromanzesca caratterizzata da un’appassionata contemplazione del negativo, isolata e minoritaria nel paesaggio letterario della sua epoca. IL ROMANZO STORICO A partire dal 1827 e durante tutti gli anni ’30 comincia a prendere piede il romanzo storico. La data del ’27 è significativa poiché in quell’anno muore Foscolo, e con lui tutta una visione della storia di stampo classicista che fino ad allora aveva rappresentato il maggior nemico del romanzo storico in Italia; a Milano vengono pubblicate le Operette Morali di Leopardi – opera controcorrente e dissonante – e i Promessi Sposi. La sua diffusione è tributaria allo storicismo tipico del romanticismo europeo, ma soprattutto nel caso italiano, è dovuta alle circostanze della realtà politica; un ritratto dei costumi contemporanei della società ambientato in un remoto passato rappresentava l’unico modo efficace per evadere la censura sempre più pressante delle autorità straniere. Non meno rilevante è la questione di nobilitare letterariamente un genere anomala e ancora bistrattato dalle alte classi, attraverso l’autorità e l’autorevolezza del vero storico. Grazie al romanzo storico si assiste nel nostro paese ad una diffusione della letteratura mai vista in precedenza. Questa moderna industrializzazione editoriale dovuta allo sviluppo repentino del mercato letterario italiano, rende necessarie misure quali le prime leggi sulla tutela del diritto d’autore, introdotte nel 1840 già nel Lombardo – Veneto, o la redazione di veri e propri manuali di sociologia della letteratura nei quali si esamina attentamente il rapporto con i consumatori, la vendita e la commercializzazione del prodotto letterario. Il fenomeno di sviluppo del romanzo storico ha soprattutto irradiazione centro – settentrionale, in area lombarda: Manzoni, Varese, Bertolotti, Sacchi, Balbo (con la sua Lega Lombarda, 1816); in area Veneta si prediligono romanzi sulle epiche gesta della Serenissima, a testimonianza del legame tra romanzo storico e radici locali. Al sud la penetrazione del genere è più stentata, e gli autori meridionali rimangono arroccati ad un classicismo tenace che continua a partorire racconti storici antiromantici. IL VERO STORICO E IL NARRATORE ONNISCENTE Il rispetto storiografico serve da salvacondotto per la libertà della fantasia, ad un’analisi approfondita della realtà storica viene affiancata ad una trama fantasiosa e talvolta fiabesca nella quale si svolge la narrazione. La rievocazione del passato predilige periodi storici quali il medioevo e il rinascimento, epoche cruciali e ricche di avvenimenti, che consentono al contempo di riscoprire le tradizioni nazionali, le radici locali e gli usi e i costumi popolari. Il fascino per il lettore risiede nella visualizzazione animata del passato, nella possibilità di poter vedere attraverso una sorta di lente di ingrandimento, ogni sorta di particolare della narrazione; nessi e rapporti segreti, dettagli, circostanze private e collettive, la scansione temporale nella sua totalità, luoghi, colori e personaggi. Lo spostamento dell’ambientazione storica dalla contemporaneità ad un tempo passato e lontano permette al narratore di prendere in esame argomenti e soggetti che non gli sarebbe stato possibile esaminare altrimenti. I protagonisti del romanzo storico non sono più prettamente sovrani, nobili, cavalieri o individui di classi sociali elevate; l’interesse dell’autore si focalizza sul popolo e sulla gente comune: sui loro vizi, sulle loro virtù e sulle più svariate vicissitudini domestiche, o quantomeno della vita quotidiana. La vera svolta portata dal romanzo storico è il ruolo di colui che racconta i fatti. Si passa da un narratore itinerante dallo stampo classicista come quello settecentesco, ad una narrazione autobiografica tipica dell’io romantico, per arrivare ad un narratore onnisciente che sta al di sopra dei personaggi e dello svolgimento stesso dei fatti. Il narratore è una sorta

di regista che regola la narrazione dall’alto e dall’esterno: ha una visione globale di ciò che accade, conosce luoghi, persone, vicende passate e future, tiene in pugno i destini dei personaggi e dei fatti. OMOGENEIZZAZIONE DEL ROMANZO STORICO ITALIANO Nel contesto prerisorgimentale e risorgimentale si assiste ad un processo di omogeneizzazione e di livellamento del genere, che avviene principalmente per due motivazioni: il comune obiettivo tra gli autori del genere di politica nazionale e l’altrettanto comune necessità di contrastare le opposizioni dei classicisti. Tant’è palese questo processo di livellamento, che nel 1830 Tommaseo scrive un articolo sull’” Antologia” dove smonta il congegno standard del romanzo storico e si dice in grado di individuare senza difficoltà una ricetta a tutta questa tipologia di opere, che hanno i medesimi ingredienti. Questi sarebbero: - Preludio tramite citazione di poeta o scrittore; - Inizio con riferimenti storico – geografici dettagliati del contesto (“al pari d’una carta topografica”); - Lunghi dialoghi o descrizioni dettagliate (“farne la sezione cadaverica”) che introducano personaggi; - Soliloqui; - Dare una lezione di storia; - Presenza di un personaggio/i “buffone”; - Denigrazione o demonizzazione di sovrani, signori e ricchi; - Presenza di un personaggio misterioso che dia melodrammaticità; IL BIFRONTISMO DEI PROMESSI SPOSI I Promessi Sposi e il romanzo storico in generale ribaltano quel rapporto tra “storia” e “invenzione” che nel teatro tendeva a mettere in primo piano il vero storico e ad intrecciare introno ad esso i fatti e i personaggi fittizi. Nel romanzo, al contrario, il vero storico funge principalmente da background della narrazione, delle figure, dei costumi e dell’ambiente; rimane comunque il cardine dell’opera, ma arretra in posizione di supporto funzionale per rendere credibile e verosimile l’invenzione. Manzoni sa bene che la “storia rifatta”, l’invenzione non è altro che una favola, una specie di risarcimento morale alla cruda realtà. Infatti l’autore prende le distanze dalla trama edificante delle vicissitudini, intervenendo continuamente al dissolvimento della fable – che renderebbe inverosimile la narrazione – attraverso un “ritorno alla dura realtà”. Di qui il sottile bifrontismo che contraddistingue l’opera, una continua tensione dinamica tra speranza e disincanto, dolce e amaro, bello e brutto. La favola, secondo Manzoni, può esistere solo in un universo certo della propria impercettibilità, dove il negativo è fortuito e accidentale, pensiero tipico del fatalismo che contraddistingue l’autore anonimo dello scartafaccio seicentesco d’introduzione. Il narratore, al contrario, riconduce la linea a più terrestre antiprovvidenzialismo. Nella trama favolistica i personaggi si appellano frequentemente alla Provvidenza, che però nominano sempre invano, in accezione generale o comunque riduttiva, quando non blasfema; alla quale ogni singolo personaggio si appella o fa confidenza in modo soggettivo e interessato. Contrariamente il Manzoni rifiuta il provvidenzialismo e il ruolo della Provvidenza in quanto ente astratto e superiore che regola gli avvenimenti, ma attribuisce la piena responsabilità di essi all’opera dell’uomo. L’antifavola azionata dal narratore mette in luce la multiforme presenza del male, della violenza e del peccato nei modi più svariati e che insidia implicitamente quasi ogni personaggio o situazione. L’”invenzione” è tensione agonistica e ipotesi progettuale di un mondo migliore, però sempre vigilata dalla coscienza del vero, dalla lezione amara della “storia”. 3. LA SVOLTA DEGLI ANNI ‘40 LA CRISI DEL ROMANZO STORICO Già a partire dai primi anni ’40 il romanzo storico comincia ad entrare in crisi. Cominciano a fare la loro comparsa i romanzi di analisi, i racconti – inchiesta (ex. Storia della colonna infame), persino i primi accenni di romanzo sociale. Quel ch’è chiaro è che si ritiene necessario il passaggio da un ormai usurato romanzo storico, a racconti che abbiano come fulcro l’interpretazione realistica della contemporaneità, soprattutto sotto lo stimolo degli odierni problemi civili. Lo stesso Manzoni sancisce la fine del genere nel saggio Del romanzo storico, nel quale liquida il genere che ne

ha fatto la sua fortuna in quanto si è violato via via quel nesso costruttivo che legava “storia” e “invenzione”, ma getta le basi per la narrativa del vero che ritroviamo nella Colonna infame. Durante gli anni ’30 la situazione culturale è profondamente cambiata, la Rivoluzione di luglio e i falliti moti del ’31 hanno messo in luce un’involuzione della borghesia e glorificato il potere della finanza e del denaro, mettendo in moto un’epoca di progresso tecnologico. Il transito dal passato all’oggi è percepito come necessario, ma per l’irriducibilmente lirica e soggettiva letteratura italiana si dimostra passaggio complicato in quanto rimane la convinzione che un romanzo contemporaneo debba per forza di cose essere mediato dal particolare osservatorio dell’io. I risultati si vedranno soltanto a partire dal decennio successivo. 4. UNA NUOVA TEORIA DEL ROMANZO Il decadimento letterario degli anni trenta e quaranta che ha portato al progressivo svaluta mento del romanzo storico è stato attentamente analizzato da Carlo Tenca. Posta la decisa legittimazione del romanzo in quanto genere della modernità, ne delinea il ruolo di nuova “epica” civile della contemporaneità. Una letteratura democratica, istruttiva e popolare senza che sia insulsa, linguisticamente volgare o che abbassi i propri standard per il solo scopo di divertire il pubblico e che sia soprattutto strumento di coscienza nazionale e concordia tra le classi, in pieno spirito risorgimentale. De Sanctis conduce in questi anni un riguardevole studio sulla critica della letteratura italiana, mai condotto prima d’allora: Storia della letteratura italiana viene dato alle stampe nel 1870. Si tratta di un’opera innovativa di attenta osservazione critica ma allo stesso tempo dal taglio romanzesco e dialogato, espressione più alta del connubio tra romantico sentimento del “vero” e passione civile risorgimentale. De Sanctis innalza uno straordinario monumento al fervore progressivo dell’Italia risorgimentale e auspica per il futuro una solidarietà politico – letteraria operosa e conco...


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