il furioso tra epos e romanzo 1 PDF

Title il furioso tra epos e romanzo 1
Author Egle Addessi
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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riassunto del libro "il furioso tra epos e romanzo"...


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Il Furioso tra epos e romanzo - Sergio Zatti Capitolo I La tradizione del romanzo cavalleresco ha consegnato ad Ariosto un codice ad alta disponibilità tematica e narrativa, e, tuttavia, sufficientemente consolidato nelle sue regole operative. La svolta che Ariosto imprime gli è consentita in quanto discepolo nei confronti di un vasto corpus letterario ormai investito dalla crisi, di cui egli ricapitola in maniera originale il patrimonio inventivo e le formule espressive. Metaforicamente si può istituire un parallelismo tra l’inchiesta di Astolfo sulla Luna, deposito di oggetti perduti e catalogati, e il rapporto tra il Furioso e la mitologia cavalleresca. Essa appare l’equivalente della ricognizione ariostesca del patrimonio lasciato in eredità dal genere romanzesco: una ricognizione non solo dei luoghi ma anche dei modi di raccontare. In Ariosto, in topoi, le situazioni convenzionali della tradizione letteraria, si rigenerano e inglobano la ‘catena delle forme anteriori’. Mentre nella scrittura privata Ariosto dichiara apertamente il proprio debito di continuatore, il testo in quanto tale non nomina mai il suo capostipite, così da posti come l’epitome, non semplicemente di un’opera, ma di un intero ‘genere’. Sono numerosi, nel Furioso, gli indizi formali e tematici che dichiarano i caratteri ‘tardi’ dell’operazione ariostesca. I vari investimenti ironici non solo della materia narrata ma, anche, dei modi di narrarla, svolgono un ruolo primario. Hanno importanza anche i procedimenti di consolidamento strutturale e di riequilibrio tematico volti a mantenere l’unità della struttura pur nel rispetto della poetica della varietas e della tecnica dell’entrelacement. L’operazione ariostesca nel Furioso è volta a conferire risalto e perspicuità al disegno strutturale, a predisporre un sistema di simmetrie compensative attraverso cui il poeta controlla il processo di espansione della sua materia. Emergono così, in primo piano, i procedimenti di organizzazione stilistica e narrativa, ossia:  Procedimenti di parallelismo e di chiasmo cercati dall’Ariosto per rendere più compatta la struttura effusa dell’ottava tradizionale;  Procedimenti di stilizzazione descrittiva;  Procedimenti di analogia \ giustapposizione nell’accostamento sintagmatico dei segmenti narrativi. L’operazione artistica di Ariosto punta a una verifica e a un controllo degli strumenti forniti dal codice, attraverso la costituzione in un sistema narrativo di procedimenti già saltuariamente esperti dal Boiardo e dai predecessori. Per ironia non s’intende né il divertimento, né il ‘sorriso’ dell’Ariosto, né la spia di una distanza fra ideale e reale, fra finzione e mondo. Si intende, invece, uno strumento conoscitivo e, specificatamente, dei meccanismi, delle forme e dell’ideologia del ‘romanzo’. Quello di Ariosto è un tentativo di disciplinare attraverso canoni formali e modelli narrativi diversi dal modello romanzesco quella tendenza all’espansione senza misura, all’accumulo caotico, che caratterizzava le arie scritture della ‘ventura’ cavalleresca. La scelta ariostesca si orienta verso il canto epico. Il modello classico, infatti, era il solo che potesse fornire le misure narrative atte a disciplinare l’effusività del ‘modo’ romanzesco, nell’atto stesso in cui provvedeva a conferirgli una dignità letteraria inedita. Interprete lucido di questa ricerca di modelli di controllo e chiusura, Ariosto porta alla luce una tensione che aveva attraversato la lunga storia del genere cavalleresco: la tensione tra una concezione ‘casuale’ dell’avventura e una spinta che, contrariamente, mira a determinare il caso come ‘desino’. L’aventure si iscrive sempre più consapevolmente nella cornice unitaria e ideologicamente orientata della quete. Non sorprende che le esigenze di misura, le istanze di chiusura narrativa, si facciano sentire con particolare urgenza allorché si avvia il processo di ricodificazione cinquecentesca dei generi, e che il modello epico di Omero e Virgilio, consacrato dall’autorità di Aristotele, sempre più appaia come lo strumento adatto a chiudere gli ‘errori’ del codice romanzesco. I classicisti ortodossi criticano

fortemente il Furioso. Molte delle critiche si concentrano sui metodi metanarrativi dell’Ariosto, cioè su quei luoghi del racconto in cui egli esibisce, ‘ironicamente’, l’anatomia del romanzo: le sue deviazioni, digressioni, interruzioni. L’equivoco sta nel fatto che essi non abbiano colto una delle più vistose novità della narrazione ariostesca, ossia l’esplicitazione dei meccanismi narrativi del romanzo. Il Furioso è un testo che è costantemente sospeso sui limiti di un genere e di una tradizione. Ariosto padroneggia la tecnica romanzesca con disinvoltura e sfrutta al massimo tutte le risorse del codice espressivo. I luoghi del racconto sono dei topoi. Così, lo spazio ambivalente dove si inaugura emblematicamente l’azione del Furioso è la selva, ovvero l’antico territorio simbolico del disorientamento e dell’errore, dell’avventura e del labirinto. La prima digressione dalle strade di Francia, poi, è l’avventura di Rinaldo in Scozia, nella selva Calidonia che è il luogo canonico delle ambages arturiane: Ariosto recupera un mondo per eccellenza letterario. In questo spazio istituzionale, egli situa le due strutture portanti del racconto romanzesco tradizionale: l’entrlacement, ossia il moltiplicarsi dei filoni narrativi in rapporto con l’intrecciarsi degli incontri\scontri tra i diversi personaggi (che genera effetti di variatio e di suspence) e il tema fondante della quete, ossia, da un lato, l’avventura, la prova, nella sua accezione tradizionale, dall’altro, la ricerca di un oggetto desiderato ma perduto, l’ ‘inchiesta’ nell’accezione ariostesca. Per quanto riguarda la finalità dell’azione, in questi romanzi, si nota che ogni volta che la singola avventura è portata a compimento, tutto riparte da zero, perché obiettivi sempre nuovi si offrono alla ricerca inesausta dei cavalieri erranti, che ne vanno continuamente in cerca. Da questo deriva una proliferazione di trame indefinitamente protratte che non portano mai a una vera conclusione. La fedeltà del Furioso al genere cavalleresco si misura nell’accoglimento, ma anche nella decisiva trasformazione, dei due elementi che lo caratterizzano dal punto di vista della forma narrativa e del contenuto tematico. Ariosto non ripudia la tecnica dell’entrelacement, egli la fa propria con una frequenza e un’intensità di applicazione tale da compromettere la linearità e la fluidità del racconto. Egli, poi, estremizza certe infrazioni già boiardesche sul piano tematico: l’amore di Orlando, che si trasforma e degenera in follia, l’oltranza cortese di certe situazione e personaggi (Isabella, Zerbino,…). Ariosto, dunque, sfrutta a fondo le risorse di una tecnica (entrelacement) e valorizza certi meccanismi tematici (inchiesta). Ma, la novità più importante risiede nel fatto che egli mette in rapporto di implicazione reciproca i due elementi in questione, stabilisce un’interdipendenza tra entrelacement e inchiesta. Nel Furioso, tutti o quasi tutti i personaggi sono titolari di un’inchiesta, impegnati in una ricerca. Ognuno, pertanto, è ostacolo per tutti gli altri, che gli sono concorrenti e rivali, anche perché, in larga parte, gli oggetti del desiderio sono comuni. Siamo dunque lontani dalla quete singola dell’eroe cortese, che costruisce le sue avventure sul superamento di ostacoli prefissati, le prove, che hanno funzione nobilitante per il personaggio e ritardante per il racconto. Le inchieste ariostesche, favorite, o meglio indotte, dalla configurazione labirintica della selva, si attraversano reciprocamente, perché ogni personaggio si ritaglia una traiettoria che non può fare a meno di interferire e di venire a conflitto con le traiettorie degli altri. Questo determina non solo una particolare situazione tematica (i motivi della frustrazione, del disinganno, del rovesciamento delle attese), ma presuppone anche una diversa concezione della tecnica narrativa, che si fonda ora sul differimento e sulla durata, sfruttando gli effetti di sospensione e inadempienza narrativa a fini tematici. Ariosto, inoltre, sceglie per sé il doppio ruolo di narratore e personaggio, fuori e dentro il suo testo. In tal modo, egli ottiene di stabilire un legame istituzionale fra l’atto narrativo e l’azione narrata, creando effetti di parallelismo e di controllo che gli consentono, attraverso il gioco di rimanti internoesterno, di ‘ironizzare’ (ossia riflettere criticamente) tanto sul significato dell’azione romanzesca quanto sui modi del racconto, sulle sue tecniche e strategie rappresentative. Se i contenuti del

romanzo sono l’errore dei personaggi, il differimento sempre protratto di una conclusione dell’avventura, l’interferenza delle diverse e molteplici inchieste, ecco che l’uso del modo romanzesco, nel Furioso, punterà a un’ironica riflessione sulla digressione, sulla deviazione, sul differimento degli esiti, sull’interferenza e il groviglio dei fili narrativi. L’interferenza dei desideri e l’intersecazione dei percorsi sono la conseguenza prima del viluppo stesso delle azioni e il presupposto dell’esito, quasi sempre fallimentare, delle diverse inchieste. Il campo semantico dell’interferenza è ricchissimo: attraversare, interrompere, disturbare, interdire, impedire, distogliere,… Tale situazione tematica non è sconosciuta ai predecessori di Ariosto ma, quello che colpisce, è lo scarto quantitativo e qualitativo avvertibile nel Furioso: da un lato, si ha la netta intensificazione di tale situazione che la innalza a struttura portante dell’azione, dall’altro, la sua integrazione metalinguistica, la sua stretta connessione con la tecnica dell’entrelacement. Ariosto si fa scudo dell’interferenza di un personaggio per attuare un passaggio narrativo. Ariosto fa dei personaggi dei disturbatori del suo piano registico, esattamente come dentro il racconto ogni personaggio interagisce con le scelte e gli obiettivi degli altri. La radicalizzazione ironica del meccanismo lo conduce agli estremi di una sorta di pirandellismo ante - littere, come nel caso in cui dà voce alle rimostranze di un personaggio che si sente trascurato. Le tecniche con cui Ariosto opera le sue scelte narrative non sono altro che la conseguenza formale dell’intrico tematico dei desideri. Un esempio complesso e sistematico è fornito dal celebre episodio della Discordia nel campo pagano, dove, se pur mancano espliciti segnali metalinguistici, risulta evidente l’interesse e il divertimento ariostesco di dare espressione emblematica alle situazioni complicate del modo romanzesco. Il narratore descrive un conflitto di desideri molteplici fra loro intrecciati con perfetta circolarità che, volendo realizzarsi tutti simultaneamente senza ammettere dilazioni, avviluppano i campioni di Agramante in un groviglio inestricabile. Le contese si accavallano e si attraversano, combinando diversamente gli schieramenti in campo, poiché ognuno rivendica un legittimo possesso ed è accusato di un’indebita sottrazione. Ognuno, poi, rivendica una priorità, ma la complicazione delle diverse pretese rende difficoltoso regolamentare, razionalmente, precedenze, gerarchie e diritti. Il fatto che queste rivalità si inseriscano in una struttura perfettamente circolare comporta il fare i conti non solo con una sequenza di combattimenti ma anche con il fatto che l’ordine stesso della sequenza diventa materia di contesa. L’opera di mediazioni in cui Agramante fallisce non è dissimile da quella del regista ariostesco, cui tocca gestire un racconto in cui ci sia spazio per l’espressione di tutti i desideri, ma che vorrebbe operare secondo precise scelte gerarchiche per evitare l’anarchia di un racconto molteplice continuamente attraversato da strade digressive. L’entrelacement risulta la forma espressiva più congeniale alla rappresentazione di questo complicato meccanismo. Ariosto, dunque, valorizza una tecnica che nella tradizione rispondeva a pure esigenze di variatio e la sostanzia in un modello tematico. L’episodio qui citato è poi importante soprattutto perché gli irriducibili contrasti tra i vari cavalieri in ordine ai principi di priorità ne duelli sono paralleli ai commenti del narratore sul proprio modi di organizzare la materia narrativa, che non manca di suscitare il fittizio risentimento dei suoi personaggi. Un tema centrale è quello dell’ ‘errore’, che, in questo poema, diventa il tramite tra amore e pazzia. I due protagonisti, Orlando e Ruggiero, sono personaggi che scartano, entrambi, in maniera diversa, dal destino epico cui sono chiamati, l’uno per tradizione, l’altro per elezione. Entrambi si perdono nella selva del romanzo. La chiusura epica del racconto, dunque, fa tutt’uno con il duplice problema di recuperare il senno perduto dell’uno, ritrovando linearità unitaria di percorso, e di far rompere gli indugi e le perplessità dell’altro, restituendo all’azione una progressione temporale. L’errore del personaggio si può esplicare tanto nello spazio, come

devianza (dispersione, digressione), quanto nel tempo, come differimento (sospensione, incertezza). I due personaggi sembrano incarnare rispettivamente questa duplice possibilità.  Deviazione I vari modi in cui i cavalieri deviano da un obiettivo prestabilito trovano riscontro nei commenti del narratore sull’impossibilità di percorrere un singolo iter narrativo senza scartare lungo sentieri digressivi. In una serie di episodi, possiamo notare, tra le righe di un contrasto interiore o nell’alternativa tra due strade, il confronto tra due modi di scrittura schematicamente riconducibili all’epos e al romanzo. Nel VII canto, per esempio, si ha un confronto tra Melissa, “che tenne la diritta via” e che rappresenta il nume tutelare del matrimonio e dunque del destino epico del testo, e Bradamante, “errante e vaga”, che segue i tortuosi avvolgimenti del cammino romanzesco. Per quanto riguarda Orlando, la follia, che del semplice ‘errore’ rappresenta la forma estrema e parossistica, è quella che determina lo sviamento di Orlando, ma anche la digressione del narratore, che si dichiara, non meno dei suoi personaggi, vittima di questa condizione universalmente condivisa da gli uomini. Il perno centrale di questo gioco di rimandi interni è la ‘figura del poeta’, cioè l’opzione ariostesca di un doppio statuto di narratore e personaggio. Nel proemio dell’ultimo canto viene espressa la speciale inchiesta che il poeta si è assunto fra tanti personaggi che ugualmente agognano di condurre a termine l’impresa nonostante gli sbandamenti. L’inchiesta è il portare la nave del poema in porto superando gli scogli dell’errore. Questo viaggio narrativo non è esente da errori e distrazioni. Durling analizza il tema della pazzia comune al poeta e al personaggio. Nell’esordio del canto XXIX, Ariosto prende spunto dall’atteggiamento contraddittorio di Rodomonte , che, dopo aver dichiarato il suo odio nei confronti delle donne, alla vista di Isabella torna immediatamente a desiderarle, per scagliare un’invettiva contro l’umana incostanza. Quest’intervento diretto dal narratore a un suo personaggio può essere rovesciato come atto d’accusa contro chi lo pronuncia, perché questi oscilla non meno spregiudicatamente nel suo atteggiamento verso le donne, condannando in Rodomonte un’incoerenza, una mutevolezza che è anche sua. Dunque, il poeta si lascia cogliere in flagrante reato di incoerenza appena dopo aver rimproverato questa medesima incoerenza al suo personaggio. Nell’esordio del canto successivo, poi, il narratore si duole di essersi lasciato prendere dall’ira e dice che la colpa è di essere innamorato, e quindi, pazzo proprio come Orlando. L’oscillazione di Orlando ne confronti della sua donna fra proiettività e distruttività trova riscontro nelle ambiguità che governano l’atteggiamento del poeta verso le donne, scisso tra apologia (difesa della reputazione contro le calunnie altrui) e denigrazione (distruzione della reputazione).  Differimento Nel canto X, Ruggero, dopo aver liberato Angelica dall’orca, si appresta a far valere su di lei i suoi diritti di salvatore. Simultaneamente, qui, compare la frustrazione del desiderio di Ruggero e delle attese del lettore, entrambi differiti e sospesi. Questo episodio è la più chiara smentita delle critiche degli aristotelici cinquecenteschi che attribuivano a debolezze artistiche del ‘genere’ lo sfruttamento consapevole di una tecnica narrativa. Ariosto, qui, converte la necessità formale di interrompere il racconto in occasione tematica. La sospensione del racconto, motivata con l’eccessiva durata del canto, replica, sul versante destinatario\mittente, le frustrazioni che infligge al personaggio nel suo rapporto con l’oggetto del desiderio. ‘Differire’ è un verbo importante e preferito da Ariosto rispetto ad altre formule. Lo stesso verbo viene usato anche per esprimere l’insuccesso momentaneo, e, quindi, il rivio dell’appagamento. Il desiderio del personaggio resta insoddisfatto, così come il racconto del narratore resta sempre non compiuto. Il personaggio che incarna emblematicamente il differimento con la sua condotta perplessa e sospesa è Ruggiero, perennemente al bivio tra fedeltà al suo re o alla sua donna, fra onore e amore, fra Logistilla e Alcina. Anche dopo la conversione, il battesimo e il matrimonio, non si può

dire che Ruggiero abbia abolito del tutto le perplessità e gli indugi. L’incertezza perdura fino quasi all’ultima ottava del poema, nell’esitazione di Ruggiero a dare il colpo di grazia al suo avversario vinto, Rodomonte. La volontà ariostesca di una chiusura epica dell’azione si esercita anche nei confronti del mondo inconcluso lasciato in eredità dal predecessore Boiardo. L’equilibrio dinamico del Furioso si compone di due spinte contrapposte ed entrambe necessarie. La tensione al compimento si avvale dello scacco e della frustrazione indotti dal disturbo reciproco delle quetes come mezzi per garantire la durata dell’azione. Peculiare dell’inchiesta è l’invalicabile distanza fra soggetto e oggetto, perché essa sola garantisce il movimento nello spazio e la continuità nel tempo. Abolire questa distanza significa abolire il movimento e, dunque, la vita del poema. L’esito tendenzialmente fallimentare delle quetes assume, dunque, una determinante necessità strutturale. Quando Angelica, principale oggetto d’inchiesta, si concede a Medoro, è perduta per tutti i suoi spasimanti e inseguitori; esaurisce un’azione che essa ha sostenuto per un’intera metà del poema, e occorre inventare nuovi stimoli dinamici per mantenere il movimento nella selva. Quando un bene è posseduto da qualcuno, esso è perduto per tutti gli altri pretendenti. Così, al cadere di questa distanza necessaria, cade l’interesse narrativo: Angelica viene quasi brutalmente estromessa dal poema. Bisogna notare che il primo intervento riflessivo di Ariosto, al canto III, tratta il tema della ‘non corrispondenza’. Qui, da un lato, si inaugura un fondamentale luogo tematico, dall’altro, si afferma, sin dall’inizio, che la non corrispondenza dei desideri, lo sfasamento degli affetti, è la legge strutturale necessaria del poema. Si parla, poi, di “in giustissimo Amor”, probabilmente anche in riferimento al fatto che, se si realizzasse davvero ciò che Ariosto dice di auspicare, forse gli uomini sarebbero più felici, ma il suo poema avrebbe davvero vita breve. Bisogna anche notare che la vicenda di altri personaggi provenienti dal mondo magico del Boiardo viene valorizzata dal collegamento con il principio strutturale dell’inchiesta e con le istanze della chiusura narrativa. Negli ultimi canti del Furioso, Boiardo cede progressivamente il passo a più autorevoli modelli: Dante, che accompagna la quete provvidenziale di Astolfo sulla Luna, e, soprattutto, Virgilio, che presta a Ruggiero le sembianze di Enea, facendolo salvare dall’intervento di Melissa (corrispondente di Venere), e suscitandogli contro l’orgogliosa sfida finale di Rodomonte (corrispondente di Turno). Una serie di segnali disseminati qua e là per il testo, poi, comincia a mostrare la volontà di recupero dell’epos. Tra i segnali più significativi notiamo:  L’abbandono graduale dell’entrelacement;  La progressiva razionalizzazione del mondo magico (che non significa abbandono dei magici strumenti). Da notare: il disincantamento del palazzo di Atlante, segna la sconfitta definitiva del ma...


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