Indios - La scoperta dei nuovi mondi fu anche la scoperta di uomini mai prima d\'allora PDF

Title Indios - La scoperta dei nuovi mondi fu anche la scoperta di uomini mai prima d\'allora
Course Antropologia
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
Pages 15
File Size 358.4 KB
File Type PDF
Total Downloads 4
Total Views 141

Summary

La scoperta dei nuovi mondi fu anche la scoperta di uomini mai prima d'allora apparsi nelle grandi storie universali. Il racconto di questo libro, ricco di volti e di storie, si snoda dal Messico alla Cina, passando per le isole Molucche e il Perù, ma anche per le botteghe dei tipografi veneziani e ...


Description

INDIOS, CINESI, FALSARI – LE STORIE DEL MONDO NEL RINASCIMENTO PREMESSA: Tutto quello che vediamo camminando per strada (luoghi, oggetti, merci) rimandano a culture assai diverse fra loro. Oggi, si tende ad associare tutto ciò alla globalizzazione, ma le società attuali tendono ad avere un disinteresse del passato in quanto, per le stesse, rispettare le differenze tra culture richiede necessariamente la dimenticanza della storia delle stesse differenze culturali, in modo da realizzare un senso di unità privo di storia. Questa è la più grande differenza tra il mondo attuale e quello di cinque secoli fa, interessato dalle prime esplorazioni e, di conseguenza, dalle prime scoperte, come la scoperta dell’America, che rese manifesta l’esistenza di continenti prima ignorati. Accanto alla scoperta di territori e uomini, vennero scoperti anche i loro passati, fatti di molteplici memorie trasmesse in diversi modi (il mondo emerse, dunque, come un “contenitore di tante storie”). La scoperta di una pluralità del passato causò sbalordimento e spaesamento nelle diverse società, che reagirono scrivendo storie del mondo, ognuna in lingue e modi diversi. Tra il Cinque e il Seicento ci si concentrò anche sull’Europa e sui possedimenti transoceanici delle sue maggiori potenze. Quelle opere si sovrapposero con un ulteriore interesse per l’antichità classica. Ciò portò all’urgenza di servirsi di materiali e informazioni più varie, dipendendo soprattutto da esperienze di vita. Questo libro è un racconto delle storie e delle esperienze di uomini, prendendo in considerazione le domande fatte da Rosario Romeo e Giuliano Gliozzi che, con le loro ricerche, propendevano per una lettura ravvicinata delle fonti e la volontà di incrociarle in modi particolari. Inoltre, cercano di dimostrare che la scoperta del Nuovo Mondo non è stata fine a se stessa, ma ha fatto parte di un più ampio e complesso riorientamento culturale. L’apertura del libro è dedicata agli storici di oggi che cercano di studiare la storia globale, e alle loro difficoltà nel farlo, sempre partendo dalle storie del mondo che, però, sono considerate come espressione di una breve stagione del Rinascimento, l’uso di esempi di storie del mondo permette di capire ancora meglio il tutto. Il libro affronta 4 diverse forme di racconto della storia del mondo nel Rinascimento: 1. Il frate francescano Toribio de Benavente (Motolinìa), arrivato in Messico, è tra i primi ad avere l’idea delle antichità del Nuovo Mondo, sottolineando l’importanza di includere le storie degli indios nella storia del mondo. 2. Il portoghese Antonio Galvão credeva in una storia del mondo fatta da un movimento incessante di uomini e merci. Dopo essere stato per alcuni anni capitano delle Molucche, avrebbe raccolto storie dai loro abitanti riguardanti una precedente dominazione cinese dell’Oceano Indiano (arrivò a fare dei cinesi i primi popolatori dell’America). 3. Ai primi del Seicento, si concluse la cronaca scritta in spagnolo dall’indio del Perù, Guaman Poma de Alaya, che tracciò le memorie delle popolazioni andine riguardanti le epoche precolombiane, allo scopo di riscattarle dall’assoggettamento all’impero spagnolo. 4. Infine, furono pubblicate a Venezia le “Historie del mondo” di Giovanni Tarcagnota e dei suoi continuatori. Questa idea di connettere tra loro i passati del mondo andò scemando con le invasioni di olandesi e inglesi in Asia e America a partire dalla fine del Cinquecento. La minaccia di un’espansione della Riforma protestante fece si che ci fosse una sorta di passaggio dalla mobilità ricavata dalle storie del mondo ad una staticità conoscitiva a livello geopolitico (via intrapresa da Giovanni Botero nelle sue “Relazioni Universali”). STORICI DI UN MONDO CHE CAMBIA: OGGI NEL RINASCIMENTO 1. La storia nell’età della globalizzazione Viviamo in un’epoca di compressione del tempo. Il tempo è stato studiato a lungo nel corso dei secoli, e c’è stato un periodo in cui gli storici hanno preso le distanze dallo studio di cosa fosse il presente e da cosa esso si originasse. La storia ha ricevuto numerosi attacchi, ed infatti è stata considerata, nel corso degli anni, un mero genere letterario. Alla storia viene, oggi, chiesto di formulare domande e proporre analisi legate a società diverse in quanto, essendo entrato in crisi il modello dell’eurocentrismo, la storia ha sempre più il

compito di portare alle luce la molteplicità dei passati del mondo. In realtà, costa fatica rinunciare all’immagine della supremazia dell’Europa e dell’Occidente, immagine ancor più rafforzata a seguito delle scoperte geografiche, delle Riforma Protestante, della rivoluzione scientifica e dell’Illuminismo. La storia comparata delle civiltà, infatti, porta all’individuazione delle loro differenze e, di conseguenza, ad una visione eurocentrica, sottraendo attrattiva alla storia. Un modo per restituirgliela, è il recupero della lunga durata, tipica della storia universale, con la presenza delle sue interpretazioni elaborate nell’arco di secoli o millenni. Dagli anni novanta, si sta affermando un altro tipo di approccio focalizzato non tanto ai grandi affreschi, ma piuttosto ai frammenti di relazioni e di intrecci nell’ambito del commercio trans-culturale (attenzione per le dinamiche di scambio fra i mercanti, che non condividevano la lingua, il diritto, e la religione). Questo tipo di analisi ha fatto emergere ancor più la competizione tra imperi globali sorta tra Quattro e Ottocento. In questo tipo di approccio, viene beneficiata la possibilità di una più profonda osservazione, e la possibilità di un recupero della visione dei non europei). 2. Mughal e ottomani scrivono la storia del mondo La rottura con la vecchia storia universale otto- novecentesca ha portato ad una sfida lanciata dalla storia globale e da una vertigine causata dalla riscoperta di passati multipli del mondo. Una posizione intermedia è contenuta nell’articolo del primo numero di “Journal of Global History”, in cui c’è una riflessione sulle tradizioni storiografiche per comprendere cosa sia in realtà la storia globale. La risposta è stata che essa rappresenterebbe un ritorno alla storia universale con tutti gli interrogativi legati all’ascesa dell’Occidente (cercando però di ritrattare l’idea di una supremazia europea). Prima della frattura globale in cui c’era il predominio dell’Occidente, in Cina, Europa e nel mondo islamico c’era un approccio di tipo etnocentrico. Questa era una tendenza basata sul giustapporre le diverse culture, considerandole blocchi separati. Ovviamente, si percepiva in questo approccio una comparazione, ma di sapore antagonistico. Cos’è, dunque, la storia globale? Essa è “lo studio della molteplicità dei passati del mondo e lo studio del modo in cui tali passati possano fra loro intrecciarsi”. Le storie del mondo venivano scritte, in quegli anni, per sopperire alla necessità di organizzare l’esplosione di informazioni pervenute a seguito delle numerose scoperte. Nell’età delle scoperte ci fu anche una tendenza alla xenologia (ovvero all’interesse verso ciò che è estraneo). Non è vero, però, che queste reazioni furono tali solo per gli europei. In generale, si parla sempre di una forte espansione europea, associata ad una totale passività del mondo non europeo. Ma non è così. All’inizio del Quattrocento (precisamente nel 1405), la flotta cinese solcava le acque dell’Oceano Indiano, assoggettando le città portuali dell’Asia meridionale, fino ad arrivare alle coste dell’Africa orientale (le spedizioni furono bruscamente interrotte nel 1433). Gli imperi europei d’oltremare furono formati inizialmente da portoghesi e spagnoli (inizio 500). Gli imperi cinese, mughal, russo e safavide si espansero solo via terra, mentre gli ottomani terrorizzarono a lungo il Mediterraneo, penetrando poi nell’Oceano Indiano. Le importanti spedizioni dei mughal, ad esempio, vengono narrati attraverso l’arte pittorica. Molte storie del mondo in Asia tra Cinque e Seicento erano messe in circolazione, ma molte altre venivano condannate, modificate o riscritte. Tahir Muhammad scrive una cronaca mughal in lingua persiana, il “Giardino Immacolato”, ovvero la descrizione di una storia universale con la creazione del mondo, i primi profeti e gli albori dell’Islam, fino a giungere alle grandi potenze asiatiche che precedettero la formazione dell’impero mughal. Usò per il suo libro degli informatori locali e approfittò di missioni diplomatiche. Tahir chiama il suo libro “libro della meraviglie”, esso arriva ad accennare all’isola di Sant’Elena, ma non all’America. Anche gli storici cinesi tacevano sull’America, mentre in Asia, ad Istanbul, le cose erano diverse: un anonimo nel 1580 scrisse un lungo racconto sulle Indie Occidentali (comprendendo la storia del viaggio di Colombo, la penetrazione spagnola i Caraibi, le conquiste di Messico e Perù, e così via). Ciò permise all’impero ottomano di conoscere bene le dimensioni dell’impero spagnolo. Tra il 1591 e il 1598, Mustafa Ali di Gallipoli scrisse la sua opera “Essenza della storia”, intesa come storia dell’impero ottomano e del mondo,facendo uso di fonti in turco, arabo e persiano. La visione del mondo che ne emerge è quella di un pio ufficiale musulmano con un focus sulla creazione dell’Islam, sull’ascesa dell’impero mongolo fino agli imperi ottomano, safavide e mughal. Inoltre, la presenza di una carta geografica dimostrava ancora una volta il fatto che nel Cinquecento alcuni ambienti di corte ad Istanbul fossero sensibili a temi e immagini del Rinascimento. Nel 1559 fu stampato a Venezia un mappamondo a forma di cuore, ma i nomi dei luoghi erano scritti in turco, intesa come “lingua che domina il mondo” come si legge nell’apparato testuale,

posizionato a corredo con la carta. Ci sono delle incertezze nelle parti scritte, testimonianza di un prodotto ibrido, con il coinvolgimento del veneziano Michele Membrè, che aveva condotto spedizioni alla corte safavide ed ottomana e che esercitava la carica di dragomanno (mediatore ufficiale per trattative con i mercanti turchi attivi a Venezia). Nell’apparato testuale vi sono, poi, parole e metafore scelte con cura in modo da imporre un ordine gerarchico nella storia del mondo, con al vertice il sultano ottomano (inteso come un sole che illumina in primis l’Europa, ma che con il vigore dei suoi raggi arriva anche in Asia ed Africa). 3. Tentativi rinascimentali: il mondo oltre l’America La nuova consapevolezza che ci fossero diversi passati della storia del mondo portò a diverse reazioni e, di conseguenza, a due caratteristiche ben precise: 1) l’abbandono dell’idea per cui l’autore è concepito come separato ed esterno rispetto alle cose che racconta, cosicché si potesse arrivare ad un racconto storico esaustivo e 2) l’esposizione delle informazioni in un ordine che procede per accumulo, e non in modo armonioso, in modo che sempre nuove informazioni potessero essere aggiunte. Che cosa accadeva, invece, tra gli storici europei? Scrivevano anch’essi storie del mondo? È molto difficile rispondere a questa domanda, in quanto si continuavano a considerare come unica espressione autentica della scrittura rinascimentale quelle opere prodotte solamente da eruditi e studiosi europei. Nonostante ciò, queste opere prodotte di stampo prettamente europeo erano un modo per diffondere informazioni sulle esplorazioni e conquiste degli imperi europei d’oltremare. Tale tendenza ad isolare i testi scritti in America dagli altri (come se solo quelli europei fossero importanti) conduceva ad un’ancora più forte frammentazione della storia del mondo e ad una perdita di ricchezza di molti testi, che potevano essere analizzati solo se ancorati ad altri, e non se costretti in caselle prestabilite. Per ricomporre tale frammentazione, si ricorre alla geografia e alla cartografia. Ma come recuperare in toto la genesi delle storie del mondo scritte nel Rinascimento? La risposta è semplice: estendere l’attenzione anche a quelle popolazioni di cui non si avevano notizie in precedenza, i cosiddetti “barbari”. La storia non era più appannaggio dei soli europei, ma comprendeva tradizioni, costumi, miti e figure legate al mondo extraeuropeo. La volontà, da parte degli europei, di recuperare le storie del passato dei popoli con i quali essi vennero in contatto, si legò ad un interesse per il recupero dell’antichità classica (intesa non solo come antichità legata al popolo latino e greco, ma anche a popoli in cui non si accennava neppure alla conoscenza della Bibbia). 4. Fare la storia del mondo: un ritorno indietro? Voltaire è stato il primo pioniere della scrittura di storie del mondo in Europa, grazie al suo interesse per la Cina all’interno dell’opera “Essai sur les moeurs et l’esprit des nations” (1756), che rompeva con la centralità del mondo ebraico- cristiano. Ma, nei due secoli precedenti, non erano certo mancate anche opere sul mondo extraeuropeo, come l’opera di Paolo Giovio “Commentario de le cose de’ turchi” (1532), sottolineando il fatto che il numero degli scritti dedicato ai turchi e all’Asia in Europa rimase a lungo superiore a quelli sull’America. Una delle opere principali sull’impero ottomano, poi, è “Annales sultanorum othmanidarum” (1588) e le “Historiae musulmanae turcorum” (1591) del calvinista tedesco Johannes Loewenklau. Nel 1610, il viaggiatore Teixeira pubblicò un testo in spagnolo sulla storia dei sovrani della Persia poiché, avendo letto dei libri a riguardo, li aveva trovati confusionari, dunque sentì l’esigenza di scriverne uno che fosse maggiormente chiaro. In questo modo, e attraverso queste ed altre opere, gli europei colti accrebbero il loro interesse per le altre parti del mondo. 5. La riscoperta di un Rinascimento globale La scrittura delle storie del mondo fu ben rappresentata dalla storia, che assorbì e reinterpretò le interazioni globali tra società e culture nel Cinquecento. Il mondo stava diventando un oggetto condiviso, come dimostra un’incisione posta sul frontespizio di una compilazione: “Le Monde, ou la Description generale des ses quatre parties”, pubblicato nel 1937 per i tipi di Claude Sonnius, e nel quale si seguiva un ordine per continenti un po’ inconsueto: Asia, Africa, America e, infine, Europa. L’autore era Pierre d’Avity, accusato anche di aver pubblicato, tempo prima, una descrizione del mondo molto somigliante alle “Relationi universali” di Botero. Le Monde ebbe molto successo, tanto che vennero aggiunte, nelle successive

pubblicazioni, nuove parti. Sul frontespizio, si trova l’immagine realizzata da Jean Picart, con al centro un mappamondo, che reca al suo interno l’emisfero con l’Africa, l’Europa e l’Asia. Ai lati del globo sembrano esserci due gruppi di uomini, e il globo stesso, sembra unire questi due gruppi. Sulla sinistra vi sono sei europei, finemente vestiti con abiti che seguono la moda dei loro paesi di provenienza; sulla destra vi sono altri sei uomini, abbinati secondo il modo in cui gli Europei rappresentavano le parti del mondo di cui questi individui erano originari (ovvero Asia, Africa e America). Le Monde ha lo scopo di fornire conoscenze utili alla politica, ma attraverso la geografia, non è una storia del mondo. Le storie del mondo non sono solo legate a fonti scritte, bensì anche a quelle orali legate ad informatori locali. A questo movimento non prese parte solo chi viaggiò, ma anche chi, pur senza farlo, si procurò oggetti provenienti da terre lontane, come drappeggi, pezzi di statue o recipienti. L’allargamento degli orizzonti conoscitivi portava con se anche la paura e il pericolo del falso, per questo nel Cinquecento nacque un nuovo tipo di conoscenza, l’antiquaria, che cercava di stabilire un contatto diretto col passato per poter ricostruire genealogie e miti legati ad una determinata società. La conoscenza dell’antiquaria favorì, anche, la messa in circolo di un maggior numero di oggetti antichi, provenienti dall’Asia Meridionale e dalla Cina (come velluti, sete, tappeti) e dall’Africa occidentale (marmi). Questo Rinascimento fu, quindi, caratterizzato da impulsi conoscitivi che andavano oltre L’Europa e il Mediterraneo. LE ALCHIMIE DELLA STORIA: UN FALSARIO SBARCA IN AMERICA 1. Un francescano nella Nuova Spagna Quando i primi spagnoli giunsero nel Messico centrale (all’indomani della conquista di Cortés – 1521), si trovarono ancora di fronte ad un paesaggio caratterizzato dalle testimonianze delle popolazioni precolombiane, avendo la sensazione di essere entrati in un mondo parallelo, come se il tempo, per quelle popolazioni, si fosse fermato, e non ci fosse stato nessun contatto con il resto dell’umanità. L’impero azteco era terminato nel 1521, con la morte di Moteuczoma II. Gli spagnoli cercarono di distruggere ogni traccia delle culture locali, come i simboli del potere e le pietre monumentali che li ricordavano. Nel 1524 giunsero in Messico dodici frati francescani guidati da Martìn de Valencia (come gli apostoli), per cercare di convertirli ad una nuova fede, quella cristiana, per poi realizzare una conversione universale. Questi francescani avevano fretta di realizzare la loro missione, al punto da realizzare battesimi di massa; tuttavia, dovettero affrontare la forte resistenza degli indios. I frati capirono di avere di fronte a loro esseri umani, e che era necessario rivolgersi al passato degli indios per comprendere la loro visione del mondo, e non violare il loro universo come, invece, aveva fatto Cortés. In realtà, la conciliazione fu solo apparente. Quella che era l’antichità degli indios non venne mai, di buon grado, accettata come tale, bensì riformulata secondo i precetti europei. Gli indios rimanevano gli unici a conoscere le loro storie del mondo, e quelle delle loro società. Ma come organizzare i materiali dispersi e confusionari per realizzarne un prodotto unico e comprensibile? I francescani dovettero organizzarsi secondo narrazioni locali scandite in modo temporalmente ciclico, stabilire criteri di affidabilità delle informazioni raccolte, e disporle in modo che fossero comprensibili alla maggior parte dei lettori. Questa prospettiva, inoltre, spinse i francescani a pensare i loro scritti secondo uno schema binario: all’età precolombiana, fatta di false credenze e pratiche violente ispirate al demonio, seguiva un’età di rigenerazione spirituale, legata ai successi dell’opera missionaria. Toribio de Benavente fu il frate francescano più impegnato nella composizione di relazioni sulle antichità messicane. Scrisse “Historia de los indios de la Nueva España”, indirizzata al potente Don Antonio Alfonso Pimentel, conte di Benavente, in Spagna. Qui riassumeva i suoi 15 anni di esperienza missionaria, raccontando dei luoghi in cui si era avventurato (Guatemala, Nicaragua), degli idiomi locali che aveva imparato (come il “nahuatl”, lingua veicolare dell’altopiano del Messico centrale), e via dicendo. Tra il 1532 e il 1533 aveva anche preso parte alla volontà di estendere l’opera di conversione fino in Cina, trasferendosi a Tehuantepec. Il suo aspetto umile aveva fatto sì che fosse conosciuto tra gli indios come “Motolìnia”, ovvero . La sua opera doveva chiarire come in Messico fosse ormai in atto, con i francescani, la trasformazione di popolazioni idolatre in un gregge mansueto di cristiani devoti. L’opera, però, arrivò parziale (e fu, più che altro, una cronaca generale) al conte di Benavente. L’Historia presenta un’epistola proemiale, in cui l’autore comincia col giustificarsi per la trattazione troppo breve dell’antichità. Motolìnia adotta, poi, un criterio genealogico per analizzare la storia del popolo messicano: individua ondate

migratorie di popolazioni che hanno, con la loro lingua, influito sui nomi delle città, dei villaggi e dei territori. Tale tecnica narrativa era considerata la migliore, ed era legata a quelle europee. 2. Motolìnia e i racconti degli indios Le pagine dell’Historia ricche di fonti sono anche ricche di ambiguità: Motolìnia sostiene di essersi affidato, per la stesura della sua opera, a libri antichi con simboli e immagini difficili da interpretare per l’assenza di lettere. Si avvale anche di uno dei cinque codici pittografici oggi andato perduto, in cui erano contenute informazioni sul conto degli anni, il calendario dei giorni, ricordo di imprese di guerra, tempeste, segni del cielo, e così via. Sostiene, poi, che l’antico Messico sia stato popolato da “tre maniere di genti”: 1) i chichimeca (le notizi...


Similar Free PDFs