Inferno - Canto XXVI - Appunti di lezione Tutte PDF

Title Inferno - Canto XXVI - Appunti di lezione Tutte
Course Letteratura italiana
Institution Università per Stranieri di Siena
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Appunti di letteratura italiana ...


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INFERNO Canto XXVI Il Canto XXVI dell’Inferno, noto anche come il “Canto di Ulisse”, è ambientato nell’ottava Bolgia dell’ottavo Cerchio dell’ultraterreno mondo infernale. Qui sono puniti i consiglieri di frode; in particolar modo, la narrazione si concentra su una celebre anima che si è macchiata di questo peccato: stiamo parlando di Ulisse, l’eroe acheo colpevole non solo di aver ordito quegli inganni che ben conosciamo grazie ai poemi omerici (l’ideazione del cavallo di Troia, ad esempio), ma anche di aver trascinato la sua compagnia di amici alla morte, per mezzo di una persuasiva orazione. Siamo di fronte a un peccato da cui Dante si sente particolarmente toccato, tant’è che – dice ai versi 19-20 – il solo ricordo di quel che vide lo fa ancora soffrire al momento della scrittura della Commedia: ben consapevole dell’ingegno che gli è stato donato, l’autore vede nella pena inflitta ad Ulisse un freno morale, un ammonimento ad utilizzare l’intelligenza umana all’interno della morale cristiana, senza sconfinare nella superbia conoscitiva.

PERSONAGGI DEL XXVI CANTO Vero protagonista del XXVI Canto dell’Inferno è Ulisse: ben 52 dei versi presenti sono affidati alle parole dell’eroe acheo, che – nel momento in cui prende parola – domina completamente la scena con il racconto del suo ultimo viaggio. Personaggio appartenente alla mitologia classica, figlio di Laerte e di Anticlea, egli è uno dei personaggi più importanti dei poemi omerici e, nello specifico, dell' Odissea in cui viene narrato il suo viaggio di ritorno a casa dopo la guerra di Troia e di cui si configura, quindi, come protagonista indiscusso. Valoroso guerriero, esperto navigatore ma anche astuto orditore di inganni, Ulisse è un personaggio dai molteplici volti e che – oltrepassando la tradizione omerica – è divenuto protagonista di diverse opere successive, latine e medievali. All’interno del XXVI Canto dell’Inferno, Ulisse incarna non più soltanto l’astuto ingannatore, bensì l’uomo di ogni tempo che dedica l’intera propria vita alla conoscenza. La sua colpa è la questione dell’inganno, ma il peccato commesso da Ulisse non si limita a questo: l’eroe acheo trova la morte proprio nel momento in cui sta cercando di oltrepassare i limiti posti al sapere umano, raffigurati nelle Colonne d’Ercole. Il suo desiderio di «seguir virtute e canoscenza» viene perpetuato al di fuori della Grazia divina e assume quindi i connotati di un folle volo: la sua audacia, esclusivamente basata sulle capacità umane e sulla ragione, è destinata al fallimento, alla morte di fronte al monte del Purgatorio, segno di ciò che può essere raggiunto solo attraverso un percorso di conversione e di obbedienza a Dio.

SINTESI NARRATIVA 1-12. Il Canto si apre con una pungente invettiva di Dante nei confronti di Firenze. Egli, infatti, nella settima Bolgia – dov’è punita la colpa del furto – ha incontrato ben cinque anime di ladri fiorentini. L’autore preannuncia quindi un terribile futuro per la sua città natale. 13-75. Dante e Virgilio riprendono il cammino e si imbattono in uno spettacolo il cui ricordo scatena ancora nel poeta una terribile sofferenza. Il fondo buio dell’ottava Bolgia è illuminato da tante fiammelle vive: sono le anime dei consiglieri fraudolenti, imprigionate all’interno di lingue di fuoco. L’attenzione dell’autore è rivolta, in particolar modo, ad una fiammella con la punta biforcuta: all’interno di essa sono nascoste le anime di Ulisse e Diomede, eroi achei che a più riprese si sono macchiati della colpa dell’inganno. Dante chiede allora a Virgilio di avvicinarsi a dialogare con esse; la guida acconsente ma gli suggerisce di lasciar parlare lui.

76-102. La fiammella dalla punta biforcuta si avvicina ai due; al che, Virgilio chiede di sapere come sia morta almeno una delle due anime intrappolate al suo interno. A rispondere è la più grande delle due punte, Ulisse: egli racconta che, una volta liberatosi dalla prigionia della maga Circe, non bastarono gli affetti a frenarlo e decise di partire, insieme ad un gruppo di fedeli amici, per soddisfare finalmente la sua sete di conoscenza. 103-142. Ulisse e i suoi compagni si spinsero allora nel Mediterraneo, verso ovest, fino a raggiungere lo stretto di Gibilterra – le colonne d’Ercole. Dopo aver esortato e convinto i suoi compagni, attraverso un piccolo ma convincete discorso, a varcare quel limite, Ulisse proseguì verso sud fino a raggiungere la montagna del Purgatorio. In quel momento una tempesta si alzò dal mare e colpì la prua della nave, facendola ruotare tre volte su sé stessa e, infine, inabissare.

ANALISI DI ELEMENTI TEMATICI E NARRATIVI La colpa: i consigli fraudolenti Nel XXVI Canto dell’Inferno sono punite le anime dei consiglieri fraudolenti, coloro che hanno posto il loro ingegno non a servizio del bene e della virtù cristiana, bensì dell’inganno. Siamo di fronte a una tipologia di peccatori verso cui Dante mostra una certa riverenza – in particolar modo, come abbiamo visto, nei confronti della figura di Ulisse. È un peccato di intelligenza che, proprio in virtù di questa sua peculiarità, non fa perdere all’essere umano le proprie prerogative e non lo induce così a divenire simile ad una bestia. Ovviamente questo non attenua la colpa dei consiglieri fraudolenti – ci troviamo comunque nell’ottava Bolgia, uno dei punti più bassi dell’universo infernale – ma dona al Canto XXVI dell’Inferno un’atmosfera sensibilmente diversa rispetto a quella a cui siamo stati abituati in precedenza. Regna una certa compostezza e, di conseguenza, mancano del tutto gli elementi di disprezzo, di ripugnanza, e anche di atroce sofferenza che caratterizzano l’intero Inferno. In quest’ottica neanche la pena ci appare così atroce, né degna di una minuziosa descrizione da parte dell’autore: i consiglieri fraudolenti sono avvolti in lingue di fuoco, sottostando per analogia alla legge del contrappasso. Infatti, come essi in vita attraverso la lingua (cioè la parola) hanno espresso i loro ingannevoli consigli, così nell’Aldilà hanno assunto l’aspetto di lingue di fuoco. Se la figura di Ulisse arriva nella nostra cultura prevalentemente dall’Odissea, è altrettanto vero che il poema omerico si chiude con il ritorno di Ulisse ad Itaca, tra le braccia della paziente Penelope. Una conclusione confortante, che non lascia spazio – almeno all’interno dell’opera di Omero – ad ulteriori avventurosi sviluppi e che, in linea di massima, non viene contraddetta dalla maggior parte dei poeti e studiosi greci, romani e bizantini. Come mai allora Dante ci pone di fronte ad un nuovo viaggio, che sarà fatale all’astuto eroe? C’è innanzitutto un dato che ci viene offerto dall’Odissea stessa: quando Ulisse discende agli inferi, l’indovino Tiresia gli confida che, dopo il ritorno ad Itaca, egli riprenderà a viaggiare e che troverà la morte – che sarà per lui dolce – in mare. È altrettanto vero, però, che Dante non conosceva il greco e che quindi era impossibilitato a leggere il poema omerico; è plausibile che egli riprendesse quindi il tema della morte di Ulisse in mare da Ovidio, il quale – nell’Ars Amandi – ci racconta di una ninfa Calipso che presagisce una sfortunata fine dell’eroe acheo. Anche Seneca, nelle Epistulae ad Lucilium, parla di un possibile viaggio oceanico del protagonista dell’Odissea. È probabilmente da queste opere, e dalla letteratura medievale, che Dante prende le mosse per l’elemento narrativo della morte di Ulisse presente nel Canto XXVI dell’Inferno. Francesca da Polenta (Francesca da Rimini) sarà messa costantemente in parallelo con Ulisse. Costituiscono due estremi del discorso Dantesco che lo accompagnano in tutto il viaggio, due personaggi tra i più attuali della Divina Commedia. Cosa si intende per attualità? Il fatto che non c’è nessun altro autore come Dante che ha ancora oggi influenzato il nostro immaginario, le nostre idee e il nostro modo

di parlare. L’unico altro autore è forse Machiavelli, infatti dare del machiavellico corrisponde a dare dello scaltro, arguto, fraudolento; oppure espressioni come “Il fine giustifica i mezzi”. Commozione/desiderio nei confronti di Francesca e Ulisse. Francesca: è la questione dell’amore carnale pulito e si trova con Paolo nel secondo girone dell’Inferno che punisce i lussuriosi. Ulisse: la seconda questione, ed ha a che fare con la conoscenza, il desiderio e la spinta che portano l’uomo oltre i limiti della ragione. Simpatia: deriva dal greco sympatheia (syn + pascho, affezione con, affezione assieme) che Dante prova nei confronti di Ulisse e nei confronti di chi ha perseguito la ragione oltre i limiti consentiti. Virgilio risolve il problema della punizione di Ulisse (per cui si trova nella bolgia dei consiglieri fraudolenti) in due versi e fondamentalmente spiega che è punito per l’inganno del cavallo di Troia e non per il fatto che si sia spinto oltre le Colonne d’Ercole (motivo della morte di Ulisse). Anche su Ulisse abbiamo una traccia di Borges, intitolata “L’ultimo viaggio di Ulisse”. Metà del canto XXVI è occupato dalle parole di Ulisse, senza nessun commento emotivo di Dante, così come per Pier delle Vigne; Dante non parla effettivamente, parla con Virgilio. Ulisse infatti parla perché interpellato da Virgilio. A differenza di altri dannati e purganti che di solito interagiscono con Dante o con Virgilio, Ulisse è completamente indifferente da ciò che lo circonda, non è un dialogo quello tra Ulisse e Virgilio, perché Virgilio gli pone una domanda e Ulisse inizia a parlare. Virgilio e Dante non chiedono di spiegare questioni teologiche o strutturali, ma gli chiedono una cosa specifica “Come vi siete condotti alla morte?” E’ vero che le parole sono di Virgilio, ma la curiosità, l’esecuzione sono di Dante. Dante non conosceva il greco, conosce, legge e scrive il latino (lingua della letteratura e della scrittura) e quindi la cultura di Dante ha contatti con il mondo greco, però mediato dai latini. (Aristotele, uno dei primi studiosi della retorica). Come conosce Dante la Grecia e Ulisse? Grazie a riassunti e catalogazioni di filosofi in latino, traduzioni, adattamenti dei caratteri greci e l’influenza di alcuni filosofi arabi soprattutto Avicenna e Averroè che scrivono in latino basandosi sulla filosofia greca e soprattutto sulle conoscenze non solo filosofiche, ma anche mediche; ispirano la nascita nel XIII della scuola medica salernitana. Essenzialmente Dante Ulisse lo conosce solo tramite l’Eneide, perché vengono riepilogati da Enea i fatti di Troia e l’Achilleide del poeta latino Stazio, in cui si narrano le storie di Achille, ma anche di Ulisse. Nel Medioevo era già diffusa l’idea di Ulisse come campione di conoscenza, modello virtuoso di conoscenza, della virtus, una delle spinte naturali dell’uomo; Cicerone, Stazio e Ovidio creano già attraverso le loro opere il mito di Ulisse legando Ulisse alla ragione umana. Tra le varie speculazioni della morte di Ulisse ci sono alcune varianti: 1) Non ha mai fatto ritorno a Itaca; 2) Non ce la faceva a stare ad Itaca con la moglie perché spinto dalla conoscenza. L’ultimo viaggio di Ulisse è un’invenzione completa di Dante. Ci sono moltissimi elementi che rendono Ulisse come Francesca figura di contraddizione. (Verso 125 e canto XXVII del Paradiso). La figura di Ulisse è così importante per Dante che ne modella parole e pensieri. Loro due sono accomunati dal “viaggio”. (Lettura di Borges).

La sfida che pone Ulisse è la sfida che Dante ha davanti nel dover trattare in volgare questioni sacre e che hanno a che fare con i misteri della teologia, cosa che si faceva solo in latino e ad opera della chiesa. Dante scrive quindi un’opera che parla di cristianità, ciò viene considerato come un atto di superbia, perché fa pronunciare in questo modo discorsi a chi vuole lui e come vuole lui, così come le condanne nell’Inferno ad esempio, oppure Beatrice che viene paragonata alla Madonna e a Cristo. La superbia è il peccato del Dante autore. Ulisse è il primo dannato dell’Inferno ad essere superiore a Dante. Il canto non può che finire con la parola di Ulisse, perché non può esserci una parola di Dante a commentare (aveva commentato Francesca ad esempio). Il canto di Ulisse è una digressione perché il suo racconto non serve a nulla, tutto il resto dal verso 90 al 142 è inutile perché non succede nulla a livello di trama. Dante si paragona ad Ulisse a livello di autore perché anche lui sfida i limiti della conoscenza , i Sacramenti... Con gli altri non parla per sdegno, ad eccezione di Pier delle Vigne per via della pietas, che bisognava spezzare i rami, parti del suo corpo per farlo parlare. Abbiamo una digressione a livello di trama e l’insufficienza della ragione umana.

FIGURE RETORICHE 25-32, «Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, / nel tempo che colui che ’l mondo schiara / la faccia sua a noi tien meno ascosa, // come la mosca cede alla zanzara, / vede lucciole giù per la vallea, / forse colà dov’e’ vendemmia e ara: // di tante fiamme tutta risplendea / l’ottava bolgia»: similitudine 28, «mosca»: sineddoche (singolare per il plurale) 28, «zanzara»: sineddoche (singolare per il plurale) 34-41, «E qual colui che si vengiò con li orsi / vide ’l carro d’Elia al dipartire, / quando i cavalli al cielo erti levorsi, // che nol potea sì con li occhi seguire, / ch’el vedesse altro che la fiamma sola, / sì come nuvoletta, in sù salire: // tal si move ciascuna per la gola / del fosso»: similitudine 34, «colui che si vengiò con li orsi»: perifrasi per indicare Eliseo 80-81, «s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, / s’io meritai di voi assai o poco»: anafora 101, «legno»: sineddoche per indicare la nave 106, «vecchi e tardi»: endiadi 114-115, «a questa tanto picciola vigilia / d’i nostri sensi ch’è del rimanente»: perifrasi per indicare la poca vita rimasta 125, «de’ remi facemmo ali al folle volo»: metafora per esprimere la temerarietà del viaggio di Ulisse 138, «legno»: sineddoche per indicare la nave...


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