Inferno - Canto II - Appunti di lezione Tutte PDF

Title Inferno - Canto II - Appunti di lezione Tutte
Course Letteratura italiana
Institution Università per Stranieri di Siena
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Appunti di letteratura italiana ...


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INFERNO Canto II E’ possibile dividere il Canto in tre macro-sezioni: Il proemio (vv. 1-9); L’esposizione dei dubbi da parte di Dante circa la sua predisposizione a compiere un viaggio di simile importanza (vv. 10-42); La risposta di Virgilio, che spiega al poeta la natura divina dell’itinerario che i due stanno per compiere e il conseguente convincimento di Dante (vv. 43-142). Il secondo Canto dell’Inferno si prefigura come un canto quasi prettamente informativo e, proprio in virtù di questa sua caratteristica, fondamentale: in esso vengono date indicazioni che sono indispensabili all’architettura stessa della Commedia. Vi troviamo, infatti, le premesse di natura storico-teologica della missione di Dante nell’aldilà.

PERSONAGGI DEL SECONDO CANTO Oltre a Dante e Virgilio, già protagonisti del Canto I dell’Inferno, fanno qui la loro comparsa all’interno della Commedia «tre donne benedette»: Beatrice, la donna amata da Dante e cantata nella Vita Nova , Santa Lucia e la Vergine Maria. Vengono inoltre nominati , all’interno del II Canto dell’Inferno, Enea e San Paolo. Preoccupato di non essere all’altezza del cammino che sta per intraprendere, anzi quasi considerandolo empio, Dante viene confortato dalle parole di Virgilio: a desiderare che egli si avvii sulla via della redenzione che, attraversando i tre regni dell’Oltretomba, conduce alla visione di Dio, sono nientemeno che Beatrice, Santa Lucia e la Vergine Maria. Le «tre donne benedette», nella struttura allegorica della Commedia dantesca, rappresentano le tre forme della Grazia divina: Maria è la Grazia preveniente, dono gratuito di Dio a tutti gli uomini, indipendentemente dai loro meriti; Santa Lucia è la Grazia illuminante, concessa da Dio agli uomini per aiutarli a discernere il bene dal male; Beatrice è la Grazia cooperante o santificante, ovvero quella che – con la cooperazione dell’uomo – lo aiuta ad operare il bene. Così, nello stesso modo in cui – nell’ascesa iniziale – il cammino di Dante era stato ostacolato da tre fiere, allegoria dei tre vizi che ostacolano la redenzione dell’uomo, così esso è supportato e quindi reso possibile dalle tre donne benedette, allegoria di tre diverse declinazioni della Grazia.

Beatrice: è la donna cantata da Dante nella Vita Nova e fa la sua prima apparizione nella Commedia nel II Canto dell’Inferno, per poi tornare come co-protagonista negli ultimi canti del Purgatorio e nell’intera cantica del Paradiso. Poche le notizie storiche sul suo conto, quasi interamente provenienti dagli scritti di Dante e dal Trattatello in laude di Dante scritto da Giovanni Boccaccio. Si tratterebbe, secondo l’ipotesi più accreditata, di Bice Portinari, figlia del banchiere Folco Portinari e probabile sposa di Simone de’ Bardi. Possiamo ricostruire la sua vita tramite gli scritti di Dante: nata nel 1266 a Firenze, la donna sarebbe morta l’8 giugno 1290, a soli ventiquattro anni. Nella Commedia ella diventa allegoria della Teologia, della verità rivelata che sola può portare l’uomo a entrare in possesso delle tre virtù teologali (fede, speranza e carità) e ad ottenere così la salvezza eterna. Descritta con i tipici attributi della donna-angelo, figura tipica della

corrente dello Stilnovo. Così, al di là della evidente funzione narrativa che consiste nello spingere Virgilio a soccorrere Dante, l’apparizione di Beatrice all’inizio della Commedia arriva quasi a preannunciare lo scopo finale del viaggio e la sua modalità: la sola ragione (Virgilio) non è sufficiente per completare il cammino di redenzione; per giungere alla conoscenza di Dio sono necessarie invece la Teologia e la Grazia Santificante (Beatrice), senza le quali ogni percorso di purificazione morale è destinato a fallire.

SINTESI E SPIEGAZIONE Versi 1-9. Sta calando la notte e Dante-personaggio è tormentato e angosciato dal pensiero del cammino che dovrà intraprendere. Dante-autore invoca l’aiuto delle Muse, del proprio ingegno e della propria memoria, affinché riesca nell’arduo compito di descrivere l’aldilà. Versi 10-42. Dante manifesta a Virgilio tutti i suoi dubbi sul viaggio che sta per intraprendere. Confronta sé stesso con Enea e con San Paolo, che – ancora in vita – avevano compiuto un viaggio nell’aldilà grazie ai loro meriti e con la consapevolezza del bene che ne sarebbe derivato: nel caso di Enea, la fondazione di Roma, sede dell’Impero e della Chiesa; nel caso di San Paolo il rafforzamento del Cristianesimo. Dante, invece, non crede di essere degno di una simile impresa, non avendo gli stessi meriti di Enea e di San Paolo; anzi, crede che il suo viaggio nell’aldilà possa risultare addirittura empio. Versi 43-74. Virgilio, accusando Dante di viltà, gli spiega le ragioni della sua missione. È stata Beatrice, preoccupata per le sorti di Dante stesso, smarrito nella selva del peccato, a scendere nel Limbo – sede eterna del poeta latino – e ad indurlo a correre in suo soccorso. «Io era tra color che son sospesi» nel verso 52 indica gli spiriti del Limbo a cui non sono state inflitte pene ma non possono neanche godere della felicità divina. Versi 75-114. Virgilio racconta di aver promesso a Beatrice di obbedirle e di averle chiesto come mai non avesse timore a scendere in mezzo alle anime dannate. La donna aveva quindi spiegato come la sua natura divina le impedisse di essere sfiorata dalle fiamme dell’Inferno. Inoltre, aveva aggiunto che il viaggio di Dante era voluto dalla Vergine Maria la quale, per mezzo di Santa Lucia, aveva chiesto a Beatrice di prestargli soccorso. Versi 115-142. Terminato il suo racconto, Virgilio esorta quindi Dante a mettere da parte i propri timori e le proprie incertezze, dal momento che può contare sul sostegno di «tre donne benedette». Dante, ritrovato l’ardore e la voglia di intraprendere questo viaggio, si affida a Virgilio e lo segue per il difficile sentiero.

ANALISI DI ELEMENTI TEMATICI E NARRATIVI L’invocazione delle muse: Il Canto si apre con un’invocazione alle Muse che – insieme all’enunciazione dell’argomento, ovvero il cammino tra le anime dannate – dona al Canto un carattere proemiale. Infatti, se il I Canto dell’Inferno aveva assunto il ruolo di prologo dell’intera Commedia, il successivo può essere considerato il vero proemio della cantica dell’Inferno. Per questo motivo, in linea con la tradizione classica, Dante apre con un’invocazione alle Muse. Figlie di Zeus e di Mnemosine, le Muse erano divinità minori. Giovani e belle, la tradizione vuole che si trattasse di nove sorelle, ognuna delle quali era protettrice di una ben specifica arte: Calliope, colei che ha una bella bella voce, protettrice della poesia epica; Clio, colei che rende celebri, protettrice della storia; Erato, colei che provoca desiderio, protettrice della poesia d’amore;

Euterpe, colei che rallegra, protettrice della poesia lirica; Melpomene, colei che canta, protettrice della tragedia; Polimnia, colei che ha molti inni, protettrice della danza rituale e del canto sacro; Tersicore, colei che si diletta nella danza, protettrice della danza; Talia, colei che è festiva, protettrice della poesia comico-satirica; Urania, colei che è celeste, protettrice dell’Astronomia. Interessante, però, sottolineare che mentre i poeti epici come Omero e Virgilio si limitavano a invocare una sola Musa, quasi sicuramente Calliope in quanto protettrice della poesia epica, Dante invece invoca la totalità di esse, quasi sottolineando la necessità di ricevere l’aiuto di tutte le arti per apprestarsi a scrivere la Commedia. Il poeta invoca anche l’aiuto del suo «alto ingegno» (v.7), sottolineando come l’atto poetico sia una sintesi delle doti innate del poeta (l’ingenium) e dell’attento studio delle tecniche retorico-formali indispensabili per elaborare un componimento in perfetto stile (l’ars).

LA MISSIONE DI DANTE Se nel Canto proemiale della Commedia Dante aveva trovato, come ostacoli al proprio cammino, tre belve feroci – che, seppur allegoria del peccato, erano presenti in tutta la loro concretezza – nel secondo Canto dell’Inferno l’impedimento è interiore: si tratta, nello specifico, del timore nutrito da Dante di non essere pronto ad intraprendere un simile viaggio, di non essere all’altezza della missione di cui è investito. È il confronto con due nomi straordinari, stavolta non più allegorizzati ma figure concrete e storicizzate, a spaventarlo: Enea e San Paolo, entrambi protagonisti di un viaggio nell’oltretomba. Si tratta di due personaggi straordinari della tradizione classico-cristiana, le cui missioni nell’aldilà hanno assunto un valore inestimabile per l’intera umanità, in quanto fondamentali per la nascita dell’Impero e della Chiesa. La discesa di Enea agli inferi è legata alla successiva fondazione di Roma, futuro centro dell’Impero romano e futura sede del Papato; il viaggio di San Paolo nell’aldilà è invece volto alla diffusione del Cristianesimo e della Parola di Dio. In quest’ottica, diventa particolarmente significativo il famosissimo verso 32 del II Canto dell’Inferno, in cui Dante dice a Virgilio: «Io non Enea, io non Paulo sono»: egli si sente inadeguato, al cospetto di queste due grandi figure, a compiere l’impresa che è stata pensata per lui. Dante gioca sul compromesso del fatto che è uno dei tre che è entrato a vedere il regno divino e quindi ha uno statuto superiore rispetto agli altri, la superbia, che deve moderare perché è un peccato ed in particolare il suo peccato. Compromesso che non è risolto. Dante, però, il cui viaggio è permesso dalla grazia divina (è allegorizzata nelle tre donne benedette), diventa il terzo nella triade dei personaggi illustri che hanno potuto visitare l’aldilà e, come i due precedenti, anch’egli ha un importantissimo compito che porterà beneficio all’umanità intera: riferire agli uomini quel che ha visto e sentito in modo che anch’essi possano ritrovare la «diritta via» smarrita, in un percorso di redenzione universale. Il suo essere eroe non ha nulla a che vedere con la spada, com’era stato per Enea, o con la militanza religiosa, com’era stato per San Paolo: egli viene scelto in quanto uomo che, grazie al proprio ingegno, è stato in grado di uscire «de la volgare schiera» (v.105) costituendo un modello per gli altri uomini. (Luckach) La differenza tra epica e romanzo sta nell’avventura, perché nell’epica ritroviamo il pericolo e l’ignoto, poiché il romanzo è un’acquisizione di coscienza e di formazione; di conseguenza la Divina Commedia può essere definita con questo termine.

FIGURE RETORICHE 13, «di Silvio il parente»: perifrasi per indicare Enea e anastrofe 14-15, «ad immortale / secolo»: enjambement 16, «l’avversario d’ogne male»: perifrasi per indicare Dio 53, «beata e bella»: allitterazione 56, «soave e piana»: endiadi 123, «ardire e franchezza»: endiadi...


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