Gianvincenzo Gravina - Appunti di lezione tutte PDF

Title Gianvincenzo Gravina - Appunti di lezione tutte
Course Storia delle dottrine politiche
Institution Sapienza - Università di Roma
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GIANVINCENZO GRAVINA: GIURISTA E POLITICO - 1664: nato a Roggiano (Calabria) Istruzione del padre + scuola del cugino Caloprese, di ispirazione cartesiana (a Scalga) -> solide basi filosofiche -> crescita spirito speculativo - 1650: trasferimento a Napoli Maestro Biscardi -> studi giuridici e politici Accademia degli investiganti -> libertas philosophandi Conoscenza con il Cardinale Pignatelli - 1689: trasferimento a Roma Agente di Pignatelli nella Curia pontificia Politica culturale innovativa di Clemente XI Relazioni con molti intellettuali - 1699: cattedra di diritto civile e, successivamente, di diritto canonico all’università - 1718: morte a Roma. LA FILOSOFIA DELLA LUCE Polemica con Sergardi -> Satyrae (1696) -> attacco alle idee filosofiche e letterarie del Gravina, definito “Filodemo”. Gravina-> Giambi, Declamationes seu Verrinae in Quintum Sectanum, Dialogo sulla satira -> Sergardi non esperto della lingua latina. Filosofia della luce: è la teorizzazione del distacco tra la mente e la natura e quindi implica il collegamento tra il concetto di natura e quello di peccato; Gravina fa intendere che tra la conoscenza razionale e quella che viene direttamente dalla luce divina c’è una decisa differenza: l’illuminazione divina diventa possibilità di chiarezza nella vita intellettuale e morale, per cui, nella soluzione “mentalistica” illuminazione, primi principi razionali e massime generalissime finiscono col legarsi strettamente. 1711: lite dell’Arcadia 1712: De disciplina poetarum -> problema della valutazione della poesia nel mondo classico -> storia della poesia ed evoluzione della lingua poetica -> riflessione sulle posizioni classicistiche LA PRODUZIONE GRAVINIANA TESTI INEDITI 1) Per l’Università della Sapienza contro il collegio degli avvocati concistoriali alla Sanità di Nostro Signore Papa Clemente XI. Discorso primo. 2) Sbozzo di supplica al Papa a pro dell’Università degli studi contra gli avvocati concistoriali. -> fase di declino dell’università La Sapienza -> dura polemica verso gli avvocati concistoriali, che avevano accelerato il processo di disfacimento dell’ateneo romano, minandone l’autorità e il prestigio. OPERE 1) Orationes; -> De instauratione studiorum -> progetti di riforma degli studi. -> In auspicatione studiorum -> ruolo centrale che deve assumere la storia nella comprensione del diritto dell’attività umana in generale. -> De iurisprudentia -> esigenza di comprendere le leggi antiche con il contributo della storia, della filosofia e della filologia. -> De recta in iure disputandi ratione -> battaglia contro la scolastica e la dialettica. -> De repetendis fontibus doctrinarum -> per un maggiore approfondimento della giurisprudenza, è necessario rifarsi alle fonti del diritto romano e alle norme giustiniane. -> De canone interiore -> regligiosità interiore.

-> De foedere pietatis & doctrinae -> rapporto tra religione e scienza in base al principio che tra esse si deve dare una stretta collaborazione. -> Pro legibus Arcadum -> presentazione all’Accademia dell’Arcadia dieci leggi elaborate sul modello delle dodici tavole. -> primi dissensi con Crescimbeni che porteranno alla definitiva separazione nel 1711. 2) Hydra mistica, sive de corrupta morali doctrina dialogus (1691) -> piano teologico che si estende a tutte le scienze morali. -> peccato filosofico: discorso riguardo se l’ignoranza della legge morale scusi il peccato, secondo quanto affermavano e negavano rispettivamente i gesuiti e giansenisti. -> contro i gesuiti, le loro dottrine e la casistica gesuitica, in nome di un ritorno ad una religiosità autentica e basata sulla fede e le Sacre Scritture. Allo stesso modo contro l’eresia, in quanto entrambe, anche se in modi diversi si prefiggono lo stesso obiettivo di annientare la religione cristiana. -> vengono ampiamente utilizzate le Provinciales di Pascal, dalle quali egli deriva una profonda necessità di religiosità interiore e di rigore morale, e il rifiuto delle pratiche dei riti esteriori, tipiche della prassi gesuitica. 3) Discorso sopra l’Endimione (1692) -> affermazione del principio di verosimiglianza come autonomo fondamento dell’opera poetica, in contrapposizione al barocco e al sistema dei generi letterari, dai quali la poesia si deve affrancare per seguire la sua natura immaginativa. -> rivalutazione di Omero, Dante e Ariosto. 4) Discorso sulle antiche favole (1696) -> Gravina riprese e rielaborò in modo sistematico temi e prospettive già presenti nel Discorso, dall’altro anticipò problematiche che domineranno la Ragion poetica. -> definizione del ruolo e l’utilità della poesia e identificazione del profilo ideale di poeta, per poi mostrare la funzione essenziale della “verisimile favola”, sia per la poesia che per il poeta, facendo della figura di Omero il costante punto di riferimento. 5) Opuscola (1696) -> De lingua latina dialogus; De conversione doctrinarum ->sistema classicista graviniano. -> De luctu minuendo -> tema della morte -> De lingua etrusca dialogus -> questione relative a volgare. 6) Egloghe (mai pubblicate) -> rapporto mente-natura e mente-luce -> ruolo centrale attribuito al sapiente. 7) Ragion poetica (1708) Due libri: -> critica delle letterature classiche e l’estetica, e la figura emblematica del poeta è rappresentata da Omero. -> trattazione della poesia volgare, e il modello di poeta è Dante. PRODUZIONE GIURIDICO-ISTITUZIONALE 1) Origines (1708) 2) De Romano Imperio liber singularis (1713) -> dimostrare l’esistenza nella Roma antica di un sistema diarchico, garante dell’equilibrio politico: il potere civile del Senato e quello militare dell’imperatore. -> profonda ammirazione per gli ordinamenti e l’esperienza giuridica di Roma, di cui esalta la vocazione imperiale e il primato civile sugli altri popoli. 3) De Romano Imperio liber secundus (1717) -> tematiche relative alla “renovatio imperii” e al Sacro Romano Impero. -> ricostruzione delle vicende politiche e storiche del primo Medioevo. 4) De imperio et Iurisdictione -> dimostrare l’appartenenza al Senato del potere legislativo anche durante il Principato. -> Gravina sostiene con chiarezza l’idea di Stato di diritto, proponendo una netta divisione dei poteri, autonomi e rispettosi delle reciproche competenze: l’imperium nelle mani del principe e la iurisdictio in quelle dei magistrati. 5) Praelectiones in Decretum Gratiani: serrata e, metodologicamente, corretta descrizione della storia delle fonti legislative canoniche e un excursus ricco di documentazione delle vicende della Chiesa dalle sue origini.

6) Institutiones canonicae -> dimostrare lo stretto legame che deve darsi tra la conoscenza del diritto canonico e il diritto civile. 7) Del governo civile di Roma -> rivolto alle vicende di Roma, da Romolo a Niccolò V. -> dimostrare del governo dei Papi, derivante dall’autorità originaria del popolo romano. -> critica al comportamento di Cola di Rienzo, da lui però apprezzato quando “ardì pubblicamente citare il Papa ed obbligarlo a tornare d’Avignone in Roma sua residenza”. TRAGEDIE (composte in tre mesi nel 1712 e pubblicate a Napoli nello stesso anno) -> il tema comune è l’ostilità alla tirannide. Al centro degli intrecci si trova l’incontro-scontro di due ostinati avversari: il potere politico, identificato con la figura del tiranno, e il sapiente, canale di comunicazione tra Dio e gli uomini. -> costantemente pervase dal pessimismo. -> il ruolo del popolo è di secondo piano, in quanto pensa ed agisce solo perché ispirato e guidato dai sapienti. 1) Palamede -> conflitto tra il sapiente e il tiranno fiancheggiato dalla casta sacerdotale. Non può far niente il virtuoso Palamede contro l’alleanza tra trono e altare. Tra tiranno e potere del Cielo. Accanto a Palamede c’è il popolo che non è in grado di darsi un governo, in quanto soggetto passivo dell’arbitrio dei potenti. -> emerge il profondo pessimismo di Palamede, drammaticamente consapevole del venir meno di quei valori per i quali si era orgogliosamente battuto; impossibilità di dar vita a un governo giusto dettato dalla ragione. 2) Andromeda -> polemica antitirannica e antisacerdotale (accusata di professar mestiere d’ozio, di gola, di superbia, e di libidine). 3) Appio Claudio -> temi espressamente politici; i personaggi ruotano intorno alla figura del tiranno che agisce a danno della libertà, valore fondamentalissimo per Gravina. -> duro scontro tra la concezione politica tirannica di Appio Claudio e Valerio (figura emblematica dell’oligarchia senatoriale romana), disponibile e liberale nei confronti della plebe. 4) Papiniano -> contrasto tra il saggio e il tiranno, tra il virtuoso Papiniano “grande interprete della giustizia” e Caracalla “interamente occupato dal vizio”. -> contrato sostanzialmente etico. 5) Servio Tullio -> scontro in termini di “lotta di classe”: da un lato Servio Tullio si fa interprete delle aspirazioni del popolo, Tarquinio fa leva sullo spirito di rivalsa dei nobili per prevalere sul nemico. -> il potere del re, che ha origine contrattualistica, deriva dalla volontà del popolo, che ne è titolare secondo i dettami della lex regia. Ma si tratta di un popolo che anche in questo caso si mostra incerto e impotente di fronte all’incalzare pericoloso del nemico che minaccia direttamente il “suo” Re, garante dei suoi diritti e della sua libertà. Il pessimismo, che costituisce il motivo dominante di tutte le tragedie, e che rispecchia la tensione interiore dell’autore in quel momento, assume ora una dimensione più vasta e si traduce fatalmente in un atteggiamento di passiva rassegnazione e di dolorosa rinuncia del sapiente di fronte al prorompente predominare del vizio sulla virtù e dell’ingiustizia sulle aspirazioni ad un governo giusto. GRAVINA E VICO Vico fu un filosofo “solitario”, che rimase ai suoi tempi incompreso. In Italia fu poco apprezzato dai contemporanei, mentre in Europa rimase quasi completamente sconosciuto. Il bersaglio preferito di Vico, antirazionalista e antilaicista, fu Cartesio, che con il suo metodo aveva voluto attenersi esclusivamente alla ragione fredda, astratta e deduttiva, alla percezione chiara e distinta. L’evoluzione del pensiero vichiano condusse il filosofo ad un graduale, progressivo distacco dagli ambienti culturali napoletani, distacco che si trasformerà in un radicale contrasto con la cultura dei suoi contemporanei. I critici cattolici suoi contemporanei confutarono duramente la sua opera e le sue posizioni, ed in particolare la tesi dello “stato ferino” dell’umanità.

Tra i tentativi di mettere a confronto le elaborazioni teoretiche di Vico e di Gravina, quello del Barillari ha individuato diverse analogie tra i due e ricostruito il percorso intellettuale di Gravina, visto sostanzialmente in chiave di precursore di Vico; quello del Badaloni, che ha messo in luce le analogie e le differenze, si è concentrato sul tema della luce; il Quondam dimostra come le conclusioni a cui talvolta giungono entrambi sono diametralmente opposte; il Recuperati ritiene che l’affinità con Vico si origina non solo dai contatti con la cultura meridionale, ma in modo particolare dalla presenza di alcune fondamentali letture europee. Uno dei principali elementi di difformità è il diverso atteggiamento nei confronti del diritto di resistenza all’oppressione: Vico, infatti, sosteneva che i sudditi non avessero alcun diritto di ribellarsi al tiranno, a differenza di Gravina che aveva assunto posizioni più innovative. Gravina, inoltre, negava l’assolutezza del potere sovrano, ritenendo che anche il monarca dovesse essere sottomesso alle leggi; Vico, al contrario, giustificava in pieno il sistema di governo assoluto, sostenendo con forza il principio dell’unità e dell’indivisibilità della sovranità e rifiutando le costituzioni miste; tuttavia, Gravina, favorevole alla forma di governo misto, riteneva, come Vico, che essa non potesse trovare concreta applicazione nella realtà politica del tempo. Nonostante il profondo divario metodologico, un punto di comunanza è rappresentato dal continuo richiamo al diritto e alle istituzioni romani, considerati ancora validi. Anche la teorizzazione politica della circolarità del corso della storia costituisce un motivo ricorrente nel pensiero di quei tempi. Relativamente al problema delle origini del diritto e a quello del rapporto tra diritto naturale e diritto storico, non ritenuti da Gravina in contrasto tra loro, sono stati individuati alcuni spunti precorritori delle tesi sostenute da Vico nella Scienza Nuova. IL PENSIERO POLITICO DI GRAVINA Il pensiero politico graviniano muove essenzialmente dal platonismo, dal cartesianesimo, dallo stoicismo secentesco. Dalle lezioni di Colaprese assimilò le tesi anti-machiavelliane, presenti soprattutto nei testi giuridici, che si tradussero in una profonda avversione nei confronti dei gesuiti, accusati di essere pericolosi divulgatori delle teorie regicide favorevoli alla ragion di Stato. Nel De instauratione studiorum usa toni aspri e polemici nei confronti del Machiavelli. 1) Visione ciclica del corso della storia Dallo stoicismo secentesco Gravina riprende in modo particolare il principio fondamentale che le istituzioni sociali siano fatalmente destinate a corrompersi periodicamente, in quanto gli interessi particolari degli uomini, prevalendo, producono un corso circolare nell’evoluzione della società. Gli uomini si lasciano trasportare più dai sensi che dalla ragione e non attribuiscono alle passioni travolgenti l’origine dei loro mali. L’uomo, vittima delle passioni, vive in uno stato di perenne irrequietezza e di crescente insoddisfazione: è angustiato dalla sua povertà, in quanto considera di nessuna rilevanza le cose di cui è in possesso, mentre desidera fortemente quelle che non ha, che sono illimitate. L’animo umano è spinto dal desiderio e frenato dall’avversione: la speranza accompagna il desiderio, il timore precede l’avversione; una volta raggiunto il desiderio, l’uomo inevitabilmente desidera ciò che è tenuto da altri. Tutto questo produce in ogni ordinamento politico elementi di disgregazione e di corruzione che determinano la crisi delle istituzioni in atto. 2) Tirannide Con la questione della tirannide, gravina si pone la questione della liceità della resistenza ai comandi del tiranno. Nel terzo libro delle Origines affronta questo problema riprendendo le posizioni di Aristotele. [Le tirannidi, invece, si conservano in due modi diametralmente opposti: l’uno è quello tradizionale secondo il quale la maggior parte dei tiranni reggono il potere (…) l’altro persegue con cura lo stesso, partendo dal principio opposto a quello descritto (…) a una cosa sola deve badare il tiranno, a conservare la forza, di guisa che possa governare sui sudditi, non solo se vogliono, ma anche se non vogliono, perché, se rinuncia a questo, rinuncia anche alla sua posizione di tiranno. Questo dunque deve rimanere a fondamento, ma in tutto il resto egli deve talora sostenere, talora fingere di recitare in bella maniera la parte del re.] Relativamente al primo tipo di tirannide, ritiene che non ne esista una più durevole di quella che vuole imitare un regno “virtuoso”. La Grecia conobbe non pochi esempi di tiranni che fingevano di operare per il bene dello Stato e non perché mossi dai loro specifici interessi, agendo più da “capi di famiglia” che da “padroni”.

L’altro tipo di tiranno, privo di ogni freno, adotta apertamente sistemi arbitrari ed illegali, servendosi delle leggi solo come “reti per avviluppare”. Scopo preciso era mantenere il potere, metteva in cattiva luce i cittadini più meritevoli, gratificando invece i meno capaci, proibiva le riunioni pubbliche e ostacolava lo sviluppo delle scienze e delle arti. La questione della liceità della resistenza viene impostata da Gravina sotto un duplice aspetto. Da un lato viene considerata la tirannide in relazione all’anarchia, dall’altro in se stessa. Per quanto riguarda la prima prospettiva, Gravina ritiene che gli individui che dovessero trovarsi nella situazione di dover scegliere alternativamente una delle due debbano preferire la tirannide all’anarchia, costituendo la prima il male minore, in quanto per lo meno consente una convivenza civile. Per quanto riguarda il secondo aspetto, si pone l’interrogativo di stabilire se effettivamente gli uomini debbano in qualsiasi circostanza obbedire al tiranno. Il pensiero graviniano è percorso dall’idea della totale antigiurdicità del fenomeno tirannico, anche se egli non arriva a soluzioni radicali. Difensore intransigente della libertà, considera lecito che i sudditi si ribellino al tiranno e ristabiliscano l’ordine distrutto, ma ritiene che i governanti abbiano il diritto di servirsi della loro autorità e, se necessario, intervenire manu armata per evitare il rischio che la libertà si trasformi in licenza per opera della moltitudine. Sola eccezione al diritto dei sudditi di ribellarsi nel caso in cui vi sia il pericolo di ricadere nell’anarchia. 3) Origine della società civile All’origine della società civile egli pone il contratto sociale. La società civile, che si origina dall’unione delle famiglie, subentra all’originaria ferinità. La famiglia, struttura portante della società civile, nella quale prevale la figura del pater familias, costituisce l’origine dello Stato, il quale assume una sua concreta configurazione in seguito all’unione di più famiglie. Come Gravina, anche Bodin poneva l’istituzione della famiglia come punto fondamentale da cui procede lo Stato e dalla quale questo trae origine. Entrambi prefigurano lo stato primordiale come contraddistinto da violenze, barbarie, assassinii. Entrambi si erano posti il problema di come fosse avvenuto il passaggio dalla società ferina a quella civile: per Bodin furono il pudore, la necessità e l’intervento della provvidenza divina, per Gravina l’utilità. È la sapienza “sive adulta ratio” a mettere fine a questo stato ferino, nel quale gli individui, dominati da una sfrenata cupidigia, danno vita a una guerra di tutti contro tutti. Come spiega nel secondo libro delle Origines, è merito della sapienza se gli uomini si sono riuniti in centri abitati, partecipando agli stessi vantaggi e agli stessi svantaggi. Una città è una società pubblica costituita per l’utilità comune, la tutela dei singoli e dei loro beni; questa città è tenuta unita dalle leggi, al cui mantenimento devono contribuire tutti gli individui con le loro volontà. Dall’unione delle volontà e delle forze nasce la “publica voluntas”, ossia legge, ragione comune, scienza civile, e “summa potestas”, cioè potere di tutti. La ragione, instaurata la società civile, genera allo stesso tempo il diritto, garante del bene dei singoli e del bene comune, e il potere, in funzione dell’utilità di tutti, basato sul consenso di tutti. Il consenso costituisce quindi il vincolo fondamentale dei sudditi con lo Stato, e la sua mancanza provoca un abuso di potere da parte di coloro che lo detengono, e di conseguenza la tirannide. La ragione indica l’utilità di vivere nel diritto, piattaforma sulla quale deve poggiare l’edificio politico dell’intera società. 4) Stato di diritto e ius sapientioris Centrale è la convinzione che solo un ordinamento regolato dal diritto possa ritenersi valido. Bodin viene accusato di non aver considerato che i governanti incontrano dei limiti nelle leggi civili, base e fondamento dello Stato, che legittimano il potere dei sovrani. A Grozio contesta l’idea che i regni debbano ritenersi proprietà dei sovrani e sostiene la necessità assoluta di rispettare la libertà personale degli individui. Qualunque sia la natura del governo, il sovrano deve agire sempre nell’interesse del popolo, mentre, secondo Grozio, il re conquistatore, agendo secondo il suo arbitrio e senza il consenso del popolo sottomesso, può ridurre alienare o dividere il regno conquistato. Le leggi sono definite “radices publicae salutis”, a prescindere dalla forma di governo, che sia monarchica o repubblicana. Nel primo caso, le leggi hanno il ruolo di “padrone”, in quanto il monarca non può prescindere dai loro comandi. Esse hanno la capacità di contenere la natura ferina dell’uomo e lo rende libero dalle sue passioni. Per quanto riguarda la forma di governo repubblicana, considerata la migliore, in questa i cittadini, svincolati dall’influenza delle passioni, obbediscono solamente alle leggi, ovvero alla ragione divina.

Il monarca non può ritenersi ab legibus sol...


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