KANT - IL CRITICISMO E LA FILOSOFIA DEL LIMITE PDF

Title KANT - IL CRITICISMO E LA FILOSOFIA DEL LIMITE
Course Storia della filosofia contemporanea
Institution Università degli Studi di Palermo
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La base dalla filosofia kantiana...


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KANT IL CRITICISMO E LA FILOSOFIA DEL LIMITE Il pensiero di Kant è definito “criticismo”, in quanto si contrappone al “dogmatismo” cioè a quella mentalità che accetta le varie dottrine in modo a – critico, senza porsi domande. Kant era stato risvegliato dal rischio del “sonno dogmatico” su cui stava cadendo, proprio dalla filosofia di Hume che con i suoi dubbi espressi nell’ambito della metafisica e della scienza, dà una scossa alle concezioni dogmatiche. Criticare, per Kant, significa “giudicare”, “valutare”, interrogarsi sulle esperienze dell’uomo, per poter stabilire la loro eventuale validità e i limiti della conoscenza. Criticismo significa “filosofia del limite”: la conoscenza umana è limitata (non è infinita) e bisogna capire quali sono i suoi limiti, oltre i quali non si può andare (similmente a quello che diceva Pascal a proposito dei limiti della filosofia e della scienza). Kant propone quindi una filosofia del “finito”; questo non significa che egli sia scettico: anzi stabilire i confini della conoscenza umana vuol dire potenziarla, saperla sfruttare al massimo, senza farla finire in territori che non sono più i suoi. Entro questi limiti la nostra conoscenza sarà sicura e universale. Questo significa che la nostra conoscenza non può andare oltre i confini dell’esperienza. Kant fa parte dell’illuminismo e con l’illuminismo condivide la grande ammirazione per la ragione; gli illuministi servendosi della potenza della ragione avevano sottoposto al suo giudizio tutta la cultura dell’uomo, per rinnovarla; Kant invece, a differenza degli altri illuministi, mette sotto processo, come se si fosse in un tribunale, la stessa ragione con lo scopo di capire quali siano le sue potenzialità e i suo limiti. Ma chi è che giudica la ragione? In questo tribunale chi è che stabilirà ciò che la ragione può fare o non deve fare? In questo tribunale è la stessa Ragione che critica se stessa; infatti per Kant solo la ragione può criticare se stessa, perché comunque al di sopra di essa non c’è altra forza superiore (concezione tipicamente illuministica). I confini della ragione possono essere tracciati solo dalla stessa ragione, e non certo per esempio dalla religione (Kant polemizza contro il “fideismo”; per fideismo si intende il pensiero che dà importanza alla religione e non alla ragione). I PROBLEMI INIZIALI DA CUI SCATURISCE LA FILOSOFIA DI KANT Hume aveva concluso la sua filosofia con una posizione scettica, sia scientifica che metafisica: visto che tra la causa e l’effetto non vi è un nesso necessario e ciò che avviene oggi potrebbe non avvenire domani, allora l’esperienza e la scienza -si muoveranno nell’incertezza. Kant, invece, vuol superare lo scetticismo di Hume, e ridare sicurezza alle scienze e alle esperienza: non si può infatti dopo i tanti progressi avvenuti (Galilei, Newton) dubitare della certezza di scienze come la matematica o la fisica. A differenza della matematica e della fisica che nel corso dei secoli sono sempre progredite, la Metafisica invece è rimasta ferma ai tempi di Aristotele, non riuscendo a ottenere significativi risultati o risposte definitive.

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L’altro obiettivo di Kant (oltre quello di superare lo scetticismo di Hume) è quello di capire quale sia stato il difetto della metafisica che ne ha impedito il progresso. Per questo si propone di esaminare tutta la struttura della validità della conoscenza. Kant riconosce che la metafisica è importante in quanto l’uomo per sua natura si è sempre posto le domande su Dio, anima, etc; quindi non possiamo certo eliminarla; si chiede però il filosofo: la metafisica può essere considerata una scienza? Può in ambito scientifico dare le stesse certezze della matematica? Oppure il suo terreno sarà diverso da quello della scienza? È stato un errore trattare la metafisica come fosse una scienza? La metafisica, allora, deve considerasi come un qualcosa di non scientifico o come scienza? Sono queste le domande e i problemi che Kant risolverà nella sua prima opera: LA CRITICA DELLA RAGION PURA. La domanda centrale di quest’opera è: “che cosa posso sapere?” (spiegazione del titolo) Critica: in quanto la ragione nel criticare o giudicare se stessa capisce quali sono i suoi limiti e le sue potenzialità; Ragione: è la facoltà generale della nostra conoscenza; pura: in quanto tutto ciò deve essere considerato prima e indipendentemente dall’esperienza; cioè la ragion pura contiene già i principi per poter conoscere. Per Kant non c’è dubbio che la nostra conoscenza inizi con l’esperienza; ma la conoscenza non è fatta solo di esperienza: infatti alla conoscenza empirica (ciò che noi recepiamo passivamente dalla materia con i sensi e con l’esperienza) la nostra facoltà conoscitiva aggiunge qualcos’altro. La conoscenza umana si basa su principi assoluti, necessari e universali, cioè che valgono sempre e ovunque (postulati, assiomi). La scienza quindi oltre che dell’esperienza si serve di “principi” immutabili (analoghi alle teorie), che per essere considerati validi non hanno bisogno della verifica dell’esperienza. Per esempio: “tutto ciò che accade ha una causa”; tutti i fenomeni si manifestano nel tempo”. Per capire che queste proposizioni sono valide non c’è bisogno della convalida dell’esperienza. Questi principi sono da Kant chiamati “giudizi sintetici a priori”. Giudizi: perché all’interno della proposizione aggiungono un predicato al soggetto; sintetici: perché il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto a quanto espresso dal soggetto; a priori: perché essendo universali e necessari non possono derivare dall’esperienza (che è invece particolare e mutevole). Questi giudizi i “sintetici a priori” sono quindi quelli adatti alla scienza: sono fecondi (sintetici), produttivi, ampliano la mia conoscenza e essendo universali e necessari sono sempre veri e non dipendono dalla mutevole esperienza (sono puri). Mentre altri tipi di giudizi non possono andare bene per essere a fondamento della scienza. I giudizi analitici a priori: hanno il vantaggio che sono universali e non dipendono dall’esperienza (a priori); però hanno il difetto che il predicato non mi dice nulla di nuovo rispetto a quello già detto dal soggetto, cioè non sono fecondi di nuove conoscenze. Esempio: i corpi sono estesi; infatti il corpo (soggetto) per essere tale deve necessariamente essere esteso nello spazio, quindi il predicato (sono estesi) non mi dice nulla di nuovo; non accresce la

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mia conoscenza. Questi giudizi pur essendo universali e indipendenti dall’esperienza, sono però infecondi cioè non ampliano la nostra conoscenza. E quindi non possono andar bene per la scienza. I giudizi sintetici a posteriori: il predicato mi dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, però sono dipendenti dall’esperienza (a posteriori); esempio: i corpi sono pesanti. Il predicato (sono pesanti) mi dice esattamente quanto pesa un certo corpo (soggetto), ma per far ciò bisogna ricorrere all’esperienza (devo materialmente pesare il corpo servendomi di una bilancia) quindi sono fecondi e sintetici, ampliano la conoscenza, ma non sono universali e necessari perché poggiano sull’esperienza (a posteriori). Gli unici giudizi che vanno bene per la scienza sono allora i sintetici a priori: fecondi di nuove conoscenze (sintetici) e non dipendenti dalla mutevole esperienza (a priori, universali, necessari). Possiamo riassumere dicendo: i giudizi sintetici a priori rappresentano la visione criticistica (la via scelta da Kant) della scienza. I g. analitici a priori rappresentano la concezione del razionalismo basato sulla sola deduzione o dell’innatismo (similmente a Cartesio) che partendo da questi principi a priori (le idee innate) non ci dà però un sapere fecondo. I g. sintetici a posteriori rappresentano la concezione dell’empirismo e dell’induzione della scienza. Invece per Kant la scienza è il risultato di esperienza + principi sintetici a priori. Questi giudizi o principi sono la base della scienza e senza di loro la scienza sarebbe sempre incerta e relativa e anche lo stesso scienziato si muoverebbe su un terreno incerto non sapendo bene cosa accadrà nel futuro (come avviene nel caso di Hume e del suo scetticismo). Invece lo scienziato di Kant per merito del giudizio sintetico a priori è sempre sicuro che le cose andranno in un certo modo e saranno sempre certe (anche se poi per le conoscenze empiriche e particolari dovrà fare ricorso all’esperienza). In questo modo Kant ha superato lo scetticismo di Hume e può in campo scientifico muoversi “sul sicuro”. LA RIVOLUZIONE COPERNICANA Ma questi giudizi sintetici a priori se non derivano dall’esperienza da dove provengono? Questi giudizi che Kant chiama anche “forme” sono innati e appartengono a tutti gli uomini. La conoscenza e un risultato o sintesi di materia e forma. La materia sono i dati sensibile e disordinati che provengono dall’esperienza (a posteriori); la forma è quella capacità innata (e quindi a priori) che ci consente di ordinare i dati dell’esperienza. La nostra mente è in grado di ordinare attivamente i dati empirici attraverso queste forme innate (i giudizi sintetici a priori); queste forme sono da tutti possedute e applicate allo stesso modo (universali e necessari). I dati dell’esperienza possono mutare di volta in volta, ma il nostro modo (le forme innate) di mettere ordine in questi dati è sempre lo stesso.

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Queste forme a priori o innate ci servono quindi per conoscere in modo completo e sicuro. L’innatismo di Kant è diverso da quello tradizionale: io non nasco con idee che già conosco, ma nasco dotato di queste “forme” che mi consentono di conoscere. Io posso essere sicuro (a differenza dello scetticismo di Hume) che le cose andranno sempre in un certo modo anche in futuro, perché il mio modo di mettere ordine nella realtà è sempre lo stesso: applicherò sempre, sulla realtà che voglio conoscere, lo schema o le regole o le leggi dei giudizi sintetici a priori. Questa è la così detta “rivoluzione copernicana” di Kant: come Copernico aveva messo al centro dell’universo il sole, similmente Kant mette al centro della conoscenza il “soggetto”: cioè non è la mente o il soggetto che si deve adeguare all’oggetto o alla realtà, ma è l’oggetto o la realtà che si deve adeguare alle regole che il soggetto le impone. Le regole che il soggetto impone alla realtà sono proprio le forme a priori. Attraverso le forme a priori ci appare quella realtà che Kant chiama “fenomeno”. La realtà che invece è indipendente dalle nostre forme, che non viene da noi ordinata, è il “noumeno” o “cosa in sé”, cioè un qualcosa che non possiamo conoscere scientificamente; una X misteriosa che possiamo solo pensare (perché sappiamo che esiste) ma non conoscere. Quindi è il soggetto che impone le sue regole alla realtà, e la realtà che conosciamo è solo quella che il soggetto con le sue forme ci consente di conoscere; naturalmente questa conoscenza soggettiva è uguale per tutti, perché il soggetto o la mente funziona allo steso modo per tutti. Ciò detto Kant suddivide la conoscenza in 3 facoltà: 1) la sensibilità o la conoscenza dei sensi: gli oggetti ci sono dati attraverso i sensi e tramite le forme a priori della sensibilità: spazio e tempo. 2) l’intelletto: attraverso il quale noi ordiniamo e i dati sensibili servendoci dei suoi concetti puri: le categorie. 3) la ragione: è la facoltà con la quale l’uomo va oltre l’esperienza, cercando di spiegare la realtà mediante le tre idee: anima, mondo, Dio. La Critica della Ragion Pura è così ripartita: 1. Dottrina degli elementi: ci parla delle forme a priori e si divide in: Estetica trascendentale: studia la sensibilità e le sue forme a priori cioè lo Spazio e il Tempo; Logica trascendentale: studia il pensiero discorsivo e si divide in: analitica trascendentale: studia l’intelletto e le sue forme a priori cioè le “categorie”; dialettica trascendentale: studia la ragione e le sue forme a priori (le tre idee di anima, mondo, Dio). 2.Dotrina del metodo: chiarisce l’uso del metodo della conoscenza. A questo aggiungiamo che la matematica si fonda sulla forma pura del tempo (la successione numerica nel tempo); la geometria euclidea di fonda sullo spazio (lo studio delle caratteristiche delle figure estese in uno spazio); la fisica, invece, si fonda sulle forme pure dell’intelletto cioè le categorie (le

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categorie sono le leggi generali della natura e quindi sarà la fisica a studiare queste leggi). Precisazione: il termine “trascendentale” in Kant significa non descrivere gli oggetti della conoscenza, ma descrivere il “nostro modo” di conoscere gli oggetti. L’ESTETICA TRASCENDENTALE E LA TEORIA DELLO SPAZIO E DEL TEMPO Nell’estetica trascendentale (il termine deriva dal greco e significa: sentire, percepire; ciò che riguarda la sensazione) si studia la sensibilità e sue “forme” a priori. La sensibilità è recettiva o passiva perché non crea dal nulla, ma si limita a ricevere i dati esterni per “intuizione”. Però la sensibilità non è solo passiva ma in parte anche attiva, in quanto è capace di ordinare i dati materiali che le provengono dai sensi (dati che altrimenti rimarrebbero confusi e incomprensibili). Questo ordine si realizza attraverso le sue forme a priori (dette anche intuizioni) dello “spazio” e del “tempo”. Attraverso lo spazio ordino le cose l’una accanto alle altre; attraverso il tempo ordino le cose secondo la successione “dell’uno dopo l’altro”. Evidentemente lo spazio è anche “senso esterno” perché gli oggetti sono visti in uno spazio esterno; mentre il tempo è “senso interno” perché la sensazione dello scorrere del tempo è sentita all’interno della mia mente. Per Kant spazio e tempo sono a priori nel senso che non sono nozioni che apprendiamo con l’esperienza come invece sostengono gli empiristi; e non sono neanche oggetti o vasi vuoti da riempire, come sosteneva Newton. Contro gli empiristi Kant sostiene che spazio e tempo non derivano dall’esperienza, ma ci consentono di fare esperienza. Spazio e Tempo sono forme innate da noi possedute, attraverso le quali vediamo gli oggetti già sistemati in uno spazio e ordinati secondo un tempo (anche un bambino capisce che intorno a lui vi è uno spazio dove muoversi e che vi è un tempo che scorre). La matematica e la geometria (che si fondano sulla nozione di tempo e di spazio) sono per Kant un esempio di scienze sintetiche a priori. Sintetiche perché ampliano la nostra conoscenza oltre il già noto. Per esempio la proposizione 7+5=12 è sintetica in quanto il predicato (il numero12) aggiunge qualcosa di nuovo rispetto il semplice soggetto composto dai numeri 7 e 5; il nuovo è appunto il risultato della somma (12). Inoltre i teoremi geometrici e aritmetici valgono indipendentemente dall’esperienza; sono “principi”che accettiamo per veri senza bisogno di alcuna verifica empirica. Anche in questo caso la realtà dovrà adattarsi alle nostre regole: non è la natura che è stata creata in modo già armonico e ordinato, ma siamo noi ad imporle le nostre regole di ordine con lo spazio e il tempo. E siccome il nostro modo di mettere ordine e imporre le leggi è sempre lo stesso, anche la natura sarà vista sempre allo stesso modo, senza variazioni (si supera così lo scetticismo di Hume). L’ANALITICA TRASCENDENTALE E LE CATEGORIE

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Nell’analitica si parla delle conoscenze a priori dell’Intelletto. Sensibilità e intelletto sono entrambi indispensabili per la conoscenza. Infatti senza la sensibilità nessun oggetto ci verrebbe “dato” e senza l’intelletto nessun oggetto verrebbe “pensato”. I pensieri senza gli oggetti rimarrebbero vuoti, e gli oggetti della sensibilità senza l’intelletto rimarrebbero “ciechi”, cioè senza senso. L’intelletto funziona attraverso i suoi “concetti”. I concetti sono delle operazioni attive attraverso le quali noi ordiniamo ulteriormente i dati provenienti dalle sensazioni; attraverso i concetti noi unifichiamo diverse rappresentazioni sotto una comune rappresentazione generale; esempio: “corpo” è un concetto generale o comune che comprende tanti tipi di corpi diversi (i corpi di metallo, quelli di legno, etc). Io possiedo il concetto generale di “cane”, che mi consente di riconoscere un singolo cane quando l’incontro, anche se poi non conosco tutti i singoli cani che esistono. I concetti puri dell’intelletto solo le “categorie” (simili a quelle di Aristotele, cioè i predicati primi): sono i concetti della mente che hanno il compito di unificare. A differenza di Aristotele le Categorie di Kant non esistono nella realtà, ma sono solo dentro di noi e sono il modo di funzionare del nostro intelletto; ci consentono di conoscere e ordinare la realtà; valgono solo sul terreno della gnoseologia cioè della nostra conoscenza. Pensare per Kant significa giudicare e giudicare significa attribuire un predicato a un soggetto (vedi quello che si è detto a proposito dei vari tipi di giudizi); allora ci saranno tante categorie (tanti predicati primi) quanti sono i tipi di giudizio (ci sono vari modi di attribuire un predicato al soggetto). Servendosi della logica tradizionale Kant elenca la tavola delle categorie sotto 4 titoli (per un totale di 12): quantità, qualità, relazione, modalità (per lo schema completo vedi il manuale). In queste categorie sono contenuti tutti i giudizi o proposizioni del nostro pensiero. Noi infatti parliamo di “quantità”, oppure delle “qualità” delle cose; stabiliamo tra i fenomeni una “relazione” di causa – effetto; possiamo dire se una cosa esiste o no (la modalità). Infine Kant vuole trovare ancora un ultimo livello di ordine, un qualcosa che rappresenti per noi la massima unificazione e garanzia della conoscenza. E’ questo “L’IO PENSO”, la suprema unità della conoscenza, il centro mentale unificatore; un qualcosa che si ritrova in tutti gli uomini. Kant chiama l’IO PENSO anche “appercezione trascendentale” o autocoscienza. Noi dobbiamo avere coscienza e consapevolezza della nostra conoscenza e questa coscienza è data proprio dall’attività dell’Io Penso. L’Io Penso è il principio supremo della conoscenza umana. Però non è un Io creativo, cioè non crea la realtà ma si limita a ordinare una realtà che già esiste e a dare un senso alla nostra conoscenza; è quindi è un Io “finito” e non infinito. L’Io Penso è anche definito “legislatore della natura”: nel senso che non crea la natura ma le impone le sue leggi e il suo massimo ordine. Ancora una volta possiamo far riferimento alla rivoluzione copernicana: è il soggetto che impone le regole e le leggi (legislatore) alla natura e non viceversa. Kant arriva alle seguenti conclusioni: la conoscenza dell’uomo è limitata cioè non può andare oltre il mondo fenomenico o oltre l’esperienza.

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Le forme pure e i concetti sono applicati solo in relazione alla materia e ai fenomeni. Oltre il mondo fenomenico vi è solo la “cosa in sé o noumeno, ossia ciò che va oltre l’esperienza, ciò che può essere solo “pensato” (il noumeno) ma non conosciuto. La conoscenza del noumeno è a noi preclusa, è quindi il concetto – limite dinnanzi al quale dobbiamo fermarci. La metafisica quindi non potrà continuare ad avere pretese scientifiche: questo è stato il suo difetto; il voler trattare il modo scientifico gli oggetti della metafisica è stato l’errore che ne ha impedito la sua evoluzione. Kant paragona la conoscenza scientifica alla terraferma di un isola, mentre il mare che la circonda rappresenta le conoscenze extrascientifiche o metafisiche: chi pretende di andare oltre la conoscenza scientifica è destinato a naufragare nel mare della metafisica. Questo non significa che la metafisica sia inutile: bisogna solo capire come usarla correttamente. (FINE PRIMA PARTE) (a cura del prof. a.norcia)...


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