Filosofia del Diritto - Kant PDF

Title Filosofia del Diritto - Kant
Course Filosofia e informatica giuridica
Institution Università degli Studi di Bergamo
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FILOSOFIA DEL DIRITTO (P.TINCANI) – CAPITOLO 8: KANT Tesi radicale  DIRITTO E MORALE HANNO DUE NATURE DIVERSE. Ad essere buona è solo la VOLONTA’ BUONA: l’azione ha valore positivo solo se compiuta per il DOVERE MORALE DI AGIRE PER IL BENE. Le norme giuridiche sono moralmente NEUTRALI: il dovere morale di obbedire al sovrano non implica che le sue leggi abbiano un contenuto moralmente buono  è obbligatorio obbedire anche quando sono moralmente cattive (nel frattempo si può sostituire l’ordinamento con uno compatibile). ILLUMINISMO  concezione di LIBERTA’ CHE COINCIDE CON AUTONOMIA. AUTONOMIA= capacità dell’uomo di essere legislatore di sé stesso. ILLUMISMO= uscita dell’uomo dalla MINORITA’ di cui egli stesso è colpevole  è il manifesto della liberazione dalla SUBALTERNITA’ verso altri, dovuta a pigrizia e viltà poiché obbedire significa non decidere e decidere comporterebbe responsabilità. Uscire dalla minorità è una condizione essenziale per l’autonomia  LIBERTA’ POSITIVA  essere padroni di sé stessi  il diritto permette la coesistenza degli arbitri, cioè la massima libertà. Uscirne è però difficile per via dei potenti MODELLI CULTURALI SUBALTERNI  da questa cultura riceviamo uno STATUS, dal quale ricaviamo una definizione: i RUOLI sono plessi di diritti e doveri risultanti da DECISIONI ETERONOME  CULTURA DELLA MINORITA’. La subalternità è inoltre mantenuta da STRUTTURE DI DOMINIO (punizione e violenza). Un esempio è la finzione della maggiore età: quello di maggiorenne è semplicemente un nuovo status, ancora prodotto di una decisione eteronoma. Sommosse e rivoluzioni non servono ad uscirne, poiché quello che serve è una rivoluzione del pensiero, senza la quale, dopo una sommossa, si riaffermerebbe la cultura eteronoma precedente; serve una rivoluzione del modo di pensare che attribuisce ad alcuni il dovere di comandare e ad altri quello di obbedire. L’uscita è un dovere dell’uomo (uomo NOUMENICO, come deve essere), ma l’uomo ha bisogno di rassicurazioni e certezza (uomo FENOMENICO, com’è); l’uomo noumenico non corrisponde al concetto normativo di umanità, ma è necessità della ragione (normativo è il dovere di realizzarlo con l’uscita dalla minorità). FILOSOFIA DEL DIRITTO  3 grandi distinzioni: 1. DIRITTO e MORALE; 2. DIRITTO NATURALE e DIRITTO POSITIVO;

3. DOTTRINA GIURIDICA e FILOSOFIA (più importante).

GIURISTA  che cos’è di diritto? Conosce il diritto positivo senza formulare giudizi in termini di valore, perché i suoi strumenti sono empirici e può quindi analizzare solo dati empirici (non il giusto in sé, ma il giusto davanti ad un tribunale). FILOSOFO  che cos’è il diritto? Non studia il diritto positivo ma il diritto in quanto tale. Il giurista ha strumenti empirici, ma i concetti di giustizia e moralità non sono empirici  non derivano da norme positive ma da argomenti razionali. Separazione competenze del giurista e del filosofo  tesi con notevoli effetti sullo sviluppo del positivismo giuridico e nella dottrina pura di Kelsen  divisione collegata a quella tra diritto e morale  entrambe consistono di prescrizioni di condotta, ma hanno natura diversa  ogni legislazione ha due elementi: 1. Una LEGGE che rappresenta in modo OGGETTIVO l’azione che deve accadere; 2. Un MOVENTE che leghi in modo SOGGETTIVO il motivo di determinazione dell’arbitrio a tale azione.  che la LEGGE FACCIA DEL DOVERE UN MOVENTE. Tra legislazione morale e legislazione giuridica cambia il movente: tutti i doveri, in quanto tali, appartengono all’etica, ma la loro legislazione non è necessariamente contenuta nell’etica. La legislazione GIURIDICA riguarda solo DOVERI ESTERNI (non serve che l’idea del dovere sia motivo di determinazione) e rileva solo il MOVENTE ESTERNO (ovvero evitare la conseguenza sgradevole); non interessa perché non fai una cosa, ma solo che la fai. La legge civile è un fatto empirico, mentre l’idea di legge riguarda la ragione. Le LEGGI POSITIVE sono quelle la cui obbligatorietà dipende solo dalla sanzione, cioè COAZIONE ESTERNA. Le LEGGI NATURALI sono quelle che vengono percepite a PRIORI come obbligatorie, cioè per mezzo della RAGIONE. Le leggi naturali non valgono di per sé sul piano giuridico, ma devono essere POSITIVIZZATE= è possibile promulgare leggi positive che abbiano lo stesso contenuto precettivo delle leggi naturali  il diritto naturale, ovvero precetti desumibili con il solo esercizio della ragione, diventa diritto vigente attraverso la mediazione della legislazione.

La legislazione positiva su cosa fonda la sua obbligatorietà? Perché la coazione esterna è legittima? Dovrebbe essere preceduta da una legge naturale che fondi l’autorità del legislatore  si può positivizzare il DIRITTO NATURALE RAZIONALE, ma ci sarà sempre un principio ultimo che non si può positivizzare, ovvero quello che stabilisce l’autorità del legislatore imponendo di obbedire alle sue leggi. Tale principio ultimo non è ricavabile dal diritto per ragioni:  

LOGICHE  il diritto non può stabilire la sua propria obbligatorietà; ETICHE  altrimenti anche la norma più ingiusta dovrebbe essere obbedita.

L’obbligatorietà può discendere solo da RAGION PRATICA  l’autorità del legislatore si fonda sul DIRITTO NATURALE RAZIONALE (cioè ragion pratica). Lo STATO DI NATURA ha diritti, ma non ha il diritto. Nello stato di natura si trova il DIRITTO PRIVATO, che Kant intende come il diritto non posto da un’autorità esterna e per tanto provvisorio e non perentorio; nello stato civile vi è invece il DIRITTO PUBBLICO, ovvero quello posto da un’autorità esterna e pertanto perentorio e permanente. Le persone escono dallo stato di natura per rendere perentoria la giuridicità provvisoria: nello stato di natura è possibile “il mio e il tuo”, ma solo in via provvisoria. Non vi è nemmeno una forma di giustizia distributiva. INSOCIEVOLE SOCIEVOLEZZA= gli uomini hanno la tendenza ad unirsi in società perché è vantaggiosa, ma questa tendenza è congiunta ad una generale avversione vergo gli altri. Ognuno, per natura, cerca di far prevalere il proprio interesse, ma ciò può causare un conflitto con esiti distruttivi per la società, pur non essendo, questo istinto, un male in sé, in quanto è quello che ha permesso l’evoluzione delle società ed il progresso. Nell’essere umano le disposizioni naturali dirette all’uso della ragione possono svilupparsi interamente solo nel genere ma non nell’individuo. Stato di natura  legislazione privata  istinto  non autonomia  l’uscita è un postulato di diritto pubblico. Nello stato di natura le azioni contro gli altri non sono ingiuste, poiché ciò che vale per uno vale per gli altri  l’ingiustizia è il voler permanere in quello stato  dovere di entrare nello stato giuridico  dovere di uscire da minorità per essere autonomi, affrancando la ragione da pressioni esterne che rendono la volontà eteronoma

Entrare nello stato vuol dire assoggettare il proprio volere a quello di un potere comune, rinunciando ad essere legislatori di sé stessi, non è contradditorio? No, perché nello stato di natura l’uomo non è il legislatore di sé stesso, poiché il diritto privato non è il prodotto di ragione autonoma ma di questa unita all’istinto e l’istinto sceglie come agire sulla base di contingenze esterne. QUINDI:  





Il diritto privato è il prodotto di volontà non autonoma con contenuto determinato da fattori esterni; È necessario uscire dallo stato di natura perché solo la legislazione esterna può promulgare norme che gli uomini concepiscono mediante ragione e renderle cogenti per tutti; In assenza di un potere comune è impossibile stabilire i confini dei diritti; non dipende dalla malvagità umana ma è una necessità della ragione. L’uomo è libero quando segue massime formale che egli stesso si è dato.

Infatti, se è possibile concepire un mio e un tuo FENOMENICO, è solo perché esiste l’idea di un mio e un tuo NOUMENICO  concepisco la possibilità di possedere perché prima concepisco l’idea del possesso. Tale considerazione è applicabile a tutti i diritti provvisori  esistono in quanto esiste l’idea della ragion pratica di un loro corrispondente perentorio e definitivo. STATO CIVILE  non è uno stato esistente, ma lo stato ideale, lo stato COME DOVREBBE ESSERE per essere conforme ai principi della ragione. CONTRATTO ORIGINARIO  va inteso in senso puramente RAZIONALE: trasformazione razionalistica del contratto sociale, non un fatto storico ma un principio ideale  vederlo come fatto storico può avere effetti dannosi e indebolire il potere (sofisticazione inutile per il suddito che è già sotto legge civile). Deve essere necessariamente presupposto nel momento in cui si decide di rendere perentori i diritti provvisori attraverso la fondazione di un ente dotato del potere di promulgare legislazione esterna, poichè è necessario che ci sia accordo sul fatto che ci sia un legislatore esterno  accordo mai stato stretto, solo presupposto logico per la legislazione esterna  in una situazione di giuridicità provvisoria non è possibile stringere un patto con effetti permanenti e vincolanti, non può essere positivizzato. Il CONTRATTO E’ IPOTETICO: metro predeterminato dalla ragione, non da interessi contingenti. STATO SECONDO RAGIONE  tre assiomi: 1. Libertà come essere umano;

2. Uguaglianza come suddito; 3. Indipendenza come cittadino. Indipendenza è un IMPERATIVO CATEGORICO: agisci secondo una massima che possa insieme valere come legge universale. Come si può essere più liberi se il diritto perentorio è retto dalla coazione? La coazione diminuisce la mia libertà ma ne garantisce la coesistenza con la libertà di tutti; la limitazione della libertà è resa necessaria dall’uguaglianza: la limitazione la garantisce, senza non tutti sono ugualmente liberi.

Perché è doveroso obbedire alla legge? Recupera concetto di volontà generale di Rousseau (popolo come soggetto collettivo indivisibile): il potere legislativo può spettare solo alla volontà unificata del popolo per non arrecare ingiustizia alcuna (se dispongo per qualcun altro posso arrecargli ingiustizia). L’UGUAGLIANZA è la condizione che rende possibili tutte le libertà, ma non è una condizione naturale  bisogna sostituire l’UGUALGIANZA GIURIDICA all’UGUAGLIANZA NATURALE: diversi per natura, uguali in ciò che rileva dal punto di vista giuridico, sociale e civile  sul piano FORMALE ogni uomo divenuto cittadino è uguale ad ogni altro. UOMO FITTIZIO  unica entità rilevante socialmente e giuridicamente; è una COSTRUZIONE NORMATIVA  UMANITA’ ≠ CITTADINANZA. I cittadini hanno i seguenti attributi politici: 1. LIBERTA’ GIURIDICA= non obbedire ad alcuna legge se non quella a cui si è data approvazione; 2. UGUAGLIANZA CIVILE= non riconoscere nessun superiore nel popolo; 3. INDIPENDENZA CIVILE= dovere la propria esistenza non all’arbitrio di un altro ma ai proprio diritti e forze. Il cittadino è costituito da LIBERTA’, UGUAGLIANZA e INDIPENDENZA. Gli uomini possono non essere tutti liberi, ma i cittadini no, perché la costruzione normativa della cittadinanza contiene la regola dell’uguaglianza. Contestazione dei confini di status, che non dipendono dai cittadini ma sono predeterminati da regole che non sarebbero mai accettate nel contratto ipotetico. Il popolo è SOVRANO UNIVERSALE ed esercita la sovranità attraverso lo STATO.

STATO  tre poteri: 1. LEGISLATIVO= produce leggi materialmente; 2. AMMINISTRATIVO= amministra o disciplina le leggi per casi particolari; 3. GIUDIZIARIO= fa rispettare leggi e decreti. I poteri sono COORDINATI (ognuno è complemento degli altri) e SUBORDINATI (l’uno non può usurpare la funzione dell’altro). VOTO= concorre a distribuire la volontà del corpo unitario ma è un atto proprio di ciascuno in quanto singolo e quindi esprime una volontà particolare:  

No a ruolo didattico dello stato nella formazione culturale del cittadino (che va a votare come vorrebbe chi comanda); No a paternalismo (uno dei peggiori dispotismi, poiché pretende di indirizzare i cittadini a ciò che è meglio per loro).

Cittadino  libero volere  voto  volontà generale  può avere contenuti ingiusti. È uno stato secondo ragione, per cui la legge non dice cosa bisogna volere ma come bisogna volere: prescritto dall’imperativo categorico (devo volere in modo che – qualsiasi cosa – la massima del mio volere potrebbe essere elevata a legge universale). Non tutti i cittadini sono legislatori, ma solo quelli autonomi:  

CITTADINI ATTIVI  indipendenti, liberi dalla volontà altrui (accade per scelte individuali e condizioni oggettive); CITTADINI PASSIVI  se la condizione di passività può essere abbandonata sono comunque liberi.

“democrazia dei proprietari”: sembra che solo i proprietari abbiano i requisiti per l’indipendenza, ma le leggi devono essere tali da dare a chiunque la possibilità di diventare proprietario, cioè indipendente, cioè cittadino attivo. Il contratto ipotetico è da intendersi soprattutto come strumento mediante il quale è possibile giudicare della giustizia delle leggi pubbliche. Ogni legge può infatti essere immaginata come clausola del contratto ipotetico: di fronte a qualunque legge il cittadino può chiedersi: “avrei sottoscritto il contratto che contiene questa legge?”; se la risposta è sì, allora la legge è giusta, ma se la risposta è no, come bisogna comportarsi? Locke risolve la questione con l’attribuzione al cittadino del diritto di resistenza, che in pratica consiste nella possibilità di ribellarsi al principe. La risposta di Kant è però nettamente diversa: in nessun caso il suddito può essere esonerato dal dovere di obbedire alla legge e mai sorge in

capo al popolo il diritto di insorgere contro un sovrano che legifera in modo ingiusto. Il contratto ipotetico serve per valutare se la legge sia o meno giusta, ma non collega nessuna conseguenza pratica immediata a questo giudizio: il suddito può opporre rimostranze ma non resistenza; si può cercare di ottenere una modifica della legge ingiusta (RIFORMISMO, non rivolta)  condanna della violenza rivolta ai tentativi contro-rivoluzionari. La condanna della violenza non è inconsistente se non si commette l’errore di assimilare lo stato kantiano con quello di Locke:  

Per Locke i diritti preesistono alla costituzione della società civile, che sorge al solo scopo di proteggerli; Per Kant gli uomini entrano nella società civile per conferire una dimensione più completa ai propri diritti, che per tanto non possono dirsi già compiuti prima della costituzione dello stato.

La negazione del diritto di resistenza finisce per disegnare un contratto sociale molto diverso dai precedenti, che lo strutturavano come uno strumento che, per tutelare i diritti individuali, introduce dei limiti alle possibilità delle azioni legittime per sovrano e governo. Così da accordo tra popolo e sovrano, caratterizzato da clausole in deroga alle quali il contratto perde validità e il popolo riprende le sue prerogative, il contratto kantiano diventa una pia intenzione interpretabile solo dal potere sovrano, senza che il popolo possa esercitare alcuna forma efficace di controllo. DIRITTO= insieme delle condizioni sotto le quali l’arbitrio dell’uomo può essere unito con l’arbitrio dell’altro secondo una legge universale della libertà. Non tutte le azioni che si vogliono compiere possono però essere legittimamente compiute: la coazione è qui da intendersi come un impedimento ad un ostacolo alla libertà. Il diritto stretto è solo esterno e non può quindi fondarsi sulla coscienza, ma solo sulla coazione. Lo IUS STRICTUM è connesso all’autorizzazione a costringere. Concetto fondamentale per comprendere la teoria kantiana del DIRITTO SOGGETTIVO: è visto come una delega che lo stato attribuisce al cittadino, in forza del quale questo può, in determinate circostanze, costringere altri cittadini a tenere determinati comportamenti. Kant attribuisce un ruolo centrale al DIRITTO DI PROPRIETA’. La definizione classica lo definisce come un rapporto che esiste tra un soggetto (proprietario) e una cosa esterna, sulla quale il proprietario esercita la propria signoria pressoché illimitata. Questa definizione non può però essere accettata da Kant, per la definizione stessa che lui dà di diritto: il RAPPORTO GIURIDICO è possibile solo tra uomo verso esseri che hanno sia

diritti che doveri, cioè altri uomini, negli altri casi non è instaurabile un rapporto in cui uno obbliga l’altro. Il diritto reale è una metafora ASSURDA: non c’è interazione tra soggetto e cosa. La definizione di diritto impedisce che si possa concepire un rapporto giuridico in assenza della possibilità che esso consista in un modo di gestire le interazioni. Tra cosa e soggetto non può esserci interazione, per cui non è in quel rapporto che esiste la proprietà. PROPRIETA’= consiste nell’autorizzazione che l’ordinamento attribuisce ad un soggetto (proprietario) di pretendere che sugli altri soggetti venga esercitata la coazione  le cose non tornano da sole ai loro legittimi proprietari  il diritto soggettivo non consiste nella capacità di richiamare le cose a sé, ma nella possibilità di obbligare qualcuno alla restituzione  diritto e facoltà di costringere significano un’unica cosa (così per tutti i diritti soggettivi). STATO DI NATURA  c’è la possibilità di costringere, ma è solo provvisoria, perché si fonda sulla volontà unilaterale del proprietario. SOCIETA’ CIVILE  l’esistenza dei diritti si fonda sulla volontà di tutti unificata a priori (non posso imporre ad altri obblighi che di per sé non avrebbero)  la libertà è solo nello stato. La costruzione dello stato è però solo un passaggio nel percorso verso la libertà, che per essere compiuto necessità di uno step ulteriore: la costruzione di un ORDINE MONDIALE che garantisca la libertà e la pace tra i popoli (le guerre annientano ogni libertà). Ciò che gli uomini hanno fatto per costruire lo stato deve essere fatto dagli stati per instaurare il diritto cosmopolitico. Dedica a questo obiettivo uno scritto: “Per la pace perpetua. Un progetto filosofico” (1795). Si apre con sei regole provvisorie che, se attuate, porrebbero le basi per il passaggio ad una condizione di pace stabile: 1. Nessuna conclusione di pace, fatta con riserva segreta della materia di una guerra futura, deve passare per tale; 2. Nessuno stato che sussiste in modo indipendente deve poter essere acquistato da un altro per eredità, permuta, compravendita o donazione; 3. Gli eserciti permanenti devono col tempo del tutto cessare; 4. Non si devono fare debiti pubblici in relazione a conflitti esterni dello stato; 5. Nessuno stato interferire con la forza nella costituzione e nel governo di un altro; 6. Nessuno stato in guerra con un altro deve permettersi ostilità tali da rendere impossibile la fiducia reciproca nella pace futura: come per

esempio l’impiego di sicari, di avvelenatori nello stato con cui si è in guerra. I problemi nei rapporti internazionali individuati da Kant sono ancora attuali. Non influenzò direttamente la politica internazionale della sua epoca, ma nel lungo periodo molte delle sue idee hanno avuto, anche se non stabilmente, un riscontro nella prassi. Queste sei regole non sono il diritto definitivo; infatti questo dovrà finire per consistere nei seguenti articoli: 

PRIMO ARTICOLO DEFINITIVO PER LA PACE PERPETUA: in ogni stato la costituzione civile deve essere repubblicana [solo la costituzione repubblicana crea il vero diritto perché fonda lo stato sull’unione delle volontà dei suoi membri. C’è anche un altro motivo, di ragionevolezza pratica: nelle costituzioni repubblicane è richiesto l’assenso dei cittadini anche per stabilire se fare o meno una guerra, che richiede molta riflessione poiché dovrebbero combattere loro stessi, coprire le spese coi propri soldi; mentre in una costituzione in cui il suddito non è cittadino la guerra richiede poca riflessione, perché non è chi decide a doverla combattere. Kant constatava che le monarchie fanno la guerra e le democrazie vi pongono fine, ma nella realtà le cose non stanno esattamente così: con le repubbliche, le spese militari globali sono passate dai 220 miliardi di dollari del 1950 ai 950 miliardi del 1987 e che ci sono stati 130 conflitti armati tra il 1935 e i...


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