L evoluzionismo storia dell antropologia riassunto capitoli 1 2 4 PDF

Title L evoluzionismo storia dell antropologia riassunto capitoli 1 2 4
Author Anna Imbimbo
Course Antropologia
Institution Università degli Studi dell'Aquila
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Riassunti dei cap 1, 2, 4 del testo...


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Storia dell’antropologia CAPITOLO I - L’evoluzionismo Nel corso del XIX secolo, la teoria dell’evoluzione della specie divenne una sorta di “ideologia nazionale”. La teoria dell’evoluzione mirava a spiegare la storia dell’intera umanità. Merito di tutto ciò va a colui che formulò per primo la teoria dell’evoluzione della specie, ovverp Charles Darwin. 1. LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE NATURALE DI CHARLES DARWIN (18091882) Darwin nacque a Shrewsbury nel 1809 e fu sepolto con onori nazionali a Westminster nel 1882. Nato in una famiglia di giovani intellettuali, Darwin diventerà il più brillante fra tutti. Sin dall’infanzia, Darwin si distingue come collezionista appassionato e la sua passione si rafforza a Cambridge sotto l’influenza del professor Henslow, che ottenne per il suo allievo il posto di naturalista in una spedizione scientifica in America Latina. Questo viaggio di cinque anni, sarà determinante per la carriera scientifica di Darwin, che si rivela un eccellente osservatore, capace di stabilire legami tra le sue osservazioni più disparate. L’arcipelago delle isole Galapagos lo impressiona particolarmente. Su queste isole si ritrovano specie animali che esistono sul continente americano, ma si differenziano dalle specie continentali per alcuni dettagli. Queste osservazioni fanno nascere nella mente di Darwin, da un lato l’idea che ogni specie naturale non sia fissa e , dall’altro, l’idea che una specie possa trasformarsi in un’altra specie. Tutta la natura sarebbe, quindi, in cammino verso qualcosa di meglio. Dal 1837 al 1859 pubblica l’origine della specie, uno dei libri più celebri della storia dell’umanità. Va ricordato che prima dall’ora la maggior parte dei biologi considerava le specie naturali come raggruppamenti fissi ed eterni: Dio stesso aveva creato direttamente ogni singola specie di piante e animali e ogni specie possedeva ancora le stesse caratteristiche della coppia originaria. Darwin rimette in discussione l’idea della creazione divina, affermando che certe specie possono nascere da altre e che esse non sono immutabili. Le osservazioni empiriche condotte da Darwin lo hanno convinto di queste variazioni tra le specie, ma si pone allora la questione di come le specie si trasformino. Nel 1837 Darwin lesse il libro di Malthus, Saggio sul principio di popolazione nel quale lo studioso formula il suo principio di popolazione: gli organismi viventi producono più discendenti di quanti ne possano sopravvivere. Eppure, le popolazioni adulte tendono a rimanere stabili, generazione dopo generazione. Questo principio non ispirò solo Darwin ma anche Wallace, il quale scoprì contemporaneamente ad esso il principio della selezione naturale che spiega il come della

trasformazione delle specie. Fu allora che Darwin scrisse L’origine della specie, nel quale diede voce a questa teoria. Per Darwin, la teoria dell’evoluzione consiste in un processo attraverso il quale gli organismi che sono capaci di sopravvivere e di riprodursi in un determinato ambiente riescono a farlo a spese di altri organismi che non possiedono tale capacità. L’ambiente muta senza sosta e gli organismi devono adattarsi a tali mutamenti. Quelli che meglio si adatteranno sopravvivranno e nel corso delle generazioni, quella che era una qualità particolare diverrà la caratteristica propria dell’intero gruppo. I più adatti, quelli meglio adattati sopravvivranno: è ciò che viene chiamato la sopravvivenza del più adatto. In ogni stagione e in ogni periodo della vita, ogni organismo vivente deve battersi per sopravvivere e solo i più vigorosi ce la faranno. L’evoluzione è allora il cambiamento trans generazionale che si produce nel momento in cui le forme organiche si adattano ai cambiamenti del loro ambiente. Le forme nuove sono in qualche modo migliori delle forme vecchie, quindi il processo di evoluzione non soltanto le rende più complesse ma anche superiori. Un continuo cammino verso la perfezione. Darwin, dunque, affermò che anche l’uomo non sfuggiva a tale teoria e nel 1871 pubblicò L’origine dell’uomo nel quale esponeva le sue posizioni circa l’evoluzione umana. Intanto nel 1856, alcuni operai tedeschi avevano scoperto una grotta in cui giacevano le ossa di quello che si sarebbe poi chiamato uomo di Neanderthal. Quest’ultimo ispirava repulsione e gli studiosi dell’epoca faticavano a credere che quel cranio potesse appartenere a uno dei primi abitanti del luogo. La scoperta dell’uomo di Cro – Magnon nel 1868 confortava ancora le convinzioni di Darwin e gli permise di affermare che l’uomo discendeva da un mammifero villoso. Con queste affermazioni Darwin avrebbe gettato le basi di una visone evoluzionista delle diverse culture o di quelle che all’epoca si chiamavano “razze”. 2. L’EVOLUZIONISMO IN ANTROPOLOGIA Questa rivoluzione scientifica rivoluzionò tutte le discipline. Il principale obiettivo era quello di sistemare i popoli e le istituzioni sociali del mondo in sequenze evolutive e specificare l’origine di quelle stesse istituzioni. Le forme più avanzate erano considerate superiori a quelle primitive. L’antropologia nascerà in questi anni, cercando di risolvere tali problemi. Le scoperte archeologiche potevano dare un’idea materiale dei nostri antenati, ma come si poteva fare a conoscere i loro riti matrimoniali, come vivevano, le loro istituzioni politiche e familiari? La risposta a questa domanda furono le popolazioni che vivevano ancora nel passato. Bastava studiare quegli esempi viventi dell’Antichità dell’uomo. Morgan affermava che la maggior parte dei diversi stadi di sviluppo della famiglia esistevano ancora. Le società primitive potevano dunque servire come illustrazione vivente dei primi stadi dell’umanità. L’idea di progresso induceva i teorici dell’evoluzionismo a ritenere le società occidentali le più evolute e superiori alle altre. Gli Europei erano evidentemente le forme più avanzate. Gli antropologi evoluzionisti, dunque, utilizzavano queste sopravvivenze per riprodurre sequenze di sviluppo. Il loro scopo è di rintracciare le origini delle istituzioni moderne

considerate come il punto di arrivo del progresso umano e di proporre gli stadi attraverso i quali passano tutti i gruppi umani. Questo sviluppo dell’umanità si è compiuto in un’unica direzione; tutti i gruppi umani hanno affrontato sentieri paralleli di cui hanno percorso una parte più o meno lunga. Lo scopo degli antropologi evoluzionisti non è quello di studiare questa o quella cultura in particolare, ma di abbracciare la totalità della cultura umana. Il loro metodo sarà comparativo. 3. LEWIS HENRY MORGAN Giurista statunitense, nato nel 1818 e morto nel 1881, Morgan si impone come uno dei maggiori teorici dell’evoluzionismo antropologico. Egli deve la sua fama a due opere: Ancient Society, Systems of Consanguinity and Affinity of the Human Family. Nacque nello stato di New York da una famiglia agiata di proprietari terrieri. Conclusi gli studi di diritto, nel 1884 si stabilì come giurista specializzato nel campo del business nella città di Rochester. Avendo raggiunto un certo benessere economico poté consacrarsi alla scienza. Nella seconda metà del XIX secolo la questione dell’unità del genere umano era molto dibattuta. Secondo alcuni, Dio aveva creato le razze separatamente e ogni razza era diversa dalle altre. Questa teoria serviva da fondamento ideologico alla schiavitù. Morgan era contro la schiavitù in quanto riteneva che fosse mostruosa e innaturale. Nel 1850 il biologo di Harvard, Louis Agassiz, pubblicò un articolo nel quale sosteneva le tesi poligeniste; secondo lo studioso, gli esseri umani appartenevano a una sola specie, male diverse razze erano state create separatamente. In questo modo difendeva la schiavitù. Morgan s’impegnò allora a smentire la tesi della creazione separata delle razze e per farlo studiò gli indiani amerindi e dicendo che erano originari dell'Asia. Qui, gli Irochesi avevano avuto una discendenza matrilineare e Morgan voleva dimostrare che tutte le società di Indiani d’America erano matrilineari, confermando l’idea di un’origine comune. Cominciò a raccogliere le terminologie di parentela di molte popolazioni sparse per il mondo e redasse un questionario che inviò ai quattro angoli del mondo. Morgan divide la storia dell’umanità in tre grandi stadi: selvatichezza, barbarie e civiltà. I primi due stadi sono a loro volta divisi in tre periodi: inferiore, medio e superiore. L’evoluzione secondo lo studioso è essenzialmente materialista, nel senso che sono le scoperte materiali a far passare una società da uno stadio all’altro. La sua teoria sostiene che l’umanità ha un’origine uniche e che tutti gli esseri umani sono sulla stessa scala. Ecco la tabella di Morgan: 1. stadio inferiore dello stato selvaggio: l’umanità muove i suoi primi pass; l’uomo si nutre di frutti e noci. Si sviluppa il linguaggio articolato e questo stadio termina con la scoperta del fuoco e della pesca; 2. stadio medio dello stato selvaggio: con il fuoco e la pesca, l’umanità si diffonde su regioni più vaste; 3. stadio superiore dello stato selvaggio: avviene la scoperta dell’arco e delle frecce, dunque della caccia.

4. stadio inferiore della barbarie: l’invenzione della ceramica costituisce un punto di divisione della selvatichezza dalla barbarie; 5. stadio medio della barbarie: nasce l’uso architettonico della pietra, la domesticazione degli animali e l’agricoltura irrigua; 6. stadio superiore della barbarie: ha inizio con la lavorazione del ferro; 7. La civiltà: comincia con la comparsa dell’alfabeto fonetico e della scrittura. Diventava allora possibile ricostruire quegli stadi a partire dalle sopravvivenze. Così, Morgan osservò che gli Hawaiani non possiedono termini separati per designare zii e zie, nipoti maschi e nipoti femmine. Tutti gli zii e le zie sono chiamati “padre”e “madre”, tutti i nipoti “figli”e “figlie”. Ne dedusse che un tempo un uomo sposava sua sorella e che la famiglia consanguinea, all’origine dell’umanità, rappresenta così una prima tappa nello sviluppo della famiglia. Morgan gettò le basi per lo studio delle parentele. Ha distrutto l’illusione della fissità mostrando che ogni istituzione non solo era il prodotto di una lunga evoluzione, ma anche che poteva ancora cambiare. 4. EDWARD TYLOR Tylor fu l’antropologo britannico più illustre dei suoi tempi. Evoluzionista, seppe prefigurare gli sviluppi ulteriori dell’antropologia sociale, stabilendo correlazioni tra le varie istituzioni sociali. La salute precaria obbligò Tylor a rinunciare alle sue missioni nella fonderia di rame di proprietà della famiglia. All’età di 23 anni lasciò l’Inghilterra e partì per gli USA e il Messico. In questo paese fu testimone di strane usanze. Le osservazioni compiute ispirarono quella che sarà chiamata la “teoria delle sopravvivenze”, secondo la quale nelle società civilizzate si ritrovano vestigia di costumi antichi. Tylor è tra i primi a immaginare una vera scienza dell’uomo, che includa tutti gli aspetti della vita sociale, e sarà proprio lui a battezzarla “antropologia”. L’antropologia di Tylor poggia su quello che viene chiamato “metodo comparativo”, che mette in relazione dati provenienti da ambienti molto diverse con lo scopo di trarre delle conclusioni generali. Il più delle volte saranno di tipo evoluzionista. Tylor spiega anche la “tecnonimia”, ossia il fatto che in alcune società gli sposi si chiamano tra di loro con il nome dei propri figli con lo scopo di evitare al massimo gli incontri con la madre di lei da parte di lui, o il padre di lui da parte di lei. 4.2. L’origine della religione Secondo Tylor, le società primitive non riconoscono divinità supreme. Egli sostiene che le grandi divinità appaiono solo in seguito a una lunga evoluzione, a partire dalla credenza primitiva negli spiriti. Ritroviamo qui l’impronta evoluzionista. Definendo la religione come “la credenza in esseri spirituali”, Tylor ritiene che si tratti di un fenomeno universale, presente in tutte le società. quello che chiama “animismo” è dunque il denominatore

comune a tutte le religioni, ma è anche il punto zero della religione, la forma elementare della vita religiosa. L’origine della religione è di ordine intellettuale, nel senso che essa è un fenomeno culturale, prodotto dall’uomo e non creazioni soprannaturali. Secondo Tylor la forma più semplice di religione nasce dalle riflessioni dell’uomo primitivo sulle proprie esperienze dei sogni e dei suoi interrogativi riguardo alla differenza tra un uomo vivo e un cadavere. L’uomo primitivo si è rivolto al concetto di anima umana, intesa come entità immateriale separabile dal corpo; la credenza nell’esistenza di un’anima poteva spiegare, infatti, certi sogni o rendere conto di ciò che accadeva dopo la morte. Questa credenza suscitava atteggiamenti di timore o di rispetto verso quegli esseri spirituali e proprio questi atteggiamenti formano il cuore delle prime religioni. L’uomo primitivo ha poi esteso questa credenza a tutti i fenomeni naturali e se n’è servito per plasmare una visione dualista dell’universo. L’animismo a questo punto si trasforma in feticismo, poi politeismo prima con dei su concetti concreti e poi su concetti astratti, infine arriva il monoteismo che è la grande credenza dei popoli civilizzati. Giudaismo e Cristianesimo rappresentano lo stadio più alto dell’animismo. Le credenze religiose seguono un’evoluzione da forme elementari verso forme più complesse e vi è progresso da una tappa all’altra. Tylor pensa che la religione poggi su idee false. L’animismo è un errore: una pietra, un albero o una statua non possono racchiudere un’anima e non sono gli spiriti a far crescere le piante. In origine è stata la ragione a spingere l’uomo verso l’animismo, ma è ancora la ragione a doverlo allontanare da esso nell’epoca moderna. La falsità delle superstizioni deve gradualmente far posto alla verità della scienza e dobbiamo liberarci della morsa della religione. A Tylor va anche il merito d’aver scritto il primo manuale di antropologia della storia, intitolato Anthropology e che diede inizio allo studio di tale materia. 5. JAMES FRAZER (1854 - 1941) Scozzese, Frazer nasce in una famiglia agiata. Intraprende gli studi nell’università di Glasgow ed entra al Trinity College di Cambridge. Diventa presto ateo, respingendo la religione cristiana come completamente falsa. La sua amicizia con Smith lo incita a proseguire ulteriormente in questa direzione. Fu in questo contesto che Frazer scrisse il suo capolavoro il ramo d’oro. Nel 1896 Frazer sposa una vedova di carattere autoritario. Costei si impegna a incoraggiare, e anche a promuovere, la carriera del marito. Frazer riceve tutti gli onori e, nel 1908, l’università di Liverpool crea appositamente per lui la prima cattedra di antropologia. Incapace di adattarsi alla vita di Liverpool, dopo cinque mesi, è di ritorno a Cambridge; si trasferisce poi a Londra dove vivrà fino alla morte. Il ramo d’oro Al tempo dell’Impero romano, vi era a Nemi, nei pressi di Roma, un santuario dove veniva tributato un culto a Diana, dea dei boschi, degli animali e della fertilità, e al suo principe, Virbio. Questo santuario era la scena di una tragedia strana e ricorrente. La regola del

santuario voleva, infatti, che chiunque potesse diventarne il sacerdote (meglio uno schiavo fuggitivo) e assumere così il titolo di re della foresta, a patto che raccogliesse per primo una fronda – detta il ramo d’oro – di un albero sacro che si trovava nel boschetto intorno al tempio, e uccidesse poi il sacerdote in carica. Fraser si pose però delle domande riguardo questo culto e passò l'intera vita a rispondervi. Perché il sacerdote doveva uccidere il suo predecessore? Perché doveva essere il primo a raccogliere il ramo d’oro? E, infine, perché il sacerdote viene chiamato “re della foresta” a Roma che il titolo di re nn vi esisteva più? Perchè era meglio che il successore fosse uno schiavo fuggitivo? La soluzione del mistero sta nel fatto che bisogna osservare Nemi come una civiltà isolata. È questo carattere barbaro e rozzo che indica la via da seguire per scoprire le risposte. Bisogna dunque studiare società meno avanzate per poter capire i riti che si effettuavano a Nemi (metodo comparativo). Frazer seziona il mito in piccole parti e le compara una per una con elementi simili in tutto il mondo. Egli ricollega il sacerdozio di Nemi a fenomeni affini in altre culture o in altre epoche. Il re della foresta di Nemi, dunque, era l’incarnazione dello spirito dell’albero e aveva il dono di far crescere i frutti e le sementi. I suoi poteri erano molto preziosi e, per mantenerli intatti, era necessario preservarli dalla decadenza della vecchiaia. È per questo che un uomo più forte doveva uccidere il sacerdote. Nel corso delle cerimonie contestuali, poi, era ricorrente che si accendessero grandi fuochi per ravvivare la fiamma del sole. È forse per questo che il ramo della leggenda è un ramo d’oro, dal momento che è associato al sole. In ultima analisi, Frazer intende dimostrare che il dio del cielo e del temporale era la grande divinità dei nostri antenati e che la sua associazione con la quercia era data dal fatto che quest’ultima era spesso bersaglio di fulmini. Il prete di Nemi simbolizza, allora, in quanto sacerdote-divino, il grande dio latino del cielo, Giove, che dimora nel vischio delle querce. Ecco perché il sacerdote del santuario era sempre armato di una spada per difendere il ramo mistico che custodisce la vita del dio, ma anche la sua. Per Frazer, la storia dell’umanità si riassume in tre grandi stadi: magia, religione e scienza. Come Tylor, egli ritiene che per l’uomo primitivo sia il pensiero magico a caratterizzare l’alba dell’umanità. Secondo il pensiero magico, gli eventi appaiono in un ordine ben preciso: la magia è una pre-scienza e procede dalla stessa concezione della natura cha ha la scienza; la natura è fatta di ordine e di uniformità. La magia è la “sorella bastarda” della scienza e cerca di manipolare le leggi della natura, basandosi sull’osservazione quasi scientifica secondo la quale le stesse cause procuono sempre effetti identici. Il pensiero magico, secondo Frazer, è dominato da due leggi: - La legge della similarità = il simile produce il simile (bambola vodoo) - La legge del contatto o contagio = le cose venute a contatto tra loro continuano ad agire le une sulle altre anche dopo essere state allontanate.

Frazer considera queste leggi come superstizioni. Coloro che vi credono sono vittime dell’illusione. La magia è un falso sistema di leggi naturali e una cattiva guida all’azione. L’uomo primitivo farà appello a esseri spirituali sempre più complessi e superiori per poter spiegare fenomeni inusuali. Alla magia seguirà, dunque, la religione. I più intelligenti tra gli uomini si accorsero che, per esempio, la pioggia cadeva senza che gli opportuni riti fossero compiuti e il sole continuava a brillare. Tutto ciò era dunque illusorio! L’uomo era impotente di fronte alla maestà della natura, era scavalcato da forze più grandi e sottomesso a un potere più forte che governa l’ordine del mondo, cioè gli esseri soprannaturali. L’uomo religioso concepisce un mondo e una natura controllati dalla volontà di esseri spirituali che superano di gran lunga le sue capacità. Ma pian piano le menti più brillanti arrivano a rigettare la teoria religiosa della natura e così la religione viene rimpiazzata dalla scienza. Frazer considera la religione e la magia come spiegazioni illusorie del mondo e arriva a concludere che tra scienza e religione c’è un’incoerenza assoluta. Gli etnologi oggi sostengono che la teoria di Frazer in parte è errata perché la scienza non è riuscita a sostituire del tutto la religione. Essa apporta molte delle risposte ma non ha risposto alle domande fondamentali che si pongono all’uomo come la sua origine, il suo destino, la sua ragione d'essere ecc.. 6. LA CRITICA DIFFUSIONISTA Il diffusionismo nasce dalla riflessione e dall’irritazione provocate dai troppi errori evoluzionisti. Si tratta di una tappa importante verso l’antropologia moderna. Il diffusionismo mette l’accento sulla relativa omogeneità degli insiemi culturali che intende costruire. La cultura materiale compare tra i suoi interessi essenziali e il diffusionismo può apparire come l’espressione teorica del modo di esposizione tipico dei musei di etnografia che suggeriscono l’idea di un legame tra quegli stessi oggetti. ...


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