Antropologia DELL\' Educazione PDF

Title Antropologia DELL\' Educazione
Author Martina Marchesini
Course Educatore nei servizi per l'infanzia
Institution Università di Bologna
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Riassunto del libro scuola in pratica con relativi appunti della professoressa...


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ANTROPOLOGIA DELL’EDUCAZIONE: LA SCUOLA IN PRATICA CAPITOLO 1: L’educazione interculturale è l’approccio messo in campo dalla scuola per gestire il confronto in aula con la pluralità prodotta dai nuovi flussi migratori Definizione dello storico dell’educazione Lawrence Cremin: EDUCAZIONE = sforzo deliberato, sistematico e sopportato per trasmettere, evocare, acquisire conoscenze, atteggiamenti, valori, abilità o sensibilità e qualsiasi apprendimento che derivi da uno sforzo, diretto o indiretto, intenzionale o meno. È un processo attraverso cui escogitare le prossime mosse oppure uno sforzo per coinvolgere altre persone. Ha luogo entro le COMUNITA’ DI PRATICA (formali o meno). Può produrre conoscenze, ma non rimangono utili a lungo perché il contesto culturale è in continua evoluzione e produce nuove situazioni di partenza. l’educazione è un’attività legata più all’esperire che al conoscere: sviluppandosi sulla base dell’esperienza, richiede coinvolgimento attivo dei partecipanti. APPRENDIMENTO = attività di adattamento/aggiustamento dinamico che si crea tra i soggetti coinvolti nelle pratiche educative. 1.1 LE ORIGINI DELL’ANTROPOLOGIA EDUCATIVA L’antropologia dell’educazione (area dell’antropologia culturale) si è sviluppata negli Stati Uniti negli anni tra il 1950 e il 1960, anche se la sua fioritura è legata al trentennio precedente, all’interno del quale molti antropologi cominciarono a interessarsi allo studio dei sistemi formalizzati di educazione e interculturazione del bambino. Ad esempio, nel 1934, Malinowski andò in Sudafrica per partecipare a una conferenza internazionale sull’educazione, dove incontrò antropologi, insegnanti e missionari convinti dell’importanza di tenere conto dei sistemi indigeni di educazione per una migliore formulazione delle politiche educative in Africa. Bisognerà aspettare però un’altra decina d’anni perché l’interesse antropologico si cominci a spostare sui processi di trasmissione culturale non solo in aree lontane del mondo, come l’Africa e l’Oceania, ma anche in comunità marginalizzate all’interno delle società occidentali per ragioni etniche, razziali o di classe. L’ultima tappa importante prima dell’istituzionalizzazione dell’antropologia dell’educazione fu la conferenza organizzata da Margaret Mead al Teachers College della Columbia University nel 1949, perchè per la prima volta si trattarono separatamente i problemi educativi incontrati dagli Afroamericani e quelli delle popolazioni autoctone nelle colonie britanniche. Le prime incursioni antropologiche nello studio dei processi educativi volevano semplicemente favorire coloro che si occupavano di educazione indigena nei paesi

coloniali o di educazione dei gruppi minoritari all’interno delle società occidentali. È solo dalla seconda metà del XX secolo che gli antropologi cominciarono a studiare con sistematicità le scuole, il modo in cui gli insegnanti interagiscono tra di loro e con gli studenti e l’impatto avuto dai curricula sui risultati degli alunni, specialmente quelli appartenenti a gruppi di minoranza. 1.2 L’ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLA DISCIPLINA La Conferenza di Stanford del 1954 coordinata da George Spindler (una delle voci più autorevoli dell’antropologia dell’educazione) segnò un momento di svolta per la disciplina poiché consentì a studiosi e professionisti di condividere le proprie idee e i propri interessi. La conferenza trattava di argomenti come:  l’incontro tra teoria educativa e antropologica,  la necessità di una contestualizzazione socioculturale dei processi educativi,  lo studio della cognizione e dell’apprendimento interculturale  la scuola come campo etnografico per gli antropologi. Come fa notare Ogbu, i fattori che favorirono la relazione tra antropologia ed educazione negli anni ’60 vanno rintracciati nei problemi socio-politici con cui si confrontavano gli Stati Uniti in quegli anni (difficoltà educative dei poveri e delle minoranze) e nell’esigenza di reagire alle teorie deprivazioniste, secondo cui le minoranze e le persone di classe sociale bassa, mancando di certi tratti “tipici della classe media bianca”, venivano considerate come culturalmente “deprivate”. Quindi l’insuccesso scolastico veniva attribuito alla deprivazione culturale del contesto familiare e comunitario. Per distinguere i poveri dalla classe media i teorici della deprivazione culturale non facevano ricorso solo agli indicatori di povertà: mancanza di istruzione, disoccupazione, le abitudini scadenti… Associavano i problemi scolastici dei bambini di classi povere o di gruppi di minoranza ad:  aspetti dell’organizzazione sociale: numero di genitori single, presenza di nuclei familiari con a capo una donna  indicatori comportamentali: famiglia mangia insieme, bambini sono abituati ad ascoltare fiabe e a parlare con i genitori nella modalità degli angloamericani di classe media. In questo modo si trascurava la possibilità che l’assenza di alcuni tratti significasse non un deficit culturale da compensare, ma la presenza di modalità comunicative e interazionali, di valori e abitudini educative diverse dagli stili vigenti nel contesto scolastico. Gli antropologi diedero una spiegazione dell’insuccesso scolastico basata sul concetto di discontinuità. I gruppi etnici e sociali svantaggiati non andavano trattati come rappresentanti di contesti culturalmente deprivati, ma come portatori di culture differenti e altrettanto valide. Il termine Education Anthropology fu utilizzato per la prima volta da Annette Rosenstiel (nel 1954) per definire un nuovo approccio interdisciplinare all’analisi culturale. “È giunto il momento della formulazione di un nuovo approccio che renda disponibili sia all’antropologia che all’educazione i concetti e i metodi dell’altro. È possibile focalizzare l’attenzione su un problema e cercare la soluzione in armonia con i principi di entrambe le discipline”

Negli stessi anni si assistette ad un radicamento degli studi di antropologia dell’educazione nei contesti accademici di Stanford (con Spindler) e del Teachers College della Columbia University (con Kimball). Alla fine degli anni ’60, l’istituzionalizzazione dell’antropologia dell’educazione come campo di specializzazione interno alla disciplina era ormai completata. Quanti si formavano in questo settore venivano accettati tra i membri dell’American Anthropological Association (AAA), al cui interno nel 1970 fu fondato il Council on Anthropology and Education (CAE), organizzazione con la finalità di promuovere la prospettiva antropologica nelle pratiche educative. Nel 1968 durante il meeting dell’AAA venne fondato un gruppo specifico di Antropologia e Educazione. Questo gruppo diede le basi per il CEA. Il programma del meeting prevedeva una sessione sull’educazione che riscosse successo tra correnti separate come il gruppo di Stanford e quello della Columbia. Si tenne un dibattito, organizzato da studiosi appartenenti a gruppi minoritari, per implementare programmi scolastici che andassero oltre al modello anglo-americano. da quel momento entrarono nel gruppo studiosi di origine ispanica, nativo-americana e asiatica. I membri del CAE studiano lo sviluppo e l’apprendimento infantile nelle diverse modalità e ambienti in cui si realizzano. 1.3 IL RETAGGIO DEGLI STUDI DI CULTURA E PERSONALITÀ Gli antropologi che si concentrarono sullo studio dei processi educativi furono fortemente influenzati dalla scuola di cultura e personalità, un gruppo di antropologi (M.Mead, R.Benedict, R.Linton, si riunirono intorno alla figura di Abram Kardiner) il cui scopo era quello di integrare i metodi e le teorie della psicologia analitica con quelli dell’antropologia culturale. L’antropologia educativa ereditò dalla scuola di cultura e personalità l’interesse per i fenomeni inculturativi, l’abitudine a non separare i processi educativi dai contesti socioculturali in cui si verificano e il ricorso a nozioni e strumentazioni proprie della psicologia. Inoltre, l’ipotesi di fondo della scuola, ovvero che ogni individuo struttura la sua personalità a seconda delle norme di comportamento apprese nella società di appartenenza, aveva spinto molti studiosi ad analizzare l’influenza della cultura sulle pratiche di educazione infantile. Il fattore che determinò la formazione del nuovo settore di antropologia dell’educazione (tra 1950-1960) fu l’allargamento del campo di indagine etnografica dalle popolazioni “pre-letterate” (società prive di luoghi istituzionalizzati preposti alla trasmissione culturale) alle società complesse e al loro interno ai sistemi di istituzione. Negli scritti sui processi educativi di Benedict possiamo riscontrare dei limiti in quanto l’antropologa immaginava che le trasformazioni necessarie per rendere il sistema educativo americano meno perbenista e più armonioso fossero raggiungibili attraverso lo studio delle strategie educative di altre culture. Dotata di una valenza anche applicativa è la posizione di Margaret Mead. Jules Henry

era arrivato alla conclusione che nelle scuole americane venisse prodotta una personalità lacerata in cui l’ansia di competizione cozzava con la paura dell’autorità e il fascino della sottomissione. Un’altra ricerca in cui è visibile il debito dell’antropologia educativa nei confronti degli studi di cultura e personalità è quella dei coniugi Whiting: si chiesero se i bambini cresciuti in società con costumi, valori, credenze diverse differissero gli uni dagli altri. Questo studiò mostrò un aspetto importante dell’antropologia dell’educazione, la comparazione cross-culturale e intra-culturale. Questo studio mostra l’esistenza di due categorie per la formazione della personalità dei bambini: Alcuni comportamenti, come il rimprovero, facevano affiorare le differenze interne ad una data cultura, per esempio quelle generazionali; mentre quando si osservano dimensioni come responsabilità, autorità o successo erano le differenze cross-culturali ad avere il peso più importante. Il cordone ombelicale che lega una grossa branca dell’antropologia educativa agli studi di cultura e personalità è evidente quando si analizza l’approccio comunemente noto come “studio della trasmissione culturale”. Questo termine veniva usato da Spindler per spiegare i mezzi e i modi di trasmettere i valori e i comportamenti attesi da una generazione all’altra all'interno di una società. Per spiegare perché alcune caratteristiche psicologiche accomunassero i membri di uno stesso gruppo sociale, i teorici di cultura e personalità sostenevano che la cultura viene trasmessa per rendere l’individuo pronto a fare ciò che deve secondo le norme imposte dalla comunità di appartenenza. Questa visione ha tuttavia dei limiti, in quanto finisce per considerare la trasmissione culturale un processo replicativo. Secondo Margaret Mead e Melville Herskovits, accanto ad una trasmissione puramente replicativa, prodotta dal passaggio di tratti culturali identici di generazione in generazione, esistono meccanismi di elaborazione in grado di presupporre una visione dell’apprendimento più dinamica. Herskovits teorizzava che l’inculturazione fosse un processo distinguibile in due fasi:  fase caratteristica dei primi anni di vita di tipo meccanico  fase tipica dei periodi successivi di tipo processuale, in cui individuo era più incline a produrre cambiamenti in seno alla cultura e società di appartenenza. 1.4 LA PRIMA TRADIZIONE: GEORGE E LOUISE SPINDLER Intorno alla figura di George Spindler, a partire dalla Conferenza del 1954, si è costituito uno dei maggiori filoni dell’antropologia educativa, quello con sede a Stanford. George Spindler e sua moglie Louise hanno esplorato le relazioni esistenti tra scuola e società, il ruolo delle istituzioni scolastiche nel processo di trasmissione culturale, il rapporto tra insegnanti e alunni. Attraverso una metodologia di intervento chiamata cultural therapy, i due coniugi hanno cercato di aumentare il livello di consapevolezza di educatori e amministratori scolastici per aiutarli a gestire meglio le diversità culturali presenti a scuola.

Spindler tramite le sue ricerche ha finito per identificare con la trasmissione culturale (processo attraverso il quale i membri si sforzano di trasferire il proprio patrimonio culturale alle nuove generazioni) il nucleo centrale dell’antropologia educativa. L’autore disse che aveva istituito come tematica principale dell’antropologia educativa la trasmissione culturale, ovvero il processo attraverso cui i membri di una comunità, attraverso interventi intenzionali, si sforzano di trasferire il proprio patrimonio culturale alle nuove generazioni. Nel costruire le basi teoriche dell’antropologia dell’educazione, Spindler ha elaborato un modello, da lui definito “strumentale”, che spiega il modo in cui la cultura viene trasmessa e i sistemi culturali tramandati di generazione in generazione. I collegamenti tra i comportamenti e gli scopi che le persone si danno, che costituiscono il cuore stesso di una cultura, sono strumentali in quanto servono al funzionamento e alla sopravvivenza della società. Attraverso famiglia, chiesa, scuola, pari, i giovani imparano a diventare membri di una comunità, facendo propri credenze, abilità e competenze di grado di farla funzionare. Quando, però, modelli di comportamento alternativi fanno balenare la possibilità di scelte differenti, i sistemi culturali si modificano e le persone mettono in discussione i collegamenti strumentali tradizionali per acquisirne di nuovi. Spindler ha perfino sviluppato una tecnica “Instrumental Inventory”, che consiste nel somministrare agli studenti 37 disegni, rappresentanti attività strumentali sia tradizionali che nuove, e nel chiedere ai soggetti di compiere delle scelte in base alle loro preferenze e di spiegarle. Secondo S. le scelte che gli alunni compiono riflettono il processo di trasmissione culturale e mostrano i collegamenti strumentali grazie ai quali la cultura si diffonde all’interno di una comunità. 1.5 LA SECONDA TRADIZIONE: SOLON KIMBALL Durante la Conferenza di Stanford del 1954, Kimball espresse un parere concorde a quello di Spindler nel ritenere fondamentale l’inserimento, nell’antropologia educativa, di studi su educazione, cambiamento culturale e struttura sociale; ma egli aggiunse all’elenco tre nuove aree: 1. la ricerca su piccoli gruppi 2. gli studi di comunità 3. le relazioni di genere. In contrasto con l’interesse allora dominante nel settore di cultura e personalità (lo studio della trasmissione culturale), Kimball si dedicò all’analisi olistica, biologica e culturale dell’apprendimento umano. Applicando metodologia natural history method: cerca di studiare i cambiamenti intervenuti nelle vite degli individui, dei piccoli gruppi, concentrando l’analisi sul contesto spazio temporale dell’interazione sociale. Per Kimball sono importanti le comunità e i piccoli gruppi come contesti di apprendimento. Secondo Kimball, le modalità in cui le conoscenze sono trasmesse all’interno di una comunità, la sotria, sistemi linguistici, organizzazione sociale ecc, forniscono ai residenti una sagoma del pensiero e un modello dell’interazione umana, replicato dalle istituzioni scolastiche. Ovvero gli stati psicologici e le differenze negli stili di apprendimento sono considerati manifestazioni delle differenze nell’organizzazione comunitaria, come se ogni comunità avesse il suo analogo neurologico nel modo in cui le persone pensano. 1.6 L’ACQUISIZIONE DELLA CULTURA: HENRY WOLKOTT Secondo Wolkott, molti studi a lui contemporanei sulla trasmissione culturale riflettevano la tendenza (derivata dai primi teorici di cultura e personalità) a

considerare il patrimonio culturale di una società trasmissibile in maniera uniforme da una generazione all’altra, come se persone in circostanze simili si comportassero sempre nello stesso modo. Wolkott criticava agli studi sulla trasmissione culturale di aver insistito troppo sulle componenti di omogeneità interne alla cultura e, di conseguenza, di aver concentrato la propria attenzione esclusivamente sui membri adulti della società preposti alla trasmissione di conoscenze, valori e norme sociali. Si trascurava così il ruolo attivo esercitato dall’individuo che apprende. La cultura, infatti, veniva considerata un’entità monolitica tramandabile di generazione in generazione e gli individui erano assimilati a ricevitori passivi di un bagaglio uniforme di conoscenze. Eppure nessuna generazione è la replica esatta di quella precedente, ogni persona apprende in modo differente, come nessun individuo è la copia di un altro; ciò che la cultura fa, allora, non è tanto creare omogeneità ma “organizzare” le diversità esistenti al suo interno ai fini della propria sopravvivenza. Partendo da questo presupposto, Wolcott propone di concentrarsi di più su come le persone organizzano la cultura che su come le culture organizzano le persone. Quando Herskovits introdusse il termine inculturazione (processo attraverso il quale un individuo apprende i modi di pensare tipici della propria cultura di riferimento e che lo distinguono da individui di altre società) molti antropologi trascurarono l’idea di acquisire competenza. Secondo Wolcott è questo il motivo per cui il termine inculturazione avrebbe sopportato una visione fuorviante dell’oggetto di studio dell’antropologia. Per questo Wolcott decide di usare un’espressione che descrive la sua idea di cultura, secondo cui ognuno di noi si costruisce la propria cultura a partire dalla propria esperienza personale,: “prospettiva personale” termine utilizzato da Goodenough. Secondo G. come ci sono tante versioni del linguaggio quanti sono i parlanti, ed ogni parlante adatta il suo stile in base alle circostanze, così il processo di apprendimento di una cultura equivale all’acquisizione di un certo numero di micro-culture. Secondo Wolcott, questo concetto ha il merito di aiutare gli studiosi a superare la tentazione di far coincidere le differenze culturali solamente con quelle che riguardano l'etnia. Inoltre, Il concetto facilita la comprensione della distinzione tra cultura e società: noi non apparteniamo ad una cultura, al limite apparteniamo a gruppi che condividono delle caratteristiche culturali e non possiamo acquisire una cultura ma raggiungiamo competenze di una data cultura. Le prospettive personali vanno considerate come reti di connessioni dotate di senso, che ciascuno di noi crea e riformula in base alla sua esperienza. Quando si parla di acquisizione della cultura, secondo Wolcott, sono implicati entrambi i processi:  l'acquisizione di competenza culturale  costruzione di una prospettiva personale Spindler non si trova del tutto d'accordo con Wolcott sostenendo che si potrebbe cadere in un'eccessiva psicologizzazione della disciplina. La preoccupazione è che si produca una psicologia dell'apprendimento individuale piuttosto che uno studio dell'acquisizione culturale orientato in senso antropologico. Spindler riconosce comunque un grosso merito al concetto di prospettiva personale.

1.7 FREDERICK GEARING E IL MODELLO TRANSAZIONALE Fino ad ora abbiamo visto autori che danno molta importanza alla dimensione intrapsichica dei processi educativi, ma esistono altri che studiano i processi educativi senza fare ricorso a questa dimensione (antropologia educativa non è una scuola teorica con un corpo comunemente accettato di teorie, essa è un settore di intersezione al cui interno coesistono correnti diverse e orientamenti presi in prestito da altre discipline). Nell’attività di Frederick Gearing non si fa ricorso a variabili psicologiche per spiegare i processi di trasmissione e acquisizione culturale, al contrario vengono osservati i comportamenti dei soggetti in interazione. Gearing è critico verso qualsiasi visione che riduca la cultura ai moti interni della psiche individuale. Egli elabora un modello noto come transazionale, il cui presupposto è che “il sistema culturale di ogni società o gruppo consiste di un insieme di equivalenze di significato diverso, ma interconnesse, che sono state precedentemente negoziate nel corso di ripetuti incontri di ciascun membro del gruppo con qualche altro membro”. Gearing è interessato a studiare come le identità sociali si formano nelle interazioni faccia a faccia, perché è nel corso di tali incontri transazionali che, secondo l’autore, ha luogo la trasmissione culturale. La trasmissione culturale ha successo quando i...


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