Antropologia come educazione Tim Ingold PDF

Title Antropologia come educazione Tim Ingold
Course Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Bergamo
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Antropologia come educazione- Tim IngoldAntropologia Dei Processi Culturali Alma Mater Studiorum – Università di Bologna 23 pag.ANTROPOLOGIA COME EDUCAZIONE- Tim IngoldIntroduzioneCo-rispondereIl termine educazione è un composto latino: e – ducere, cioè ex (fuori) più ducere (condurre). Ingold propo...


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Antropologia come educazione - Tim Ingold Antropologia Dei Processi Culturali Alma Mater Studiorum – Università di Bologna 23 pag.

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ANTROPOLOGIA COME EDUCAZIONE- Tim Ingold

Introduzione Co-rispondere Il termine educazione è un composto latino: e – ducere, cioè ex (fuori) più ducere (condurre). Ingold propone una lettura del concetto di educazione che non è semplicemente un “vivere la vita” ma anche “il guidarla”. E-ducere più che un istillare è un fare uscire, ovvero aprire strade di crescita intellettuale e di scoperta, senza che vi siano obiettivi predefiniti o punti d’arrivo già stabiliti. Il compito dell’educatore è dunque quello di fornire ISPIRAZIONE e SGUARDO CRITICO più che spiegare quanto c’è da sapere e attendersi una risposta che già conosce. Si tratta di accendere un fuoco, questo ci rende vulnerabili e ci insegna ad ascoltare e partecipare alle cose che ci circondando insieme agli altri. Ispiratosi a John Dewey, Ingold riconosce l’equipollenza relazionale tra antropologia ed educazione: compito dell’antropologia è quello di contribuire ai grandi dibattiti del nostro tempo cioè su come potremmo vivere insieme e su come dovremmo relazionarci con le persone e con l’ambiente. Tutto questo deve avvenire a partire dall’aula che è il primo campo di ricerca e di relazioni, un luogo per eccellenza di incontro tra sapere antropologico e un mondo fatto di infinite differenze. L’antropologia può definirsi davvero congruente con l’educazione solo quando ci destabilizza trasformando ogni certezza in domanda, quando il suo fine non è produrre conoscenza (e il suo consumo) e quando si può intendere come maniera di condurre la propria vita con gli altri. Noi non studiamo tanto gli altri, quanto piuttosto studiamo CON gli altri nel mentre gli altri vengono a studiare con noi. Per questo motivo l’educazione non può mai avere degli esiti predeterminati, è l’ATTENZIONE, cioè il tendere verso qualcosa ciò che conta davvero. Prestare attenzione arricchisce, completa, ci abitua a saper ascoltare attivamente, a prendersi cura delle persone e delle cose, saper aspettare ed essere presenti, a procedere insieme con altri e ad avere ispirazione. In questo procedere della vita va considerata l’ABITUDINE che è un principio di produzione ricorsivamente generato dalle azioni stesse. concetto di HABITUS di Bordieu secondo il quale i comportamenti abituali e routinari sono strumenti attivi di continua rimodulazione delle pratiche sociali. Questo per Ingold diventa un “ABITARE L’ESPERIENZA”, cioè imparare a conoscere il mondo, non osservandolo, muovendocisi dentro. Abitando il mondo noi ci modifichiamo all’interno di esso in un perpetuo rinnovamento, in questo modo stiamo nel mezzo dell’esperienza le cui finalità non sono date in anticipo ma emergono durante l’azione stessa: si aprono possibilità di sempre nuovi inizi senza che possiamo essere mai completamente padroni dei nostri atti nel direzionarli. Infatti il pretendere di avere il controllo in ogni situazione ci rende incapaci di rispondere alle situazioni impreviste della vita (capacità di improvvisazione – l’apprendimento situato). Le operazioni della mente attenzionale non sono determinate da azioni intenzionali o cognitive, esse sono ECOLOGICHE, e solo in questo modo si può attivare il processo per cui individui e cose responsabilmente co-rispondono. Prestandosi reciproca attenzione mentre si procede insieme, ogni individuo trova la propria voce condividendo l’esperienza con gli altri. Educare ci conduce fuori dal mondo in una corrispondenza con tale mondo: non si tratta quindi di riempire i “novizi” come se fossero contenitori vuoti e con un percorso a tappe misurabili, si tratta piuttosto di abituarli a prestare attenzione al mondo, aperti ed esposti alla sua presenza e a venirne al contempo trasformati. L’educazione deve essere praticata in maniera ricettiva e responsabile nei confronti degli altri.

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L’elemento creativo è quello di saper PRODURRE NUOVI INIZI, cioè di generare delle relazioni, di “mettere in comune” e solo nell’insicurezza ci apriamo realmente gli uni agli altri. La libertà di saper improvvisare, di trovare una strada mentre si procede in risposta agli stimoli dell’ambiente, rivolgendosi verso uno scopo che costantemente si modifica nel corso dell’evento. Lo studio è un processo di “messa in comune e di variazione, di attenzione e risposta, in cui maestri e studenti procedono insieme” nel corso dell’esperienza educativa. Gli anni ’60 sono gli anni del declino dell’ideale trasmissivo dell’educazione: ormai essa non viene più considerata come una semplice trasmissione di saperi. A tal proposito Carl ROGERS (anni ’60), il fondatore della psicoterapia centrata sul paziente, ha proposto la sperimentazione di nuove forme di apprendimento dando spazio a una diversa concezione dell’insegnamento, inteso ora come ESPERIENZA DI RECIPROCITA’ E DI RELAZIONE. (imparare ad imparare, imparare ad adattarsi e a mutare, nessuna conoscenza è certa,disponibilità al mutamento, fiducia nel processo piuttosto che nella conoscenza statica). Nonostante questo si trova tutt’oggi una certa resilienza di questo approccio trasmissivo e questo potrebbe essere dovuto all’ideologia cha fa dell’educazione il luogo di formazione di nuovi studenti-consumatori. È dunque necessario fare i conti con il contesto di riferimento cioè ricorrere a un approccio di ricerca PARTECIPATIVO dei processi educativi. Un’altra figura molto importante è GREGORY BATESON il quale riteneva inquietanti gli interventi educativi tecnicisti, fondati sul primato della progettazione e della sua finalità (osservabile misurabile dall’educatore), in quanto andavano a discapito dell’AUTONOMIA CREATIVA dell’allievo e che potevano solo condurre a esiti distruttivi e manipolatori, proponendo dunque un APPROCCIO SISTEMICO. Tutte le persone sono parti di un sistema, e nella relazione educativa sia l’insegnante sia l’allievo, devono necessariamente e reciprocamente fare i conti con le premesse dell’altro se vogliono promuovere processi di apprendimento e di crescita culturale. (circolazione di informazioni tra quasi-pari). In questa relazione studenti-insegnanti è il contesto che ci permette di “stare nel processo” o quantomeno di tentare di dare risposte al come realizzare una proposta educativa che comprenda anche gli ELEMENTI COGNITIVI ed EMOZIONALI che la caratterizzano. Affrontare con successo questi cambiamenti sistemici e autoriflessivi è quello che si intende quando si parla di “apprendere ad apprendere”, cioè imparare a conoscere i contesti in cui viviamo ma da un’altra prospettiva. Questa è una vera e propria PARTECIPAZIONE EDUCATIVA e non un addestramento, una partecipazione che deve interessare tanto gli insegnanti quanto gli studenti che condividono il processo che li mette in relazione e li trasforma. In questa PROSPETTIVA ECOLOGICA Ingold definisce una modalità di pensiero basata sulla RELAZIONE non sulla separazione questo significa che non si impara ad agire in modo isolato ma grazie al coinvolgimento in un mondo sociale con il quale entriamo in risonanza, un mondo in cui la socialità è la qualità fondamentale delle relazioni. In termini di apprendimento ciò significa che LA CONOSCENZA AVVIENE NELLA PRATICA, attraverso il coinvolgimento concreto dell’individuo nell’esecuzione di compiti quotidiani. Questo è quanto affermato da LEAVE e WENGER, cioè si apprende in relazione, si apprende se vi è reciprocità e quando c’è la possibilità di muoversi in direzioni diverse e impreviste. Entrambi gli autori si concentrano sui modi di partecipazione sociale che forniscono il contesto appropriato per il compiersi dell’apprendimento. Colui che apprende rende proprio il sapere sociale disponibile e in modi che investono simultaneamente la sfera esperienziale, la sfera emotiva e quella cognitiva.

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Quello invece proposto da BARBIER è un approccio all’ascolto sensibile: egli ritiene che la scientificità del metodo risieda nelle teorie dell’ascolto sensibile nelle scienze umane, in relazione delle condizioni dialogiche e affettive che caratterizzano l’esperienza intersoggettiva. Si tratta di un modo di co-produrre senso permettendo ai soggetti in apprendimento di essere “attori” ed “esperti” del proprio indagato per smontare quella relazione asimmetrica tra maestro e apprendista. La “maestria” infatti non è concentrata nella figura del maestro ma si riferisce all’intero gruppo che partecipa all’azione. In questo modo il soggetto diventa sempre più CONSAPEVOLE del proprio essere esperto e autore del proprio apprendimento. Ingold, sulla traccia di Dewey, pensa l’insegnamento come un processo di messa in comune e variazione, di attenzione e risposta, in cui maestri e studenti procedono insieme in un percorso di studio che “è questione di produzione e non di consumo, di condivisione pubblica e non di appropriazione privata”. Studio TRASFORMATIVO diverso da addestramento.

Prefazione L’antropologia ha un carattere intrinsecamente educativo già a partire dalla classe la quale è il luogo in cui viene condotta buona parte del vero lavoro antropologico, uno spazio di trasformazione creativa in cui ci si avvicina al pensiero di coloro che ci hanno preceduto per poter andare oltre, al di là di ciò che essi avrebbero mai immaginato. Questo lavoro però è spesso ostacolato dai PROTOCOLLI ISITITUZIONALI, i quali stabiliscono dei requisiti di insegnamento e apprendimento secondo i quali insegnare significa trasmettere un contenuto e apprendere significa assimilarlo. Ma l’educazione riguarda piuttosto un “condurre la propria vita insieme con gli altri” ed è in questo che lo studio antropologico fondamentalmente congruente all’educazione. (vedi introduzione della Bonetti) Finchè antropologia ed educazione resteranno sui lati opposti di una divisione tra produzione di conoscenza e sua trasmissione, i loro effetti continueranno ad annullarsi a vicenda. Motivazioni di scrittura del libro: -richiesta di tenere le DEWEY LECTURES all’Università di Rennes, in Francia, nel febbraio del 2016. Si tratta di 4 conferenze: 1) “l’educazione non è un trasferimento di conoscenza”; 2) “educazione e attenzione”; 3) “educazione i chiave minore”; 4) “educazione e corrispondenza”. Il filo rosso che accomuna le 4 conferenze e quindi i capitoli del libro è la FILOSOFIA EDUCATIVA di John Dewey. -progetto “Knowing From Inside” (KFI) la cui ambizione era riconfigurare le relazioni tra pratiche di ricerca e produzione di saperi che da esse scaturiscono, sviluppando e testando una serie di procedure che permettessero l’elaborazione di conoscenza a partire dal coinvolgimento diretto, pratico e osservativo con le persone e le cose che ci circondano (studiare CON le cose piuttosto che studiarLE). Il progetto unisce 4 discipline, che sono l’antropologia, l’arte, l’architettura e il design per un approccio di vita sostenibile basato sulla creatività dell’improvvisazione e sull’arguzia percettiva. -campagna dell’ottobre 2015 “Reclaiming our University” per riportare l’Università di Aberdeen a una vera comunità di studenti e di studiosi facendo in modo che ognuno all’interno dell’istituzione potesse prendere parola sul tipo di università desiderata, su come avrebbe dovuto essere gestita e su come ci si sarebbe potuti arrivare. Si sono organizzati una serie di seminari aperti in per sviluppare una visione coerente, profonda e collettiva del reale significato che l’Università avesse per i soggetti interessati.

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Capitolo 1 – contro la trasmissione Abbandonare la scuola – Nelle società occidentali o moderne la parola educazione evoca di norma i ricordi della scuola. Questa nell’immaginario comune rimane il luogo primario della formazione educativa e in relazione ad essa le istituzioni prescolastiche sono interpretate come preparazione e quelle postscolastiche come coronamento. In una società democratica è responsabilità dello stato garantire servizi educativi adeguati per i propri cittadini e deve prima di tutto supervisionare e regolamentare quanto accade nelle scuole, a partire dai contenuti e dai metodi di insegnamento. La pratica educativa e l’istituzione scolastica sembrano apparentemente inscindibili. Ma questo è un semplice PREGIUDIZIO ETNOCENTRICO: nelle società senza scuole? Il sapere cambia da cultura a cultura così come le istituzioni che ne consentono il passaggio da una generazione alla successiva. Un assunto che attraversa tutte le discussioni in materia di pedagogia è che l’educazione nel suo senso più ampio riguarda la trasmissione di informazioni: coloro secondo cui l’eduzione avviene a scuola considerano quest’ultima come uno spazio separato in cui viene trasmesso il sapere, prima della sua applicazione che avverrà solo quando gli studenti lo porteranno nel mondo esterno. Ma la scuola non può essere l’unico tipo di istituzione cui è attribuito uno scopo pedagogico! Le pratiche istituzionali alternative, dalla narrazione di storie ai riti di iniziazione, sarebbero modellabili a livello di analisi sulla scuola e quindi vi si possono attribuire funzioni analoghe ad essa. Questi infatti trasmettono il lascito di usanze, valori morali e credenze, che costituisce ciò che chiamiamo “cultura”, alle generazioni successive in modo che esse possano in seguito esprimerlo e adottarlo nella pratica quotidiana. L’educazione consiste nel prestare attenzione alle cose e al mondo, è una pratica di attenzione non di trasmissione, infatti è attraverso l’attenzione che il sapere è tanto prodotto quanto tramandato. La continuità della vita – Secondo Dewey per capire cos’è l’educazione dobbiamo innanzitutto occuparci della NATURA DELLA VITA. Gli esseri viventi assorbono energia e sostanze dagli elementi e le trasformano in forza per la propria crescita e per il proprio rinnovamento e non possono farlo in completa solitudine: hanno il compito di generare altre vite e di mantenerle fino a quando queste non saranno in gradi di produrre vite a loro volta. La continuità vitale è dunque sociale e l’educazione è il mezzo di questa continuità sociale della vita. Va avanti la vita e va avanti anche l’educazione in particolare nella scuola. Tuttavia la scuola è solo uno dei tanti strumenti volti ad assicurare la continuità sociale e nel farlo è spesso soggetta a distorsioni derivanti dalla volontà di voler isolare il contenuto informativo del sapere dall’esperienza di vita attraverso la quale, e non altrimenti, si può acquisire significato. Per Dewey ad essere davvero essenziale nell’educazione è la PEDAGOGIA NON FORMALE che permette la trasmissione e la comunicazione. COMUNICAZIONE intesa non come scambio di informazioni: (somiglianza con COMUNITA’ e COMUNE) l’interesse a come le persone con esperienze di vita differenti riescano a raggiungere un accordo, un certo grado di affinità mentale che permetta loro di portare avanti insieme le proprie vite. In ambito educativo questo riguarda soprattutto persone di generazioni differenti ma per condividere e al contempo educare è necessario fare uno sforzo immaginativo che permetta di rendere le esperienze reciprocamente più vicine per favorire quel percorso verso la produzione del significato. Non si tratta di un sapere che passa da una testa all’altra senza distorsioni: si deve trovare una sorta di armonia nuova per entrambi. L’educazione è TRASFORMATIVA!

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Messa in comune e variazione – TRASMISSIONE non come passaggio da una generazione all’altra di un corpus di informazioni e rappresentazioni necessarie a condurre una certa forma di vita. La trasmissione è possibile perché le vite si sovrappongono, è possibile attraverso la partecipazione alle vite degli altri, attraverso i tentativi di raggiungere una certa armonia. Qui agisce l’educazione e i saperi, i valori, le credenze e le pratiche vengono perpetuate. L’educazione c’è solo se c’è partecipazione da entrambi i lati, solo condividendo la posta in gioco, altrimenti si tratta si addestramento ed esso replicando una forma preesistente non ha alcuno scopo educativo. AMBIENTE insieme a comunicazione e trasmissione è il terzo termine importante della teoria di Dewey. Esso è la variazione della vita, non è solo ciò che circonda l’individuo o la somma delle condizioni che ingloba ma è costituito dalla maniera in cui queste condizioni, nel corso del tempo, partecipano a uno schema di attività collegate. “il vero ambiente dell’uomo è costituito da quelle cose che effettivamente lo mutano”, esse lo accompagnano e mutano come muta lui, secondo le sue inclinazioni e disposizioni. La promessa dell’educazione sta nella capacità di rispondere e di ricevere risposta: senza questa “abilità di risposta”, l’educazione non sarebbe possibile. Messa in comune e variazione sono INTERDIPENDENTI: da un lato non possono esserci movimento, crescita o vita nella condivisione di esperienze senza che ci sia la variazione in quello che un partecipante porta con sé. Il vivere comunitario è una creazione continua non un ritorno a un’origine. L’obiettivo dell’educazione non è riempire un vuoto nella mente del bambino in modo da innalzarlo al livello dell’adulto, ma piuttosto avvicinare giovani e adulti in modo che la vita sociale possa andare avanti condividendo la simpatetica sensibilità, l’apertura mentale senza alcun punto di arrivo. Dall’altro lato non può esserci variazione senza compartecipazione in un ambiente sociale condiviso. È nella corrispondenza con gli altri che ognuno di noi diventa sé stesso. L’addestramento sopprime la differenza mentre l’educazione la promuove come principale fonte della personalità. Messa in comune e variazione dipendono l’una dall’altra e sono entrambe necessarie per la continuità della vita. È una comunità, un donare insieme, in cui ognuno ha qualcosa da dare proprio perché non vi è niente in comune e in cui una generosa co-esistenza supera la regressione essenzialista a un’identità primordiale. Questo esige uno sforzo comune che chiede ad ognuno di aprirsi agli altri, di contribuire con le proprie azioni alle condizioni di vita in comune da cui avranno origine nuove variazioni. Il modello genealogico - gli schemi di parentela usati dagli antropologi per descrivere la relazione tra genitore e bambino prevedono convenzionalmente di raffigurare la filiazione con una linea verticale che connette due icone di forma geometrica. Questa rappresentazione apparentemente innocente è in realtà piena di presupposti nascosti: 1) Nella relazione di filiazione le vite di genitore e figlio non sono unite ma tenute ben separate, restano confinate nei loro rispettivi posti, ognuno nella sua icona. 2) La linea non è quindi una linea della vita, ma è un insieme di capacità, caratteristiche o istruzioni per viverla. 3) La linea non cresce né si allunga col tempo, gli attributi quindi devono essere assegnati prima e in maniera indipendente rispetto alla crescita del bambino e del suo sviluppo nel mondo. Secondo questo schema quindi la vita è del tutto slegata dall’esperienza dell’ambiente e soprattutto la linea sta ad indicare che tutti gli attributi, le caratteristiche e le capacità vengono ereditate dai genitori. Questo è

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chiamato modello genealogico e il suo presupposto centrale è che la struttura fondamentale degli individui viene determinata, in maniera indipendente e in anticipo rispetto alla loro vita nel mondo, dal passaggio di determinati attributi da parte dei progenitori. Questo modello proposto da RIVERS è rimasto d’uso corrente fino ad oggi ed è stato pensato per adattare allo studio della parentela umana un modo di pensare che era già ben noto nelle scienze biologiche e in psicologia. La critica è che le relazioni di parentela si costruiscono vivendo insieme, contribuendo materialmente con l’esperienza alla reciproca formazione....


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