Riassunto Tim Ingold Antropologia come educazione PDF

Title Riassunto Tim Ingold Antropologia come educazione
Author Verdiana Mortillaro
Course Antropologia sociale
Institution Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
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Riassunto Tim Ingold...


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Riassunto Tim Ingold, Antropologia come educazione 1. Contro la trasmissione Abbandonare la scuola  Nelle società occidentali o moderne, la parola educazione evoca i ricordi della scuola. Ci andavamo per venire educati: ossia per imparare a leggere, a scrivere, a fare i conti.  La scuola è quindi per noi il luogo primario della formazione educativa.  Nel caso della democrazia, è responsabilità dello stato garantire servizi educativi adeguati ai propri cittadini, e il ministero dell’istruzione ha il compito di supervisionare le scuole e di regolamentare ciò che vi accade, a partire dai contenuti e dai metodi di insegnamento.  Pratica educativa e istituzione scolastica sembrano inscindibili, MA IL SAPERE CAMBIA DA CULTURA A CULTURA.  Coloro secondo cui l’educazione avviene a scuola considerano quest’ultima uno spazio separato in cui viene trasmesso il sapere, prima della sua applicazione che avverrà quando gli studenti lo porteranno sul mondo esterno.  PEDAGOGIA Arte di insegnare  Coloro che invece ritengono l’educazione come una pratica pedagogica universale degli esseri umani, vadano essi a scuola o no, seguono la stessa logica.  Scuola  non può essere l’unico tipo di istituzione a cui è attribuito uno scopo pedagogico, ma le pratiche istituzionali alternative sarebbero comunque modellate su di essa.  Educazione  pratica di attenzione, non di trasmissione.  Nel mettere sotto accusa l’idea di trasmissione è bene cominciare dagli scritti di John Dewey, Democrazia e educazione  principale teorico di educazione di inizio Novecento 2. La continuità della vita  PUNTO DI PARTENZA DEWEY no scuola, né persone, né l’umanità.  Per capire cosa sia per lui l’educazione, egli dice che dobbiamo prima di tutto occuparci della natura della vita.  Ogni vita ha il compito di generare altre vite e mantenerle fino a quando queste non saranno in grado di produrre vita a loro volta.  La continuità del processo vitale non è individuale ma sociale.  Educazione mezzo di questa continuità sociale della vita.  Scuola uno dei numerosi strumenti volti ad assicurare la continuità sociale.  Per Dewey essenziale in educazione pedagogia formale, mediata da strumenti cognitivi specifici come il linguaggio e la rappresentazione simbolica, quanto piuttosto la trasmissione e la comunicazione.  La società esiste NELLA trasmissione, NELLA comunicazione.  COMUNICAZIONE Communication, community, common  Dewey interessato a come le persone con esperienze di vita differenti riescano a raggiungere un accordo, un certo grado di affinità mentale che permetta loro di portare avanti insieme le proprie vite.  Educazione  trasformativa 3. Messa in comune e variazione

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Nel discorso di Dewey, ciò che l’educazione è per la continuità della vita, la comunicazione lo è per la trasmissione. LA PRIMA è IL MEZZO PER RAGGIUNGERE LA SECONDA. Nonostante Dewey sia meno interessato a definire il concetto di trasmissione rispetto a quello di comunicazione, è chiaro che con il termine non intende ciò che intendiamo noi OGGI, OSSIA, IL PASSAGGIO DA UNA GENERAZIONE ALL’ALTRA, DI UN CORPUS DI INFORMAZIONI E RAPPRESENTAZIONI necessarie a condurre una certa forma di vita. Dewey trasmissione possibile perché le vite si sovrappongono, perché mentre qualcuno invecchia e alla fine muore, c’è già qualcun altro che è nato e sta crescendo. Attraverso la partecipazione alle vite degli altri l’educazione AGISCE e i saperi, i valori, le credenze, le pratiche vengono perpetuate. Solo se c’è partecipazione da entrambi i lati ci può essere educazione Dewey Se così non fosse, allora si tratterebbe di addestramento, cioè training. Training possiamo addestrare un animale domestico, premiandolo, ad esempio, con bocconi di cibo, in modo che si comporti come noi vogliamo. MA FINO A QUANDO l’animale sarà interessato al cibo e non al servizio reso al padrone non si potrà parlare di educazione. Troppo spesso, lamenta Dewey, i giovani della nostra stessa specie vengono trattati in modo simile: il bambino viene addestrato come un animale, non educato come un essere umano. Adesso è il momento di introdurre un terzo termine, ossia AMBIENTE. Se la comunicazione è il mettere in comune la vita e la trasmissione la sua perpetuazione, allora l’ambiente ne è la variazione. Il vero ambiente dell’uomo è costituito da quelle cose che effettivamente lo mutano. Senza abilità di risposta (response ability), l’educazione non sarebbe possibile. ESEMPIO Le stelle interrogano l’astronomo, stimolano la curiosità di lui ed è spinto a rispondere. Questa risposta non è semplicemente una reazione, ma una risposta derivante dal desiderio di conoscere meglio quelle stelle. L’ASTRONOMO CORRISPONDE CON LE STELLE. LEGAME TRA COMUNICAZIONE COME MESSA IN COMUNE E AMBIENTE COME VARIAZIONE NO CONTRADDIZIONE tra questi due termini al contrario, messa in comune e variazione sono interdipendenti. In assenza di variazione, l’unica variazione sarebbe ridotta ad addestramento. Messa in comune e variazione dipendono l’una dall’altra e sono entrambe necessarie per la continuità della vita. La comunità educativa è tenuta insieme attraverso la variazione, NON attraverso la somiglianza. E’ una comunità in cui ognuno ha qualcosa da dare. Avere qualcosa in comune aspirazione non UNA BASE. NO PUNTO DI PARTENZA MA UN COMPITO CHE ESIGE UNO SFORZO COMUNE. Questo sforzo richiede a ognuno di aprirsi agli altri, contribuire con le proprie azioni alle condizioni di vita comune da cui avranno origine nuove variazioni. Dewey l’educazione non può avere luogo con la comunicazione diretta ma solo indirettamente tramite l’ambiente.

4. Il modello genealogico  Considerando la relazione tra genitore e bambino, la relazione che li lega è la filiazione. Nella relazione di filiazione le vite di genitore e figlio non sono unite ma tenute ben separate. L’invecchiamento non allontana ancora di più il genitore dal bambino, ma nemmeno lo avvicina; la crescita e la maturità non portano il bambino più vicino al genitore. La linea non è quindi una linea della vita.  La filiazione è diretta e slegata dall’esperienza dell’ambiente. La linea è semplicemente una linea di trasmissione. Attraverso tali linee, gli individui entrano in possesso immediato di attributi che esistono già di per sé. LI EREDITANO.  Lo schema di parentela applica la logica quindi del modello genealogico, il cui presupposto centrale è che la struttura fondamentale degli individui viene determinata, in maniera interdipendente e in anticipo rispetto alla loro vita nel mondo, dal passaggio di determinati attributi da parte dei progenitori.  Modello genealogico creazione dell’analisi antropologica formale spesso attribuita a Rivers.  In antropologia modello sottoposto a ripetuta critica. In biologia e psicologia è ancora indiscusso.  In biologia questo modello conferma la doppia distinzione tra genotipo e fenotipo, tra filogenesi e ontogenesi. (GENOTIPO riferisce le specificazioni formali del futuro organismo, stabilite al momento del concepimento e codificate nel genoma, FENOTIPO forma manifesta che emerge dalla crescita dell’organismo e dalla sua maturazione in un ambiente specifico).  Weissmansolo gli elementi del genotipo possono passare di generazione in generazione.  In psicologia distinzione tra apprendimento sociale e individuale il primo si riferisce al modo in cui modelli di vita culturale vengono passate dall’insegnante al novizio.  Il secondo tentativi del novizio di applicare queste info in specifici contesti ambientali d’azione.  Ogni individuo erediterebbe quindi due set di caratteristiche, uno attraverso la replicazione genetica e l’altro attraverso la replicazione tramite osservazione e imitazione di analoghe unità di cultura, i quali verranno utilizzati insieme nelle successive interazioni con l’ambiente. Spezzare il cerchio  Così come il genotipo, il culturtipo stabilisce come base abitudini o inclinazioni che possono emergere attraverso l’azione congiunta di pratica ed esperienza in un determinato ambiente.  E’ una formalizzazione descrittiva del comportamento osservato che lo studioso immagina copiato nelle menti degli individui di una cultura per poi rilevare che viene ricopiato nel loro successivo e conseguente comportamento.  Problema come trasformare esperienza in modo che partecipi alla produzione di vita in comune (commonality)  Come possono i giovani assimilare il punto di vista degli anziani o gli anziani a portare i giovani a rassomigliare nella mentalità a loro stessi?

(Si chiede Dewey) Ciò è possibile per mezzo dell’azione dell’ambiente nel suscitare certe reazioni. Come l’ambiente è sottoposto a una continua variazione, anche la persona muta in risposta a essa e viceversa. Gli anziani mutano con i giovani; i giovani mutano con gli anziani. Quindi ciò che noi tendiamo a chiamare imitazione prende il nome di corrispondenza. 





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Dewey insiste dicendo che sia impossibile che le credenze e i comportamenti che un gruppo sociale coltiva nei suoi membri immaturi vengono inculcate con la forza o appiccicate, né possono diffondersi per contagio diretto. La critica di Dewey sembra aver avuto scarso impatto sulla psicologia convenzionale, i cui professionisti continuano a pensare che elementi contenuti nella mente come le credenze e gli atteggiamenti possano essere estratti e inseriti proprio nel modo che lo studioso ha cercato strenuamente di confutare. Alcuni studiosi, come psicologi e antropologi, hanno cominciato a chiamare questi elementi “meme”. Proprio come i geni, si trovano nel corpo e controllano il suo sviluppo ontogenetico. Si trovano nella mente e controllano il pensiero e il comportamento del portatore. Come seguire una ricetta Un recente sostenitore di questa idea è Dan Sperber, sebbene preferisca chiamare gli elementi trasmessi “rappresentazioni” piuttosto che “meme”. Secondo Sperber, le rappresentazioni sono direttamente contagiose: possono diffondersi in una popolazione come un’epidemia, infettando le menti già predisposte a riceverle per ragioni ereditarie e facendo in modo che i nuovi ospiti agiscano in modo tale da determinare un’ulteriore propagazione- un po’ come quando si ha il raffreddore e si tende a starnutire. Per cui l’aria è satura di particelle cariche di informazione, che vengono afferrate, sparpagliate e replicate mentre siamo presi dalle nostre faccende quotidiane. Tra queste particelle ci sarebbe stata anni fa una serie di suoni che codificava le istruzioni per preparare la salsa Mornay. Questi suoni, che una volta facevano parte della tradizione culinaria orale, sono stati oggi in gran parte sostituiti da una serie di segni di inchiostro sulle pagine dei libri di ricette. L’aspirante cuoco deve solo decodificare i suoni o i segni per ricevere le istruzioni, che saranno impiantate come rappresentazioni nella sua mente. Quindi per preparare la salsa non dovrà fare altro che convertire queste istruzioni in comportamento fisico, anche se ovviamente i dettagli gli varieranno in base agli attrezzi disponibili in cucina. MA non ci può essere trasmissione diretta di informazioni da un contesto di azione a un altro senza regole di codifica e decodifica che siano esse stesse indipendenti dal contesto. I significati di parole scritte o orali devono essere attribuiti in anticipo, perché non basta sussurrare le parole “sciogli il burro in una padella e mescola la farina” per far materializzare magicamente la salsa Mornay. Né i suoni verbali né i segni grafici della scrittura hanno già i loro significati incorporati, piuttosto li assumono a partire dalla partecipazione a un’esperienza condivisa di attività congiunta.





Le ricette sono come le storie: hanno una struttura narrativa e dunque una funzione educativa. Le storie però non hanno significati incorporati e il loro senso -come il senso delle istruzioni nel libro di ricette- è qualcosa che gli ascoltatori devono trovare da soli, mettendole in corrispondenza con le proprie storie di vita. Le storie si sovrappongono. Modello genealogico: sequenza di progenitori e discendenti, in cui legame genitore figlio è una linea di trasmissione. Narrazione di genealogie: corrispondenza di vite che, sovrapponendosi o allontanandosi, mettono in comune e mutano mentre vanno avanti.

Ragione ed ereditarietà  Per Tylor la Cultura: grande processo di civilizzazione con cui l’umanità si era innalzata, a stadi diversi tra i popoli, dalla rozza superstizione alla ragione e ai lumi.  Lowie, invece, cultura: varietà quasi accidentale di modi abituali di vivere e pensare. “Miscuglio caotico” che Tylor definisce “insieme complesso”. Qual è la differenza tra le due definizioni?  L’uomo in società di Tylor acquisisce conoscenza attivamente, attraverso l’indagine intellettuale. L’individuo di Lowie assorbe senza sforzo tutto ciò a cui si è esposto, acquisendo la cultura come un’eredità di per sé già completa. Ritorno a scuola  Dewey pensava che la nostra comprensione di cosa sia l’educazione dovrebbe partire non dalla scuola ma dalla vita. Il problema dell’educazione scolastica è la tendenza a isolare quanto viene insegnato dalla messa alla prova dell’esperienza vissuta, dove si produce il vero sapere. Risultato inclinazione a ridurre la conoscenza a informazione trasmessa verbalmente o per mezzo di altre forme simboliche, i cui significati si perdono per coloro che non hanno la possibilità di partecipare alle pratiche che in un passato lontano e in luoghi remoti, li produssero.  Forse siamo intrappolati in un circolo vizioso: forse abbiamo bisogno di scuole solo perché le abbiamo e perché abbiamo costruito una società basata su qualifiche che esse soltanto possono fornire.  Questione di Dewey: non come eliminare la scuola MA come bilanciare in maniera equilibrata le modalità di educazione formali e informali.  Educazione democratica: produzione di differenza e non di anonimità. Essa è ciò che ci permette di costruire noi stessi, collettivamente e singolarmente. E’ UN ESSERE UMANI IN DIVENIRE.  Dovremmo smettere di considerare l’educazione un metodo di trasmissione e pensarla piuttosto come una pratica di attenzione.

2. A favore dell’attenzione Il principio di abitudine  Noi esseri umani non ci limitiamo a vivere le nostre vite: diamo loro un senso e le conduciamo in una direzione. Questa è la differenza tra BIOS e ZOE, tra la vita vissuta come una storia e la vita legata ai cicli della natura.

Differenza tra l’eccedenza del dare senso e direzione alla vita rispetto al semplice vivere leading over living  Per fare questo necessaria questione dell’educazione. Necessario tornare a Dewey e al suo lavoro Arte come esperienza. Analizza i termini doing e undergoing. D. dice che in ogni esperienza si ritrovano sempre entrambi. Problema: capire la relazione che intercorre tra loro.  Oltre a fare e subire introduce un terzo termine, habit. Il termine è fortemente ambiguo poiché fa riferimento a ciò che si produce in essi in seguito alla continua ripetizione di quelle stesse azioni.  Siamo noi a creare le abitudini o le abitudini ci creano?  Per D. l’abitudine è UN PRINCIPIO DI PRODUZIONE, per mezzo del quale ogni individuo stabilito nelle proprie pratiche è generato da esse.  Esperienza: combinazione di fare e subire  Principio di volizione: in base a questo qualsiasi azione sarebbe la conseguenza di un’intenzione deliberata che la precede.  Con questo principio, fare e subire vengono separati tra agency e patiency.  Con il principio di abitudine questa opposizione scompare.  L’agire è interno al subire: mettere in atto un’esperienza significa esserci sempre dentro e abitarla. Tramite quindi l’agire nel subire abitiamo il mondo. una camminata Immaginiamo che vada a fare una camminata: il piano è fare un giro in campagna e migliorare la forma fisica e il senso di benessere complessivo. Voglio anche approfittarne per pensare. Sono consapevole che per realizzarle dovrò soffrire un poco: a parte il dolore alle gambe e le eventuali vesciche, c’è mera monotonia di mettere infinite volte un piede davanti all’altro. Ma mi rassicura l’idea che camminare è un’abitudine, qualcosa di sedimentato nel mio corpo e posso farlo praticamente senza pensare, tranne forse in certi passaggi pericolosi o quando dovrò fermarmi per verificare la direzione che sto seguendo o scegliere la strada da prendere. Il resto del tempo posso continuare a pensare agli affari miei e lasciare che il corpo faccia da solo: ma una volta che ho cominciato a camminare, camminare diventa routine autoimposta sembra che io sia diventato la mia camminata e che il camminare mi trascini. Sono infatti una persona diversa quando arrivo; perfino i dolori e le vesciche fanno parte dell’esperienza, sono segni biografici e a partire da essi posso raccontare una storia. Inoltre una volta in cammino, non posso nemmeno continuare a sostenere l’idea che camminare sia qualcosa di irriflesso, un automatismo corporeo che lascia la mente libera di fare ciò che vuole. Al contrario camminare è un’abitudine di pensiero. Tale pensiero però, non è un’operazione cognitiva interna alla testa, ma il lavoro di una mente che si mischia con il corpo e con il mondo.  ERGO NON PENSO MENTRE CAMMINO MA PENSO NEL CAMMINARE Pensare maniera di comprendere il mondo ed essere aperti al mondo ma per esserlo dobbiamo abbandonare la nostra agentività. Dobbiamo diventare individui ricettivi. 

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Secondo il principio di abitudine, non si è mai completamente padroni dei propri atti e dare una direzione alla propria vita non equivale necessariamente a esserne al comando. Dunque deve esserci qualcosa di sbagliato in una descrizione dell’azione secondo cui qualsiasi cosa ci accada è un effetto di qualche tipo di agentività. Se l’agentività è in continua formazione e trasformazione dovremmo trasformare il sostantivo in un verbo e dire piuttosto “diventando agente” (becoming agent) oppure “agendo” (agencing). L’equivalente francese è agencement. Il principio di abitudine sostituisce l’agentività con l’agencement. Ma mentre l’agentività ci appartiene in qualità di individui dotati di volizione, l’agencement ci compete come abitatori di abitudini: la prima è una proprietà che in teoria possediamo e ci permette di agire; il secondo è un compito che siamo tenuti ad assumerci in quanto individui ricettivi e responsabili in quanto parte della vita che subiamo. La vita stessa è un compito e viverla, NON IN QUANTO ZOE MA IN QUANTO BIOS, è il compito dell’educazione. Il risultato del processo educativo è, secondo Dewey, la capacità di un’ulteriore educazione.

Attenzionalità e corrispondenza  Ci troviamo con due triadi alternative: da un lato c’è la triade volizione, agentività, intenzionalità. Dall’altro c’è la triade abitudine, agencement, attenzionalità.  Adesso importante distinzione tra intenzione e attenzione. Ritorniamo all’esempio della camminata: la prima descrizione era espressa in termini di intenzioni: vedere la campagna, migliorare la forma fisica e mentale e pensare un poco. Ovviamente ci sono anche cose cui devo prestare attenzione, ma questo è il modo attraverso cui la mente verifica e controlla il mondo.  Ma nella mia seconda descrizione della camminata, la relazione tra intenzione e attenzione è rovesciata. L’attenzione è qui rovesciata; il camminatore accorda il suo movimento al terreno che si dispiega intorno a lui e sotto i suoi piedi, invece che fermarsi a intervalli regolari per controllarlo.  E se l’opposto dell’attenzione è la distrazione, anche per essa vale la medesima distinzione. Nella prima descrizione la distrazione implica una perdita di focus mentale. Nella seconda la distrazione è la deviazione dell’intero individuo all’interno del suo ambiente.  Le operazioni della mente attenzionale non sono cognitive ma ecologiche  Adesso facciamo riferimento alla parola corrispondenza, collegandola a quanto detto sull’attenzionalità. Fa riferimento al going along with. E’ il processo per cui individui o cose letteralmente co-rispomdomo o si rispondono nel corso del tempo, per esempio negli sc...


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