La-Calandria - Riassunto ed introduzione del libro \"La Calandria\" di Bibbiena PDF

Title La-Calandria - Riassunto ed introduzione del libro \"La Calandria\" di Bibbiena
Author Aurora Bovolenta
Course Lingua portoghese e brasiliana ii
Institution Sapienza - Università di Roma
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Riassunto ed introduzione del libro "La Calandria" di Bibbiena...


Description

La Calandria di Bibbiena L'opera fu scritta da Bernardo Dovizi da Bibbiena nel 1513. Vita: -1470: Nasce a Bibbiena; -1492 entra nella cancelleria Medicea; -1494 prende parte all'ambasciata fiorentina presso Alessandro VI: è poi a napoli come ambasciatore presso re Alfonso; diventa l'uomo di fiducia di Piero de' Medici e del cardinale Giovanni de' Medici. -1513 Giovanni de' Medici è eletto al soglio papale con il nome di Leone X e Bibbiena diventa Cardinale. Nello stesso anno, ad Urbino, viene rappresentata la Calandria; -1515 accordo sottoscritto tra il papa, l'imperatore Massimiliano, la Svizzera,, Milano e Genova contro la Francia. In questo il ruolo di Bibbiena è cruciale; -1518 si reca in Francia per promuovere una crociata contro i turchi; gli viene assegnato l'arcivescovado di Costanza, che cede all'amico Pietro Bembo; -1519 rientra a Roma; -1520 muore a Roma, probabilmente di malattia, anche se qualcuno parla di avvelenamento. La Calandria è un'opera commissionata da Francesco Maria della Rovere, nipote adottivo di Ippolito d'Este. L'opera è importante per il teatro del 500, in quanto è l'esempio del nuovo tipo di teatro che sta prendendo piede nelle corti italiane durante il rinascimento. Esso appare ispirato ai modelli di Plauto e Terenzio (Merecmi di Plauto importante per la Calandria) ma è arricchito di elementi della cultura contemporanea. Era pratica dell'epoca, infatti, recuperare i testi classici greci e latini (rinascimento) per poi riadattarli alla realtà dell'epoca. Uno dei primissimi a tradurre testi classici fu Ercole I d'Este che non aveva una formazione classimìcha ma affida la traduzione a dei dotti per poi far rappresentare le opere. Ciò è noto grazie alla lettera che scrive a suo genero, Francesco Gonzaga che richiede una parte dei testi tradotti ma lui risponde che non può inviarli perchè sono ormai copini per gli attori e quindi gli invia delle prose. La prima rappresentazione di un testo classico è quello dei merecmi di Plauto, rappresentata in onore del carnevale. L'opera parla di due gemelli identici e dei seguenti equivoci che la somiglianza scaturisce, ma gli eventi della rapp, sono anche usati per volgere una critica alla corte estense dell'epoca. Altra opera che parla di scambi di persone è l'Anfitrione di cui è famoso il prologo che ha come protagonisti gli dei in persona che raccontano le vicende dell'opera. In tutta la tradizione teatrale, il prologo ha una valenza importantissima:a recitarlo è un personaggio della scena, una divinità apparsa ex machina, una personificazione del prologo stesso oppure di un'allegoria oppure ancora un personaggio che incarna il ruolo dell'autore, che si rivolge agli ascoltatori in un monologo destinato a svelare l'antefatto, cioè a introdurre l'azione scenica prima del suo vero e proprio inizio, a chiarire degli avvenimenti. Inoltre, poteva dare delle informazioni sull'autore, sull'originale greca (nelle commedie Romane) e il suo autore, o poteva avere la funzione di difendere l'autore dalle critiche. Ercole I d'Este viene, inoltre, messo a confronto con l'Ercole classico in quanto ha adempiuto all'impresa di far trionfare di nuovo il teatro in Italia. In più, Ercole aveva un altro vantaggio da tutto ciò, in quanto ha trovato un modo per riportare dalla sua parte la corte dopo la perdita di Rovigo in una delle guerre italiane. In questo caso è evidente la grande importanza che il teatro poteva avere per la politica e viceversa (Pellegrino Presciani → Spettacula → utilità del teatro per la politica). L'argomento viene ripreso anche da Ariosto che, nel 30 canto dell'Orlando furioso, sottoliena che spesso gli autori non sono liberi di scrivere quello che vogliono per assoggettati al duca della corte che li ospita e finanzia. La commedia è divisa in cinque atti e, come ribadisce il prologo, è in volgare e non in latino. Rappresenta la ripresa umanistica del teatro classico ma insieme unisce elementi della novellistica di Boccaccio. Nella commedia non viene rappresentata direttamente la realtà ma viene filtrata attraverso modelli letterari ben riconoscibili da parte del pubblico a cui è rivolta. Il 1513 è un anno

importante per Urbino, in quanto è l'ultimo anno di autonomia politica del ducato, poi assediata dalle truppe pontificie. Lo spettacolo allestito per la rappresentazione della Calandria è spettacolare, mirata a valorizzare al potenza del duca di Urbino che aveva reso la città colta e raffinata. Una seconda rappresentazione ci sarà per Leone X in onore di Isabella d'Este, un evento che contribuisce a consolidare la commedia in volgare e l'uso della scena prospettica della città. Il prologo della commedia con la quale è stata pubblicata non è di Bibbiena, bensì la Castiglione, probabilmente scritta per aprire lo spettacolo del 1513. come motivazione, in una lettera a Ludovico di Canossa, Castiglione afferma che il prologo dell'autore sia arrivato troppo tardi, per cui è stato usato uno dei suoi che piaceva molto agli attori e che è stato usato nelle rapp, successive. Nel prologo Castiglione si concentra sulle novità dell'opera, prima fra tutte il fatto che l'opera è in volgare e non in latino. L'argomento era molto dibattuto all'epoca: molti lettorati si interrogavano su quale lingua fosse quella giusta da diventare lingua letteraria; il latino ormai apparteneva solo alla chiesa e alle persone più dotte e l'opera si presenta come un tentativo di innalzare la lingua volgare al pari del latino e del greco. Una cosa simile aveva fatto Ariosto nella Cassaria in cui, nel prologo, attraverso una captatio benevolentiae verso il pubblico, aveva parlato delle possibili reazioni del pubblico davanti ad un nuovo tipo di teatro, che si discosta da quello classico, e davanti all'uso della lingua volgare che definisce migliorabile attraverso dei “giochi”. La Calandria è una commedia che superava la tradizionale ispirazione plautina o terenziana che sino a quel momento era stata la norma degli umanisti che si erano dedicati al recupero degli antichi testi drammatici greco-romani modernizzandoli ma lasciando inalterato il contenuto e le trame. Sin dal titolo il Bibbiena si distacca dalla tradizione classica avvicinandosi invece alla novellistica medievale: il nome del protagonista richiama, sia per il nome che per la beffa che viene perpetrata ai suoi danni, il personaggio boccaccesco di Calandrino che compare più di una volta nel Decameron. La stessa messinscena, in collaborazione con il più celebre scenografo del suo secolo Girolamo Genga, introduce la cosiddetta scena di città con una scenografia prospettica e dove appaiono, per la prima volta, quinte praticabili con vedute della città di Roma dove la commedia è ambientata. Sino alla Calandria la scenografia dei testi drammatici si risolveva in una serie di edicole d'ispirazione medievale ancora molto simili a quelle del teatro dei Misteri, ossia le sacre rappresentazioni con gli ambienti divisi da tende. La storia di Calandro ricalca i temi della beffa amorosa che sarà un archetipo della commedia cinquecentesca da quelle di Ariosto a quelle Niccolò Machiavelli: travestimenti, agnizioni, ambigui giochi di parole dei servi che anticipano di qualche anno l'apparizione degli zanni della Commedia dell'Arte. Un'altra novità fu anche l'introduzione di intermezzi, che in seguito contribuiranno alla nascita del melodramma: tra un cambio di scena e l'altro gli spettatori assistono a effetti speciali, carri trionfali e balli. Prologo Castiglione: Il prologo presenta l'opera del Bibbiena sottolineando, fin da subito, il suo distacco con il linguaggio delle commedie antiche: per la rappresentazione non viene usato il latino, bensì il volgare, in quanto, in base a quello che dice Castiglione, l'autore l'ha scritta per tutti, non soltanto per i dotti, perciò è giusto che sia capita anche da chi il latino non lo parla. Inoltre il volgare, a differenza di come l'aveva considerato Ariosto, è visto come una lingua al pari con le lingue classiche, ha solo bisogno di essere esaltata e osservata. La commedia, inoltre, parla delle cose “familiarmente fatte e dette” per questo è inutile usare il verso. Inoltre l'opera è nuova ed è giusto che sia così per le opere “vecchie” vengono considerate noiose. Importante sottolineare l'aggettivo possessivo usato per definire la lingua volgare: prima era la lingua “vostra”, ora è la “nostra”, poiché il pubblico deve stare in silenzio per permettere agli attori di recitare, per cui c'è un richiamo al silenzio del pubblico. Si conclude, poi, con una raccomandazione al pubblico, ovvero quella di non pensare che l'autore abbia ricopiato Plauto, in quanto le sue opere sono fatte per dare ispirazione agli autori successivi a lui. Nel prologo viene anche introdotto uno dei personaggio dell'opera, importante perché da esso trae il suo nome, Calandro. È descritto come un personaggio

sciocco e viene fatta una similitudine con Martino uno sciocco proverbiale, citato anche in altre commedie dell’epoca: Martino riteneva, nella sua dabbenaggine, di detenere poteri magici e di poter trasformarsi a suo piacimento in ogni cosa. Prologo del Bibbiena Al primo prologo della Calandria ne è stato aggiunto un altro, ritrovato postumo (1861) da Isidoro del Lungo tra alcuni autografi di Bibbiena nella biblioteca nazionale di Firenze. L'ipotesi di questo studioso è stata messa in dubbio da Giorgio Padoan che ritiene che sia il prologo del Castiglione che quello del Bibbiena siano dei prologhi "pass-par-tout". Ciò vuol dire che il prologo del Castiglione non è stato scritto apposta per l'opera perchè quello del Bibbiena non arrivava, ma che fosse un testo ben conosciuto dagli attori e apprezzato dal pubblico. Il secondo prologo, comunque, si presenta pieno di immagini che hanno come sfondo una notte fiorentina. Le varie vicende narrate sono viste con uno sguardo prudentemente malizioso del protagonista e sono caratterizzate da una tipica comicità rinascimentale velata dal decorum cortigiano. Ai suoi ochhi vengono svelati capricci e virtù delle donne, che lui considera, però, futili, perché il modo di imbellettarsi delle donne non le rende affatto più belle ma solo più "decadenti" prima del tempo. Nel testo sono inseriti molti richiami agli spettatori e ad una veglia ed è presente la tipica escusatio finale ripreso dai Merecmi di Plauto e dal prologo del Castiglione, ma ciò non lo vincola ad una rappresentazione teatrale. Difatti, secondo Carlo Fanelli, autore del saggio che ho letto relativo al saggio, il testo si presenta come uno svagato racconto con spunti metateatrali. È l'atmosfera onirica creata dal sogno e dal sonno che rende questo prologo non più soltanto un prologo ma, come appuntava Padoan, qualcosa tra commedia e novella che valica la funzione asseganta alla tipologia drammaturgica. Il soggetto dal prologo rimanda ai poemi cavallereschi di Boiardo e di Ariosto. Il tema dello spazio familiare, del tradimento, delle rapporti generazionali non era nuovo allora, in quanto già presenti nella drammaturgia latina. Tuttavia è giusto sottolineare che tutte queste scene non venivano mai rappresentate sul palco, ma si era soliti usare rimandi indiretti, allusioni. Difatti, nonostante la grande influenza che la vita domestica aveva sulla rappresentazione, si tenedeva a rappresentare sempre azioni su strade, piazze o usci di case, lasciano al pubblico l'immaginazione. Lo stile narrativo del prologo fa entrare il pubblico in una dimensione comica che anticipa quella della commedia. (Bibbina è solito usare battute ironico-comiche per il testo e nessuna indicazione sul movimento e atteggiamento degli attori/personaggi. Tuto emenrge dalle battute che pronunciano. Inoltre i personaggi di presentano privi di spessore, per cui è evidente che Bibbiena utilizzi le maschere fisse, come quella del servo, molto cara a Plauto in Merecmi. Argumento Si descrive l'antefatto della commedia, cosa che non è stata affidata al prologo. Si racconta di questi due gemelli che sono identici e molto spesso vengono scambiati. Nascono a Modone e, quando muore il padre e la città viene presa dai turchi, i due devono separarsi: Santilla si traveste da Lidio e scappa insieme alla nutrice e al servo Fannio credendo che il fratello fosse morto. In realtà, Lidio non lo era e scappa da Modone insieme al suo servo Fessenio. I primi vengono venduti come schiavi a Perillo, un mercante italiano e si trasferiscono a Roma, i secondi scappano in italia dove Lidio impara la lingua e i costumi e si innamora di Fulvia, a causa della quale si traveste spesso da donna per riuscire ad entrare in casa sua e stare con lei di nascosto dal marito. Nell'argumento, infine, si dice che tutto si svolge a Roma ma, dato che i personaggi non possono spostarsi per loro, la città si è fatta così piccola da entrare ad Urbino. Atto primo scena I Troviamo Fessenio solo che ci spiega quello che è successo dopo l'arrivo di Lidio in Italia. Quando ha sentito che la sorella era viva si è precipitato a Roma a cercarla e adesso sono 4 mesi che sono li, tempo in cui si è innamorato di Fulvia e Fessenio fa da servo a lui, lei e a suo marito per orchestrare al meglio le visite che fa Lidio (vestito da donna) a Fulvia.la scena finisce con l'arrivo di Polinico,

precettore di Lidio. Scena II Nella scena, Polinico cerca di disuadere Lidio ad amare Fulvia, in quanto ha la sensazione che andrà male: le donne che amano uomini più ricchi sono lodate, gli uomini che amano donne più ricche no. Fessenio protegge il suo padrone e nasce uno scontro verbale tra i due che vede Fessenio fare delle battute sciocche sull'età del precettore e quest'ultimo si defende dicendo che Fessenio non ha diritto di parlare e che sicuramente lo porterà alla rovina. Lidio non da ascolto al precettore, dicendo che all'amore non si può comandare e che, se il precettore è ormai vecchio, lui deve avere il diritto di fare quello che vuole. Scena III: la scena prima si conclude con Fessenio che dice di dover accontare a Lidio qualcosa che lo rallegrerà dopo l'incontro con Polinico. Gli racconta che qualche giorno prima Calandro (marito di Fulvia) si è innamorato di lui vestito da donna. Lidio scoppia in una risata e capisce certi gesti dell'uomo. Infine Fessenio dice che, data la grande stupidità del l'uomo e dato l'aiuto che quast'ultimo gli ha chiesto per fare sua Lidio femmina, la cosa potrà andare a loro vantaggio. La scena siconclude con l'arrivo di Calandro. Scena VI Fessenio si incontra con Calandro che gli chiede se ha chiesto a Santilla se lo ama. All'inizio Fessenio lo prende in giro (sono suoi la veste i guanti ecc..) poi gli lascia intendere che lei parla di lui. Infine, Calandro esce di scena con la promessa di Fessenio e quest'ultimo vede da lontano la serva di Fulvia, Samia, abbastanza infervorata e le si avvicina. Scena V Fessenio e Samia parlano e lei gli dice che Fulvia ha voglia di trasdullarsi con Lidio e lei sta andando da un negromante per far fare al ragazzo quello che vuole la sua padrona. Con la promessa che Fessenio non dirà nulla, si salutano. Scene VI-VII Samia trova Ruffo, il negromante e lo porta da Fulvia, ma egli spera che non sia perché anche lei crede che sia un negromante. Nella scena successiva, Fessenio inconra di nuovo Calandro che gli chiede di Santilla. Fessenio (dopo un intro in cui crede che Amore e Cupido abbiano messo un cuor gentil in Calandro per burlarsi di lui), si prende gioco di lui, dicendogli che ha buon gusto per le donne. Fessenio dice che quando avrà la donna la "mangerà" e da li parte una beffa da parte di Fessenio che gli fa credere che una donna si beve perché quando la si bacia si "succhia" e gli fa credere che lui sia molto savio, cosa che fa aumentare la fiducia di Calandro per lui. Scena VIII Ruffo parla solo in scena. Dice che Fulvia crede davvero che ha uno spirito a sua disposizione e che avrebbe pagato profumatamente affinché Lidio si travestisse da donna e facesse quello che vuole lei. Ruffo dice di conoscere Lidio (che viene dalla Grecia come lui) e dice che prima ha bisogno di parlarci. Tuttavia, il Lidio a cui si riferisce non è Lidio ma Santilla vestita da uomo che sta a casa di Perillo, un ricco mercante che l'ha comprata insieme ai servi. ATTO II Santilla racconta la sua storia e di essersi sempre vestita da maschio perché la vita degli uomini è più tranquilla di quella delle donne. Difatti, se fosse stata donna, i turchi non l'avrebbero venduta e Perillo non l'avrebbe comprata. Ora, il mercante la ama così tanto che vuole darle in sposa sua figlia Virginia, poiché crede da sempre che lei sia un maschio. Sfoga la sua paura con la nutrice e Fannio, suo servo. Si avvicina a loro Samia, mandata da Fulvia perché credeva di aver visto Lidio dalla finestra, e la invita ad andare dalla padrona. Santilla non capisce quello che dice, in quanto non conosce Fulvia e Samia se ne va infervorata, incredula che Lidio faccia finta di non conoscerla e spera che il negromante faccia il suo lavoro. Alla fine della scena, Fannio riconosce Samia e così anche Santilla. Di seguito, va da loro Ruffo che le racconta cosa vuole da lui/lei Fulvia. Quando Ruffo le racconta che deve andarci vestita da donna rimane incredula ma il negromante la vede come un modo per poter far soldi. Santilla, che non vuole mettersi in mezzo a queste cose, dice a Ruffo che, quando avrà parlato Fannio deciderà se incontrare Fulvia più tardi. È Fannio che convince Santilla ad accettare la proposta del negromante come si evince dalla scena seguente

(scena quarta). Nella scena quinta, Fessenio va da Fulvia e le dice, come pattuito con Lidio, che quest'ultimo è in procinto di partire per andare a cercare sua sorella. Fulvia, disperata, prega il servo di non farlo partire e gli promette che quando Lidio avrà trovato Santilla la darà in sposa a suo figlio Flaminio. La scena si chiude con Fessenio che vede Calandro e decide di andargli a parlare. Nella scena sesta, troviamo Fessenio che parla con Calandro in merito all'amore che lui prova per Santilla (Lidio). Il servo lo convince che la ragazza/o prova qualcosa per lui e che lo sta aspettando nella sua casa per consumare. Per arrivarci, però, Calandro deve entrare in un baule per non essere scoperto. La scena è in chiave comica: Fessenio fa dire una “formula magica” a Calandro, che però non la sa pronunciare, per entrare nel baule e per staccarsi delle parti del corpo per entrarci. Nella scena settima vediamo Samia che si lamenta per la scelta di Lidio di andarsene e crede che nessuno sospetti nulla del suo amore. Vede, poi, Lidio che parla con un servo, poi viene chiamata da Fulvia. Nella scena seguente si vede Santilla che parla con Fannio, appena tornato da Tiresia. Dice che il matrimionio tra lei e Viriginia è quasi pronto e Santilla comincia amaledirsi per la situazione in cui si trova. Fannio la rassicura, dicendo che forse fare quello che dice Ruffio potrebbe aiutarla. Poi escono dalla scena dicendo che sarà Ruffo ad aspettarli. Nella scena ottavia abbiamo di nuovo Fessenio e Calandro: è chiaro come Bibbiena usi questi due personaggi per creare scene di immediata comicità. Fessenio ha portatoil baule in cui dovrà mettersi Calandro che gli chiede se ci dovrà entrare vivo o addormentato. Il servo gli dice che dovrà farlo da morto: gli rivela un segreto per resuscitare ogni volta (che comporta movimenti comici in scena) e lo provano subito, provocando la felicità e lo sgomento di Calandro. L'atto si conclude con Calandro che dice alla moglie Fulvia (probabilmente da una finestra) che andrà in campagna per una battuta di caccia, mentre, in realtà, si vedrà con Santilla (Lidio). ATTO III Si apre con un monologo di Fessenio che prova a “vendere” il baule con dentro Calandro. Sottolinea di nuovo il suo piano: Calandro vedrà Santilla, ovvero Lidio, ma consumerà con una prostituta che ha ingaggiato. Alla fine della scena, la donna arriva. Nell'ultima frase troviamo una metafora dell'atto sessuale. Nella seconda scena, la donna si avvicina a Fessenio e dietro di lui c'è il baule portato da un facchino. Dopo aver irpassato il loro piano, si avvicinano al terzetto degli sbirri di dogana che chiedono di controllare il baule. (il facchino ha un accento bergamasco perché di solito sono loro che hanno quegli incarichi) e Fessenio, con astuzia, fa credere che lì dentro c'è il marito della donna (la prostituta) che è morto di peste. Segue dicendo che lo butteranno in acqua. Calandro, ...


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