La lebbra tra malattia e peccato nell\'Alto Medioevo- Emanuele Piazza PDF

Title La lebbra tra malattia e peccato nell\'Alto Medioevo- Emanuele Piazza
Author Enza Carta
Course Storia della marginalità nel medioevo
Institution Università degli Studi di Catania
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Storia della marginalità nel Medioevo Nelle società in cui i poveri erano poco protetti, era maggiore il rischio di contrarre malattie, inoltre la medicina medievale, spesso, non era in grado di sconfiggere le patologie diffuse; raramente interveniva in aiuto dei poveri. In questo periodo le due malattie più diffuse erano: la peste e la lebbra. La peste: morte rapida, improvvisa e imprevedibile; la lebbra: deterioramento del corpo. La malattia era anche considerata un mezzo per avvicinarsi a Dio, per purificarsi e predisporre l’anima alla salvezza eterna; infatti in situazioni estreme la malattia veniva ricercata come imitazione della sofferenza di Cristo. I cristiani però avevano anche un altro atteggiamento nei confronti della malattia, quello di curare il proprio corpo e al contempo la propria anima. Queste malattie portavano a delle conseguenze importanti: impossibilità di lavorare, gravare sulla comunità, non contribuire al proprio sostentamento collocandosi in una situazione di inferiorità. Tra le varie paure vi era quella di finire in ospedale anche se era, spesso, l’unica via per la sopravvivenza. La paura derivava dal fatto che i medici che vi si trovavano non erano una garanzia di guarigione. In seguito, finalmente negli ospedali si iniziarono a dare indicazioni circa la cura dei malati ricoverati concentrandosi su: strutture di accoglienza, comportamento dei frati ospedalieri, gestione dei beni fondiari etc. L’obiettivo era fare in modo che i ricoverati venissero guariti puntando non solo sulle cure mediche ma anche su quelle igieniche. Anche i ricchi venivano ricoverati ma in luoghi separati e con cure diverse. La lebbra dall’XI secolo veniva gestita in maniera differente, i lebbrosi venivano obbligati ad entrare in comunità religiose con obblighi ben precisi, rinunciando ai beni. Presto diventeranno luoghi di separazione e di povertà; nonostante ciò potevano ritenersi più fortunati rispetto ad altri abbandonati a sé stessi. I poveri venivano aiutati attraverso azioni personali pubbliche e private quali donare cibo, abiti, denaro e così via. Vi erano altre forme di carità quali le distribuzioni occasionali e residuali davanti a chiese, monasteri, conventi… e anche all’esterno di ospedali. La carità era un atto fondamentale nel Medioevo e anche i lebbrosi avevano il diritto di avvicinarsi ai cittadini per chiedere l’elemosina. Un altro atto diffuso era il testamento, affidare, in punto di morte, le proprie volontà ad un testo scritto che avesse valore giuridico. Esso definiva eredi, indicazioni per la sepoltura, si specificavano lasciti e legati; venivano anche prescritte le modalità con le quali i beni dovevano essere utilizzati visto che spesso parte o tutto il patrimonio era destinato a enti ecclesiastici. Il testamento serviva anche per ripulire tutti i peccati commessi in vita e solo dopo ci si poteva occupare dei familiari, era come una sorta di mezzo tra il mondo terreno e l’aldilà.

I legati testamentari potevano vincolare la finalità6 delle proprie elargizioni. La più6 concreta preoccupazione dei testatori era garantire erogazioni di cibo ai poveri, indicando – in alcuni casi minuziosamente – i generi alimentari, i tempi, i luoghi. Grande era poi la preoccupazione che i poveri fossero dotati di vestiti e calzature, che potessero avere legna da ardere e ancora che gli ospedali fossero forniti di letti, lenzuola, coperte per ricoverare adeguatamente i poveri malati. Non si chiedeva solo di fornire aiuti materiali ai poveri, ma altresì6, molto frequentemente, di procedere alla distribuzione di elemosine in denaro, a dimostrazione del fatto che la necessità di contante era altrettanto rilevante quanto quella di beni materiali. Il povero ha assunto ormai connotati precisi e non 9 genericamente colui che ha necessità di qualcosa: poveri appartenenti alla famiglia del testatore, poveri vergognosi, poveri anziani, poveri malati, fanciulle da dotare, bambini da allevare. Per studiare le forme di marginalità 9 necessario definire il concetto di marginale. Come concetto di marginale possiamo accettare il seguente: . Gli uomini dei secoli XI e XII conoscono come valore di riferimento immediato l’ecumene cristiana (l’universitas christiana). La Penisola iberica, l’Inghilterra, la Francia si volsero più rapidamente verso la forma nazionale. L’Italia e la Germania, invece, prolungarono per un tempo molto più lungo le forme di città- stato e di principati, che comportarono una regionalità istituzionalizzata. L’individuo che appartiene all’ecumene cristiana medievale considera estraneo tutto ciò che non si produce nella sua area politico-culturale. L’ecumene 9 uno spazio vitale, non uno spazio fisico. Evidentemente, 9 un valore interiore, parte integrante della personalità di chiunque viva in quello spazio vitale. Le crociate, ad esempio, rappresentano non solo lo sforzo dell’ecumene cristiana per opporsi a tutt’altro tentativo di ecumene (in questo caso musulmana), ma anche uno sforzo di coesione rispetto alla stessa ecumene cristiana, entro la quale hanno acquisito grande forza i particolarismi. La cristianità 9 un ambito, un’area in cui tutti aderiscono, in comune, a una confessione. La crociata 9 la forma dinamica in cui tale comunità, come cristiani, fedeli, crociati, si manifesta. Si possono citare, tra gli individui che perdono in modo transitorio o permanente i diritti di cui godono i membri di una comunità, i lebbrosi. Consideriamo i lebbrosi come marginali, dato che non si trasformano in estranei totali al loro gruppo, anche se la relazione si esprime in modo particolare. Non li possiamo considerare nemmeno completamente estranei, se li analizziamo dal punto di vista della società cristiana, dato che vengono inclusi nella comunità dei fedeli. Per esempio, nel loro allontanamento dalla società si celebrano di solito le cerimonie religiose dedicate ai fedeli defunti. A importante definire il significato di povertà accettato dai secoli che ci interessano in modo speciale. Dobbiamo ricordare prima l’atteggiamento della letteratura testamentaria, poi ci chiederemo se la concezione testamentaria della povertà aveva ancora validità in quel periodo. In

generale, l’Antico Testamento esorta i padroni dei campi a non raccogliere il grano fino all’ultima spiga, ma a lasciarne una parte per gli indifesi: lo straniero, il povero, la vedova, l’orfano. Incita il popolo d’Israele a provvedere alle necessità del povero e del derelitto. Si pone il problema dell’acquisizione della ricchezza, della sua provenienza e del suo uso. Da tale esame deriva una condanna quasi unanime delle ricchezze. Se non sono cattive in sé, per lo meno si riconosce la loro pericolosità. Per sant’Ambrogio le delizie di cui gode il ricco si fondano sulla vita degli umili. Egli insiste sull’obbligo che hanno i ricchi di aiutare i loro simili derelitti: . La letteratura biblica e patristica non accetta il compenso per il prestito di denaro che si debba fare a qualcuno in stato di necessità. Il denaro, che quando lo si custodisce non cambia, che non produce frutti, non può essere restituito accresciuto, poiché, inoltre, quando lo si consegna si concede la proprietà: non si concepisce il denaro in affitto. Perciò, se il denaro passa a essere proprietà di chi lo riceve, questi, nel restituirlo al suo precedente proprietario e nel trasferire di nuovo la proprietà, non deve alcun compenso. Inoltre il ritardo in questo trasferimento di proprietà da un individuo all’altro non deve essere compensato con denaro, poiché ciò implicherebbe una vendita del tempo impossibile da concepire: poiché il tempo 9 stato dato da Dio a tutti gli uomini, il tempo 9 proprietà comune e, di conseguenza, nessuno può attribuirsi esclusivamente la sua proprietà. Ma questa concezione del tempo divino non può essere condivisa dal mercante. Nasce da qui la concezione che la possibilità del capitale produttivo sia lecita e quindi lo sia il guadagno per chi rischia o presta il capitale. Questa tesi corrispondeva a una economia immobiliare, ma l’ambiente in cui deve nascere la giustificazione 9 l’economia urbana, essenzialmente monetaria. L’interesse non 9 lecito se si chiede il denaro per necessità estrema, cio9, non 9 lecito sul prestito di consumo, ma invece lo 9 sul prestito di produzione. A partire dal XII secolo si assiste alla nascita di numerosi movimenti religiosi di tipo pauperistico. La meta che si pongono tali movimenti 9 un ritorno alle fonti, essi concentrano il loro interesse nel liberarsi dai beni materiali e il loro ideale di vita, che cercano di esprimere nel loro gruppo e tentano di estendere a tutta la società, 9 quello della vita comunitaria, il ritorno all’età d’oro dei primi cristiani. L’aumento della ricchezza nell’ambito borghese, il valore eccessivo dato a essa, fecero sì che si ravvivasse con grande intensità il problema della paupertas. Si ritiene che i marginali siano colpiti da una sanzione del gruppo maggiore; li si colloca sempre nella posizione di soffrire una situazione che, inoltre, molte volte si ritiene semplicemente esclusione. In generale, marginali, emarginati, marginalizzati, dissidenti e altri, sono individui eccentrici, che si trovano in una situazione di dissenso. Posizione che può trasformarsi in molti modi, a seconda della situazione iniziale che ha determinato o provocato il dissenso e della volontà o possibilità di entrambe le parti di trasformarla. Così ci imbatteremo nel

ritorno a uno studio anteriore, nella permanenza, nell’indurimento o peggioramento dello stesso. Un gruppo che pratica la povertà volontariamente 9 quello che la sceglie e si dedica alla cura dei poveri e degli infermi. Una sezione degli statuti del lebbrosario di Lille stabiliva che chi era stato accolto come lebbroso, ma in realtà non lo era, doveva essere allontanato dalla casa. In tale circostanza parrebbe trattarsi di confusione di diagnosi che, sappiamo, era frequente, ma in altre occasioni era volontà delle persone entrare in quelle case dove desideravano solo essere nutrite e alloggiate negli ospedali. Nel XVI secolo 9 testimoniata l’esistenza di falsi lebbrosi, vagabondi che non esitavano a convivere con gli infermi veri. Se qualcuno giungeva a fingere di essere malato di lebbra e riusciva a convivere con le persone colpite da questa infermità il cui contagio era tanto temuto, pensiamo che con maggior frequenza fossero simulate malattie meno terribili. Vi era dunque un gran numero di vagabondi, mendicanti e imbroglioni che si ponevano in contatto con le case di ospitalità. E’ importante soffermarci sulla lebbra con maggiore attenzione, perché 9 una infermità che il Medioevo segnala, pone in rilievo e considera in modo speciale, al punto da riservarle appositi ospedali. Tutto il Medioevo la considera come prototipo di infermità grave ed emarginante, poiché coloro che ne sono affetti vedono compromessa non solo la loro salute, ma anche la loro posizione nella società, che li respinge, li confina, li limita. Si cercava di conseguire lo scopo dell’isolamento totale dei lebbrosi che, come vedremo, non sempre avveniva in tutta la sua ampiezza, rinchiudendo gli infermi nei lebbrosari. Tali istituzioni erano luoghi in cui si accoglievano i malati perché vivessero là in modo permanente, finché durava la loro infermità. Eventualmente si accoglievano anche lebbrosi di passaggio. Il Levitico stabilisce che: (Lv13,45). Ma anche coloro che erano in relazione con i lebbrosi, che li servivano e curavano, dovevano recare lo stesso segno distintivo. Tra gli oggetti caratteristici dei lebbrosi, i più evidenti erano i sonagli e le raganelle, che essi dovevano agitare quando passava qualcuno. Sebbene in teoria il lebbrosario fosse un luogo da cui non si poteva uscire, questo severo isolamento era violato occasionalmente; e, in certe circostanze, con regolarità e frequenza. A volte gli statuti disponevano l’uscita di alcuni membri della comunità; altre volte queste uscite erano illegali. Nel Medioevo molti medici, seguendo le teorie di Avicenna, ritennero che la dieta alimentare avesse enorme importanza nella lebbra. Stando alla tradizione medica antica e medievale, i mali morali potevano causare la lebbra. Tale opinione si rifaceva alla storia del re Ozia. Il cuore del re si insuperbì e si ribellò contro Jahv9, suo Dio e fu punito dalla lebbra. Per i medici antichi e medievali, una delle cause della lebbra era il contagio. Secondo tale opinione, esso avveniva non solo per mezzo del contatto diretto con il lebbroso, ma anche per ciò che proveniva da lui e sfiorando tutti gli oggetti che gli appartenevano. Da ciò l’esclusione dell’infermo dalla società e la distruzione con il fuoco della sua casa, di vestiti e oggetti che possedeva. Tra le cose

che si fornivano al lebbroso vi erano sempre le scarpe. Rivestivano enorme importanza, perché si supponeva che le parti scoperte della pelle fossero la via di penetrazione della lebbra; perciò, per evitare che la pelle dei piedi potesse essere la via di penetrazione, si proibiva ai lebbrosi di camminare scalzi. Anche il timore del contagio poteva influire sulle relazioni tra marito e moglie, uno dei quali fosse lebbroso. In questo caso le disposizioni religiose e laiche oscillano tra due comportamenti: vi 9 quella che prescrive la separazione o divorzio dei coniugi e quella che accetta la permanenza del vincolo. Più rara 9 la concessione di contrarre matrimonio quando uno dei futuri sposi 9 lebbroso. E’ importante anche chiedersi se nel Medioevo si credeva che la lebbra fosse ereditaria, poiché in caso affermativo questa sarebbe stata un’altra delle cause della malattia. Alcune disposizioni parlano del timore del contagio perfino tramite i figli dei lebbrosi: . Il vescovo di Cartagine nel V secolo classificava le diverse eresie in base ai sintomi mostrati: testa dei Manichei e dei Priscillianisti, barba degli Ariani, dei Fotiniani e dei Nestoriani ecc.. Lebbra: stato imperfetto dello spirito, resa vulnerabile dal peccato; la malattia era considerata come una punizione divina. Il lebbroso sarà immondo fin quando avrà la piaga. In sostanza veniva colpito chi non professava la fede. I santi erano fondamentali in tutto questo perché grazie a loro si potevano eliminare i peccati commessi; es. Martino che faceva miracoli anche dopo la morte a chiunque si accingeva alla sua tomba. Solo 2 persone sane potevano sposarsi, se un bambino fosse nato malato sarebbe stata la prova del peccato che i genitori avevano commesso un peccato ovvero consumare un rapporto nel giorno della domenica(festività) oppure nei giorni di ciclo mestruale. Martino rese più diretto il contatto con i malati arrivando a baciarne le piaghe del volto o anche Radegonda che affermava quanto fosse importante l’atto del baciare per salvare. SALVEZZA: penitenza e intercessione dei santi....


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