Psicologia - La relazione tra atteggiamento e comportamento PDF

Title Psicologia - La relazione tra atteggiamento e comportamento
Course Psicologia e analisi delle relazioni interpersonali
Institution Università telematica e-Campus
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PSICOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE E INTERFACCE COGNITIVE La relazione tra atteggiamento e comportamento In questi studi viene esaminata una relazione che possiamo definire di tipo forma forte, cioè si ipotizza che l'atteggiamento influenzi il comportamento. In linea generale vale la pena di ricordare che la relazione tra atteggiamento e comportamento, oltre ad essere intesa come relazione di tipo causale che appunto va dall'atteggiamento al comportamento, può essere interpretata, ed è interpretata da alcuni autori, in forma debole, cioè come una relazione che in realtà può andare in tutte due le direzioni. Parlando della formazione e del cambiamento degli atteggiamenti abbiamo già fatto riferimento ad una teoria che ipotizza una relazione inversa, cioè abbiamo parlato della dissonanza cognitiva e di una serie di interpretazioni legate al fenomeno per il quale comportamenti contro-attitudinali possono modificare l'atteggiamento. Nel tipo di discorso che faremo oggi, tuttavia, noi ci concentriamo su questa relazione, cioè come, sulla base dell'atteggiamento, noi possiamo prevedere il comportamento delle persone. Il primo studio in questa direzione è un famosissimo studio di La Piere condotto negli anni ’30. Negli anni ‘30 esisteva negli Stati Uniti d'America un diffuso atteggiamento negativo nei confronti degli asiatici e La Piere progettò uno studio che sfruttava questo atteggiamento diffuso nella popolazione e quindi intraprese un viaggio di tre mesi attraverso il paese, accompagnato da una coppia di giovani cinesi. Quello che La Piere voleva vedere era se, recandosi in alberghi e ristoranti, i proprietari degli alberghi, le persone che lavoravano in queste strutture, si sarebbero comportate in modo coerente con questo atteggiamento negativo diffuso nella popolazione oppure no. Quindi si recava negli alberghi e nei ristoranti e si limitava a registrare il fatto che venisse data la camera a lui e alla coppia di cinesi, o venisse servito normalmente il pasto eccetera. In contrasto con le aspettative basate sull'atteggiamento, che abbiamo detto era piuttosto negativo, i risultati del viaggio di La Piere e dei due cinesi, della coppia di cinesi, furono molto positivi : nel 98,5% degli alberghi e nel 100% dei ristoranti la coppia cinese fu servita regolarmente senza nessun problema. La Piere successivamente mandò una lettera a un certo numero di alberghi e ristoranti, gli stessi peraltro che aveva visitato con la coppia, chiedendo genericamente se avevano una camera per questa coppia di cinesi (quindi scriveva la lettera come se fosse la coppia di cinesi) o se potevano prenotare un tavolo al ristorante. In questo caso più del 90% delle risposte furono negative. Questa ricerca di La Piere è la prima che pone in evidenza questa non corrispondenza tra l'atteggiamento espresso, appunto, quando si viene interrogati in modo generale sulla disponibilità ad accettare di servire un certo tipo di clienti e, invece, quello che le persone poi concretamente fanno quando si trovano davanti a questa coppia di clienti. Diverse altre ricerche hanno evidenziato, in questo primo periodo, costantemente delle basse correlazioni tra atteggiamento e comportamento. Wicker in una rassegna del ‘69 concludeva in modo abbastanza scoraggiato che questa relazione era molto bassa e, francamente, poneva un attacco forte alla utilità del concetto di atteggiamento.

Questi primi risultati non hanno posto uno stop alla ricerca sugli atteggiamenti, ma hanno in certo senso stimolato una riflessione sul problema : gli autori si sono interrogati su quali potevano essere le ragioni di queste basse correlazioni. Questa fase di riflessione critica ha portato a sviluppi successivi che vanno in diverse direzioni. Una prima direzione è quella che porta al suggerimento di usare delle misure aggregate sia per l'atteggiamento che per il comportamento . Che cosa vuol dire? Normalmente quando si misura un atteggiamento si misura un atteggiamento di tipo globale, l'atteggiamento ad esempio verso una coppia di ipotetici clienti cinesi: quando poi si va a misurare il comportamento, come nel caso della ricerca di La Piere, il comportamento è più specifico, perché non si tratta più di una generica coppia di cinesi, ma di una coppia di cinesi molto particolare, peraltro accompagnata ad esempio da un professore nord americano non di origine asiatica. Il comportamento che si voleva prevedere, o si voleva mettere in relazione con l'atteggiamento, era molto più specifico dell'atteggiamento. In altri casi si studia l'atteggiamento favorevole verso la difesa dell'ambiente e poi si vuole prevedere la disponibilità, l'intenzione ad adottare una raccolta differenziata dei rifiuti : quindi il comportamento è molto specifico, l'atteggiamento è molto globale. Il suggerimento di usare misure aggregate, in che cosa si traduce in pratica? Avere una misura di atteggiamento di tipo globale, ma poi avere una serie di indici di comportamento. Nel caso dell'atteggiamento pro-ambientale non solo il riciclaggio, la raccolta differenziata dei rifiuti, ma anche il ridotto consumo di energia elettrica, l'uso di detersivi più biodegradabili, eccetera eccetera. Nell'ipotesi che si abbia un indice aggregato di comportamento, questo sarà più correlato con una misura di atteggiamento che è di tipo più generale e questa è un primo suggerimento. Un secondo suggerimento è stato avanzato dagli autori che si rifanno alla teoria aspettativa-valore degli atteggiamenti, della quale abbiamo già parlato più volte in precedenza, che suggeriscono invece di rendere in un certo senso più specifica la misura dell'atteggiamento e di utilizzare delle misure di atteggiamento che riguardano non tanto l'oggetto in generale, ma lo specifico comportamento. Nel caso della ricerca di La Piere si sarebbe dovuta mandare una lettera nella quale si descriveva la coppia, si diceva che la coppia sarebbe arrivata accompagnata da un professore universitario americano e quindi avere una misura dell'atteggiamento verso questo specifica situazione comportamentale. Sulla base di questo principio di compatibilità sono stati sviluppati una serie di modelli che vengono chiamati anche multi-componenziali nei quali la previsione del comportamento è basata da un lato, sull'atteggiamento definito come atteggiamento specifico verso il comportamento, dall'altro su altre componenti che vedremo. Una terza direzione ha invece suggerito di prestare maggiore attenzione alle caratteristiche che l'atteggiamento verso un oggetto può avere in modo da individuare le caratteristiche che stimolano una relazione più forte tra atteggiamento e comportamento e quindi capire in quali condizioni si può prevedere che il comportamento sarà coerente con l'atteggiamento e in quali condizioni non ci possiamo aspettare una relazione di questo tipo. Sostanzialmente la ricerca successiva ha preso due direzioni principali : una prima direzione, che è anche quella quantitativamente più consistente, più visibile tutto sommato, è quella che considera l'atteggiamento verso lo specifico comportamento, ad esempio l'atteggiamento verso l'acquisto di un telefonino marca X.

La seconda linea di ricerca è quella che invece considera l'atteggiamento verso l'oggetto, quindi l'atteggiamento verso il telefonino marca X, e mette poi in relazione le caratteristiche di questo atteggiamento con la capacità predittiva del comportamento. La prima linea di ricerca, come ho già detto, è una linea che si è molto sviluppata ed è anche quella che ha avuto delle applicazioni in contesti diversi. Cominciamo appunto da questa. La teoria dell'azione ragionata, proposta da Fishbein ed Ajzen, come dice il nome, che viene di solito brevemente indicata come di TRA dalle iniziali della definizione inglese Theory of Reasoned Action, è una teoria che, in un certo senso, cerca di applicare al problema della relazione tra atteggiamento e comportamento una prospettiva sviluppata in ambito economico, la prospettiva dei modelli di utilità soggettiva, cioè l'idea che le persone decidano come comportarsi in funzione della valutazione dei costi e benefici che le determinate linee di azione possono avere, quindi le aspettative circa le conseguenze. Vediamo in uno schema questo tipo di modello. E’ opportuno ricordare che la teoria dell'azione ragionata viene sviluppata da Fishbein ed Aizen sulla base della concezione dell’atteggiamento di tipo aspettativa-valore, quindi in questa parte della figura voi vedete riportate le componenti delle quali abbiamo già parlato, cioè l'atteggiamento verso l'acquisto del telefonino deriva dalle credenze, dalle aspettative, che la persona ha circa le conseguenze di quest’acquisto e dalla valutazione di queste conseguenze. Questa è la influenza dell'atteggiamento. L'atteggiamento influenza non direttamente l'acquisto, secondo il modello dell'azione ragionata, ma piuttosto l'intenzione d'acquisto. Vale a dire che per questa teoria i comportamenti sono anzitutto prevedibili e spiegabili sulla base delle intenzioni : per sapere che cosa una persona farà è sufficiente chiedere che cosa ha intenzione di fare. Torneremo su questo aspetto che è molto importante e caratterizzante di questo modello. D'altro canto, e per questo la teoria dell'azione ragionata viene definito modello multicomponenziale, secondo questa teoria c'è un altro fattore che influenza l'intenzione di acquisto : le norme soggettive. Le norme soggettive fanno riferimento in un certo senso all'influenza sociale, in quanto risultano dalle credenze che la persona ha circa le reazioni che persone importanti per lei potranno avere nei confronti di questo eventuale acquisto (cosa ne penseranno i genitori, gli amici eccetera) e dalla motivazione che la persona ha a compiacere queste persone importanti. Se ritiene che l'acquisto sarà approvato da persone importanti e ritiene importante compiacere queste persone ci sarà una norma soggettiva che tende ad aumentare l'intenzione d'acquisto. Il modello dell'azione ragionata chiaramente si riferisce a una condotta intenzionale e una condotta intenzionale che ha senso se noi prevediamo che questi comportamenti siano completamente sotto il controllo di chi agisce. La persona si trova cioè in una condizione nella quale valuta i costi e i benefici, valuta le conseguenze sociali della propria condotta e formula un'intenzione di agire, intenzione che può realizzare liberamente. Da questa natura del modello derivano alcuni vantaggi che possono anche essere considerati in un certo senso dei limiti. Certamente la TRA è una spiegazione semplice ed elegante della condotta umana e la semplicità e l’eleganza sono caratteristiche che in genere nelle teorie vengono privilegiate : si cerca sempre di spiegare un fenomeno col numero più ridotto di variabili e di fattori.

Però, come abbiamo visto, questa spiegazione vede la condotta umana come intenzionale, e questa è chiaramente una assunzione che non può essere estesa a tutti i contesti di attività umana, e vede questa condotta umana come basata su un calcolo razionale dei costi e benefici delle diverse alternative. Ora è abbastanza evidente che ci sono una serie di situazioni nelle quali non si osserva questa riflessione, questo calcolo sui vantaggi e gli svantaggi delle diverse linee di azione come è anche evidente che ci sono settori di attività nei quali la persona non controlla completamente la situazione e non può fare tutto quello che intende fare. La teoria ha quindi dei limiti, dopo un po' di anni di applicazione. E’ stata anche un'applicazione abbastanza soddisfacente : con questa teoria si è riusciti a spiegare una notevole percentuale di varianza dei comportamenti, sia in contesti che riguardano contesti di utilità sociale o di protezione della salute, sia in contesti direttamente applicativi. La teoria dell’azione ragionata è stata adottata a livello economico e soprattutto di psicologia dei consumi proprio perché è una teoria che è molto coerente con la visione di uomo economico dominante anche nell'economia classica. Per ovviare, almeno in parte, ai limiti di questo primo modello, Ajzen ha messo a punto un secondo modello, che già rappresenta un'estensione, che è stato chiamato teoria del comportamento pianificato (TPB). Sostanzialmente questo modello ha come elemento di innovazione questa variabile, che viene chiamata controllo comportamentale percepito. Questa variabile indica, secondo Ajzen, la percezione che la persona ha di poter mettere in atto un certo comportamento se vuole farlo. Ciò che è interessante osservare è che il controllo comportamentale percepito influenza l'intenzione, il che vuol dire che quanto più io penso di poter fare una certa cosa, tanto più sono portata a formulare l'intenzione di farla, a progettare questa azione, ma ha anche una influenza diretta sul comportamento effettivo e sull'acquisto. Questo è un aspetto di innovazione importante perché nel modello precedente, la teoria dell'azione razionale, l'intenzione era considerata come l’unico antecedente del comportamento : in questo caso il controllo comportamentale percepito è visto come un fattore che può influenzare direttamente il comportamento e quindi sostanzialmente indebolire questa relazione tra l’intenzione e l'acquisto. Anche la teoria del comportamento pianificato è stata applicata in molti campi della salute e dei consumi con un buon successo : si può dire effettivamente che questa rappresenta tuttora il modello più largamente utilizzato dagli psicologi sociali nello studio o nella previsione del comportamento. Tuttavia, negli ultimi anni soprattutto, c'è stata una notevole riflessione critica volta ad analizzare le ulteriori carenze di questo modello e soprattutto a proporre una serie di integrazioni : in questa sede non esamineremo tutte le integrazioni proposte, che sono molte e anche interessanti, ci concentreremo soltanto su due tipi di estensioni suggerite. Una prima estensione è quella che riguarda il riferimento alle abitudini al comportamento passato. Diversi autori, Bentler, Speckart, Triandis, hanno osservato come la teoria del comportamento pianificato non tenga conto di quello che la persona ha fatto in precedenza, cioè di quali erano le eventuali abitudini comportamentali in un determinato settore. Secondo questi autori non tenere conto delle abitudini o del comportamento passato rappresenta una lacuna. Secondo loro molti studi, e in effetti diciamo che ci sono dati empirici a conferma, evidenziano che le abitudini di comportamento passato hanno una capacità predittiva almeno analoga a quella degli atteggiamenti. Il che in pratica vuol dire che per sapere che cosa una persona farà in un determinato

settore in alcuni casi basta chiederle che cosa fatto in passato; nel caso per esempio dell'acquisto del telefonino, se noi ci domandiamo se il nostro amico comprerà un nuovo modello che è appena uscito, possiamo avere un’indicazione, possiamo prevedere il suo comportamento sapendo, per esempio, che il nostro amico ha una discreta disponibilità economica e che compra sempre i modelli nuovi, con nuove funzioni. Sapere che ha l'abitudine a cambiare velocemente telefonino e a comprare nuovi modelli ci consente di prevedere che cosa farà nel caso dell'ultimo modello uscito. Addirittura le ricerche di questi autori indicano che, in alcuni casi, il comportamento passato e le abitudini sono un predittore anche più importante della condotta. Questo ad esempio è un fenomeno che si verifica nelle condotte che abbiamo definito salutari. Molte ricerche che si sono occupate di relazione tra atteggiamento e comportamento nell'area ad esempio della prevenzione dell'AIDS e della adozione di comportamenti cosiddetti di relazioni sessuali sicure, hanno evidenziato come l'intenzione di adottare queste condotte fosse spiegata in misura più importante, più rilevante, dal comportamento passato delle persone e dalle abitudini che le persone avevano comunque ad adottare queste condotte in passato che non dalla loro percezione di rischio, ovvero dalla valutazione di messaggi di comunicazione persuasiva. Questo suggerisce che ci sono almeno dei settori di comportamento nei quali le persone hanno acquisito delle abitudini e nelle quali queste abitudini tendono a riprodursi e a condizionare le condotte in occasioni successive. Ci sono stati quindi degli autori che hanno cercato di combinare, se volete, le due prospettive quella della teoria del comportamento pianificato e quella di coloro che sostengono il ruolo importante del comportamento passato o delle abitudini in una sorta di modello a due vie : noi abbiamo già visto questo discorso dei modelli a due vie nella comunicazione persuasiva. In questo caso questi autori propongono che nei casi di condotte non abituali, quando si tratta di prevedere un comportamento che non ha nessuna relazione con le condotte passate della persona, sarebbero attive le variabili cognitive che sono considerate dalla teoria dell'azione ragionata o del comportamento pianificato. Mentre in situazioni, in comportamenti abituali, verrebbero utilizzate delle regole di decisione semplificate che vengono chiamate euristiche. Questa distinzione è solo una delle proposte che sono state avanzate per cercare di spiegare i risultati contrastanti che derivano dalla relazione tra atteggiamento e comportamento nel caso di comportamenti abituali. Ci sono anche altre proposte, ad esempio con diversi livelli di uso della TPB. Questi diversi livelli d'uso sarebbero tre. Un primo, esteso e sistematico, che si verifica nelle condizioni di elevato bisogno di accuratezza : una persona si trova in una condizione di elevato bisogno di accuratezza per diverse ragioni. Può essere un problema che è molto rilevante, ad esempio, per l'identità della persona; in passato abbiamo parlato di coinvolgimento dell’io con l'atteggiamento, e questo potrebbe essere una settore di attività che è molto importante per la persona. Oppure la scelta in particolare può essere una scelta le cui conseguenze possono avere una lunga durata nel tempo, e in tutte queste situazioni normalmente vogliamo essere un po' più sicuri delle nostre decisioni, vogliamo essere sicuri di aver considerato tutti gli aspetti e tutti i vantaggi e gli svantaggi di ognuna delle diverse alternative di scelta. Il bisogno di accuratezza può anche essere in effetti una caratteristica delle persone. Ci sono persone che hanno un più elevato bisogno di accuratezza in tutti i contesti di attività e

di decisione e persone che tendono ad essere, come si dice, più impulsive, che hanno un minore bisogno di accuratezza. Comunque, sia che il bisogno di accuratezza sia indotto da fattori situazionali, sia che sia indotto da caratteristiche relativamente stabili della persona, un elevato bisogno di accuratezza stimola, induce, un uso sistematico della teoria del comportamento pianificato e quindi un uso che parte dall'esame delle aspettative delle conseguenze, che le combina per avere un atteggiamento globale e fa lo stesso tipo di operazione, dall'aspettativa circa il giudizio delle diverse persone all'importanza che si dà a questo giudizio, per arrivare alle norme soggettive e quindi alla formulazione dell'intenzione. Un secondo livello è quello di un uso basato solo sulle componenti globali. Questo uso si fa quando ci sono alternative comparabili a livello generale oppure quando le persone sono poco esperte : vale a dire che una persona anche esperta si può trovare di fronte al confronto tra alternative delle quali non ha tutte le informazioni dettagliate e quindi si deve basare esclusivamente su una valutazione globale dell'oggetto e su una stima globale delle reazioni delle persone per lui o per lei significative. In altri casi questo uso di componenti globali è determinato dal fatto che la persona in questione non è un'esperta del settore : ad esempio se dobbiamo comprare delle apparecchiature elettroniche è chiaro che per poter valutare tutte le caratteristiche, che sono di solito descritte nella presentazione del prodotto, bisogna avere delle competenze specifiche; non tutti hanno queste competenze e quindi non è facile per tutti decidere se è più importante potenziare un aspetto ovvero un altro. In questo caso, di nuovo, le persone si troverebbero ad usare la teoria del comportamento pianificato e le variabili che questa teoria prevede in modo globale : soltanto l'atteggiamento globale e le norme soggettive e non gli antec...


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