La mutazione individualista - Gozzini PDF

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Course Storia sociale dell'eta' contemporanea
Institution Università degli Studi di Firenze
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“LA MUTAZIONE INDIVIDUALISTA – GLI ITALIANI E LA TELEVISIONE” - Gozzini INTRODUZIONE La storia della televisione italiana mostra il passaggio dalla televisione “pedagogica” (paleotelevisione) alla “neotelevisione” (Eco). La neotelevisione è fondata sulla pubblicità: perfino la politica diventa un genere di consumo. La televisione riesce a cambiare la mente delle persone perché funziona da sponda di una trasformazione sociale profonda: la mutazione individualista. Gli effetti della mutazione si rilevano su tre piani: demografico, socioeconomico e delle identità culturali. Radio, televisione privata e computer sono alcuni dei prodotti di questa mutazione. La televisione non determina il mutamento, ma lo rispecchia, lo catalizza, lo amplifica. CAP. 1 – IL BOOM (1954-1967) – I primi anni della televisione italiana Nel 1954 in prima copertina della "Domenica del Corriere" viene illustrato, da Walter Molino, un nuovo elettrodomestico che prova ad inserirsi nelle abitudini del paese: la televisione. Viene descritta con toni di allarme destinati a ripresentarsi per lungo tempo, a differenza della radio che aveva suscitato molta meno apprensione (televisione = morte della conversazione). In Europa e in Italia, alle preoccupazioni di ordine sociale si affiancarono preoccupazioni di natura politica: non solo può distrarre da compiti e attitudini sociali, ma può anche manipolare le coscienze e trasformare i comportamenti. Eppure la televisione si diffonde nelle case degli italiani in contemporanea ad altri beni di consumo durevoli (frigorifero, lavatrice, auto..), che insieme, tra il 1955 e 1965, vanno a comporre il quadro del “miracolo economico”: il più grande il più grande e rapido miglioramento di qualità della vita della storia italiana. Il periodo in cui avviene il “boom” della televisione corrisponde ad un momento storico di grande cambiamento dello stato italiano: sempre più persone si spostano dalle campagne alle città e il progresso si fa sempre più imponente. Il modello, come del resto in tutta Europa, diventa quello consumistico americano. Gli italiani che lavorano in fabbrica, a causa della dequalificazione e ripetitività del lavoro, si organizzano in collettivi e sindacati, componendo un quadro piuttosto movimentato nelle città, che vedono un notevole “individualismo acquisitivo”, cioè grande espansione di abitazioni di proprietà. Così la TV diventa la chiave d'accesso a nuove culture e rispecchia il movimento verso il progresso ---> importanza sociale di possedere una televisione. Non si tratta di una “delocalizzazione della vita sociale”, bensì di una nuova “simultaneità” che mette a confronto la propria situazione con altri mondi fin allora sostanzialmente ignorati: la TV educa alla pluralità e incarna un'inedita potenza di democratizzazione. Del nuovo mezzo si percepisce e si apprezza la natura integrativa, che serve a conoscere realtà diverse. I programmi più citati al riguardo sono Il Musichiere (quiz musicale) e Lascia o raddoppia? (quiz di Mike Bongiorno). Scatta così un potente meccanismo di immedisamazione del pubblico con il mezzo, soprattutto con il successo del quiz di Mike Bongiorno: il televisore fa vedere “gente come noi”, permette a ciascuno di diventare un divo. Nello stesso tempo questa spettacolarizzazione dell'italiano medio è condotta all'insegna della conoscenza e della cultura: è necessario essere competenti in qualcosa per avere successo. Entrambi i programmi sono importazioni dagli Stati Uniti: di fatto la televisione americana costituisce una delle due principali fonti di ispirazione della Rai; l'altra è rappresentata dal teatro di prosa nazionale ed europeo. Emblema della mediazione tra gusti del pubblico e missione educativa è Carosello, che dal 1957 al 1977 incarna la via italiana alla pubblicità e ai consumi di massa. C'era un formula rigida imposta alla comunicazione commerciale: due minuti e mezzo di "spettacolo" creativo e mezzo minuto finale di "réclame", dunque con gusto e cautela Carosello introduce gli italiani sulla soglia del consumismo. La Democrazia Cristiana controllava la Rai e, di conseguenza, tutto il

mondo televisivo italiano degli anni ’60.Rispetto al modello statunitense, la TV europea rappresentava una vocazione pedagogica molto forte all'interno delle trasmissioni. ( in Italia su tutti Carosello e Telescuola). De mauro afferma che l’italiano parlato in radio non prende gli italiani perché è un italiano formale e piatto, senza enfasi. Il linguaggio della televisione, viceversa, è un linguaggio plurale, che non inibisce, ma affascina e stimola. Nel 1960 con Non è mai troppo tardi di Alberto Manzi, si insegna la grammatica e la scrittura italiana. La televisione incarna il giusto mezzo tra appeal familiare e rispettabilità pubblica: non inspira soggezione, coinvolge senza responsabilità; abbina il linguaggio alle espressioni del volto e alla gestualità: lo rende vivo, accattivante, imitabile (la TV unifica il paese). Si può parlare quindi di un mutamento linguistico che porta di conseguenza a mutamenti del costume. Dietro questi cambiamenti stanno i numeri della diffusione del nuovo mezzo in Italia: nel 1955 solo l'1% delle famiglia italiane acquistava il televisore, soltanto dieci anni dopo (1965) sono il 49%. Le motivazioni della penetrazione del mezzo televisivo in Italia sono: forme di esperienza culturale condivisa, trasversalità del mezzo, boom economico, pluralità e flessibilità, strumento di integrazione e legittimazione sociale. Il legame della Rai con la politica porta ad introdurre delle norme di censura, che vietano argomenti ritenuti scabrosi per la pubblica morale. Come ad esempio nel programma Canzonissima, dove nel 1962 è stato cancellato uno sketch sugli infortuni di lavoro nei cantieri edili, a causa di una vertenza in atto per il rinnovo del contratto di lavoro edile. Nel 1961 la nascita del secondo canale rappresenta il passo inaugurale del nuovo direttore Rai, Ettore Bernabei. Il rafforzamento dell’offerta giornalistica e culturale rappresenta così il punto forte della paleotelevisione pedagogica di Bernabei. Impostato secondo criteri non competitivi di ridotto allargamento dell'offerta, il secondo canale serve a rafforzare l'egemonia del primo. In parallelo si definisce un palinsesto settimanale che “fidelizza” il pubblico con appuntamenti fissi per genere, soprattutto nella fascia di prima serata, dove c'era più pubblico (film il lunedì, quiz il giovedì..). La regola rimane sempre quella di privilegiare il primo canale. Nel 1965 gli abbonamenti superano i 6 milioni e corrispondono a quasi la metà degli utenti. Nel giro di dieci anni la pratica dell'ascolto collettivo fuori casa si è quindi molto ridimensionata e la TV acquista la fisionomia americana di genere di consumo privato e domestico: non è più un mezzo di nuova socializzazione (da evento comunitario si trasforma in spettacolo domestico). La televisione non uccide né radio, né giornali, anzi, per quanto riguarda la radio (che però si sposta in luoghi come la macchina o la camera), la produzione aumenta. Negli anni della ricostruzione e del boom la televisione è il mezzo di comunicazione che con maggior efficacia rispecchia il mutamento vissuto dagli italiani. CAP. 2 – LA ROTTURA (1968-1980) – Televisione come appuntamento fisso delle famiglie italiane Alla svolta del '68 la paleotelevisione pedagogica di Bernabei si presenta con il proprio volto plurale. Da una parte, Ungaretti che la domenica in prima serata declama i versi dell' Odissea prosegue la tradizione di rapporto culturale con le radici umanistiche del patrimonio letterario europeo. Dall'altra, La famiglia Benvenuti (1968) rompe la tradizionale idea di sit-com per entrare direttamente nel quotidiano delle famiglie italiane, come del resto Quelli della domenica di Paolo Villaggio, che spacca in due l'opinione pubblica. Nel corso degli anni Settanta l'infelicità pubblica (politica) finisce per prevalere sulla felicità privata, faticosamente costruita nel decennio precedente tra migrazioni, consumi e televisori: incertezza e conflittualità portano ai moti del '68. L'esplosione dei movimenti di massa assume l'aspetto riflesso demografico. I baby boomers sono tanti, mai stati così tanti nella storia italiana, anche perché si vive il primo periodo senza grandi epidemie di malattie veneree contagiose (sconfitta anche la sifilide). Il 1968 diventa una data

simbolica per periodizzare mutamenti del senso comune e della vita sociale: stagione di grande riforme  pensioni, divorzio, regioni, parità tra coniugi. In questa stagione la Rai cerca di adeguare ai tempi la propria missione pedagogica e va a potenziare la propria capacità produttiva: sono 39 i telefilm realizzati e messi in onda nel 1968 (nel '65 erano solo 99 e calano drasticamente i film di importazione americana (da 142 a 62). Di conseguenza la Rai, in questi anni, implementa grandemente l’amministrazione, con 14 direttori e 30 co-direttori. La fine di Bernabei, parallela a quella del suo padrino politico Fanfani, arriva con l'esito del referendum che nel 1974 sconfigge il tentativo della DC di abrogare per via popolare la legge sul divorzio. L'esito di questo referendum segnala un periodo di notevole secolarizzazione che attraversa la società italiana: la perdita di importanza delle istituzioni religiose nei tempi e nei modi della vita quotidiana. Pier Paolo Pasolini attribuisce alla televisione l'origine di questo cambiamento: è stata la propaganda televisiva del nuovo tipo di vita “edonistica” (del piacere) che ha determinato il trionfo del “no” al referendum e che dunque ha portato ad avere questi mutamenti. La televisione italiana matura nel corso degli anni Settanta una crescente scissione interna. Il dopo Bernabei apre infatti una lunga e contrastata stagione di passaggio da una TV di tipo pedagogico-educativo, alla industria del divertimento. Tra 1965 e 1971 le famiglie con la televisione crescono dal 49% all'82%. Sono gli anni di un cambiamento generazionale che porta ad avere una nuova soggettività individuale. “Chi vespa mangia le mele” è il fortunato slogan coniato dalla Piaggio nel 1969: lo scooter smette di essere il mezzo di trasporto del capofamiglia e diventa status symbol generazionale. I media, in particolare la TV, si prestano ad un'estensione della merce a stile di vita. Valori materialisti e post-materialisti si intrecciano fra di loro e un mezzo di trasporto può diventare simbolo di parità sessuale, soddisfazione di vita, lotta alle discriminazioni, partecipazione civile, attenzione per l'uso del tempo libero. Nel 1976 la campagna “Mulino Bianco” della Barilla incorpora il valore post-materialista della società trasmessi dalla televisione. Tra il 1975 e il 1976, dopo il referendum sul divorzio, le sinistre ottengono il successo elettorale più grande della loro storia, sintomo dei neo-diciottenni sessantottini e di coloro che normalmente si astenevano dalle votazioni. Dai 6 milioni di abbonati Rai del ’65 si passa a i 10 milioni del ’70 e ai dodici del ’75; per questo, sebbene il consumo televisivo rallenti rispetto al decennio precedente, la televisione costituisce ancora uno strumento di unificazione dello Stato. Sempre Pasolini nota (e critica) come alla religione, elemento unificante delle società precedenti, si sia sostituito (o affiancato) l’edonismo di massa portato dalla televisione, nel quale ciò che conta sono solo i beni di consumo. Nelle classi più acculturate si sviluppa una sorta di sfiducia nella televisione, che fa registrare cali negli ascolti televisivi. La maggior parte delle persone, però, rimane ancorata agli ideali dell’edonismo di massa. Anni ’70  anni di piombo con terrorismo di destra e di sinistra. In un clima di generale crescita del PCI di Berlinguer, nel 1975 si approva una riforma che avrebbe portato nel 1979 alla nascita del terzo canale Rai, affidato a responsabili indicati dal partito di opposizione. Nasce così la sensazione diffusa di una perdita di confini chiari tra governo ed opposizione e una sorta di resistenza passiva di fronte a questi cambiamenti politici. A raccogliere questa disaffezione per la politica (“exit” dalla politica) è l'andamento dell'attenzione per i telegiornali, da sempre il genere più seguito dal pubblico televisivo. Tra il 1976 e il 1987 gli ascolti dei tre telegiornali si dimezzano e a perdere terreno è soprattutto il Tg1, mentre, sia pure marginalmente, Tg2 e Tg3 conquistano pubblico, grazie a uno nuovo stile. Il conduttore comincia a collocarsi di tre quarti, si alza in piedi, dialoga con inviati ed esperti, invitando gli spettatori ad entrare nello spazio televisivo (anchorman). Dunque nascono le prime tecniche di costruzione dell’immagine. Il ciclo delle TV private prende avvio con Telebiella nel 1971. Le TV libere italiane sono opera di singole figure imprenditoriali. Nel ’76 una sentenza liberalizza il mercato televisivo privato su scala locale, dando via così alla

“stagione del Far West” delle TV locali (con 30 nel ’75 e 800 nel '81). Le tipologie societarie sono le più varie, ma comune è la fisionomia di fondo prevalente della spoliticizzazione (privare di ogni carattere politico) e del mercato pubblicitario locale. In tutta Europa gli anni Settanta vedono la rottura del monopolio di stato della televisione e, di conseguenza, l'apertura ai privati del mercato televisivo. La televisione pubblica così si adegua al processo di spoliticizzazione introdotto dalle televisione private: lo spettacolo copre una percentuale maggiore nella programmazione, rispetto a cultura e informazione. L'apertura pluralista post-riforma si traduce anche in una parziale, ma significativa liberalizzazione del palinsesto. Nuovi programmi movimentano la scena: L'altra domenica (1976), innovativo e critico contenitore domenicale diretto da Renzo Arbore, ma soprattutto Bontà loro (1976) e Portobello (1977). Il primo condotto da Maurizio Costanzo, inaugura la versione italiana del talk show (classico format statunitense degli anni '50) e in questo spazio lo spettatore vive l'illusione tutta passiva di una partecipazione empatica e pettegola alla collettività nazionale. Il secondo, diretto da Enzo Tortora, è allo stesso tempo un giornale di piccoli annunci, un'agenzia matrimoniale, un confessionale, un programma dell'accesso, una radio parlata. Così per la prima volta il pubblico entra in scena, con i drammi e le gioie della sua vita privata. Nel 1977 viene posto fine a Carosello e questo rappresenta l'inizio del passaggio dalla paleotelevisione alla neotelevisione commerciale (1977-1983). La Rai è una trasformazione epocale. La paleotelevisione del monopolio rispondeva infatti a criteri politici di alfabetizzazione e unificazione culturale del paese. La neotelevisione della libera concorrenza risponde al criterio commerciale di procurare spettatori agli inserzionisti pubblicitari. Si iniziano a dividere i pubblici (bambini, adolescenti, adulti maschi, adulti femmine) secondo generi di programmi e di prodotti pubblicizzati e quindi secondo le scienze del marketing, in termini di valori, richieste, abitudini, bisogni. Radiocorriere, il settimanale della Rai, registra una diffusa percezione del mutamento in atto della televisione italiana da strumento pedagogico a veicolo commerciale, con le reazioni che esso suscita nel pubblico degli spettatori. Questa rivista di Nebioli appare assai diversa da quella degli anni Sessanta, diretta da Zatterin: somiglia molto di più a una rivista di gossip e perde l'aderenza stretta ai programmi e agli argomenti televisivi. Simbolo di questo passaggio è lo slogan “Abolire Ungaretti”, dopo il caso Odissea. Inoltre questo cambiamento viene ancora di più accentuato dalla nascita della televisione a colori in Italia nel 1977. Per gli italiani protagonisti di questa spoliticizzazione degli anni settanta, il termine pluralità significa la perdita silenziosa di un'identità nazionale condivisa. Gli italiani diventano una società a maglie sempre più larghe e slabbrate, superficialmente unificata dalla televisione di massa e dai consumi di massa, ma frammentata da una mutazione individualista che smette di riconoscersi nella politica.

CAP. 3 – L'ITALIA DEGLI INDIVIDUI (1981-1993) – Gli anni post-rottura del monopolio di Stato Per gli italiani e la televisione gli anni Ottanta sono quelli della pluralità. Al cambiamento tecnologico introdotto dalla TV a colori si sovrappone il cambiamento di assetto istituzionale: si struttura il duopolio Rai-Fininvest e si allarga l’offerta di programmi in contemporanea. Il telecomando entra nell'uso quotidiano e diventa l'incubo di pubblicitari e programmisti televisivi: contro lo zapping ogni mezzo diventa lecito per inchiodare lo spettatore e indurlo a non interrompere il flusso del piccolo schermo, a non sottrarsi così alla propria dose quotidiana di spot commerciali che economicamente sostiene l'intero sistema. Dallas (1981), sit-com importata dagli Stati Uniti quasi in tempo reale, rappresenta bene l'insieme di questi passaggi. Trasmesso da Rai 1 in seconda serata incontra gradimento relativo (fallimento), mentre passato dopo chi mesi su

Canale 5 (dal 1980 il primo canale televisivo privato di Berlusconi) diventa un fenomeno culturale e un potente traino degli ascolti, tanto che è stato definito un vero e proprio cavallo di Troia per rompere il monopolio Rai. L'anno successivo infatti nascono nuove sit-com come Dynasty, Flamingo Road, Dancing Days, Anche i ricchi piangono, fino ad arrivare a Beautiful (1990): si inaugura un nuovo genere contraddistinto dalla serialità lenta e rassicurante che consente un'immedesimazione degli spettatori. Il pubblico partecipa empaticamente alle vicende dei personaggi attraverso un effetto di realismo che stempera i confini tra vero e verosimile. Genere definito family comedy da Spigel (1992) che poi diventerà quello delle sit-com, telenovelas o soap operas. Nel corso degli anni Ottanta l'ineguaglianza dei redditi comincia a riflettersi in una divaricazione dei consumi e degli stili di vita. In particolare la quantità di tempo trascorso davanti alla TV smette di essere un fattore unificante della società italiana, senza conoscere differenze di reddito e istruzione, e diventa invece inversamente proporzionale ai livelli di capitale sociale: più sono bassi e collegati a modalità separate e domestiche di esistenza (casalinghe, pensionati...), più cresce l'ascolto televisivo. La neotelevisione diventa una sponda significativa nel processo di individualizzazione della società italiana. La rottura del monopolio e la fioritura del pluralismo televisivo paradossalmente si svolgono all'insegna di un binomio televisione-pubblicità che frammenta i generi e appiattisce le differenze. L'interscambio di programmi (come Dallas) e di conduttori (Bongiorno è solo il primo a passare a canale 5) mette in luce come quel binomio riduca le distanze tra TV pubblica e TV privata. È un periodo di grande importanza assunta dalla pubblicità, non vista più come totalmente negativa dagli spettatori. La scomposizione tra individui e società travalica i confini della comunicazione commerciale e detta i contenuti del palinsesto. Non si tratta solo di sit-com: tra 1983 e 1995 i programmi che hanno per oggetto la vita quotidiana delle famiglie conoscono un aumento costante, trainato da Canale 5, in una logica di mutazione individualista e di ruolo attivo nella definizione dei palinsesti delle audience. Il “saper vivere” raccontato prevale sulla cultura e sulla conoscenza, l'italiano medio vive l'illusione di un nuovo protagonismo attraverso il mezzo televisivo. Ne è un perfetto esempio il programma di Canale 5 La Corrida, del 1986, che permette ai dilettanti allo sbaraglio di esibirsi in tv. La televisione si trasforma in un'arena collettiva, lo spettatore diventa un esperto in grado valutare, il “divo” di turno è impersonato da un essere umano senza qualità. Citiamo programmi come Forum (1985), Aboccaperta (1984), OK il prezzo è giusto (1983): i conduttori di questi programmi somigliano, come afferma Umberto Eco, a dei domatori da circo che spesso aizzano i sentimenti più forti, come rabbia, aggressività, lacrime, dei loro ospiti in trasmissione, esasperando il lato peggiore e più maleducato dell'identificazione degli spettatori con i protagonisti dei video, della vita con la televisione. Per molti aspetti la storia personale di Silvio Berlusconi è la storia...


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